S.O.S. GEOTERMIA
di Maurizio Fratta
La centrale Enel di Bagnore 4 nel comune di Santa Fiora |
Ci fu un tempo nel quale scavare nelle viscere della terra per cercare minerali era avvertito come una profanazione.
Mentre i minatori cercavano di propiziarsi gli dei del
sottosuolo, furono i fabbri a fondere e liquefare i metalli e a credere
nella possibilità di poter cambiare la materia e a confidare, così come
avevano fatto gli alchimisti, in una sua possibile trasmutazione.
Un sogno, quello dell'homo faber, meno
millenarista di quel che si potrebbe credere considerando quanto l'idea
del progresso illimitato abbia permeato non soltanto tutto il
diciannovesimo secolo, ma perduri anche nelle attuali società
industriali che hanno per obiettivo la trasmutazione della stessa Natura
e la sua trasformazione in energia.
Ed è stata senza dubbio l'energia geotermica, tra le
risorse energetiche, quella sulla quale l'uomo, sin dalla preistoria, ha
cercato di fare affidamento e di trarre il massimo vantaggio.
Un sogno che si sta trasformando in incubo proprio in
quella Toscana che ha visto nascere lo sfruttamento industriale delle
risorse geotermiche e dove, proprio per il fatto che il suo impatto
sull'ambiente è noto da tempo, si sarebbero dovute adottare strategie e
soluzioni adeguate ed efficaci.
Ci riferiamo a quel che accade in Amiata dove sono all'opera le centrali geotermiche di Enel Green Power, il cui impatto sull'ambiente circostante non può essere ulteriormente taciuto o sottovalutato.
Sabato 4 febbraio, organizzato dalla Rete nazionale NOGESI e da SOS Geotermia,
si è tenuto ad Abbadia San Salvatore un convegno dove ricercatori e
studiosi hanno fatto luce sulla gravità dell'inquinamento prodotto dalle
centrali e che fa oggi dell'Amiata la più grande questione ambientale
dell'Italia centrale.
Non ha usato mezze misure nella sua relazione il geologo
Andrea Borgia dell'Università di Milano, mettendo in relazione, dati
ufficiali alla mano, la proliferazione dei veleni nell'ambiente e i loro
effetti sulla salute delle persone.
È noto che l'attività di estrazione geotermica comporta,
insieme al vapore acqueo, la fuoriuscita di fluidi dal sottosuolo che a
loro volta rilasciano sostanze tossiche nell'aria, nel suolo, nelle
acque superficiali: biossido di carbonio, ammoniaca, idrogeno solforato,
metano, idrogeno a concentrazioni elevate e con essi altre sostanze
dannose per la salute e l'ambiente, tra le quali cloruro di sodio, boro,
arsenico, mercurio.
Un cocktail di inquinanti che potrebbero e dovrebbero
essere completamente abbattuti se i sistemi previsti - sicuramente non
all'avanguardia - funzionassero a dovere, soprattutto quando gli
impianti vanno in avaria come succede quando nell'aria si avverte il
puzzo di uova marce perché c'è una perdita di acido solfidrico.
E invece pare che i controlli avvengano - beninteso
soltanto per alcuni degli inquinanti - ogni due o tre anni e sempre
concordando data e ora di ispezione.
Fatto sta che oggi nei Comuni dell'Amiata, a detta della
stessa Agenzia Regionale di Sanità della Toscana, si registrano tassi di
mortalità significativamente superiori alle medie regionali, con il 30
per cento in più per alcuni tipi di tumore.
Ma i dati più impressionanti riguardano l'incremento di
malattie (respiratorie, dell'apparato digerente, di quello
genito-urinario, del sistema nervoso ecc.) e la presenza degli
inquinanti contenuti nei fluidi geotermici immessi nell'ambiente con gli
eccessi di rischio, fino a tre/quattro volte rispetto alle medie.
E si ha un bel dire, come ha provato a fare la Regione
Toscana, o l'ARPA Toscana, che tutto dipende dagli stili di vita, cosa
che ricorda il mantra ripetuto a iosa dai ministri dell'Ambiente degli
ultimi governi quando dovevano giustificare il disastro ambientale e
sanitario causato dagli impianti siderurgici di Taranto.
Particolarmente allarmanti i dati che riguardano
l'inquinamento da mercurio. Soltanto per citare qualche dato, in circa
cinquant'anni le centrali di Piancastagnaio hanno emesso nell'ambiente
più di 52 tonnellate di mercurio e oggi quelle dell'Amiata rappresentano
quasi la metà delle emissioni totali di mercurio rilasciate in Italia.
Oltre a quello finito in aria e nel suolo (e nella catena
alimentare) lo si è trovato ora anche nelle acque del fiume Paglia, che
confluisce nel Tevere nei pressi di Orvieto, e poi di conseguenza,
concentrato nella sua forma più nociva, nei pesci.
Inquinamento che non può essere attribuito alle attività
minerarie dismesse ormai da decenni, come ha cercato di sostenere
l'ARPA, questa volta quella dell'Umbria, minimizzando il ruolo assunto
dalle centrali dell'Enel Green Power.
Un'emergenza che ormai investe ben tre regioni e che non
può essere più sottaciuta come si è fatto nel corso degli anni, quando
si è preferito dare un quadro rassicurante della condizione sanitaria
ignorando l'effetto accumulo degli inquinanti o supponendone la ricaduta
soltanto in zone non abitate, stabilendo deroghe ai limiti di legge,
come successo per l'arsenico nell'acqua potabile.
E per di più a favore di un'energia che ci si ostina a
voler considerare pulita, quando una centrale geotermica, come una di
quelle impiantate in Amiata, immette in atmosfera il doppio della CO2 di
una centrale a gas ed elementi radioattivi in quantità superiori a
quelle nucleari, sostenuta per giunta da improvvidi finanziamenti
pubblici - denominati "Certificati verdi" - pagati da noi tutti e in
nome della quale si progettano sempre nuovi impianti.
Pubblicato originariamente in l'altrapagina, marzo 2017, pp. 18-20.
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