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domenica 31 gennaio 2021

Recovery Fund In Salsa Lombarda










A fine novembre 2020, il consiglio regionale lombardo ha emanato una risoluzione – la 40/2020 – avente come oggetto la “Risoluzione concernente il Recovery Fund: proposte per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza PNRR” e ovviamente riguardante gli investimenti della quota spettante alla regione del Recovery Fund europeo, pari a 35 miliardi di Euro.

Scorrendo i capitoli di spesa, salta subito all’occhio come al potenziamento della sanità sono state riservate le briciole, così come al potenziamento del trasporto pubblico locale, ovverosia i due principali punti di criticità rilevati durante la pandemia, rimarranno con il cerino in mano ancora una volta. Nella risoluzione la salute occupa l’ultimo posto del documento e, dietro a dichiarazioni di rafforzamento di un servizio sanitario universalistico, si parla principalmente di interventi sulla digitalizzazione e sul miglioramento tecnologico, mentre non vengono nemmeno menzionati i necessari rafforzamenti della medicina territoriale, del piano USCA per la continuità assistenziale, né tantomeno di un potenziamento del personale, che soprattutto in quest’ultimo anno è stato sottoposto ad una mole di lavoro inaccettabile, sebbene imprevista. Si parla di riforme indispensabili al buon funzionamento del SSR, ma intanto rimane vergognosamente in vigore la legge regionale voluta da Maroni che di fatto equipara la sanità pubblica e quella privata, dirottando la maggior parte dei fondi disponibili verso la sanità privata equiparata.

Voci recenti danno per certi investimenti voluti dal ministero dell’economia e che vedrebbero destinati alla sanità nazionale 18 miliardi di euro per opere di ammodernamento dei servizi ed edilizia sanitaria. Ovviamente, essendo la sanità materia appannaggio delle regioni, in Lombardia rimarrebbe in vigore la legge regionale di cui sopra, che drenerebbe gran parte degli investimenti verso strutture private; mentre siamo pronti a scommettere che non vi saranno opere di ristrutturazione e di recupero per ciò che concerne l’edilizia sanitaria, ma la creazione di nuovi poli ospedalieri ai quali poi mancherebbero i presidi di medici ed infermieri, come già ampiamente dimostrato dal progetto dell’ospedale allestito da Fontana, Gallera e Bertolaso nei padiglioni ex Expo.

Per ciò che concerne il trasporto, vengono privilegiate come sempre le grandi opere stradali e ferroviarie, soprattutto quelle inerenti le tratte che interesseranno le olimpiadi invernali del 2026, vero e proprio eventificio che già sta devastando il paesaggio montano e che da qui ai prossimi cinque anni dirotterà una quantità enorme di denaro pubblico. Molto spazio verrà dato anche per potenziare i servizi ferroviari per collegare i nuovi luoghi della gentrificazione e i mega centri commerciali (leggasi Rho ed Arese), mentre il trasporto locale che muove la maggior parte degli studenti e dei pendolari è rimasto nuovamente con il cerino in mano e, a livello metropolitano, i fondi verranno usati soprattutto per il completamento della linea 4 della metropolitana. Niente andrà a potenziare i mezzi di superficie, né i collegamenti interregionali, da sempre veri e propri carri bestiame negli orari di punta. Invece di queste azioni, viene ipotizzata una nebulosa “domanda pubblica intelligente”, il cui fine ultimo è una nobile gratuità dei mezzi pubblici per neutralizzare le disparità sociali, ma i cui mezzi per arrivarci non è dato conoscere.

Il documento poi ha una parte corposa dedicata alla Green Economy, pomposamente intitolata “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, entro la quale si evince che la transizione ecologica è considerata quasi esclusivamente dal lato economico e profittevole e quasi mai da quello di tutela e salvaguardia del bene comune e della salute pubblica. Basti pensare che la parte del gigante la farà l’economia circolare, ovverosia la volontà di chiudere virtuosamente il ciclo dei rifiuti e della fertilizzazione del suolo tramite digestato naturale (scarto della produzione del biogas), che di fatto porterà ad una sorta di oligopolio di grosse società che gestiranno tutte le varie fasi dei cicli di lavorazione, ottimizzando le spese e danneggiando la già scarsa biodiversità dell’ecosistema lombardo.

Vi sono poi molte contraddizioni evidenti, come la creazione di piste ciclabili e la disincentivazione del traffico veicolare privato che cozzano con lo sblocco dei cantieri previsto dal piano Lombardia del maggio 2020 e a causa del quale molti sindaci e diverse consorterie sono già andate in regione a battere cassa per poter cementificare e far ripartire l’economia locale tramite l’edilizia (si veda come esempio la costruzione dell’autostrada Cremona-Mantova, che diverrà l’ennesima cattedrale nel deserto); o ancora, la volontà di creare dei veri e propri boschi urbani quando solo pochissimi anni fa palazzo Lombardia (sede della regione) è stato costruito radendo al suolo il bosco di Gioia ; oppure il bosco denominato “La Goccia”, nel nord di Milano, già al centro delle mire di società immobiliari che già stanno gestendo la gentrificazione degli ex scali ferroviari milanesi, con il beneplacito dell’amministrazione Sala.

Detto anche di una larghissima fetta di denaro che andrà investita in innovazione digitale e quindi reti 5G regionali e completa digitalizzazione della P.A. per snellire la burocrazia (promessa questa che torna ad ogni tornata elettorale o ad ogni elargizione di denaro da parte dell’Europa), rimane da dire della scuola, anch’essa interessata dalla “rivoluzione digitale” e che vedrebbe portate avanti delle questioni già ampiamente trattate dalla riforma Gelmini in avanti, ovverosia una domanda didattica al passo coi tempi e che vede materie riguardanti innovazione e digitalizzazione a prendere spazi dedicati a studi più umanistici e formativi e il proseguimento della partnership tra scuola e aziende, arrivando a paventare anche “l’insediamento di uffici di lavoro presso i plessi e i comprensori scolastici” (paragrafo 1.4.2) il che segnerebbe la fine della funzione storica della scuola come di un istituto atto a formare la persona adulta, divenendo solo uno strumento di reclutamento di personale da parte delle aziende, che potranno disporre di lavoratori a costo zero e sostituibili anno dopo anno.

Perfino le politiche di pari opportunità vengono svilite e ridotte a mera questione economica; ad esempio l’inclusione sempre più ampia delle donne nel mondo del lavoro ( o meglio, dell’imprenditoria femminile) contribuirebbe in maniera determinante alla crescita economica (paragrafo 1.5.1) e oltretutto ammanterebbe il mondo imprenditoriale di una patina progressista che in realtà è una foglia di fico che copre uno sfruttamento del plusvalore sempre maggiore.

Come si vede la risoluzione è ammantata di buoni propositi, ma alla fine è un mero sdoganamento del neoliberismo più sfrenato e dello sfruttamento delle risorse umane e ambientali. Sarebbe però ingeneroso intestare tutto ciò solo alla Lega. Anzi, la delibera è passata con 69 voti favorevoli su 69 consiglieri presenti in aula ed è anzi il PD ad intestarsi la vittoria, dapprima essendosi battuto per il recovery fund e poi per avere appoggiato appieno tutte le richieste arrivate dall’Unione Europea in sede di erogazione del maxi prestito.

