Compie 60 anni
il processo di costruzione dell'Unione Europea, iniziato
nel 1957 e passato attraverso varie fasi che hanno fatto
scempio delle buone intenzioni dei vari movimenti
federalisti europei e che oggi alimentano -a destra come
in certa sinistra- spinte nazionalitarie e sovraniste che
non spostano di un millimetro la questione fondamentale
fin dalle origini: il parto tutto capitalistico dello
spazio europeo.
Dopo la 2GM,
l'Europa era un territorio desolato, con un bilancio di
milioni di morti, città distrutte, miseria generalizzata,
forte contestazione sociale, Stati in collasso...
La
ricostruzione, finanziata ad est dall'URSS e ad ovest dal
Piano Marshall statunitense, comporta però una sorta di
riduzione degli Stati europei a protettorati delle due
superpotenze.
Gli eventi
della fine degli anni '40: inizio della Guerra Fredda nel
1948, la creazione a scopi militari dell'Unione Europea
Occidentale sempre nel 1948, la creazione della NATO nel
1949 (e risposta sovietica con il Patto di Varsavia nel
1951) costringono gli Stati europei occidentali in una
situazione di debolezza e dipendenza, acuita dalla
progressiva perdita dei possedimenti coloniali in Africa
ed in Asia e dalla limitatezza dei mercati nazionali di
fronte alla concorrenza crescente degli USA, peraltro
legittimata dalla nascita dell'OCSE.
Dopo 500 anni
l'Europa occidentale non era più il centro del mondo.
Iniziano le
pressioni delle élite economiche e finanziarie
dell'Europa occidentale sugli Stati di riferimento per
affrontare uno scenario di enorme incertezza; Stati che
intanto erano diventati (sotto la spinta delle condizioni
sociali e delle condizioni geopolitiche) garanti di un
nuovo patto tra capitale e lavoro, per gestire il
capitalismo keynesiano postbellico.
E' in queste
circostanze che nasce il “progetto europeo”, prima con la
costituzione della CECA (Comunità Europea del Carbone e
dell'Acciaio, praticamente la messa in comune di
tutta l'industria estrattiva e di base) nel 1951 e poi nel
1957 con la firma del Trattato di Roma, quando sei paesi
continentali si dotano di un'Unione Doganale e creano la
Comunità Economica Europea (CEE).
Francia,
Germania Ovest, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo danno
inizio alla creazione di un mercato superstatale con
l'obiettivo di potenziare le imprese nazionali, in modo da
poter competere nelle migliori condizioni su scala europea
e mondiale.
Nel corso
degli anni '60 la CEE diventa volano di un'elevata
crescita economica con forte base industriale, di
un'intensa urbanizzazione con incremento della
motorizzazione ed una parallela disarticolazione del mondo
rurale tradizionale. Lo sfruttamento della nuova classe
operaia permette processi di accumulazione che accrescono
le capacità competitive delle imprese della CEE.
Gli anni
'70: la crisi del “dominio dolce”
La crisi del
sistema monetario disegnato a Bretton Woods (1944), vale a
dire la fine della garanzia aurea per il dollaro (1971)
acuisce uno scenario di rivalità tra USA e Stati della
CEE. Il tentativo di questi ultimi di dotarsi di una
moneta unica per la fine degli anni '70 crea una forte
crisi con gli USA, risolta con la rinuncia della Francia
di Pompidou alla moneta europea in cambio
dell'eliminazione del sistema di cambi fissi risalente al
1945 (previsto dagli accordi di Bretton Woods).
Dal 1973, il
dollaro entra così a far parte delle altre valute mondiali
come il marco e lo yen, ma da una posizione di egemonia.
Le due crisi
energetiche del 1973 e 1979 acuiscono la recessione e la
paralisi economica interna agli Stati CEE, comprendenti
dal 1973 anche UK, Irlanda e Danimarca.
L'elezione di
Reagan alla presidenza USA e della Thatcher a primo
ministro dell'UK aprono la strada ad un capitalismo sempre
più globalizzato, basato sul crescente predominio dei loro
mercati finanziari e su una profonda ridefinizione del
ruolo dello Stato e del rapporto capitale/lavoro che
prenderà il nome di neoliberismo.
Inizia lo
smantellamento delle conquiste sociali.
Gli anni
'80: la svolta neoliberista
Le imprese
europee transnazionali reagiscono.
Riunitesi
nella lobby di pressione ERT (European Round Table of
Industrialists) ed appoggiate dalle élite
finanziarie, spingono Bruxelles affinchè dia inizio ad una
svolta liberista anche nella CEE, puntando ad un mercato
unico e successivamente ad una moneta unica, quale unico
modo per conservarsi e prosperare nel nuovo mondo della
globalizzazione produttiva e finanziaria imposta da USA e
UK.
La Commissione
Europea promuove una profonda svolta nel progetto europeo
originario, quello detto del “dominio dolce”.
