È di questi giorni la notizia che il governo degli Stati
Uniti intenderebbe aumentare l'appoggio militare all'Arabia Saudita
nella guerra iniziata da questo paese contro lo Yemen. Per la stragrande
maggioranza del grande pubblico la notizia può essere sorprendente,
giacché il conflitto in corso nello Yemen è quasi una "non-notizia", a
motivo di un silenzio pressoché completo dei mass media nostrani. E soprattutto non è detto che i più ne conoscano le cause.
LO YEMEN DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA
Ai nostri fini la sommaria ricostruzione della
travagliata e sanguinosa storia dello Yemen può partire dal 1962, quando
un golpe militare appoggiato dal Cairo depose l'ultimo monarca, il
giovane imam sciita zaydita Muhhammad al-Badr, e venne proclamata la
Repubblica. Tuttavia le tribù delle montagne - rifornite dall'Arabia
Saudita - continuarono a sostenere il re, con la conseguenza di una
sanguinosissima guerra civile in cui intervennero direttamente truppe
egiziane (fu il piccolo Vietnam di Nasser). La guerra civile finì al
termine degli anni Sessanta (anche a motivo del disimpegno egiziano per
la sconfitta nella Guerra dei sei giorni contro Israele) grazie ad
accordi tra Il Cairo e l'Arabia Saudita, la quale sostanzialmente
"mollò" al-Badr. Quindi la vittoria fu dei repubblicani. Questo per
quanto riguarda lo Yemen settentrionale.
Nel Sud controllato dalla Gran Bretagna, che vi aveva
costituito una Federazione Araba Meridionale, dal 1963 il Fronte di
Liberazione Nazionale (marxista) aveva iniziato la guerriglia contro i
Britannici, costringendo infine Londra a concedere l'indipendenza allo
Yemen del Sud, dove nel 1967 si costituì la Repubblica Popolare dello
Yemen (diventata nel 1970 Repubblica Democratica Popolare dello Yemen),
con capitale Aden, che ebbe il primato di essere l'unico Stato comunista
del mondo arabo.
Tentativi di unificazione fra le due Repubbliche yemenite
risalgono agli inizi degli anni Settanta, ma senza esito fino al crollo
dell'Unione Sovietica. Nel 1990 Yemen del Nord e del Sud si riunirono.
Un'unione infelice, giacché ben presto i comunisti del Sud si resero
conto dell'errore commesso e nel 1994 cercarono di effettuare una
secessione. L'esercito rimasto fedele al governo unitario, molto più
forte di quello secessionista e appoggiato anche da elementi del Sud,
domò la ribellione nel corso dello stesso anno. È interessante notare
che i ribelli avevano ricevuto l'aiuto dell'Arabia Saudita che, a
prescindere dall'abissale differenza ideologica con costoro, malvedeva
l'unificazione yemenita, suscettibile di diventare un polo di attrazione
pericoloso per le pretese di egemonia di Riyad sulla Penisola arabica.
LA RIVOLTA DEGLI HOUTHI
Per capire gli avvenimenti attuali si deve spiegare chi siano gli Houthi e il loro movimento Ansar Allah (italianizzato in Ansarullah),
ovvero Partigiani di Dio. Essi fanno parte della consistente minoranza
sciita zaydita dello Yemen (un'antica corrente islamica presente solo in
questo paese, più affine ai Sunniti che non al resto del mondo sciita,
duodecimano e settimano) e prendono il nome dal loro primo comandante
militare, Husayn Badr ad-Din al-Houthi. Il movimento Ansar Allah
nacque nel 1992, patrocinato dalla famiglia al-Houthi per ridare slancio
allo Sciismo zaydita nel paese, ma non solo per questo: erano anche in
gioco l'ottenimento di un maggiore spazio per partecipare alla vita
politica yemenita e di migliori condizioni per lo sviluppo sociale,
nonché il riconoscimento di uno status giuridico per la loro
confessione religiosa. Quest'ultimo profilo aveva anche importanti
implicazioni economiche in ambito famigliare: ad esempio, per i Sunniti
all'erede maschio spetta il doppio della quota della femmina, mentre per
gli Houthi l'eredità dev'essere divisa in parti uguali
indipendentemente dal sesso degli eredi.