Giova infatti ricordare che da un po’ di tempo l’UE è vista come una forza progressista che si oppone ai vari populismi nazionalisti e a volte anche alla grosse multinazionali statunitensi e asiatiche, ma rimane invece uno strumento della borghesia estremamente funzionale al capitalismo. Se a volte può sembrare che sviluppi forme economiche vicine al welfare, in realtà non lo fa per principi di equità e di giustizia sociale, ma per cercare di garantire una politica dei consumi estremamente importante per il grande capitale finanziario. Basti pensare appunto che il recovery fund è stato voluto per ovviare ai danni che la pandemia sta causando, ma i suggerimenti sui capitoli di spesa che l’Unione stessa ha fornito riguardano solo uno sblocco economico, senza nessuna ricaduta sulle questioni sociali e sanitarie.

Ancora una volta quindi il “modello lombardo” è lo specchio fedele del volere del capitale, facilmente esportabile in ogni altro territorio e subdolamente ammantato di ecologismo, mutualismo e femminismo per renderlo più facilmente difendibile. Ovviamente i movimenti si sono già espressi e non si faranno certamente raggirare da questa patina progressista, ma il grande magma di persone che, lontane dalla militanza, auspicano però un mondo con eguali diritti per tutti, potrebbero farsi traviare da questa narrazione tossica che in ultima analisi non mette in discussioni le radici delle disuguaglianze civili ed in più colpisce forte i diritti sociali. E’ in questo magma che bisognerà muoversi per disvelare la vera natura degli interventi economici come il recovery fund e le politiche locali e nazionali che andranno a decidere come e quando bisogna spendere questi soldi.


mercoledì 20 gennaio 2021

LO SPILLOVER DEL PROFITTO CAPITALISMO, GUERRE ED EPIDEMIE



 

 

                                                                                                                                                                              A cura di Calusca City Lights, Edizioni Colibrì

Nell’articolo che apre il libro Philippe Bourrinet comincia col sottolineare che, nel passato, le grandi pandemie hanno
sempre segnato i grandi passaggi epocali o, diremmo noi, i cambiamenti del modo di produzione. Così è stato per la
“peste di Giustiniano” che devastò le coste del mar Mediterraneo dal 541 al 767, segnando la fine dell’impero romano.
Ancor di più la peste del 1300, che fece circa 30 milioni di morti, cioè un quarto, se non un terzo della popolazione di
allora, segnò il passaggio dal Medioevo all’epoca moderna, cioè dal feudalesimo al decollo del capitale commerciale. E
infatti le grandi epidemie sono state sempre molto legate agli scambi economici e commerciali. La peste del 1300 venne
portata dai Mongoli che posero sotto assedio la città di Caffa, una colonia genovese in Crimea. I genovesi, seguendo le
loro rotte commerciali portarono il terribile bacillo in Europa e verso il nord, fino in Scandinavia. Ma “se allora furono
necessari tre anni perché la peste passasse dalla Crimea alla Norvegia, oggi, all’epoca della globalizzazione del capitale (e
del coronavirus...), si deve ragionare in termini di settimane”.(1) Quindi la domanda che viene posta implicitamente, ma

anche esplicitamente, nel libro è la seguente: la pandemia di Covid 19 può segnare l’inizio della fine del modo di produ-
zione capitalistico? Naturalmente non stiamo parlando del prossimo futuro, stiamo parlando dei tempi lunghi della storia,

come diceva Braudel, ma quello che conta alla fine è la prospettiva in cui ci si pone.

La diffusione delle pandemie, oltre che al commercio, è anche legata strettamente alla guerra. E’ tipico il caso dell’in-
fluenza “spagnola” che si diffuse in tre ondate nel 1918 e 1919, colpì tra un terzo e la metà della popolazione mondiale e

fece almeno 40 milioni di morti. Il virus della “spagnola” era del tipo H1N1, cioè una combinazione di un ceppo influenzale
umano e di un ceppo influenzale aviario, vale a dire un progenitore delle influenze aviarie apparse dall’inizio degli anni
2000. Contrariamente a quanto dice il suo nome la “spagnola” non partì dalla Spagna; il nome con cui è passata alla storia
è dovuto al fatto che la Spagna non partecipò alla prima guerra mondiale, per cui sulla stampa spagnola di allora si possono

trovare notizie dell’epidemia, mentre sulla stampa delle altre nazioni in guerra la censura militare aveva imposto un asso-
luto silenzio. La “spagnola” sembra invece essersi diffusa negli Stati Uniti, a partire da una remota contea del Kansas, la

contea di Haskell, un posto assolutamente rurale e isolato, salvo che, a poche decine di chilometri dalla contea si trovava
un campo militare molto affollato, dove venivano addestrati i soldati in partenza per l’Europa. Le Autorità erano state
avvisate dell’insorgenza di questo focolaio epidemico, inizialmente modesto, ma in quel momento l’Amministrazione
Wilson aveva altre priorità, la guerra appunto. I soldati contagiati vennero spediti in Europa, dove diffusero l’epidemia, in
maniera estremamente rapida, nelle trincee e nei quartieri più poveri e sovraffollati.
D’altra parte alle origini delle attuali pandemie degli anni 2000 possiamo trovare un altro tipo di guerra, e cioè la guerra
permanente del capitale contro la natura. All’inizio dell’era industriale Jean-Baptiste Say, imprenditore cotoniere ed
esponente dell’economia classica considerava le ricchezze naturali come inesauribili e gratuite per il capitale, e non c’è
motivo per ritenere che gli odierni capitalisti la pensino diversamente. Non la pensava così Engels che nel 1882 scrisse:
“Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria... Ad ogni
passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la
dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo come carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo ...”(2)
Ma è negli ultimi 40 anni, a partire dalla grande crisi capitalistica degli anni 70, che la ricerca spasmodica di profitti in
ogni angolo della terra ha portato alla attuale devastazione ambientale che è alla base, tra l’altro della attuale epidemia
Covid 19.
Di questa devastazione parlano i redattori di “Chuang” in Contagio sociale. Guerra di classe microbiologica in Cina,

quando parlano dell’attacco ai “substrati microbiologici della vita sulla Terra”.(3) Di questo attacco fanno parte gli sven-
tramenti di territori per la ricerca frenetica dei metalli rari (gli ingredienti essenziali del cosiddetto Green New Deal), la

distruzione della foresta pluviale amazzonica per produrre la soia e i cereali transgenici necessari a nutrire gli animali
rinchiusi in enormi allevamenti intensivi, il fenomeno conosciuto come land grabbing, cioè l’accaparramento di enormi
quantità di terreni da parte delle multinazionali del cibo destinati alla coltivazione intensiva con uso di pesticidi cancerogeni

come il glifosato di Bayer/Monsanto. Poi aggiungiamo il riscaldamento globale, l’inquinamento ambientale, il cibo avve-
lenato in vendita nei supermercati, il sovraffollamento urbano nelle grandi metropoli e la diffusa malnutrizione. Inoltre

dobbiamo considerare l’espansione capitalistica nella “natura selvaggia” e la devastazione nelle aree periferiche dove virus

fino ad allora sconosciuti contaminano una fauna selvatica e poi si diffondono lungo i traffici del capitale globale. Attra-
verso questo meccanismo sembra essersi realizzato il passaggio del virus SarsCov2 dal pipistrello al pangolino fino allo

spillover, cioè al salto del virus verso la specie umana.

