Sta andando come prima anzi peggio
La pandemia determinata dal virus Covid-19 sembra, almeno sul
continente europeo, in via di attenuazione benché continuino ad apparire
sempre nuovi focolai di infezione e sul futuro penda l’incertezza di
una possibile e paventata nuova ondata nel periodo autunnale; al momento
la diffusione del virus colpisce, sia per contagiati che per vittime,
soprattutto il continente americano con la massima espansione proprio in
quei paesi come gli Usa ed il Brasile dove i rispettivi presidenti ne
avevano minimizzato la pericolosità in maniera superficiale ed
irresponsabile. E ovunque la gestione della pandemia aggrava le
condizioni delle classi subalterne e delle categorie sociali più deboli.
La risposta di classe dei diversi governi
Dovunque i governanti, di qualsiasi tendenza politica, sono stati
costretti ad interventi sulla filiera produttiva ed a varare delle
misure di sostegno alla popolazione in buona parte confinata nelle
proprie abitazioni. Così è stato anche in Italia, in una situazione
sempre più difficile e spesso drammatica, mentre il sistema sanitario
mostrava tutte le proprie deficienze prodotte dai tagli degli ultimi
decenni e si reggeva sull’impegno dei lavoratori e delle lavoratrici del
settore. Il governo Conte, come tutti i governi, è intervenuto con
provvedimenti determinati da precise scelte di classe; ci riferiamo in
primo luogo alla spinta degli imprenditori che, soprattutto al nord, ha
visto il protrarsi della produzione pure in industrie non essenziali per
la popolazione e con gli operai costretti a lavorare senza adeguate
protezioni mettendo a rischio la propria salute. Anche sul fronte delle
misure di sostegno si è vista la differenza tra bonus che, benché di
entità limitata, sono stati erogati velocemente a liberi professionisti,
piccoli imprenditori, commercianti, e la cassa integrazione in deroga
giunta ai lavoratori dipendenti spesso in tempi biblici. Per non
parlare dell’esercito dei lavoratori in nero che in questo paese
rappresentano milioni di lavoratori che non stati presi in
considerazione con contributi economici di alcun tipo. Ma di fronte a
segnali
di rivolta sociale anche questo governo ha dovuto prendere alcuni provvedimenti urgenti come il
momentaneo blocco dei licenziamenti – sostenuto in pratica dal ricorso massiccio alla cassa
integrazione – e la messa a disposizione dei Comuni di limitati fondi per la povertà.
La terza fase come accelerazione di uno sviluppo forsennato
Con l’inizio della cosiddetta terza fase, cioè la riapertura di tutte
le attività produttive, culturali, sociali, la situazione è sembrata
normalizzarsi. Ma non è così. Il padronato, Confindustria in testa, dopo
il periodo più difficile attraversato nei mesi di marzo ed aprile in
cui chiedeva ipocritamente l’aiuto dei lavoratori (“siamo tutti sulla
stessa barca”), ha alzato la voce chiedendo un ridimensionamento dei
contenuti normativi dei contratti nazionali, una ulteriore flessibilità e
deregolamentazione dei rapporti di lavoro, mano libera nello
sfruttamento dei dipendenti (oggi chiamati “collaboratori”).
Le ultime misure del governo in fatto di appalti e grandi opere di
fatto rispondono alla necessità di ripartire, come prima e più di prima,
in uno sviluppo forsennato, slegato da qualunque logica territoriale.
Davvero un bel segnale di fronte all’emersione dei disgustosi casi di
frode registrati anche in questi ultimi drammatici mesi.
Lucrare sulle catastrofi
D’altronde, lucrare sulle catastrofi è una frontiera del capitalismo
da tempo all’interno del nostro orizzonte. Rapidamente tramontata ogni
ipotesi di ripensamento in ambito ambientale che vada oltre il bonus per
l’efficientamento energetico delle abitazioni private, il capitalismo
nostrano cerca di riprendere la sua corsa forsennata, come se nulla
fosse successo e fosse solo il caso di recuperare il tempo perduto.
E se tutti gli indici, pur variabili, danno una forte flessione della
produzione, la risposta sarà come sempre sulla pelle dei lavoratori, e,
se e quando i soldi promessi dall’Unione Europea arriveranno, non
saranno sufficienti né a rilanciare i consumi né a tutelare i
lavoratori.
Al netto dei teatrini elettorali, a settembre, con lo sblocco dei
licenziamenti e la cessazione della cassa integrazione in deroga, la
crisi sociale rischia di farsi drammatica, acuita inoltre dal problema
della casa e dagli sgomberi che rischiano di moltiplicarsi per
l’incapienza dei disoccupati e degli stessi lavoratori poveri la cui
fascia si sta sempre più allargando, dal venire meno delle risorse delle
amministrazioni locali a sostegno delle fasce più deboli. Ma questa
estate già rischia di travolgere anche quei settori dei servizi,
commercio e turismo che finora aveva trovato spazio di sopravvivenza,
anche se spesso con ricorso strutturale allo sfruttamento stagionale
sempre più esacerbato. Per non parlare del settore agricolo, dove la
sanatoria in corso non solo non sta contrastando minimamente il
caporalato e la gestione semischiavistica di molte delle nostre
campagne, ma non ottiene neanche l’effetto minimo di emersione dalla
clandestinità, ma si configura come una operazione di cassa e
sciacallaggio istituzionale.
Sostenere obiettivi di classe, ambientali e sociali e contrastare la deriva di destra, fascista e razzista.
In una situazione politico istituzionale in cui l’emergenza ha reso
pressoché superflua anche la finzione parlamentare, ridotta a
espressione di lobby d’affari, in cui la questione sociale viene
agitata prevalentemente dalla destra, e in cui la lettura sovranista
della crisi rischia di travolgere anche ampi settori della sinistra,
tanta attenzione deve invece essere fatta ai tentativi di convergenza e
allargamento delle richieste e rivendicazioni di classe, ambientali e
sociali che cercano di emergere nonostante la riduzione ormai
strutturale degli spazi di agibilità politica.
Contro ogni tentativo di strumentalizzazione delle richieste sociali
che possono aprirsi a pericolose derive di destra, occorre essere pronti
a sostenere e difendere all’interno dei movimenti sociali e di quanto
si potrebbe verificare nei prossimi mesi, obbiettivi chiari e di classe
che vedano al primo posto la difesa delle condizioni di vita e di lavoro
di chi abita questo paese. Difesa delle condizioni di vita che passa
anche dal blocco degli sfratti e degli sgomberi delle abitazioni, dal
diritto allo studio, dal ripristino di una sanità pubblica efficiente,
da una riduzione dell’orario di lavoro far per ripartire l’occupazione
assieme ad adeguati aumenti salariali, da una lotta al precariato in
tutte le sue forme introdotte dalle leggi degli ultimi decenni, dal
riconoscimento dei diritti sociali a tutte le persone che vivono e
lavorano nel nostro paese. Mantenendo alta la partecipazione e la
vigilanza antifascista e antirazzista in ogni ambito di mobilitazione
che sia sociale, sindacale o politica. Rinnovando la prospettiva di
superamento del capitalismo, un modello che mai come in questa fase
storica appare efficiente solo per soddisfare l’avidità di pochi,
dimostrandosi totalmente inadeguato nel far fronte ai bisogni di tutti
gli esseri umani e del pianeta.
107° Consiglio dei Delegati di Alternativa Libertaria/fdca
Reggio Emilia 12/07/2020