I rapporti col governo yemenita precipitarono dopo
l'invasione statunitense dell'Iraq nel 2003 - in quanto gli Houthi si
schierarono a favore di Saddam Husayn - e la repressione voluta dal
Presidente Abd Allah Saleh portò gli Houthi alla rivolta armata. Essa si
inserì attivamente nella più ampia sfera della politica yemenita nel
2011, quando il leader ribelle Abd al-Malik al-Houthi si pronunciò a
sostegno del movimento popolare che chiedeva le dimissioni di Saleh.
Uscito di scena quest'ultimo alla fine del 2011, l'interim
presidenziale fu assunto dal feldmaresciallo Rabbih Mansur Hadi
(originario del Sud), che l'anno successivo fu eletto Presidente con
mandato biennale - elezioni boicottate dagli Houthi. Contrari alla
proroga di un anno al mandato presidenziale, gli Houthi ripresero le
armi e nell'autunno del 2014 si impadronirono della capitale yemenita,
Sana'a. Rimasto senza sostanziale esito un accordo politico imposto a
Hadi, gli Houthi occuparono il palazzo presidenziale, fecero dimettere
Hadi, lo imprigionarono, sciolsero il Parlamento e costituirono un
Comitato rivoluzionario per governare il paese. A febbraio 2015 Hadi
riuscì a fuggire da Sana'a riparando ad Aden, dove si proclamò legittimo
Presidente e costituì la sua capitale.
Gli Stati Uniti, l'Arabia Saudita e le monarchie arabe
del Golfo dettero il loro appoggio a Hadi. Gli Houthi, oltre a questi
nemici, avevano e hanno avversa anche la locale sezione di al-Qaida, che è riuscita a occupare alcune zone nella parte centrale del paese.
Pur non essendo riusciti a occupare Aden, gli Houthi -
appoggiati da una parte dell'esercito yemenita, tra cui anche reparti
rimasti fedeli all'ex Presidente Saleh - estesero il proprio controllo
territoriale, arrivando fino all'importante stretto di Bab el-Mandeb e
marciando di nuovo su Aden, si impadronirono dell'aeroporto
internazionale e il 25 marzo 2015 costrinsero Hadi a scappare per
riparare in territorio saudita.
L'AGGRESSIONE SAUDITA
A stretto giro, cioè il 26 marzo, l'Arabia Saudita
annunciò la creazione di una coalizione di Stati sunniti per riportare
al potere Hadi, e iniziarono i bombardamenti dello Yemen. La coalizione
era nominalmente costituita da Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kuwait,
Qatar, Egitto, Giordania, Sudan e Pakistan, ma in realtà lo sforzo
maggiore fu delle truppe saudite.
Ancora una volta risalta l'assenza di una qualsiasi
copertura giuridica (anche se formale o formalistica) a tale intervento
bellico. Una coalizione palesemente in funzione anti-iraniana, giacché
Teheran - per motivi geostrategici, politico-economici e religiosi - sta
ovviamente dalla parte degli Houthi. È chiaro d'altronde che una loro
vittoria nello Yemen avrebbe conseguenze pericolosissime per l'Arabia
Saudita e le petromonarchie arabe, in quanto suscettibile di ridare
slancio alle loro minoranze sciite (nel Bahrein gli Sciiti sono
maggioranza numerica) oppresse religiosamente, politicamente ed
economicamente. Il che altresì significherebbe un'estensione dell'area
di influenza iraniana nella regione. Anche per questo - e benché
l'Arabia Saudita sia notoriamente la creatrice e finanziatrice di una
vasta rete mondiale di moschee e madrase radicali, brodo di coltura per
estremisti di vario genere - pure nella questione yemenita essa gode del
concreto appoggio occidentale, e particolarmente di Stati Uniti e
Francia. Le coste dello Yemen sono sotto blocco navale della Quinta
Flotta yankee, e l'aiuto della Francia consiste in rifornimenti e mercenari attraverso la base militare di Gibuti.