2

Ma l’aspetto più sconvolgente della pandemia di Covid 19 è il linguaggio da tempo di guerra che è diventato subito
virale nei mass media di regime. Non si tratta qui di mettere in discussione alcune misure necessarie messe in campo,
quanto l’inserimento di queste misure entro una cornice che richiama la simulazione di una situazione di guerra. Sul
piano economico si sono verificati alcuni fenomeni che possono far ritornare alla mente situazioni tipiche di una “economia
di guerra”. Per esempio la riconversione industriale in alcune fabbriche per la produzione di merci non più reperibili sul
mercato nazionale, come le mascherine o i respiratori o i disinfettanti per le mani. Inoltre è comparso un altro fenomeno
come la speculazione sui generi di prima necessità con relativo aumento dei prezzi. Abbiamo avuto poi una limitazione,
certo notevole anche se limitata nel tempo, dei consumi interni, fatta eccezione per il settore alimentare e farmaceutico.
Tutto ciò comporta naturalmente un aumento del risparmio privato, che diviene perciò obiettivo privilegiato sia dei
fondi di investimento sia delle emissioni dei titoli di Stato, anche se siamo tuttora lontani da situazioni di autarchia o di
“debiti di guerra”.
Il tutto si tradurrà comunque in una crescita esponenziale dell’indebitamento, sia pubblico che privato. Ma i debiti
alla fine vanno comunque ripagati, come dimostra la crisi dei mutui subprime del 2008 o l’attuale diatriba sul MES, e
naturalmente a ripagarli dovrebbero essere i lavoratori, mediante riduzione dei salari, nuove tasse e tagli alla spesa pubblica.
In previsione di tutto questo l’emergenza coronavirus è stata molto utile per accelerare l’utilizzo dell’esercito “in funzione
di ordine pubblico”, segnando una ulteriore militarizzazione del territorio. A tal proposito dobbiamo ricordare il rapporto
Urban Operations in the Year 2020 (UO 2020) pubblicato dalla NATO nell’aprile 2003 che, con largo anticipo, prevedeva
proprio per il 2020 l’insorgere di crescenti tensioni economico-sociali o di rivolte all’interno delle grandi metropoli, alle
quali si potrà far fronte – sempre secondo il rapporto – solo con una presenza militare massiccia, spesso su periodi di tempo
prolungati.
Tuttavia, nonostante quanto detto finora, dobbiamo prendere in considerazione, l’opinione espressa da Michael Roberts
in un suo recente scritto.(4) Il blocco o il rallentamento della produzione a livello mondiale, durante lo stato di emergenza,
ha provocato immediatamente il crollo della domanda di petrolio e del conseguente prezzo del greggio al barile, mentre
in una economia di guerra la domanda di petrolio dovrebbe crescere, e molto, per sostenere lo sforzo produttivo bellico e

le esigenze logistiche degli eserciti. Dopo aver preso in considerazione quest’ultimo importante elemento dobbiamo con-
cludere che, nonostante i fenomeni prima descritti, la situazione attuale non è quella di un’economia di guerra. Per lo meno

non ancora. L’evoluzione verso una economia di guerra è una delle possibilità, anche se è lecito nutrire qualche dubbio su
una certa progressione automatica, come si dirà in seguito. Per il momento la reazione capitalistica alla crisi consiste ancora

nel mettere in campo eccezionali stimoli monetari nella speranza di far ripartire l’economia reale: costo del denaro pros-
simo allo zero, quantitative easing, ogni sorta di garanzie sui prestiti, incentivi fiscali alle imprese. Tutte misure già prese

dopo la crisi del 2008 e che hanno prodotto un indefinito prolungamento della recessione e che anche in questa emer-
genza avranno lo stesso effetto, anzi con un ulteriore aggravamento.

Inoltre sembra, come sostiene Paul Mattick in un suo articolo del 1940, che anche la guerra abbia perso la sua capacità
di risoluzione della crisi capitalistica. Mattick afferma:

«Oggigiorno, si tratta solo di vedere se, nella misura in cui la depressione non sembra più poter ricostituire le basi di una nuova prospe-
rità, la guerra stessa non abbia perduto la sua funzione classica di distruzione-ricostruzione indispensabile per innescare un processo di

rapida accumulazione capitalistica e di pacifica prosperità postbellica .... Ma cosa succede se la depressione economica diviene perma-
nente? Anche la guerra seguirà lo stesso andamento e quindi la guerra permanente è figlia della depressione economica permanente».(5)

Ora la guerra permanente si è svolta finora in aree capitalistiche semiperiferiche, come il Medio Oriente, l’Africa o l’Af-
ghanistan, per cui sorge il sospetto che la pandemia da coronavirus possa costituire un surrogato della guerra permanente

che coinvolge invece i paesi capitalisticamente sviluppati. Un surrogato che è contemporaneamente troppo e troppo poco:
troppo per i sacrifici sociali che comporta e troppo poco per risolvere la crisi capitalistica. Alla fine di questa storia non ci
sarà una ripresa economica, ma neanche un crollo del capitalismo ma, probabilmente una accelerazione dei processi di
crisi già in corso.(6)
Jacques Attali, ex consigliere socialista di Mitterand, citato da Philippe Bourrinet nel libro di cui si parla, preoccupato
delle conseguenze economiche e politiche, davvero planetarie, della pandemia arriva a preconizzare:
«Si dovrà per questo, predisporre una polizia mondiale, una condivisione mondiale e di conseguenza una fiscalità mondiale. Si arriverà

allora, molto più in fretta di quel che avrebbe permesso la sola ragione economica, a gettare le basi di un vero e proprio governo mon-
diale”.(7)

Dobbiamo però smentire il politico francese citando ancora una volta Paul Mattick. Nell’ultima parte dell’articolo Mat-
tick affronta un tema di grande attualità: la contraddizione fra mercato mondiale e stati nazionali. Nella sua visione la

3

«riorganizzazione internazionale delle sfere di sfruttamento supera i confini nazionali...Ma le classi dirigenti degli stati nazionali si sono
storicamente sviluppate in una maniera che esclude la possibilità di una spartizione pacifica dello sfruttamento mondiale... Eppure la
vittoria dei monopoli non potrà mai essere completa e la questione nazionale non scomparirà mai... Proprio questo processo, anzi, non
fa altro che illustrare una volta di più la completa incapacità del capitalismo di portare a compimento un riassetto davvero razionale
dell’economia mondiale... Il capitalismo, dopo aver creato il mercato mondiale, è incapace di garantire per sé stesso una spartizione
pacifica dello sfruttamento mondiale e di controllare i reali bisogni della produzione mondiale, rappresentando quindi un vincolo per
l’ulteriore sviluppo delle forze produttive umane...I giorni dell’economia capitalistica di mercato sono inesorabilmente contati, così
come quelli del nazionalismo capitalistico, a meno che non venga creato un organo socio-economico per la regolamentazione cosciente
dell’economia mondiale”.
Però, sostiene Mattick, questa opera può essere portata a termine soltanto dal proletariato mondiale, essendo questa
l’unica classe sociale i cui interessi non sono antagonistici nei confronti di una reale e cosciente collaborazione mondiale.
Per concludere ci affidiamo a una citazione di un articolo contenuto nel libro:
«Il fatto è che questa epidemia è il prodotto di una crisi generale del capitalismo già in corso da tempo e, nello stesso tempo, un fattore
di accelerazione di questa crisi (...). Ma come andranno le cose quando tutto questo sarà finito? Come già detto ci sarà una accelerazione
della crisi già in corso. Qualcuno già parla di “grande recessione” e di ritorno agli anni Trenta del Novecento. Fra giochi di borsa e
politiche monetarie espansive i grandi gruppi finanziari troveranno il modo di incrementare la loro ricchezza. Le grandi multinazionali
si concentreranno ancora di più per aumentare i loro profitti. La concentrazione capitalistica provocherà il fallimento di tante piccole e
medie imprese con il conseguente aumento esponenziale della disoccupazione. Il debito pubblico e privato aumenterà ulteriormente e

verranno messe in cantiere opere pubbliche distruttive per l’ambiente, come la TAV o il TAP. Riprenderanno fiato le tendenze “sovra-
niste” che invocheranno la chiusura dei confini con le relative coreografie patriottarde, anche se è ormai difficile rimettere in discussione

