Mentre il referendum istituzionale si avvia al suo epilogo,
caratterizzato da una tardiva resipiscenza dell’elettorato (troppo tardi
per cambiare l’orientamento della maggioranza, vista la costante
crescita del no mano a mano che si discuteva della cosa) i guastatori
dell’edificio costituzionale affinano le armi, chi proponendo e
preannunciando una riforma presidenzialista, chi proponendo il
superamento del bicameralismo perfetto.
Intanto il dibattito su una nuova legge elettorale è di là da venire e
ancor meno chiare sembrano le scelte da fare. L’Ipotesi è che la
maggioranza finisca per adottare una legge proporzionale per bloccare la
destra che sostanzialmente mantiene le sue posizioni; la battaglia
sembra essere tutta sull’entità della soglia di sbarramento da adottare.
Particolarmente interessati al problema Calenda, il suo omologo sciocco di
“Italia morta”, con il suo seguito di cadaveri politici, e Liberi e uguali che,
malgrado una buona gestione da parte di Speranza del Ministero della Salute si
trascina stancamente e non convince per assenza di unità di intenti e di programma.
A contendersi la torta anche un M5S ridotto all’ombra di se stesso,
spappolato in tre: un reggente al cadavere – capo politico facente
funzioni -un doppiopettista che fa finta di fare il Ministro degli
Esteri e un giocatore fuori campo, Disfattista.
Lo accompagna degnamente un modesto amministratore alla guida del
sedicente gran partito della sinistra, il PD. Dall’altra parte una
destra che si accredita e si stabilizza e istituzionalizza sempre più in
perenne crescita e il partito leghista sempre più diviso al suo
interno, con la sua costola personale veneta che prende le distanze in
rappresentanza di quell’area di amministratori e faccendieri che operano
con piglio manageriale e tanta poca consistenza sui territori.
Tutto questo mentre il paese si prepara a navigare in un mare incerto e
insidioso. rappresentato plasticamente dalla riaperture delle terapie
intensive, ma tutto sommato convinto che sia pure per inerzia meglio non
si sarebbe potuto fare. Così si spiega il consenso a Conte. Perciò non
stupisce nessuno l’affermazione del premier che comunque vadano le
elezioni regionali non cambierà nulla.
L’aggregato tecnocratico che ruota intorno alla Presidenza del
Consiglio, facendosi forte del sostegno dell’Europa, si appresta a
definire termini e condizioni alle quali, spendere i 209 miliardi di
prestito europeo, nel rigoroso rispetto della divisione internazionale
del lavoro, si appresta a gestire il bottino e a distribuire i
dividendi.
Il paese dopo dopo il corona virus
Sia chiaro la pandemia non è finita ne finirà presto, ma già si
intravedono alcuni mutamenti strutturali sulle cui conseguenze occorre
riflettere È del tutto evidente che il lavoro non sarà più lo stesso.
Crescerà telelavoro e lavoro a distanza con uno sconvolgimento dei tipi e
degli stili di vita che andranno studiati. Venendo meno l’aggregazione
fisica sul posto di lavoro diminuiranno le tutele e il rapporto di
lavoro tenderà a individualizzarsi. Gli spazi per la propria vita
diminuiranno, a cominciare da quelli fisici (la casa diviene l’ufficio)
come diminuirà la proprietà di un proprio
tempo vita, conferendo al datore di lavoro larga parte della disponibilità del proprio privato.
Forse dalla delocalizzazione lavorativa ricaveremo una vita meno
stressata con minori spostamenti, con un indubbio vantaggio per
l’ambiente, ma al tempo stesso la disseminazione delle attività sul
territorio tenderà a far scomparire i luoghi di aggregazione,
modificando anche comportamenti interpersonali che tenderanno a un
crescente individualismo e al trasferimento della comunicazione sul web.
