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per giulio

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martedì 24 aprile 2018

Il 25 aprile non sta sui palchi

Il 25 aprile non sta sui palchi
cercatelo fra gli oppressi che alzano la testa
A Teresa Galli
Tra le fandonie che i neofascisti cercano di spacciare, soprattutto fra i giovani, c’è l'idea che il "primo fascismo", quello cosiddetto "diciannovista", fosse rivoluzionario. Quanto di più falso si possa raccontare.
Proprio dalla sua prima azione pubblica si palesò invece per la propria natura reazionaria e antioperaia.
Il 15 aprile 1919, a Milano, avvenne la prima aggressione squadrista contro un corteo non autorizzato di socialisti rivoluzionari ed anarchici che protestavano contro l'uccisione di un operaio da parte della polizia, avvenuta 2 giorni prima.
Il corteo fu aggredito mentre si dirigeva verso P.zza del Duomo da circa 200 squadristi tra cui ex arditi di guerra, ufficiali, alcuni futuristi di destra e studenti capeggiati da Marinetti.
Questa aggressione porta con se tutti gli elementi del fascismo per come si dimostrò chiaramente negli anni a venire e cioè il fascismo squadrista: bombe a mano, pistole, violenza antiproletaria, complicità con la polizia che all'atto dell'aggressione apriro- no il cordone per farli passare invece di difendere il corteo.

In quell'aggressione squadrista avvenne la prima vittima, purtroppo dimenticata, del fascismo ovvero Teresa galli, operaia e sovversiva. Dopo l'aggressione, che proseguì con la devastazione della redazione dell'Avanti e l'uccisione di altri 2 socialisti, pochi giorno dopo Marinetti e l'ufficiale che avevano capeggiato l'azione squadrista furono convocati e accolti dal ministro della guerra, il generale Caviglia, e da questo elogiati per aver fatto funzione di polizia volontaria contro un corteo non autorizzato...Il termine che coniò Luigi Fabbri di "controrivoluzione preventiva" è stato lungimirante ed oggi è la lettura più corretta di cosa fosse e a cosa servì il fascismo allora. E oggi?
Il fascismo oggi c'è e si vede
Restiamo a Pordenone
Non saremo in piazza Ellero quest'anno, la farsa ormai ha raggiunto il limite della decenza. Il sindaco di Pordenone nel 2001, ancora da semplice dirigente di sezione di AN/AG, si mette alla testa di un manipolo di una quindicina di persone e sfila il 25 aprile per portare una corona "a tutti i caduti", mettendo in scena una chiara provocazione: parti- giani e fascisti son tutti uguali in quanto italiani.
Una provocazione così evidente che dovranno smetterla dopo 5 anni, contestati da un centinaio di antifascisti che fecero fallire l’operazione. Ciriani nel frattempo diventa presidente della provincia e poi sindaco e in quanto rappre- sentante istituzionale quando prova a parlare dal palco ufficiale, viene contestato da chi non ha la memoria corta, così per qualche anno manda avanti i suoi vice; peccato che da prima cittadino, l'anno scorso, denuncia come provo- catori chi prova a discutere e ragionare sulla “giornata del ricordo”, adoperandosi per negare loro sale pubbliche facendo pressione persino all'autonomia del Teatro verdi, che pur di non aver problema cede al ricatto nonostante avesse già concesso il Ridotto.
Siccome non può più dare il cattivo esempio diventa novello moralizzatore, a senso unico ovviamente.
Infatti mentre sbraita ad ogni occasione contro chi si richiama ai valori dell'antifascismo, con altrettanta faccia tosta, tace quando gruppi neonazisti sono invitati a suonare durante il “giorno della memoria” inneggiando all'olocausto, così come non ha alcun timore nell'accogliere, sempre il 27 gennaio, in municipio una delegazione di Casapound, proprio quelli che si definiscono i "fascisti del 3° millennio", con una lista di aggressioni e violenze di tutto rispetto. Nel frattempo in 2 anni di governo cittadino abbiamo assistito a campagne contro i poveri della città, accattoni, migranti, giovani che cercano di vivere le piazze trattati con fastidio. E poco importa se i tentativi di rivitalizzarle, magari a suon di "pulizie etniche" come in P.zza Risorgimento, siano stati flop clamorosi, con spreco di soldi pubblici e facendo incetta di patetico nazionalismo. Abbiamo dovuto sorbirci una vergognosa strumentalizzazione dei profu- ghi, prima perseguitati e vessati e poi usati come capro espiatorio per voti di scambio nelle campagne elettorali con retate poliziesche in una della città più sicure d'Italia (fonte Ministero dell'Interno).
D'altra parte questo è un sindaco che si vanta di essere "ricco di famiglia" e mette like su post razzisti senza dover rendere conto di niente, mentre dispensa poltrone agli amici e favori agli amici degli amici.
Non serve scomodare ideologie per accorgersi di come opera il fascismo oggi, strisciante nelle istituzioni, con quel capottino democratico che gli tocca indossare per governare indisturbato mentre sta dalla parte di aziende e categorie economiche contro i lavoratori sempre più precarizzati e senza tutele. E lo fa usando il classico spauracchio della sicurezza e del decoro, utilizzando alla bisogna anche gruppi di neofascisti composti da quel mix di figli bene della borghesia locale e picchiatori del Fronte Veneto Skinhead passati a miglior partito.

