LA LA LAND
(Damien Chazelle, 2016)
di Pino Bertelli
Per raggiungere non tanto la felicità quanto l'equilibrio,
dovremmo liquidare una buona parte dei nostri simili,
praticare quotidianamente il massacro,
sull'esempio dei nostri fortunatissimi avi.
(E.M. Cioran)
Che bello! La notte degli Oscar 2017 ancora una
volta ci ha fatto ridere a crepapelle! Il baraccone circense che
rappresenta può piacere soltanto all'imbecillità conclamata della
critica italiana e a un pubblico abituato alle sagre festivaliere da
"tappeto rosso" (qui puttanelle col vezzo dell'avanspettacolo e
cialtronetti vestiti Armani fanno i selfie con tutti, perfino con
gli straccioni di colore)… le televisioni ne parlano, i giornalisti
fanno finta di aver compreso quel film o quell'altro… spesso li
confondono o parlano di un film che nemmeno hanno visto (le veline
dell'azienda vengono riprodotte fedelmente da amanuensi serventi)… tutti
sono proni alla macchina delle illusioni (Hollywood) e alla domesticazione dell'immaginario assoggettato che ne consegue… ma tutti i film e tutti gli Oscar
del mondo non valgono un bicchiere di rosso con un amico! C'è più
verità nelle lacrime dei bambini morti per fame (o sotto le guerre) che
in tutte le storie del cinema! Il cinema autentico non salva il
mondo, è vero… però può aiutare a diventare uomini e donne migliori che
dicono sì alla realtà e affrontano a viso aperto la filosofia libertaria
dell'uomo in rivolta (quello che sostituisce il genio dell'artista con
quello del ribelle e mette fine alla sozzura splendente della civiltà dello spettacolo).
Il film di Damien Chazelle, La La Land, di Oscar ne ha ottenuti sei (era candidato a quattordici premi)… ha fatto incetta di Golden Globe, BAFTA Awards
e diversi altri riconoscimenti e sembra davvero continuare ad essere
amato e premiato da critica e pubblico… quando in preda all'estasi del
vuoto ci si abbandona a quella del mito ogni stupidità è permessa, basta
che porti la gente al botteghino… I fucilieri del Bengala (un
brutto film di László Benedek, 1954, sulle rivolte indiane) non saranno
mai lodati abbastanza per aver cercato di spegnere come si deve le lune
dei luna park (di finti politici, finti artisti, finti clown) di fine
Ottocento… avevano compreso, forse, che qualunque ordine sociale è
nefasto e va combattuto, a principiare dai linguaggi multimediali sui
quali ogni potere fonda i propri deliri. Le ideologie, come le merci,
sono il sottoprodotto, usando un'espressione un po' volgare, delle
puttanate messianiche o dei mercati globali… sono loro che forniscono il
pasto quotidiano alle iene di Wall Street.
La La Land è un'accozzaglia di citazioni, molto
malamente ricostruite, dei musical americani degli anni Cinquanta e
Sessanta… il titolo sembra riferirsi alla città di Los Angeles (il mondo dei sogni o fuori dalla realtà)…
ma il film di Chazelle è tutt'altro che fuori dalla realtà e dai sogni…
è una confezione (nemmeno pregiata) della macchina/cinema hollywoodiana
che prefigura una vita di successo per tutti gli sfigati di ogni forma
d'arte… un'idea di felicità possibile che solo nella città degli angeli di celluloide
può diventare vera… ma al cinema e dappertutto il servo respira e si
emancipa soltanto alla morte del padrone, sempre. Nulla è più sospetto
della gioia mercantile… la rassegnazione e la stanchezza collettiva
determinano un universo di carogne soddisfatte… un cinema senza banalità
sarebbe altrettanto noioso di un parlamento senza stupidi.