la divisione internazionale del lavoro che si è affermata negli ultimi decenni (in Italia non produciamo più neanche le mascherine!). Si
imporranno forme di governo autoritarie e decisioniste fino ad invocare la militarizzazione della società. Insomma, per parafrasare uno
slogan di moda: non andrà tutto bene! Da parte nostra dobbiamo prepararci a dare risposte a una prevedibile radicalizzazione dello
scontro sociale e a prospettare una fuoriuscita da un modo di produzione capitalistico sempre più distruttivo e mortifero».(8)
NOTE
1) PHILIPPE BOURRINET, Capitalismo, guerre ed epidemie in Lo spillover del profitto, cit.
2) FRIEDRICH ENGELS, Dialettica della natura, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 192-193.
3) Chuang, Social Contagion. Guerra di classe microbiologica in Cina. Covid 19: origini e conseguenze, Edizioni All’Insegna del
Gatto Rosso, Milano, marzo 2020.
4) Vedi anche, per una visione più generale, MICHAEL ROBERTS, Un’economia di guerra?, Asterios, Trieste, coll. “Volantini militanti”,
n. 21, 20 aprile 2020. www.volantiniasterios.it/catalogo/uneconomia-di-guerra
5) PAUL MATTICK, La guerra è permanente, http://www.leftcom.org/it/articles/1940-01-01/la-guerra-è-permanente. Vedi anche un mio
articolo con lo stesso titolo in «Umanità Nova», n. 29, 28/10/2018.
6) Per una critica della teoria del crollo vedi PAOLO GIUSSANI: Lo schema numerico del crollo del capitalismo di Henryk Grossmann,
1998, https://vdocuments.mx/lo-schema-numerico-del-crollodel-capitalismo-di-henryk-grossmann.html.
7) La citazione è tratta da un articolo scritto da Attali sul settimanale “L’Express”, già durante l’epidemia del 2009. Questo articolo di

Attali è stato segnalato da Gianfranco Sanguinetti, Il dispotismo occidentale, in http://effimera.org/il-dispotismo-occidentale-di-
gianfranco-sanguinetti/ aprile 2020.

8) Le citazioni sono tratte dall’articolo di Visconte Grisi: L’economia di guerra al tempo del coronavirus in Lo spillover del profitto,
op. cit., p. 92-94 passim.

Visconte Grisi, «Umanità Nova», n.31, 25/10/2020.

Strage di Viareggio, ancora una volta ingiustizia è fatta e una strage resta impunita: nessun colpevole

 

La Corte di Cassazione ha prescritto gli omicidi colposi delle 32 vittime. Appello bis per tutti solo per disastro ferroviario, e concede all’ex AD di Ferrovie, Mario Moretti, un nuovo processo d’appello.

La Corte di Cassazione, con un colpo di spugna, ha cancellato le condanne – stabilite da 2 gradi di giudizio -per i responsabili della morte di 32 persone ammazzate mentre dormivano tranquillamente in casa loro o erano per strada.

Sono stati dichiarati prescritti gli omicidi colposi per la strage di Viareggio a seguito dell’esclusione dell’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza nel lavoro. Con la ‘prescrizione’ per l’omicidio colposo plurimo ancora una volta il potere dello Stato salva i suoi manager assassini, assolve se stesso, uccide per la seconda volta le vittime e nega giustizia ai loro famigliari.

La Corte, rinviando a un nuovo processo di appello anche l’ex AD di Trenitalia Vincenzo Soprano, che era stato condannato a 6 anni, e Francesco Favo (all’epoca certificatore della sicurezza per Rfi), che era stato condannato a 4 anni, salva anche loro.

Per la Corte d’Appello da rivalutare è solo la responsabilità per il reato di disastro ferroviario colposo. Il massimo tribunale ha assolto definitivamente – perché il fatto non sussiste – tutte le società coinvolte, che a vario titolo si sono occupate di manutenzione e controllo sulla rete ferroviaria, sui dispositivi di sicurezza, sui vagoni:Trenitalia, Rfi, Gatx Rail Austria, Gatx Rail Germania, Jungenthal Waggon, Mercitalia Rail.

Con questa sentenza la suprema Corte stabilisce che uccidere i lavoratori in nome del profitto non è reato e che la legge è non uguale per tutti.

Le 32 vittime sono state uccise due volte, dai dirigenti delle ferrovie che le hanno mandate a morte perché non hanno rispettato, né fatto rispettare, le misure di sicurezza e da una giustizia che concede – per l’ennesima volta nell’Italia delle stragi senza colpevoli – l’impunità ai responsabili di una strage annunciata che si è portata via 32 persone, bambini, giovani, anziani, donne e uomini, italiani e stranieri.

Ora i responsabili sono stati assolti per prescrizione, come se non fosse successo nulla.

La giustizia è riservata solo ai manager, ai padroni, ai potenti; l’uguaglianza davanti alla legge è più uguale per alcuni e non per altri.

Una giustizia che punisce le vittime del profitto e premia i colpevoli è una giustizia riservata a chi ha i soldi, è una giustizia di classe.

Fiducia nello Stato non ne abbiamo mai avuta, ma forse è arrivato il momento di non limitarci ad andare davanti ai palazzi del potere per chiedere una giustizia che non arriva mai, ma di accerchiarli e di gridare forte, dappertutto, con manifestazioni di protesta, che non ne possiamo più, non possiamo più tollerare di essere carne da macello per il capitale.

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

Milano, 8 gennaio 2021, e-mail: cip.mi@tiscali.it

Il Capitalismo della sorveglianza. Shoshana Zuboff

 

Il Capitalismo della sorveglianza.

Presentazione riassuntiva del volume di di Shoshana Zuboff (2019) e di altri materiali
 (The social dilemma, docufilm, materiali tradotti in Italia, bibliografia)

a cura di Alternativa Libertaria- Fano.

Ora più che mai sono evidenti i risultati politici e culturali dei meccanismi di “trascinamento ed amplificazione” di contenuti disinformanti nel web e nei social operati dalle grandi aziende del settore, dallo scopo di aumentare la redditività degli inserzionisti ed la dipendenza dalle loro piattaforme si sono sviluppate capacità condizionanti mostruose . Molti dei “disertori” di questo sistema parlano di dissenso, resistenza, riscrittura delle regole del grande mercato del web. Il pensiero anarchico e libertario è centrale nella critica si sistemi di controllo e nel seguire consapevolmente la grande trattativa in corso tra poteri istituzionali e questo potere strumentalizzante. E tutti coloro che stanno cercando da decenni di implementare sistemi di condivisione orizzontale del sapere sul web sono, in varia misura, consapevoli della necessità di darsi regole nuove, antiautoritarie, e della difficoltà di farlo su vasta scala sia nel mondo reale nel quale i sistemi democratici cedono il passo al capitalismo della produzione globalizzata che nel mondo virtuale che prende il controllo di ciò che facciamo ogni secondo della nostra vita con questo nuovo tipo di Capitalismo.
scaletta

- Casa o esilio nel futuro digitale
- Le basi del capitalismo di sorveglianza: la scoperta del “surplus comportamentale”
- Il concetto di “peccato di rapina” nel nuovo colonialismo digitale
- il ruolo dell’11 settembre nel lancio di nuove regole contro il diritto alla privacy
- La divisione dell’apprendimento nella società: “algoritmi”e nuovi sacerdoti
- il concetto di “renderizzazione” del reale e dei nostri corpi; internet delle cose, l’uso del potere della certezza.
- i sistemi democratici di fronte alla globalizzazione ed al digitale: chi rappresenta chi?
- “dove va uno, andiamo tutti” (Q), i movimenti complottisti ed il ‘brucia-cervello’ da complessità
- l’identità singola nell’era di Facebook: intersezionalità e frantumazione dell’Io
- rapporto Stato-imprese private(caso cinese, caso italiano), uso delle App (il caso Disconnect inc.), uso dei dati biometrici, cittadini e video-mappatura .
- esempi di resistenza alla strumentalizzazione digitale.

materiali a cura di Francesca ‘Dada’ Knorr.