Oggi saremo all'ex caserma Martelli a ricordare i 9 partigiani, giovanissimi, fucilati dai fascisti locali durante la resistenza. E lo saremo da lavoratori, precari, studenti, migranti e antifascisti, perché le scelte autoritarie, nazio- naliste, populiste e antiproletarie dei governi nazionali e delle amministrazioni locali vanno fermate: dirsi antifa- scisti, ricordare e attualizzare la resistenza diventa oggi non solo possibile ma necessario. Picchetti militari, gonfaloni, orazioni con politicanti senza vergogna in piazze sempre più vuote di gente e di giovani hanno svuo- tato il 25 aprile, ripartiamo dalle strade, dalle lotte, senza retorica e guardandoci negli occhi per riallacciare la nuove resistenze con la nostra storia.
Iniziativa Libertaria - Pordenone

Pordenone concerto resistente 25 aprile


mercoledì 18 aprile 2018

Per finirla con la guerra in Siria

Negli ultimi giorni non si sente più parlare di Afrin, assediata e distrutta dal governo turco. Confusa nel massacro siriano senza fine, ora è alla ribalta il massacro di Duma, apparentemente compiuto con armi chimiche, ad allarmare  le coscienze e portarle ad invocare un attacco occidentale. Dopo sei anni di massacri infiniti, che hanno martoriato un popolo che inizialmente chiedeva solo di uscire dalla dittatura di Assad e si è trovato teatro di una guerra civile in cui sono intervenuti praticamente tutti gli attori internazionali. Tutti apparentemente dalla stessa parte, contro il Daesh, o ISIS che dir si voglia, e in realtà tutti intenzionati a guadagnarsi un posizionamento migliore nel grande gioco, la strategia della guerra dell’Energia. Quello che risulterà dallo smantellamento della Siria e che  porterà nuovi equilibri. Ora che il pericolo ISIS è scomparso dall’emergenza, gli Stati si stanno spartendo le conquiste e cercano nuove strategie di intervento. E ne approfittano per consumare un po’ di bombe, se no come si fa a produrne, venderne e comprarne di nuove?


Così USA, Gran Bretagna,  Francia e Israele intervengono ufficialmente per punire Assad per un attacco con armi chimiche. Armi chimiche che, già altre volte tentate di evocare nella stessa guerra in Siria, non hanno suscitato indignazione degna di nota. Già altre volte gli stati occidentali hanno utilizzato scientemente fake news a giustificare interventi che coprivano ben altri interessi, basta ricordare le armi di distruzioni di massa cercate in Iraq. Raramente si interviene contro i dittatori per difendere la popolazione civile. Contro il dittatore Assad non si è intervenuti per difendere le popolazioni e le piazze quando chiedevano democrazia, come non si interviene in Yemen, altra terra di massacri. Il popolo siriano è stato dilaniato e massacrato, ogni tentativo di ricomposizione degli oppositori democratici al regime di Assad è stato boicottato e strumentalizzato per mantenere l’instabilità dell’area, in un gioco perverso tra Russia, Turchia e Stati occidentali, stati arabi e Israele, che ora vede una nuova escalation che ci coinvolge direttamente.
Eppure in quelle terre il popolo curdo ha saputo costruire in questi anni difficilissimi una società democratica, laica, pluralista. Le sue donne e i suoi uomini hanno combattuto, e vinto, contro il fascismo islamico, e lo hanno fatto a partire dall’autogoverno, costruendo una società al di là dello Stato, basata su assemblee popolari, sulla partecipazione femminile ad ogni livello della società, sull’assenza di discriminazioni etniche e religiose, su un modello sostenibile di agricoltura e di risorse energetiche. Una popolazione che con le sue donne e i suoi uomini ha combattuto l’ISIS e lo ha vinto, riconquistando Kobane e partecipando con le sue brigate militari all’azione degli alleati occidentali in nome della difesa della propria laicità e della propria libertà. E della laicità e della libertà di tutti contro il fascismo clericale dell’ISIS,  E contro Erdogan, che ha occupato e massacrato gli abitanti del cantone kurdo autonomo di Afrin, non si è levata una sola voce di condanna ufficiale da parte degli stessi alleati di qualche mese prima. Il governo fascista di Erdogan continua la repressione interna in Turchia contro ogni forma di opposizione sociale, sindacale, politica, culturale, e riempie le carceri di oppositori, effettuando vere pulizie etniche contro i curdi turchi e ha cercato di spegnere nel sangue ad Afrin ogni focolaio di speranza e di laicità. A suon di bombe.
Nell’assordante silenzio dell’ONU che sempre più dimostra la propria subalternità alla strategia militare NATO. 
Eppure proprio l’esempio di cantoni autonomi curdi  è la dimostrazione che la democrazia la costruiscono le donne e gli uomini liberi, non le bombe lanciate dagli Stati.
La fine del conflitto in Siria passa per la ricostruzione, per l’apertura di canali umanitari, per la presenza delle ONG, per la costruzione della democrazia. Per la difesa dell’autonomia delle zone curde e del loro modello di inclusione sociale e politico di democrazia di base, laica e pluralista. E’ a difendere questa esperienza, a costruire una mobilitazione nazionale e internazionale antimilitarista, contro le politiche di guerra, contro le spese militari, per l’uscita dalla NATO che è chiamato un sempre più necessario movimento per la pace.

