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La
situazione attuale caratterizzata da questa nuova pandemia mette
definitivamente a nudo le responsabilità e l'insostenibilità del sistema
dominante di produrre, consumare e governare la società umana e il
pianeta: capitalismo consumistico e finanziario da una parte e
democrazie e totalitarismi più o meno spinti dall'altra, in una stretta
relazione che vede le seconde sempre più a servizio delle prime.
Cambiamenti
climatici, distruzione degli ecosistemi per lasciare spazio a
coltivazioni ed allevamenti intensivi, inquinamento di aria, acqua e
suolo, desertificazione, consumo di risorse e produzione di rifiuti
oltre la capacità di carico della terra, fame nei paesi poveri e
malnutrizione nei paesi ricchi, sfruttamento, disoccupazione,
impoverimento e diseguaglianze sociali che interessano fasce sempre più
ampie di popolazione, sono la diretta conseguenze di un sistema
economico orientato alla perenne ricerca di profitto, in una logica di
crescita infinita dei consumi, e di azioni di governo che curano gli
interessi di pochi capitalisti, spesso organizzati in società
multinazionali a scapito dei cittadini e dell'ambiente in cui vivono.
Anche
in riferimento alla pandemia che stiamo vivendo, è ormai da tempo
dimostrata la stretta relazione tra la distruzione degli habitat
naturali, dovuti all'indiscriminata espansione antropocentrica, per
scopi agricoli, industriali ed urbani, e la diffusione di nuovi virus
caratterizzati dal cosiddetto “spillover” o salto di specie, conseguenza
di un contatto sempre più stretto con una fauna selvatica a cui sono
stati tolti i propri spazi di sopravvivenza. L'epidemia di SARS del 2003
ne era già esempio.
La
distruzione delle foreste pluviali, come quella Amazzonica, che da sola
ospita il 10% delle specie animali esistenti e molte ancora sconosciute,
per lasciare spazio alle monocolture di mais e soia, o la cattura e
l'allevamento di animali selvatici da vendere vivi nei mercati in alcune
zone della Cina, per soddisfare le credenze e il palato di un ceto
benestante in forte espansione, sono solo due degli infiniti casi che
recentemente hanno trovato l'attenzione dei media.
Inoltre,
come dimostrano i report annuali di Lancet Countdown, un gruppo di
ricerca interdisciplinare formato da oltre 120 ricercatori provenienti
da tutti i continenti e il cui lavoro è coadiuvato da 35 tra università,
enti di ricerca e agenzie delle Nazioni Unite, i cambiamenti climatici
in atto, oltre alle note e gravi conseguenze ambientali e sociali
condizioneranno pesantemente anche lo stato di salute degli esseri
umani.
L'innalzamento
della temperatura favorirà la diffusione di malattie infettive e
microrganismi e aumenteranno i morti per esposizione a polveri sottili
dovute all'inquinamento atmosferico, come riportato anche in uno studio
redatto dall'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) che vede l’Italia, con
14.600 decessi, in prima posizione per morti precoci da biossido di
azoto e seconda, con 58.000 decessi, per quelli causati dall’eccesso di
particolato.
Queste non
sono scoperte dell'ultimo minuto, e anche per il COVID-19, la comparsa
di una nuova infezione su scala planetaria era già stata prevista da più
studi scientifici a livello internazionale; già più di un anno fa
alcuni scienziati cinesi lo ipotizzarono mettendo in rapporto le
epidemie zoonotiche avvenute negli ultimi decenni e le cause da cui
derivarono; nel 2018 un gruppo di ricerca dell'OMS avvisò dello sviluppo
di una malattia X con le caratteristiche della pandemia in corso e il
CSIS (Center for strategical and international studies) con sede a
Washington, l'ottobre scorso, informò il governo statunitense del
pericolo imminente, ricostruendone perfino una simulazione.
Ma,
nonostante i ripetuti avvertimenti, i governi non hanno preso alcun
provvedimento preventivo, men che meno in Italia, dove il sistema
sanitario, smantellato dai tagli delle politiche neoliberiste, era già
praticamente ridotto all'osso.
Eppure
i piani pandemici erano stati redatti da tempo e prevedevano una lunga
serie di interventi, tra i quali il monitoraggio delle strutture
sanitarie a garanzia dell'accessibilità alle cure. Tuttavia le uniche
misure adottate, in sostanza, hanno riguardato l'isolamento sociale
(escluse le fabbriche del nord dove i lavoratori sono stati
vergognosamente sacrificati al capitale con le conseguenze viste in
Lombardia), e il conseguente stato di polizia, che rischia di fare da
anticamera a derive autoritarie ed ad una gestione militarizzata della
società, in un perpetuo stato di emergenza, vero o presunto che sia.
Comunque,
i provvedimenti riguardanti la salute dei cittadini e la tutela
dell'ambiente restano disattesi in ogni ambito. Sui luoghi di lavoro
dove incidenti mortali, infortuni e malattie professionali continuano ad
aumentare nonostante la normativa sulla sicurezza, che dopo decenni si
dimostra un completo fallimento; nelle aree urbane ed industriali,
abitate da più del 50% della popolazione mondiale, con picchi del 70-80%
negli USA ed in Europa, condannata a vivere in un ambiente estremamente
inquinato, contro il quale non viene presa alcuna misura che abbia
un'efficacia strutturale e, tanto per restare in Italia, i drammatici
rapporti annuali dell'ISPRA entrano i conflitto con gli accomodanti
controlli effettuati dell'Arpa.
