Per quanto riguarda la questione del welfare, in particolare in merito a sanità ed istruzione, è utile considerare preventivamente che la privatizzazione di questi settori, ossia il passaggio dalla prospettiva della relazione utente-servizio a quella cliente-prestazione (prodotto), è stata anticipata nei decenni precedenti da un primo passaggio, troppo spesso taciuto o sottovalutato dalla sinistra radicale e dal mondo libertario, che ha portato al passaggio dall’originaria relazione cittadino-diritto a quella di utente-servizio.
Questo
primo passaggio è di particolare rilevanza, dal momento che ha
sostituito l’orizzontalità che caratterizzava il tema dell’estensione
dei diritti con la verticalità del tema della qualità del servizio. Da
lì il passo è stato breve per arrivare alla frattura della relazione fra
la persona e il suo bisogno, che sta alla base di tutto il discorso del
welfare.
Alternanza scuola-lavoro
La
“Buona Scuola”, con le sue 400 ore di alternanza scuola-lavoro richeste
ad ogni studente nei suoi ultimi tre anni di corso, non ha mutato per
niente la situazione organizzativa degli stages lavorativi degli
istituti professionali, ha modificato solo in minima parte il medesimo
aspetto in relazione agli istituti tecnici, mentre del tutto nuova è la
situazione che si presenta nell’istruzione liceale. Molti istituti
afferenti a questo indirizzo, pur cercando di istituire relazioni con le
imprese del territorio, faticano a trovare in esse l’interesse a creare
percorsi di inserimento/formazione di studenti direttamente sul posto
di lavoro, in particolare perchè risulta spesso difficile per il datore
di lavoro estrarre plus-valore, e di conseguenza profitto, dall’attività
svolta da questi ragazzi. Prima che imprenditori-speculatori riescano a
costruire iniziative, in sinergia con amministratori pubblici
compiacenti, finalizzate a mettere in piedi progetti commerciali fondati
sullo sfruttamento della forza-lavoro degli studenti, è auspicabile che
i compagni delle varie sezioni, tenendo conto delle diverse
disponibilità sui propri territori, si impegnino nell’ideazione di
progetti che siano in grado di offrire agli studenti interessati ai
percorsi di alternanza scuola-lavoro opzioni di inserimento in contesti
associativi locali che indirizzino la propria attività verso la risposta
ai bisogni fondamentali emergenti nei territori di
riferimento,valorizzando al contempo le necessità formative degli
studenti stessi.
Dopo la “Buona Scuola” il governo pensava anche alla “Buona Università”.
Le
linee di questa riforma furono impostate in occasione del convegno di
Udine, organizzato dal Partito Democratico nell’ottobre del 2015, ma gli
organizzatori furono troppo tempestivi: anche la FLC – CGIL aveva già
manifestato la propria contrarietà, così come la lobbies dei docenti
universitari, fresca dell’applicazione della legge Gelmini reagì
opponendosi sia pure per motivi corporativi. La questione fu
temporaneamente accantonata ma è ancora all’ordine del giorno. I tratti
caratteristici di questa riforma sarebbero due: la trasformazione degli
atenei in fondazioni a indirizzo privatistico; la conseguente
trasformazione dello stato giuridico del personale
tecnico/amministrativo delle università da pubblico a privato con
l’applicazione del contratto del commercio (la cosa non riguarderebbe
ovviamente la docenza che rimarrebbe ancora pubblica e non
contrattualizzata, come è adesso. Negli atenei italiani comunque
l’alternanza scuola lavoro è un dato di fatto e assume forme variegate
che, comunque, possono essere riassunte sotto la parola “tirocinio”
(fonte: sito Università di Pisa):
“Tirocinio”
“è
un periodo di formazione presso un’azienda o un ente che permette di
creare momenti di alternanza tra studio e lavoro nell’ambito dei
processi formativi, offrendo allo studente un’esperienza diretta del
mondo del lavoro”.
“I tirocini curriculari”
–sono rivolti agli studenti iscritti ai corsi di laurea, master e dottorato di ricerca;
–sono
inclusi nei piani di studio e si svolgono all’interno del periodo di
frequenza del corso anche se non direttamente in funzione del
riconoscimento di crediti formativi universitari. Sono pertanto
curriculari anche i tirocini finalizzati allo svolgimento della tesi di
laurea;
–sono
disciplinati, anche per quanto riguarda la durata, dalla normativa
interna dei singoli Atenei (regolamenti universitari), nel rispetto
della normativa nazionale di riferimento (D. I. 25 marzo 1998, n° 142)”.
“I tirocini non curriculari”
– sono rivolti ai neolaureati che hanno conseguito il titolo di studio da non più di 12 mesi;
– il tirocinio deve iniziare, e non necessariamente concludersi, entro i 12 mesi dal conseguimento della laurea;
– non possono essere attivati da coloro che hanno conseguito un Master o un Dottorato di ricerca;
– sono
svincolati da percorsi formali di istruzione universitaria in quanto
maggiormente finalizzati a favorire l’inserimento lavorativo e le scelte
professionali mediante un periodo di formazione in ambiente produttivo e
una conoscenza diretta del mondo del lavoro.
Come
si vede le definizioni sono suadenti ma mancano studi comparativi,
qualitativi e quantitativi, tra le diverse realtà universitarie in
merito alle sopradescritte realtà.
Alternativa Libertaria
97° Consiglio dei Delegati
Fano, 25 marzo 2017
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