In La La Land la storia d'amore fra un musicista
jazz (Ryan Gosling) e un'aspirante attrice (Emma Stone) va avanti per
128 interminabili minuti… il falso arrabbiato (Gosling) e la vispa
Teresa (Stone) si trovano, si amano, si lasciano e infine si ritrovano…
lei è una star internazionale, lui gestisce un locale jazz di prestigio…
si amano ancora, certo, ma ormai lei è sposata con una mummia e ha una
bambina… vive in un castello e lui continua a suonare il jazz che ha
sempre voluto… finisce il film e finisce l'incanto… l'imbecillità non è
solo il palcoscenico della bassa creatività e il successo è una droga
che contamina spiriti predisposti a conformismi illuminati, e chi vi si
dedica in bella gloria è un demente in potenza.
Ryan Gosling recita molta parte del film con le mani in
tasca (ma non è Jean Gabin) e saltella alla meno peggio qua e là facendo
finta di essere Fred Astaire o Gene Kelly… la Stone sgrana gli occhi da
rana e canticchia senza avere l'erotismo sottile di Cyd Charisse o la
freschezza ingenua di Leslie Caron… non si capisce proprio come abbia
meritato la Coppa Volpi per la miglior interprete alla Mostra
internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2016) e l'Oscar come miglior attrice protagonista (2017)… lo stupore si allarga (ma non troppo) agli Oscar
per Damien Chazelle (miglior regista), Linus Sandgren (fotografia),
David Wasco (scenografia), Justin Hurwitz (colonna sonora), City of Stars (canzone originale)… La La Land
dunque sembra essere una sommatoria non tanto di idee singolari, quanto
di ossessioni che riportano alla celebrazione del musical… peccato che
l'intero impianto narrativo/musicale non riesca ad esprimere né
l'eleganza innata di Cappello a cilindro (1935), né l'energia epica di Cantando sotto la pioggia (1952), né tantomeno le coreografie coraggiose di West Side Story (1961), che in apertura La La Land cerca di rievocare… non sono gli Oscar
che fanno i film, spesso sotto le luci del consenso si nasconde un
mondo di desolazione (del quale non ci interessa ora entrare nei
particolari).
La regia di Chazelle è incolore quanto appariscente… il
piano sequenza iniziale è piuttosto brutto, squinternato, e i ballerini
si sforzano di attanagliare l'interesse del pubblico meno avvezzo o un
po' distratto all'impalcatura filmica… come è d'uso nel cinema
americano, bianchi, neri e latinoamericani sgambettano nel pezzo
musicale (mancano gli omosessuali o le lesbiche o, forse, ci sono
sfuggiti in tanta panacea figurativa?)… dei musicisti neri sono infilati
nel retro di un camion (?!)… Gosling e la Stone si sfiorano… quando
ballano in una magica notte disneyana si resta sconcertati di tanta
benevolenza espressiva… lei svolazza tra le braccia di lui con le stelle
attorno e la sorregge come una balla di farina… il balletto è così
costruito, meccanico, che neanche loro sembrano credere di interpretare
il Principe e Cenerentola… la storiella continua… gradevole, malgrado la
rigidità attoriale di Gosling e la fragilità caratteriale della Stone…
Chazelle sembra non sapere che la cinecromia (la composizione delle
immagini-movimento, diceva Deleuze) introduce a uno stato sublime di
discordanza e strappa a noi stessi l'immaginazione dal vero, la spinge
verso il limite o il confine tra il sogno e la realtà, che esce dai suoi
cardini e non teme né passato né futuro, solo la differenza che
illumina un'opera d'arte e diventa storia.
La fotografia di Sandgren (straordinario direttore della fotografia in Promised Land,
2012, di Gus Van Sant) è a dir poco tronfia di colori, specie nei
numeri ballati, e completamente anonima negli esterni… il montaggio di
Tom Cross è quello tipico delle serie televisive (che rincitrulliscono
intere generazioni e li educano a un linguaggio tutto immerso nello spettacolare integrato
dominante) e bene si accorpa con l'idiozia delle scenografie di Wasco,
che confonde Gosling con la genialità di Gene Kelly - nemmeno la notte,
la luna e il lampione gli vengono bene… per filmare il Sogno, bisogna
avere dei Sogni… il Meraviglioso sta da un'altra parte, quella opposta
allo scaffale del centro commerciale (o del salotto borghese o
proletario con pretese di comprendere l'arte che invece ingoia merda) al
quale è destinato La La Land.