America: due o tre cose che sappiamo di lei - VENERDÌ 22 GENNAIO 2021 ore 18.30, on line

 

VENERDÌ 22 GENNAIO 2021 
ore 18.30, on line
 
 
 


America: 
due o tre cose che sappiamo di lei




Se il poliziotto globale che ha allestito 800 basi per il controllo del mondo non riesce a mantenere l’ordine in casa sua, c’è un problema.

Se una minoranza significativa invade la sede del potere legislativo degli Stati Uniti a seguito della propaganda e all’invito di un presidente sconfitto ma ancora in carica c’è un problema.

Se tra metropoli e America profonda gli Stati non sono mai stati così disuniti, come le recenti elezioni hanno dimostrato, c’è un problema.

Se, per ora, la guerra civile rimane allo stato latente, c’è un problema.

Se non saremo capaci di descrivere il futuro prossimo venturo, c’è un problema.

Su questo vogliamo aprire una discussione, senza pensare di risolvere, ma cercando di delineare dei nodi da sciogliere.



Per partecipare alla teleconferenza scrivete a:
vi invieremo il link e i riferimenti per partecipare




Centro di documentazione contro la guerra
informazioni, materiali e analisi per opporsi alla barbarie del capitalismo decadente, contro 
il terrorismo di stato occidentale e russo, contro il terrorismo del cosiddetto “islamismo radicale”


PER ASCOLTARE GLI INCONTRI CHE SI SONO GIA' TENUTI 

11-12-2020 
Partendo dal libro Lo spillover del profitto vorremmo discutere sulle ripercussioni della pandemia in atto, stando risolutamente dalla parte di chi lavora, di chi perde il lavoro, di chi muore, a causa di una crisi sanitaria, economica e sociale generata dal capitalismo. 
Vorremmo cominciare da tre punti, senza la pretesa di affrontare tutto: sanità, vaccini, chi paga? 

11-12-2019 
Ruolo e presenza militare dell’Italia: Libano, Iraq, Iran, Kurdistan e…. 

05-06-2019 
“aiutiamoli a casa loro” 

13-03-2019 
con Carlo Tombola. Produzione e sviluppo del mercato delle armi. Conflitti tra gli stati. Controllare e terrorizzare per imporre al proletariato la “pace” della guerra permanente 

16-01-2019 
I socialisti scledensi e vicentini al “Processo di Pradamano” Luglio Agosto 1917 

28/11/2018 
Continua la guerra per la spartizione dell’Africa e contro gli immigrati 

10/10/2018 
Continuità tra Minniti e Salvini - L’intervento italiano in Libia e oltre - I contrasti tra le varie potenze in Africa - Militarismo all’estero e guerra sociale all’interno 

20/04/2018 

14/03/2018 

14/02/2018 

31/01/2018 

17/01/2018 

17/05/2017 

13/04/2017 

Murray Bookchin - Oltre il dominio e la gerarchia, pratiche libertarie per una società ecologica

 


Nel centenario della nascita di Murray Bookchin (New York, 14 gennaio 1921 – Burlington, 30 luglio 2006 ) il Centro Studi Libertari / Archivio Giuseppe Pinelli, in collaborazione con elèuthera editrice, presenta il documentario biografico "Oltre il dominio e la gerarchia, pratiche libertarie per una società ecologica", realizzato da Alex Pasco con le voci narranti di Moreno Agnella e Gianluca Paciucci. Nato in una famiglia di immigrati russi di origine ebraica emigrata per sfuggire alla persecuzione religiosa, alla povertà estrema e alla repressione zarista, Murray Bookchin diventerà uno degli intellettuali libertari più significativi del ventesimo secolo, lasciandoci in eredità la sua possente visione ecolibertaria, fatta di pensiero e azione, di lucidità critica e immaginazione prefigurativa. La 'Rapsodia in blu' di George Gershwin era una delle composizioni preferite di Bookchin, quella che a suo avviso aveva espresso più compiutamente lo spirito dei tempi nei decenni precedenti la seconda guerra mondiale, e per questo motivo è stata inserita nella colonna sonora del filmato. Collezione digitale dedicata a Murray Bookchin: https://centrostudilibertari.it/it/mu...

lunedì 11 gennaio 2021

Per continuare a sfogliare 150000 pagine! Aiutaci!

 Care e cari,
abbiamo bisogno del vostro aiuto.
Come molti di voi già sanno, il 31 dicembre 2020 è terminato il ciclo di vita di Flash Player, il programma che per diversi anni abbiamo utilizzato per lo sfogliamento online dei fascicoli. Da qualche tempo siamo passati allo standard Html5, ma una parte cospicua delle riviste in rete è ancora in Flash e man mano che i browser verranno aggiornati non sarà più consultabile.
Ad oggi l'emeroteca digitale conta circa 150.000 pagine sfogliabili.
Già da qualche mese stiamo lavorando alacremente per rendere l'intera emeroteca digitale di nuovo consultabile, ma per accorciare i tempi e ridurre al minimo il disagio creato ai nostri lettori, oltre a moltiplicare le forze, dobbiamo ricorrere all'acquisto di nuovo software.
Per realizzare l'impresa ci servono complessivamente 3000 euro.

Per sostenerci potete:
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(Grazie alla "dichiarazione di interesse culturale dei fondi Andrea Caffi, Nicola Chiaromonte, emeroteca della Biblioteca Gino Bianco di Forlì", le erogazioni liberali alla Fondazione Alfred Lewin possono essere dedotte dal reddito complessivo, in sede di dichiarazione dei redditi).
Grazie a tutti



venerdì 8 gennaio 2021

Il movimento libertario negli Stati Uniti - Gianni Cimbalo ucadi.org

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La pantomima che ha fatto seguito alle elezioni negli USA si avvia alla fine e la squadra di Biden prende forma, dovendo tenere conto delle diverse componenti dell’alleanza che hanno portato alla vittoria il candidato democratico. La coalizione che si è creata spazia dai centristi che fanno capo ai tradizionali elettori del partito democratico e si irrobustisce via via che ci si sposta a sinistra verso gli attivisti di Sanders e non solo. Non abbiamo spazio e strumenti sufficienti per analizzare la composizione delle diverse componenti e perciò focalizzeremo la nostra attenzione su quella libertaria e di classe cercando di tratteggiarne sviluppo, struttura e dare conto della sua influenza sulle posizioni che oggi assume la sinistra in USA.