Tortura e giustizia italiana. La Repubblica degli stoccafissi.

Tortura e giustizia italiana. La Repubblica degli stoccafissi.

Primavera 2018, un Pubblico Magistrato si sveglia e dice la verità. Non è un fatto usuale, perché nel nostro Paese (e anche altrove) ricordare verità scomode, chiedere che la “Legge “ sia uguale per tutti, non è normale.
Il Pubblico Ministero, nella stessa città che ha visto il rastrellamento e la tortura di centinaia di giovani da parte di pubblici ufficiali, dice che coloro che sono stati condannati, in più gradi di giudizio non solo non sono stati rimossi come previsto dalla sentenza ma sono “ai vertici della Polizia”.
Il PM si spinge oltre facendo un parallelismo col caso Regeni: come è possibile, dice, che si chieda giustizia per il nostro cittadino quando non siamo capaci nemmeno di applicare una sentenza sulla tortura nel nostro Paese?
La domanda è legittima, perché, anche se certo in Italia non viviamo un regime totalitario e in uno stato di polizia come quello di altri paesi, la strada per la tutela dei diritti umani è ancora lunga. Ce lo ha dimostrato chiaramente il recente dibattito parlamentare sull’introduzione del reato di tortura: alle audizioni parlamentari tutti, proprio tutti i sindacati di polizia hanno mostrato contrarietà all’introduzione del reato specifico: alcuni hanno voluto dimostrare, contrariamente ai fatti, che la tortura non è mai stata praticata in Italia e che i pubblici ufficiali (per definizione?) non si macchiano di violenza. Non solo i fatti di Genova ma anche tanti altri episodi accaduti nelle caserme, negli interrogatori, in carcere e per strada dimostrano purtroppo il contrario. Le associazioni di genitori, e innanzitutto le istituzioni di controllo e garanzia lo testimoniano.
Nella Convenzione ONU contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti (1984), ratificata dall’Italia con la legge n. 498/1988, la specificità del reato di tortura è individuata nella partecipazione agli atti di violenza nei confronti di quanti sono sottoposti a restrizioni di libertà, da parte di chi è titolare di una funzione pubblica. Nonostante questo, a seguito del dibattito in Commissione e in aula, il nostro Parlamento decide l “Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano”( Legge 14 luglio 2017, n. 110) senza riconoscere che il reato è specifico dei pubblici ufficiali ma definendo la tortura un reato generico come fosse abitualmente commesso da ragionieri e pizzaioli, forse muniti di stoccafisso invece che di manganello come ai tempi del Ventennio.
La legge inoltre prevede la punibilità solo se la tortura viene inflitta “con più condotte”. il Senato inoltre sopprime la disposizione di modifica dell’Art.157 del codice penale, che ne raddoppiava i termini di prescrizione!
Siamo quindi di fronte, e lo dimostra il voluto “fuori tema” del capo della polizia Gabrielli che invece di rispondere sui fatti si riempie la bocca di frasi retoriche e si straccia le vesti, alla conclamata impunità del Potere, meccanismo per cui chi dovrebbe tutelare i cittadini è nei fatti impunito e intoccabile.
Siamo di fronte al teorema militarista per cui alla violenza si può rispondere con uguale o maggiore violenza, al sistema in cui nessuno controlla i controllori.
Lo ha sottolineato lo scorso giugno anche il commissario UE ai diritti umani, Nils Muižnieks, che ha già denunciato le incongruenze dell’articolo di legge italiano, chiedendo garanzie che l’Italia non sia più dispensatrice di “clemenza, amnistia, perdono o sentenze sospese” per chi commette atti di tortura” e che occorre garantire che la definizione della tortura come reato genericamente “commesso da privati” non indebolisca la protezione contro il reato commesso da persone che “esercitano l’autorità dello stato”.
FPA- per Ufficio Studi di Alternativa Libertaria

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)