Ma questo processo non si estenderà a tutti creando delle aree (di
classe) separate dove il discrimine non è necessariamente solo economico
e di reddito, ma anche di collocazione sociale e umana. In questi tanti
mondi separati da recinti invisibili e pur esistenti e reali crescerà
una componente di soggetti dedita ai lavori manuali sempre più
marginalizzata, che riguarderà intere aree produttive e soprattutto
quella agricola, dove è crescente l’utilizzazione di lavoratori manuali,
spesso immigrati, sottopagati e sfruttati. Crescerà la logistica e la
vendita per corrispondenza distruggendo la distribuzione attraverso
negozi che non dava solo lavoro ma socialità. In questo nuovo contesto
il “salto” tra le diverse collocazioni sociali sarà sempre più difficile
e raro, ponendo fine a una mobilità sociale che già prima mostrava
tutti i suoi limiti.
Tanto ancora dobbiamo capire e lo scopriremo solo vivendo: navighiamo a vista.
Transizione e gestione del territorio.
Alla luce di queste considerazioni si capisce che l’importanza delle
elezioni regionali e del loro esito trascende la valutazione che
possiamo dare su questo o quel partito che le governerà. I poteri
locali, la gestione del territorio, le scelte sul campo relative a che
fare e dove farlo, la gestione dei servizi, la vivibilità delle città e
dei borghi, la stessa
localizzazione delle attività produttive, l’allocazione delle risorse,
la distribuzione della popolazione sul territorio, l’organizzazione del
servizio sanitario e sempre più la stessa gestione dell’istruzione sono
compiti dei poteri locali.
Agli enti decentrati sul territorio guarda come referenti privilegiati
la stessa Unione Europea facendone i terminali della propria azione,
consapevole di dover in una prima fase disarticolare i poteri statali
per costruire poi coesione sul territorio verso una nuova identità
collettiva. Ma se così è – anche in parte – allora non è di secondaria
importanza chi e come gestisce l’attività degli enti territoriali. Si
affaccia quindi una nuova importanza – diremmo quasi la centralità delle
autonomie – nella gestione e trasformazione della società e dei
rapporti produttivi, perché è di questi enti la responsabilità delle
scelte sulla gestione delle politiche abitative, del verde pubblico,
della respirabilità dell’aria, della qualità della vita e di tanto
altro.
È per questi motivi che riteniamo – riflettendo – di aver sottovalutato
l’importanza e il significato di questa scadenza, ragionando in termini
di tifoseria nell’attribuire la vittoria a questo o a quello. A nostra
scusa a farci persistere nell’errore è l’assoluta inconsapevolezza delle
forze politiche parlamentari che si sono dotati di programmi vuoti e
privi di contenuto.
Tornare ai territori
Ma noi non facciamo parte di un partito politico parlamentare, il
nostro comunismo anarchico rifiuta la delega, privilegia l’azione
diretta, l’organizzazione sul territorio in strutture partecipate che si
danno degli obiettivi e li perseguono con determinazione, cercando di
aggregare i soggetti interessai in ragione della loro collocazione di
classe,
fornendo loro consapevolezza. Noi promuoviamo l’organizzazione dal basso
delle classi subalterne, convinti come siamo che differenti interessi
dividono le persone e che le loro scelte dipendono appunto dalla loro
collocazione di classe.
Ecco perchè bisogna operare per creare sul territorio e dar vita ovunque
a organizzazioni antagoniste, sulla base di un fronte ampio che
raccolga le forze per indirizzarle verso la difesa dei diritti ed
interessi delle classi subalterne, vigilando sulla gestione del
territorio, sulla disponibilità di accesso ai servizi sanitari e
scolastici, su tutti quei settori e quelle attività dalle quali dipende
la qualità della vita e che fanno della nostra esistenza un percorso
vissuto di
solidarietà. Solo
accettando questa sfida potremo guardare con più serenità e
consapevolezza al domani in una vita vissuta per noi stessi e per le
generazioni che verranno.
La Redazione Newsletter dell'U.C.A.d'I.
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