Alle origini delle organizzazioni di classe negli USA

La presenza di una componente di sinistra libertaria negli Stati Uniti, contrariamente a quando si crede, non è nuova ed è anzi interconnessa con la storia e lo sviluppo del movimento operaio in questo paese. Una storia spesso ignorata, ma tuttavia molto importante per lo sviluppo del sindacato e delle forze politiche della sinistra. Bisogna tenere conto che negli Stati Uniti della seconda metà dell’800 l’industria ebbe un formidabile sviluppo; ciò portò anche alla nascita di un forte movimento operaio. Ben presto il conflitto tra capitale e lavoro assunse forme radicali di scontro.
Nel corso di una manifestazione operaia di sostegno a uno sciopero, svoltasi in piazza Haymarket (Chicago Illinois) il 1º maggio 1886 uno sconosciuto lanciò una bomba su un gruppo di agenti di polizia, uccidendone uno. In risposta la polizia sparò uccidendo quattro cittadini e sette poliziotti e ferendo moltissime persone. Per questi fatti vennero condannati a morte per impiccagione otto lavoratori anarchici di origine tedesca, in seguito riconosciuti innocenti. In ricordo dell’evento il Congresso Internazionale di Parigi del 1889, che diede vita alla Seconda Internazionale, proclamò il 1º maggio festa internazionale dei lavoratori.
Negli anni successivi il movimento operaio (e quello anarchico) si svilupparono negli Stati Uniti e il 27 giugno 1905 durante il “Continental Congress of the Working Class” (Chicago, USA), venne fondato un sindacato di orientamento anarcosindacalista e rivoluzionario su posizioni di classe che ha sviluppato le sue lotte senza distinzioni
etniche, sessuali o di genere, in opposizione alle politiche sindacali corporative allora prevalenti: l’Industrial Workers of the Word.
Nel suo manifesto costitutivo è scritto:
«La classe lavoratrice e quella capitalista non hanno nulla in comune. Non vi può essere pace mentre la fame e la povertà regnano fra i milioni di lavoratori ed i pochi, che compongono la classe padronale, hanno tutte le ricchezze della vita. Fra queste due classi la lotta dovrà svolgersi finché tutti i lavoratori non si riuniranno sul campo politico, come su quello economico, per prendere e tenere quello che essi hanno prodotto con il loro lavoro, attraverso una organizzazione economica dei produttori senza affiliazioni con qualsiasi partito politico. L’accentrarsi sempre crescente
della ricchezza e del controllo delle industrie in un numero sempre minore di mani, rende i sindacati di mestiere inabili ad affrontare la potenza crescente del capitalismo, poiché le unioni di mestiere permettono uno stato di cose in cui un gruppo di lavoratori possono essere posti contro un altro gruppo di lavoratori della medesima industria, apportando così la disfatta nelle lotte del lavoro. Le unioni di mestiere aiutano anche la classe padronale ad inculcare nei lavoratori la falsa credenza che la classe operaia ha degli interessi in comune con la classe padronale. Queste condizioni disagevoli possono essere cambiate e gli interessi della classe lavoratrice ben difesi solamente da un’organizzazione formata in tal modo che tutti i suoi membri di una data industria, ed anche in tutte le industrie se necessario, possano abbandonare il lavoro quando esiste uno sciopero o serrata in un dipartimento di essa, facendo si che un’offesa fatta ad uno diventi un’offesa fatta a tutti
Dopo un durissimo ciclo di lotte che si sviluppò per tutto il primo ventennio del ‘900 questo sindacato venne militarmente sconfitto e represso con l’uso della Guardia Nazionale, i suoi militanti, in molti emigrati negli USA, vennero espulsi andando a fecondare con la loro militanza di classe i movimenti rivoluzionari in tutto il mondo, soprattutto in Russia.

La lotta contro il fascismo e il nazismo

Nel ventennio che precede la seconda guerra mondiale il movimento anarchico e le organizzazioni rivoluzionarie negli Stati uniti subiscono una dura repressione che culminò nell’emblematico processo a Sacco e Vanzetti e nella loro condanna a morte. Dalle manifestazioni di solidarietà per i due anarchici nacque una mobilitazione a livello mondiale che coinvolse molta parte dell’opinione pubblica americana Intanto accanto alla componente di classe dell’anarchismo crebbe e si sviluppò una frazione dell’anarchismo su posizioni interclassiste e antiorganizzatrici che finirà per prevalere
nell’immaginario collettivo come prototipo dell’anarchismo in USA. L’anarchismo entra in crisi sotto l’attacco concentrico di fascismo e nazismo e dei partiti comunisti della II internazionale.

La rinascita del movimento libertario USA negli anni ’70 e ‘80

L’anarchismo statunitense come tutta la sinistra in USA entra quindi in un sonno catatonico dal quale inizia a riemergere solo alla metà degli anni ’60. Nell’autunno del 1964 il movimento libertario e anarchico ricompare negli Stati Uniti nella rivolta esplosa all’Università di Berkeley. Gli studenti scendono in sciopero per protestare contro il divieto dell’Università di fare politica, chiedono la libertà di parola e si oppongono alla guerra in Vietnam e alla coscrizione obbligatoria. La ricerca della libertà e l’antimilitarismo, tipiche parole d’ordine dell’anarchismo, reclutano molti consensi
tra i giovani rafforzati dalle teorizzazioni innovative di orientamento libertario della scuola di Francoforte (Marcuse, Horkheimer) e contribuiscono a sviluppare e orientare le lotte studentesche in tutte le Università e il costume dei giovani. È l’inizio del ’68. Il diffondersi di idee libertarie nei comportamenti sociali la liberalizzazione sessuale, contribuiscono a trasformare il sentire sociale. Già alla fine degli anni ’70 viene creata nel nordest del paese dal Movement for a New Society (MNS), un gruppo con sede a Philadelphia, la principale organizzazione di ispirazione anarchica per l’attività antinucleare, “guidata” da un attivista per i diritti dei gay George Lakey, che, come molti altri membri del gruppo, era un anarchico quacchero. Egli utilizza un metodo libertario nella gestione dell’organizzazione e agisce da facilitatore nel dibattito per promuovere la partecipazione e la crescita collettiva: nascono per la prima volta dai corsi di formazione MNS a Philadelphia e Boston. L’esperienza del MNS ha reso popolare il processo decisionale basato sul consenso di tutti gli associati, ha introdotto il metodo di organizzazione del consiglio dei portavoce che costruiscono dal basso strutture di
partecipazione, diffondono le tecniche di de-programmazione per poter disimparare comportamenti oppressivi e formare gli attivisti e i militanti politici, propongono la creazione di imprese di proprietà cooperativa teorizzando la cosiddetta politica prefigurativa.
Negli anni ’80 l’anarchismo negli Usa si lega agli squat «occupare senza averne diritto» e ai centri sociali ABC No Rio o C-Squata New York City [1]. Viene costituito l’Institute for Anarchist Studies, un’organizzazione senza scopo di lucro fondata da Chuck W. Morse per sviluppare le elaborazioni politiche su posizioni comuniste anarchiche, per assistere
[1] Nel 1980 si tiene a Portland, Oregon, il primo simposio internazionale sull’anarchismo e nel 1986 a Chicago la conferenza Haymarket Remembered per celebrare il centenario della rivolta di Haymarket. Seguono i convegni continentali annuali a Minneapolis (1987), Toronto (1988) e San Francisco (1989) che costituiscono una rinascita degli ideali anarchici negli Stati Uniti gli scrittori anarchici e stimolare gli studi sulla soria dell’anarchismo di classe.. Nel 1984 viene fondata la Workers
Solidarity Alliance (WSA) organizzazione politica anarco-sindacalista che pubblicava Ideas & Action (dal 1 ° maggio 2010, la WSA ha rilanciato la pubblicazione Ideas and Action in formato rivista elettronica) affiliata alla International Workers Association (IWA-AIT), la federazione internazionale di sindacati e gruppi anarco-sindacalisti che opera anche attualmente. La WSA sostiene che occorre costruire nuova società e un mondo migliore basato sui principi di “solidarietà e autogestione”, e “che una tale società sarà realizzata solo dai lavoratori attraverso proprie organizzazioni di massa autogestite, partendo da zero” e lottando contro la disuguaglianza di genere, il razzismo strutturale, l’oppressione delle persone come parte della più ampia lotta per la liberazione sociale e l’autogestione. Per la WSA sia il capitalismo che il socialismo di stato sono basati sulla sottomissione e sullo sfruttamento della classe lavoratrice. Pertanto i lavoratori
devono prendere il controllo delle aziende per le quali lavorano e costruire istituzioni basate sulla democrazia partecipativa delle assemblee sul posto di lavoro e di quartiere e smantellare le gerarchie statali, in modo che la maggior parte delle persone prenda il controllo degli affari pubblici. Queste idee vengono propagandate e diffuse negli ambienti progressisti e nella classe operaia statunitense e guadagnano consensi.