Il Consiglio
Europeo, infatti, approva nel 1985 l'Atto Unico che
istituisce un mercato unico per le merci, i servizi, i
capitali e le persone (Schengen, inizio della costruzione
della “fortezza Europa”) entro il 1993. Lo spazio sociale
europeo promesso all'indomani dell'Atto Unico per
alleviare i danni del neoliberismo è rimasto uno slogan
opportunistico, mentre si instaura la pratica del “dialogo
sociale” (poi ripresa da ogni singolo Stato membro
al suo interno) con le organizzazioni sindacali della CES
per risolvere i conflitti nel mondo del lavoro, senza
ricorrere a fastidiosi scioperi e mobilitazioni.
Intanto la CEE
si era ampliata con l'adesione della Grecia (1981), della
Spagna e Portogallo (1986).
Cade il Muro
di Berlino nel novembre 1989 mentre nei paesi dell'Europa
dell'Est avvengono le cosidette Rivoluzioni di Velluto.
Gli anni
'90: l'illusione della superpotenza Europa
Nel 1990 viene
realizzata l'unificazione della Germania e l'URSS collassa
nel 1991.
La svolta
neoliberista del “progetto europeo” si rafforza con il
Trattato di Maastricht (1991-1993) che prevede la
creazione dell'Unione Economica e Monetaria, cioè
l'instaurazione di una moneta unica per la fine degli anni
'90 (l'euro entrerà in circolazione nel 2002), con tutti i
suoi “parametri di convergenza”, vale a dire dei veri e
propri vincoli su rapporto tra deficit pubblico e PIL non
superiore al 3%, rapporto tra debito pubblico e PIL non
superiore al 60% (Belgio e Italia furono esentati), tasso
d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei
tre Paesi più virtuosi.
In più viene
introdotto il principio di sussidiarietà che tanto ha
contribuito alle privatizzazioni dei servizi pubblici e
sociali. In Italia, anche con l'uso capitalistico di molte
cooperative che hanno assorbito parte del welfare.
Dopo
Maastricht viene assunta la denominazione di Unione
Europea (UE).
Il Trattato di
Maastricht è la risposta dell'UE alla fine del bipolarismo
mondiale, alla globalizzazione che diventava veramente
mondiale, sotto il controllo della sola superpotenza USA.
Il tentativo
di costruire organismi intergovernativi per la Politica
Estera e di Sicurezza Comune e per la Politica Interna di
Giustizia Comune al fine di dare protezione
politico-militare alla nuova moneta si rivelarono ben
presto impraticabili.
Aderiscono nel
1995 Svezia, Finlandia e Austria, ma già dal 1993 si era
deciso per una gigantesca espansione ad Est, verso gli
ex-paesi membri del Patto di Varsavia.
L'obiettivo
era portare nel mercato della UE quasi 100 milioni di
nuovi consumatori, sfruttare forza-lavoro qualificata e
molto a buon mercato (in vista delle future
delocalizzazioni), acquisire imprese e risorse locali e
disinnescare il potenziale militare dell'ex-Patto di
Varsavia, sottraendo questi paesi all'influenza della
Russia.
Operazione
complessa ed arrischiata, visti i rapporti di sostegno
militare stabiliti tra questi paesi e gli USA che vogliono
un ampliamento della NATO verso l'est europeo.
Si consolida
l'intento di creare una dimensione imperialistica europea.
Gli anni
2000: il “dominio forte”
Si apre un
periodo segnato dalla cosiddetta Strategia di Lisbona che
deve permettere una crescita economica. Questa genererà
crescenti disuguaglianze sociali e territoriali, attivando
una vera esplosione della urbanizzazione, con una
ristrutturazione- terziarizzazione metropolitana causa di
crescente dispersione in parallelo al deflagrare della
mobilità motorizzata.
E' il periodo
in cui si afferma il dominio dell'agrobusiness sul mondo
rurale.
L'attentato di
New York del 2001 apre una nuova fase militare nella
politica internazionale in cui la UE non sarà capace di
trovare una posizione autonoma rispetto all'aggressività
degli USA.
Il Trattato di
Nizza del 2000 e la nuova Costituzione europea (2004)
blindano e consolidano l'Europa neoliberista che non
ragiona più in termini di “noi”, ma di “dentro”o “fuori”
le regole.
Il processo
iniziato alla metà degli anni '80 porta Bruxelles ad
imporre agli Stati membri lo smantellamento dello “stato
sociale”, la cessione crescente di competenze,
l'instaurazione della disoccupazione cronica e della
precarietà.
La pronta
risposta giunta già dalla metà degli anni '90 dal
movimento antiglobalizzazione e dai movimenti contro le
privatizzazioni di sanità, formazione e sistema
pensionistico, contro la dicoccupazione, la precarietà e
l'esclusione, portano ad una vera crisi prima e rifiuto
poi della “cittadinanza” dentro un'Europa che esclude,
precarizza e crea disoccupazione.
Il fronte
aperto dal movimento anti-globalizzazione non era contro
la moneta unica, ma contro il “dominio forte” del
capitalismo liberista europeo ed il “dominio armato” dei
singoli Stati membri della UE, coalizzando la classica
opposizione di classe con nuove sensibilità sociali ed
ambientali che raccoglieranno centinaia di migliaia di
attivist* in tutto il mondo, con un forte protagonismo del
movimento anarchico.