LA SITUAZIONE ATTUALE
Sulla carta si sarebbe dovuto trattare di un conflitto di
breve durata, non foss'altro per la schiacciante superiorità della
coalizione saudita. Tuttavia ancora una volta - e almeno finora - viene
dimostrato che è illusorio dare per scontata una vittoria sulla semplice
base dei numeri; vale a dire non considerando il fattore umano e le sue
reali motivazioni. Chi sta resistendo all'aggressione saudita sa perché
e contro cosa combatte; è dubbio invece il grado di consapevolezza
delle truppe delle monarchie reazionarie arabe o quale sia il loro
supporto morale; mentre sappiamo che i mercenari francesi e i piloti
statunitensi nelle fila saudite combattono per bonus di circa
75.000 dollari a missione, e il premio dei loro colleghi sauditi
consiste in un'automobile Bentley, concessa dal principe Walid bin
Talal.
Fino ad oggi la guerra nello Yemen è stata un totale
disastro per i Sauditi e i loro alleati, e intanto la regione
dell'Hadramaut è diventata un vero e proprio "santuario" per al-Qaida
nella Penisola arabica. Gli Houthi e i loro alleati hanno dimostrato un
inaspettato grado di resistenza e di capacità di contrattacco, che per
la coalizione si sono tradotti in una gran brutta figura a causa delle
inutili perdite di militari e di materiali bellici considerati
ultramoderni (al riguardo si ricorda che il quotidiano libanese al-Akhbar
ha definito Aden «il cimitero dei carri armati AMX Leclerc», di cui
sono tanto fiere le Forze armate francesi). E questo non poteva non
ripercuotersi sulla tenuta della coalizione stessa. Infatti Pakistan,
Egitto ed Emirati si sono defilati alla grande.
Oggi la capacità di rappresaglia yemenita per gli
attacchi aerei sauditi consente di effettuare lanci missilistici che
raggiungono anche basi militari in prossimità di Riyad, ma ciò non
toglie che, nel silenzio degli organismi internazionali, i Sauditi
stiano massacrando lo Yemen dal cielo, creando una situazione di
emergenza umanitaria assoluta. A essere bombardate sono perlopiù
installazioni civili e centri abitati, oltretutto privi di una vera
assistenza sanitaria. I profughi interni sono circa tre milioni e almeno
200.000 persone sono scappate all'estero; le necessità di assistenza
alimentare sono elevatissime per circa l'80% della popolazione, insieme
alla penuria di acqua potabile, elettricità, combustibili e medicine.
A ennesima dimostrazione dell'inutilità delle
organizzazioni internazionali sta il fatto che, avendo iniziato l'Onu a
imputare all'Arabia Saudita l'uso di armi non convenzionali come bombe a
grappolo e armi chimiche - anticamera per un'accusa di crimini di
guerra - da Riyad sia partita la minaccia di ridurre i fondi versati
alle Nazioni Unite e a tutte le sue agenzie (UNRWA inclusa), nonché
quella di far emettere dagli ulema sauditi una fatwa per attribuire all'Onu la qualifica di «nemico dell'Islam».
Tuttavia sull'Arabia Saudita si addensano anche ombre non
previste. Notoriamente gli alleati degli Stati Uniti non possono essere
mai sicuri della durata del legame con Washington, non sapendo cioè
quando verranno malamente e improvvisamente "scaricati", con o senza
copertura giuridica. Intanto una copertura giuridica Washington l'ha
messa a punto a carico di Riyad: il 9 settembre dello scorso anno il
Congresso degli Stati Uniti ha approvato il Justice Against Sponsors of Terrorism Act
(JASTA), che permette di agire contro l'Arabia Saudita per ottenere il
risarcimento dei danni causati l'11 settembre 2001 da terroristi che
erano di nazionalità saudita. Danni riguardanti 3.000 morti,
l'abbattimento del World Trade Center - valutato in 95 miliardi
di dollari - e la distruzione e la perdita dei servizi pubblici, per un
totale di almeno 3.000 miliardi di dollari! Una "spada di Damocle" è
quindi pronta, e chi vivrà vedrà.
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