Il cinema insegna i modi di vivere e di pensare (qualche
volta anche di rivoltarsi contro le morali ammesse)… afferma la vita o
la tradisce… quando un film degenera nel mercantile cede il posto alla
sottomissione… quando un film è critico dei valori stabiliti si
trasforma - si trascolora - in creatore di nuovi valori e di nuove
valutazioni dell'esistenza… anche un musical può parlare di utopia o di
valori superiori, come Brigadoon (1954) di Vincente Minnelli (che
non era certo un rivoluzionario)… qui le danze di Gene Kelly e Cyd
Charisse inventano prospettive che parlano attraverso la poesia, la
sensualità dei corpi in amore, e anche se per un solo giorno ogni
cent'anni la favola di un mondo nuovo compare e la realtà è
peggiore della favola, si sceglie la favola. Il grande cinema evoca,
suggerisce, sollecita nel lettore/spettatore emozioni in grado di
permettere la trasmissione e la comunicazione di qualcosa d'altro
dall'affabulazione estetica e accorda all'immagine, alla filosofia,
all'allegoria, la seminagione di un'altra visione del mondo.
La La Land fa parte di quell'ondata di imitatori
senza immaginazione che non vedono la grandezza dell'artista (Busby
Berkeley) e si accodano ai travestimenti del buffone di corte… è un
contenitore di segni (un dispositivo mercatale) che confonde l'inutilità
con la speranza, vale a dire la santificazione senza tormento che eleva
il nulla a idolo, invece d'infrangerlo… sotto un certo taglio
estetico/etico la mitologia hollywoodiana ha prodotto non solo soap
opera o ingannevoli e spregevoli pacchetti-film destinati alla
coprofagia delle masse… al contempo, va detto, ha allevato anche un covo di serpi
che sono passate indenni dalla volgarità, e là dove tutto era possibile
hanno compreso che tutto era permesso… le storie della vita offesa che
hanno diretto, interpretato, fotografato, musicato o montato… sono lì,
sugli schemi degli oppressi, dei battuti, dei vinti, e resteranno a
memoria di chi ha fatto del cinematografo un'arte e dell'arte il
passaggio dalla resistenza alla liberazione dell'immaginario
assoggettato. Una cometa su tutte, Fronte del porto (1954) di
Elia Kazan… Hollywood distrugge Hollywood attraverso la bellezza, la
forza, il coraggio del conflitto che suscita il diritto di avere
diritti… quando un film è signoreggiato dall'intelligenza difende e
ricerca la rivolta attraverso la storia dei suoi disordini (diceva
Albert Camus) e la dismisura, nata dalla rivolta, non può viversi se non
mediante la rivolta.
La mediocrità di La La Land si estende all'intera produzione… le canzoncine di Benj Pasek e Justin Paul, compreso il brano Start a Fire
(scritto da John Stephens, Jason Hurwitz, Marius De Vries e Angelique
Cinelu), sono farmacopee d'ottimismo e s'accompagnano alla
dolcificazione dei sentimenti truccati. I campi lunghi, luci
d'atmosfera, occhi di bue, piani sequenza malfatti… corrispondono
all'esaltazione adolescenziale della felicità certa, e tutto torna a
posto con il The End (l'amore trionfa, anche se solo in uno
sguardo d'intesa, ed è per sempre). Le coreografie da doposcuola si
adattano alla musica consolatoria che inebria tutto il film fino alla
nausea e figurano l'architettura filmica di una cosetta da dimenticare…
Chazelle tenta di citare (le scene all'osservatorio) anche Gioventù bruciata
(1955) di Nicholas Ray, ma Ryan Gosling ed Emma Stone al confronto con
James Dean e Natalie Wood appaiono come attori da filodrammatica… darei
tutti i film del mondo per riprovare l'emozione, la bellezza e la rabbia
di quando vidi James Dean combattere con il coltello in difesa dei
diversi… siamo tutti inseguiti dai nostri film, dai nostri libri e più
ancora dalle cattive compagnie (prima e dopo il '68) che hanno illuminato i migliori anni della nostra vita. Buona visione.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 15 volte marzo 2017
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