Purtroppo il
portato anticapitalista e socialmente alternativo del
movimento antiglobalizzazione non ha avuto il tempo di
sedimentarsi livello popolare: la durissima repressione
(Genova 2001) e la crisi globale del 2007 lo hanno
indebolito, consentendo che maturassero sentimenti
“euroscettici” poi evolutisi in formazioni politiche
sovraniste e nazionalitarie che da uno scioglimento della
UE pensano di riscattarsi dal debito, di tornare a
stampare moneta e di murare i confini, ri-alimentando lo
statalismo di sempre.
Imperturbabili,
le istituzioni europee -sostenute dagli Stati membri-
hanno fatto sì che non esista un “immaginario” comune
europeo, se non quello fondato sulla paura per “l'altro”
sia all'interno che all'esterno dei labili confini della
UE.
Nel 2012 viene
approvato il famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità,
il fondo salva-stati a condizioni di prestito durissime,
applicato ai famigerati paesi marchiati dallo spregevole
acronimo di PIGS.
I PIGS
all'interno dell'Unione sono come i migranti che cercano
di forzare la “fortezza Europa”: vanno puniti e rinchiusi
nel penitenziario del debito se non si possono buttare
fuori dall'Europa, salvo pensarne una a due velocità: tema
ricorrente invano per tutti gli anni 2000.
La crisi
dell'imperialismo europeo appare evidente: per
fronteggiare efficacemente lo scontro nel mercato mondiale
l'Europa dovrebbe essere unita ma non è ancora capace di
esserlo.
Lo stesso UK,
dopo la Brexit del 2016, non avrà vita facile nelle
trattative per l'applicazione dell'articolo 50 del
Trattato di Lisbona.
Tutto sommato
i sovranisti -a destra come in certa sinistra- fanno il
gioco delle istituzioni europee, che non sono altro
rispetto agli Stati che le compongono con loro delegati.
Commissione
Europea, Consiglio Europero, Eurogruppo sono semplicemente
la proiezione politico-economica degli Stati membri a
livello della UE.
Per sciogliere
la UE, i sovranisti dovrebbero prima prendere il potere
nei loro singoli Stati (sono 27) e poi decidere di uscire,
se i costi economici, politici e militari lo
permetteranno.
Eppure né
Syriza in Grecia, né Podemos in Spagna sembrano sognarsi
una cosa simile. Forse hanno fatto una botta di conti.
Il 25 marzo
2017 a Roma
E' presumibile
attendersi che Roma sarà attraversata da manifestazioni
federaliste pro-Europa (magari chiedendo modifiche alle
politiche attuali) e da manifestazioni della sinistra
sovranista no-global insieme a manifestazioni della
destra sovranista no-global.
Tuttavia la
posta in gioco non è la permanenza o meno nell'euro e/o
nella UE e nemmeno il no-global di moda oggi, che non
mette in discussione il capitalismo, basta che investa in
patria.
Lottare contro
le politiche della UE, espressione degli Stati che la
compongono, significa riaprire una nuova stagione di lotte
anticapitaliste.
Tutto
ciò comporta una capacità del movimento libertario di
offrire un programma complessivo di obiettivi da
raggiungere nei maggiori movimenti sociali ed un
ammodernamento delle sue proposte rivoluzionarie.
Dobbiamo
dimostrarci capaci di raggiungere la più vasta unità
d'azione nella creazione di una mediazione strategica
che proponga ed effettivamente inizi a garantire un
processo di riunificazione del proletariato, che il
capitalismo sta lacerando tramite la disoccupazione, la
precarietà e l'esclusione.
Questo
processo deve evidentemente prevedere una mediazione tra
le politiche rivoluzionarie ed il ciclo di lotte
attuali. Comporta la creazione di un'area di opposizione
-ben al di là del solo mondo del lavoro, comprendente
tutti gli aspetti di antagonismo contro il controllo
sociale capitalistico e patriarcale- in cui il
proletariato ed i movimenti sociali possano realizzare
una crescente quantità di auto-organizzazione e di
azione diretta ed in cui il ciclo di lotte possa essere
patrimonio socializzabile, tramite un'appropriata
relazione tra le esperienze proletarie e le proposte
rivoluzionarie.
Non è
possibile alcuna strategia che coinvolga le richieste ed
i bisogni dei settori sociali oppressi senza assumere la
parzialità, senza un farsi altro dal corpo sociale,
costruendo alterità organizzativa, autonomia,
piattaforme unificanti.
Costruire
fronti di lotta sociali (sindacale, ambientale,
antirazzisti e per la libera circolazione delle persone,
anti-patriarcato, per la costruzione di esperienze
alternative dal basso nella produzione e negli scambi)
attraverso i confini della UE; costruire fronti di lotta
politici specifici dei libertari per sostenere le lotte
sociali, sono i compiti da darsi per uscire dai confini
della dimensione capitalistica dell'Unione Europea.
Alternativa
Libertaria/fdca
25
marzo 2017
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