Federalismo decentramento e noi È vero, abbiamo criticato il modo con
cui molte regioni hanno condotto la stagione del covid19. È vero,
abbiamo sempre avversato l’infausto pateracchio della riforma del Titolo
V della Costituzione del 2001 e tutta la confusione che da essa è stata
generata, ricordiamo che quella revisione costituzionale fu voluta
sullo scorcio della legislatura da un centrosinistra in confusione (una
vera novità!) e da un improbabile candidato alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Rutelli, nella vana speranza di sottrarre voti
alla Lega Nord.
Ciò vuol dire che i comunisti anarchici sono diventati centralisti, o, come dicono
le correnti individualistiche ed antiorganizzatrici dell’anarchismo, statolatri? Chiariamo
meglio.
Potremmo dire che ci rifiutiamo di sostituire la statolatria con la
“regionilatria”, ma sarebbe un semplice escamotage, anche se non lontano
dal vero. È, infatti, un dato che il decentramento inserito in quel
frangente nella Costituzione non avvicina, come sostiene la vulgata, le
istituzioni ai cittadini. Non solo la devoluzione di parte dei poteri
alle regioni non ha reso i promulgatori di leggi più prossimi ai sudditi
o da essi meglio controllabili, ma ha moltiplicato per venti volte un
ceto politico parassitario, con l’aggravante che spesso esso è anche
meno preparato e più esposto alle pressioni dei poteri forti che hanno
gioco più facile nel condizionare le forze politiche che gestiscono il
territorio. Non vogliamo certo sostenere che l’attuale classe politica
nazionale sia di elevata caratura; non lo è neppure, salvo rare
eccezioni, quella degli altri Stati, ma solo che al peggio non c’è mai
fine, come è facile constatare.
Quindi, quello a cui assistiamo non è decentramento con connesso
sviluppo della democrazia e della partecipazione, ma solo una
moltiplicazione di centri decisionali, sovente in contrasto tra di loro,
che alimenta la babele delle norme. Per usare una formula cara agli
anarchici tutti, le decisioni non salgano dal basso verso l’alto per
formare una volontà comune e condivisa, ma piovono come grandine sui
cittadini che spesso ne ignorano provenienza e ragione.
Non è certo un caso che questa miriade di centri decisionali tendano ad
allargare le proprie competenze e diano adito alla continua richiesta di
maggiore autonomia (fino all’obbrobrio dell’“autonomia differenziata”)
la cui molla non è la ricerca del bene collettivo, ma la più gretta
autoreferenzialità; quello che si produce non è un federalismo di
comunità autogestite che si sostengono vicendevolmente con spirito
solidaristico, ma il trionfo dei più ricchi e del loro egoismo. È un
federalismo divergente invece che convergente, che allontana gli uni
dagli altri invece che tendere alla cooperazione, che divide invece di
unire.
Queste tendenze all’isolamento sono miopi, ma soprattutto fanno leva
sugli istinti più deteriori delle persone, attingendo la propria linfa
dagli strati più abbienti o da quelli meno critici della propria
popolazione, impedendone la crescita della coscienza politica. La
pratica del federalismo solidale si basa sulla più ampia diffusione
della consapevolezza delle persone di fare parte necessariamente di una
comunità senza la quale non ci sarebbero possibilità di sopravvivenza e
di sviluppo collettivo. Il federalismo così caro alla destra
(stranamente, sembra, contrastante con
l’originaria difesa del più autocratico centralismo) non è che una
manovra volta a sviluppare gli egoismi, quegli egoismi che le
permetterebbero una gestione forte del potere una volta che lo avessero
conquistato. La diffusione degli slogan “Prima gli ….” solleticano
proprio il desiderio di godersi dei privilegi presunti ed aprono in
realtà le porte alle dittature palesi o camuffate; gli esempi (Brasile,
Stati Uniti d’America, Ungheria, ecc.) non mancano. Tornando a noi,
quello che è il nostro scopo non “decentrare” il potere a cascata, ma
quello di costruire una società di individui coscienti, responsabili,
capaci di autogestirsi, solidali, quindi la centralizzazione delle
decisioni che convergendo si formano a partire dalle volontà delle
comunità che si federano. Decentrare è un movimento discendente,
“centralizzare”, cioè la faticosa costruzione di un indirizzo comune, è
un movimento ascendente. Le comunità locali, sindacali, agricole, di
mestiere, non sono monadi che non comunicano tra di loro, ma sono
interconnesse per il semplice motivo che necessitano le une dalle altre e
solo cooperando possono svilupparsi, garantendo il massimo benessere
possibile ai propri aderenti. Nulla a che vedere con il guazzabuglio che
l’Italia con l’autonomia regionale o gli USA con l’indipendenza dei
singoli Stati, stanno oggi impietosamente mostrando. In questi casi le
singole decisioni rispondono solo a giochi di potere politico ed alle
esigenze elettorali dei governanti ai vari livelli e non certo alla
salvaguardia degli
interessi collettivi.
Per concludere, non è il luccichio di un’autorità centrale che ci
attrae, fosse anche quella dei tecnici e degli scienziati del cui sapere
abbisogniamo, ma che vanno controllati per la loro incompetenza
relazionale e per l’offuscamento che il loro sapere procura ad essi.
Quello che ci interessa è non confondere i piccoli ma tenaci poteri dei
boiardi disseminati nella penisola con le vera chiamata dei cittadini
alla consapevolezza dei propri diritti, in modo che venga loro conferita
la piena potestà delle scelte e della direzione da imprimere alla
propria vita collettiva.
La Redazione
SITO ORIGINALE
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
per giulio
martedì 26 maggio 2020
Federalismo decentramento e noi
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Uione dei Comunisti Anarchici D'Italia
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