Stesso
discorso per le aree rurali, con una agricoltura ad alto uso di concimi
e pesticidi che, oltre ad inquinare le falde acquifere e desertificare
il suolo, opera sempre più a ridosso delle aree abitate, vedi l'esempio
del prosecco nel Veneto o delle mele in Trentino; anche nell'ambito
agroalimentare, in mano a poche e potenti multinazionali, il cibo è
trattato alla stregua di una merce, soggetta a logiche produttivistiche,
consumistiche e speculative, a scapito della qualità e salubrità degli
alimenti e in assenza di alcun programma di educazione alimentare. Per
cui ciò che dovrebbe essere un diritto universale è trasformato in una
delle maggiori fonti di profitto per pochi, con la complicità delle
istituzioni. Come nel caso dell'EFSA, l'Autorità Europea per la
Sicurezza Alimentare, che per le sue valutazioni utilizza i dati forniti
dalle multinazionali stesse.
In
merito alle periodiche Conferenze sul clima, le cosiddette COP n°, dal
Protocollo di Kyoto del 1997 in poi sono risultate una serie di costosi,
ipocriti ed inconcludenti congressi, come dimostra l'ultimo fallimento
della COP25 di Madrid, in cui, sotto la pressione delle lobbies
economiche, gli Stati non hanno trovato gli accordi sul mercato del
carbonio.
Ma le gravi
conseguenze ambientali dell'attuale modello di sviluppo, sono ormai
innegabili e da tempo viene sostenuta da più parti la necessità di una
conversione ecologica dell'economia. Le associazioni ambientaliste
“istituzionali” (Legambiente, WWF, ecc.) lo propongono da decenni e il
problema è stato riconosciuto ufficialmente a livello internazionale con
la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, nel
giugno 2012.
Tuttavia,
dagli indirizzi che governi e istituzioni hanno impartito alla
cosiddetta “green economy,” risulta chiaro che non si tratta di una
soluzione, ma di un intervento di politica neoliberale, interno al
capitalismo, come risposta alla crisi finanziaria, con la generazione di
nuovi mercati, che andrà a beneficio degli stessi che hanno generato il
problema.
Infatti lo
sviluppo di tale economia è assegnato alle istituzioni finanziarie e al
capitale privato che, in un ottica di mercificazione del capitale
naturale e spartizione delle quote del carbonio, lascia in mano al
mercato globalizzato il compito di realizzare la neorivoluzione verde.
Questo, con la complicità di governi più o meno democratici e più o meno
corrotti, incrementerà la privatizzazione di beni comuni come terra,
acqua, cibo, risorse energetiche ed ambientali, seppellendo
definitivamente i diritti umani ed ambientali dei popoli.
La
”green economy” non può essere una soluzione perché non mette in
discussione il modello economico dominante basato su un’irrazionale
produzione di merci, conseguenza dell'idolatrata crescita economica
infinita del capitalismo, assunta a dogma unico da ogni governo sulla
terra.
Siamo tornati, dunque al punto di partenza.
Ora
come non mai, è evidente che le crisi ambientali, economiche, sociali e
politiche che imperversano sull'intero pianeta, sono in strettissima
relazione tra loro e hanno un bisogno urgente di essere risolte. Ma non
possiamo più fidarci di chi ha generato il problema, sarebbe come
chiedere alla volpe di proteggere il pollaio.
Non
possiamo chiederlo alle istituzioni ipocritamente democratiche o più o
meno totalitarie che fanno gli interessi di un capitalismo sempre più
predatorio di risorse ambientali ed umane.
Non
possiamo delegarlo ai sindacati di Stato, che da decenni perseguono
istanze concertative del tutto favorevoli agli interessi dei padroni
capitalisti, a scapito dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici,
delle condizioni di vita sui luoghi di lavoro e della tutela
dell'ambiente.
Non
possiamo nemmeno fidarci dell'ambientalismo istituzionale, incline da
tempo a mediare le proprie istanze al fine di ottenere delle corsie
preferenziali di finanziamento pubblico e delle poltrone negli apparati
politico/istituzionali, non mettendo in discussione il sistema
capitalista ma promuovendo una green economy ipocrita ed irrealizzabile.
Ora,
in merito all'attuale crisi sanitaria globale dilaga il motto che
“andrà tutto bene e tutto tornerà come prima”. Ebbene questa è
l'ennesima balla che ci stanno raccontando per predisporci ad accettare
le inevitabili conseguenze sociali ed economiche che peseranno ancora
una volta su noi tutte e tutti, sulle classi più deboli e sullo
sfruttamento dell'ambiente che dovrà essere sacrificato all'altare della
ripresa economica.
Come
nulla sarà come prima, diverse dovranno essere anche le nostre
risposte, con lotte e rivendicazioni ancora più incisive e capillari, in
ogni quartiere, su ogni territorio e nei luoghi di lavoro.
Dovranno
essere diverse anche nelle modalità, organizzandole dal basso,
rifiutando il verticismo gerarchico e la delega, in forme autogestite,
con la creazione di reti di mutuo appoggio.
Diverse
anche nei principi, riconoscendo una volta per tutte che la difesa
dell'ambiente non si può disgiungere dalla lotta per una società equa e
solidale e viceversa.
L'ambientalismo
è lotta di classe, degli e delle sfruttat* contro gli sfruttatori e le
sfruttatrici. L'Ecologia Sociale dovrà essere il nostro principio
ispiratore, contro il capitalismo e la falsa democrazia, per un mondo in
cui dovrà sparire ogni forma di dominio: dell'uomo sull'uomo, dell’uomo
sulla donna e dell'uomo/donna sulla natura.
Iniziativa Libertaria - Pordenone
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