Dall’anarchismo degli anni ’90 ad oggi

L’anarchismo USA solo negli anni ’90 sposta l’attenzione dall’oppressione di classe a tutte le forme di sfruttamento e inizia ad affrontare seriamente il problema del razzismo con gli anarchici neri Lorens Ervin e Kwasi Balagoon, pubblicando la rivista Race Travor. Altre organizzazioni come Love and Rage, Anarchist People of Color,
Black Autonomy e Bring the Ruckus concorrono all’organizzazione del movimento. Mentre la WSA continua la sua attività in coincidenza con l’esplosione del movimento Occupy Wall Street (2011) nel quale la presenza anarchica è stata rilevante si attivarono accanto alla Worker Solidarity Alliance diverse nuove organizzazioni libertarie.[2] Viene costituito nel 2011 il gruppo May First Anarchist Alliance con membri in Michigan e Minnesota che ha come punto di riferimento la classe operaia e che promuove un anarchismo non dottrinario che include varie componenti dell’anarchismo. Da alcuni singoli membri della Worker Solidarity Alliance viene costituita un’organizzazione separata per iniziative internazionaliste a sostegno del Cile della quale fanno parte Nrcocomunisti anarcosindacalismi, comunisti anarchici e
piattaformisti per coordinare nel 2014 il tour “Lottare per vincere: anarchici che costruiscono il potere popolare in Cile.”
Dalla risposta alla svolta di destra che caratterizza il paese durante la presidenza Tump e dalla manifestazione Unite the Right, sono sorti numerosi gruppi antifascisti in tutta la nazione. Questo crescita di organizzazioni antifasciste ha portato molti militanti nelle organizzazioni anarchiche e numerosi gruppi si sono riorganizzati come antirazzisti, in
collaborazione con il movimento Black Lives Matter. Molti gruppi anarchici hanno preso parte alle proteste contro l’assassinio di George Floyd e hanno partecipato alle lotte per l’abolizione della polizia contribuendo a far crescere un movimento di massa della sinistra che è sceso in campo contro le organizzazioni sovraniste e neofasciste.
È stato quasi un fatto naturale che in un momento politico di polarizzazione della popolazione del paese e di forte caratterizzazione delle sue componenti politiche il movimento anarchico contribuisse in modo rilevante a caratterizzare e orientare con rivendicazioni sull’ambiente e le libertà civili la componente più radicale di coloro che hanno votato Biden, con l’intento di evitare una deriva fascista e razzista del paese.

L’amministrazione Biden e lo sviluppo della lotta di classe in USA

Gli anarchici e i libertari statunitensi sanno bene che Biden si trova attualmente fra due forze che perseguono distinte politiche, entrambe rivelatesi fondamentali per la sua vittoria alle elezioni ed “è schiacciato tra l’establishment del partito, i clintoniani che poco differiscono dai repubblicani moderati e gli attivisti che hanno galvanizzato la base
spingendola a votare per lui”. Sanno però che per cambiare bisogna continuare a lottare e non si può delegare, perché il potere, è sempre nelle mani dei governanti: qualunque sia il governo, repubblicano o democratico.
Donald Trump ha saputo estrarre i veleni radicati nella cultura e nella storia americana: razzismo, suprematismo bianco, xenofobia, misoginia e li ha amplificati, dando al rancore contro le élite motivazioni razionali e populiste, ha denunciato le élite, pur lavorando per loro. Essi sanno che ora la gente avverte la necessità del cambiamento della propria vita quotidiana e vuole che ciò avvenga. Anche se molti di loro hanno votato per Biden come male minore sono consapevoli che la strategia politica suggerisce di votare e poi tornare a fare pressione, affinché si vada nella direzione
giusta, perché è solo attraverso le lotte e la mobilitazione che si può ottenere il cambiamento. Forte di questa consapevolezza il movimento anarchico negli USA, nelle sue pur diverse componenti, cerca di svolgere un ruolo di orientamento dei comportamenti sociali ben più ampio del numero di militanti di cui dispone, cercando di educare alla partecipazione, alla mobilitazione e alla lotta per cambiare la società.

[2] Viene organizzata dalla Worker Solidarity Allance una serie di conferenze ad invito denominate Class Struggle Anarchist Conference, alle quali si uniscono di volta in volta altre organizzazioni che vogliono federare un certo numero di organizzazioni
anarchiche locali e regionali. Nel 2013 viene costituita da un certo numero di gruppi locali e regionali, tra cui Common Struggle, precedentemente noto come Northeastern Federation of Anarchist Communists (NEFAC), dalla Four Star Anarchist Organization in Chicago, dalla Miami Autonomy and Solidarity, dalla Rochester Red and Black e dal Wild Rose Collective con sede a Iowa Cityè la Black Rose Anarchist Federation,

Gianni Cimbalo

“LAVORA CONSUMA CREPA MA NON SCOPARE” con postilla finale

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«Non ti lavare. Accorro, e tra otto giorni sono lì
(Napoleone Bonaparte a Giuseppina)

Pur passando gli anni e appianandosi, in parte, alcune idiosincrasie ogni tanto provo a pensare cosa, da giovane, mi desse particolarmente fastidio nel Partito Comunista Italiano. A pelle, dico. E quindi bypassando l’enorme importanza (pur con tutti i suoi limiti politici) del partito di massa ecc..ecc…
Queste ultime sono caratteristiche che ho razionalizzato dopo, ma nel periodo storico che intercorre fra la metà degli anni ‘70 e tutti gli ‘80, cosa, di quel partito, a me ragazzo inquieto della generazione più incasinata della storia della Repubblica, indispettiva e indisponeva?
In realtà, all’epoca lo sapevo benissimo, ma non ne ero conscio, oggi, posso invece esplicitarlo, e, forse, anche comprenderlo.
Il moralismo sessuofobico piccolo borghese. Ecco cosa mi faceva davvero incazzare. A forza di voler apparire migliori e indiscutibili, a forza di pensare alle “cose serie”, alla “politica” (che oggi, a dire il vero, ad averne) , il piano del sesso come esperienza e (perché no) come divertimento, ricerca del piacere, non era proprio nelle corde di quel partito.
Sia chiaro, nelle corde ufficiali, perché è ovvio che nei comportamenti reali e privati la musica cambiava, ma quello che non cambiava era la voglia di rispettabilità che, per voler essere diversa, finiva per essere perfino più oppressiva di quella ultra bigotta dei peggiori democristiani.
In un bel libro appena uscito (Edoardo Lombardi Vallauri, “Ancora bigotti. Gli italiani e la morale sessuale, Einaudi, 2020) l’autore fa il punto sulla situazione attuale, e, come si evince fin dal titolo, non siamo messi molto bene. Anche se sembrerebbe il contrario.
Questo testo rimette al centro la vita sessuale come una delle più importanti esperienze dell’essere umano, ripercorre la storia dei condizionamenti e anche delle liberazioni.
Gli appunti più rilavanti sono quelli del disdegno che le religioni, in particolare, quella cattolica, hanno, nei secoli, gettato sul sesso.
Ovviamente, la maggiore ricaduta è stata per l’attività sessuale femminile, da sempre incastrata negli obblighi della maternità.
Ma quello che, a parer mio, rende questo libro molto importante, è dato dal fatto che il bigottismo attuale coinvolge tutti noi, sia atei o religiosi, libertari o no e ciò segna il discrimine fra la presunta rivoluzione sessuale avvenuta negli ultimi decenni e la realtà dei fatti.
Dove il sesso può esser usato ancora (e forse più di prima) per distruggere la  reputazione di una persona. Assai di più del fatto che questa reputazione possa essere intaccata da comportamenti penalmente perseguibili, da reati contro il patrimonio, o dall’avere atteggiamenti incivili.
La faccenda (di cui l’autore non era a conoscenza, ovviamente, essendo accaduta dopo l’uscita del suo lavoro) della maestra d’asilo, licenziata perché il suo uomo avrebbe diffuso un video personale che lei gli aveva inviato e che poi, dopo vari percorsi, è finito sulla chat dei genitori è allucinante ma significativa. Non sappiamo come andrà a finire (si spera con grandi risarcimenti per la maestra) ma intanto sappiamo cosa è successo: una persona viene licenziata dopo essere stata
messa alla berlina per aver fatto sesso e perché terzi hanno diffuso un suo video personale. A rigor di logica, l’unica persona danneggiata è stata lei, gli altri sono tutti responsabili e colpevoli. Ma ai media è piaciuto parlare di “video hard” dimostrando che al sesso deve essere sempre accostato un linguaggio che lo riduca e lo sminuisca, oltre a non essere in grado di uscire fuori da un mondo di stereotipi.
E proprio sul linguaggio “volgare” che da secoli accompagna il sesso, si appunta l’autore, per evidenziare (probabilmente collegato alla paura della libertà e dell’esperienza fisica) come ciò abbia spinto una delle più (se non la più) significative
attività umane in un contesto di separatezza, vergogna, oscurità.
Tuttavia, come dicevo sopra, ciò potrebbe apparire obsoleto e superato dalle apparenti libertà totali che il mercato pare consentire a tutti.
In realtà, proprio il contesto attuale, quello del riconoscimento delle differenze (LGTB e via aggiungendo) rischia di consegnarci un nuovo (ma non tanto) bigottismo. Ovvero, l’omosessualità, o la diversità sessuale, (un tempo regno, proprio per la sua ghettizzazione, di maggiori libertà esibite o no) diviene accettabile per tutti a patto che…
……..riproduca il modello monogamo del mondo eterosessuale.
Questo modello, la monogamia, è uno dei bersagli di Vallauri. Quando e perché nasce questo totem e perché una coppia aperta perderebbe qualcosa rispetto ad una che non lo è, e non invece guadagnerebbe in conoscenza e in esperienza, senza essere tradimento?.
Le statistiche che riporta sono significative: oltre il 70% dei componenti della coppia tradizionale “monogama” ha “tradito” il proprio partner. Ma c’è tradimento laddove c’è segretezza, non può esserci dove una diversa relazione sessuale con un altro essere umano faccia parte della coppia stessa.
Il tradimento, casomai, in un rapporto, sta nell’indifferenza che negli anni prende il posto della comunicazione, del perdersi in attività compulsive (chat, social, smartphone) invece di parlarsi. Ma non può essere tradimento avere un rapporto sessuale con un altra persona, in quanto ciò non porta ad alcun danno reale nei confronti di nessuno.
Queste sono considerazioni che negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso avevano preso campo e si erano diffuse, ma sono state poi risucchiate in una nuova moralità bigotta, questa volta senza religione e anche politicamente corretta, ma, ormai quasi asessuata.
Dopo alcuni capitoli che appaiono o possono apparire ancora più beneficamente irritanti, le pagine finali ci consegnano un mondo fatto di centri commerciali di ragazzi e ragazze con gli occhi sui cellulari che non si sfiorano né con lo sguardo né tanto meno con la pelle, rinunciando ad una esperienza di conoscenza e di piacere per aderire ad un mondo di consumi compulsivi, dove il sesso liberato potrebbe apparire davvero pericoloso per lo stesso capitale.

“Non scopare, compra!”                                                                                                parrebbe essere quindi la postilla finale di un mondo in cui il bigottismo da religioso è diventato “corretto” e soprattutto coerente con il capitalismo delle 24H, in cui l’esperienza sessuale liberata potrebbe essere rimasta l’ultima frontiera di resistenza.

Postilla:
no ti prego no non ti asciugare se nella notte hai ancora un brivido animale
(Gianna Nannini, “Profumo”)
Sulla questione delle orge ungheresi, l’unica lezione che ne possiamo trarre è che nella sfera dei comportamenti sessuali, non c’è, per fortuna, discorso razionale che possa reggere con la parte più profonda e animale della nostra corteccia cerebrale.
Per cui sarebbe meglio astenersi (e la parola è inadeguata!) dall’assumere posizioni che non hanno alcuna ricaduta nella realtà.
Le pulsioni passano avanti a tutto l’incoerenza è tale solo perché ci vogliamo raccontare un essere umano che non esiste.
E come diceva Oscar Wilde “L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi.”h
Stranamente, alcune di queste pulsioni non creano scandalo se si tratta di bombardare a tappeto una città abitata o per ammazzare il nemico di turno, ma lo creano se si entra nella sfera sessuale, la quale (ovviamente fra adulti consenzienti) non risulta abbia mai fatto male a nessuno. (e, forse, è proprio questo il motivo dello scandalo).
Tuttavia, sarebbe molto meglio che, sui gusti e preferenze sessuali si evitasse di prendere anche posizioni pubbliche e di politicizzare una sfera che è politica solo perché l’ipocrisia anti-libertina è stata per secoli funzionale a riservare tali libertà alle classi elevate.
Questo corto circuito ha fatto sì che si siano dovute assumere posizioni dirompenti, i cui protagonisti hanno spesso pagato a caro prezzo.
Ad esempio, parlando della civilissima Inghilterra, come dimenticare la condanna ai lavori forzati ad Oscar Wilde o la castrazione e chimica applicata Turing uno dei maggiori geni matematici del XX secolo (come ricompensa per aver decrittato il codice “Enigma” e aver aiutato la GB ha vincere la guerra).
Detto tutto questo, purtroppo, noto che il moralismo è ormai bipartisan e anche nel 50ennale della legge sul divorzio capita di leggere che si il PCI si impegnò a fondo nella battaglia referendaria del 74 (cosa che è evidente, altrimenti chi votò per il NO all’abrogazione se non elettori del PCI e della DC….?) ma perché era fatto da gente seria che non pensava al “libero amore”.
Eccolo là “il libero amore”, roba da hippy e freakkettoni, da fuori di testa.
Omosessuali sì, dunque, ma casti come tutto il resto.
Sposati. Monogami. Fedeli. L’importante è tamponare, neutralizzare la falla dell’eros, siamo gente perbene, che passa la vita a lavorare duramente, per il partito, per l’ideale, per la lotta, ma l’eros no, è pericoloso..…
E così anche sugli ungheresi le battute si sprecano, ma manca quella fondamentale.
Ovvero che il problema non sono le orge (ad averne) ma che, come sempre, si vorrebbe che esse fossero legittimate solo per chi può.
Due morali, dunque, ai dominanti quella liberata ai sottomessi, quella penalizzante.
E la cosa triste è che questi ultimi ci credono anche e si divertono a sfottere chi fa le orge…..ma, neppure tanto sotto sotto, il brivido dell’invidia cova e il moralismo accattone diventa funzionale.
“Il liberale non si fa nessuno scrupolo di tirar fuori contro il tiranno gli argomenti del bigotto” (Karl Kraus, “Detti e contradetti”)

Andrea Bellucci

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)