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l'apparente paradosso del capitalismo che si rigenera attraverso la distruzione di beni mobili ed immobili, compreso la morte delle persone, tutti considerati alla stessa stregua di merci.
Questa crisi sanitaria dovuta alla pandemia del Corona virus-19 si somma alla grande crisi economica e finanziaria del 2008, dalla quale il capitalismo mondiale non ne era ancora uscito, e che aveva favorito oltremodo quel rimodellamento dei processi produttivi internazionali che aveva visto la nascita della "fabbrica del mondo" nella Cina ed nelle altre aree geografiche ad essa limitrofa del sud est asiatico quali Vietnam e Cambogia.
Contemporaneammente alcune economie nazionali
nel vecchio continente, quali la nostra, hanno visto, dal 2008 e fino
alla attuale crisi del coronavirus, uno sviluppo delle esportazioni
che hanno garantito il non collasso del nostro sistema produttivo pur
in presenza di migliaia di piccole e medie aziende (PMI) che
chiudevano, scalzate e sostituite dalle lavorazioni a basso valore
aggiunto cinesi, ma sostituite da aziende medie e grandi che si sono
collocate nell'ambito dell'esportazioni.
Prima della crisi da corana virus, un terzo
dei nostri prodotti venivano esportati. I nostri mercati principali
erano e sono ad Ovest ovvero Francia, Germania ed Usa.
Non esportiamo molto in Cina (circa il 3%) ma
vendiamo ai tedeschi componenti che vanno a formare le vetture vendute
a Pechino e Shangai; tutto il settore dell'automotive, presente nel
nostro
Nord Est in particolare già in forte calo ed in crisi dal 2017 /2018 oggi è sostanzialmente fermo.
Stefano Manzocchi del Centro Studi
Confindustria, nell'ultimo rapporto presentato il 31 marzo 2020 a
proposito di questa ennesima frenata produttiva dovuta alla pandemia
affferma: "Si rischiano di perdere oltre 50 miliardi del nostro export"
La tesi prevalente del padronato, a cui in
questi giorni ha dato voce e volto Romano Prodi, ex presidente del
Consiglio ed ex Presidente della Commisssione Europea, è quella che
questa ennessima crisi allenterà e ridurrà le cosidette catene globali
di valore (CGV) quelle che in questi anni hanno e sviluppato e favorito
la nascita dei famosi corridoi della logistica e dovrà essere
maggiormente favorito un commercio internazionale per singole aree
economiche, cioè ASIA , Europa, ed USA.
La previsione ma soprattutto l'auspicio è
quella che queste diverse aree economiche dovrebbero cercare una sorta
di autossufficienza non delegando più ai Paesi asiatici la produzione
ad esempio dei principi attivi farmaceutici o della famigerate
mascherine e nemmeno delegare ai soli USA la produzione di ventilatori
per la respirazione nelle terapie intensive.
Uno scenario di questa natura presuppone una
politica industriale coordinata, un "reshoring" (un rientro delle
produzioni delocalizzate) diretto verso zone dell'Europa con salari e
stipendi ragionevoli e la possibilità di generare, almeno nel campo
delle infrastrutture della sanità e del digitale, una domanda europea.
A fronte di questi auspici, Fedele De Novellis "economista partner" di Ref Ricerche, centro studi bocconiano, molto più prosaicamente afferma : "Bisognerà
vedere con quale tempo i divesi Paesi e le diverse aree usciranno da
questa crisi. Per il settore farmaceutico e l'alimentare è molto
probabile che si vada ad una regionalizzazione degli scambi nelle areee
Asiatica, Usa e Europa, ma per la grande fame di domanda che ci sarà
nessuno vorrà allontanarsi dalle grandi catene del valore " per paura di perdere posizioni.
Come si vede la preoccupazione maggiore del
Padronato, anche in questi tempi di crisi ed emergenza sanitaria è
l'economia, la loro economia, come conferma l'appello lanciato qualche
giorno fa dalle organizzazioni Confindustriali del Nord, che
rappresentando il 45% del Pil italiano, tende a condizionare fortemente
l'esecutivo ad allargare i cordoni delle attività economiche sospese,
affermando che "se le quattro principali regioni del Nord non
riusciranno a ripartire nel breve periodo il Paese rischia di spegnere
definitivamente il proprio motore e ogni giorno che passa rappresenta
un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia".
a fronte la crisi sanitaria ed economica limiti del riformismo nei confronti delle necessità reali delle masse lavoratici
Similmente al padronato ed ai molti "tink
tank" che indirizzano e coadiuano la classe dominante anche le
organizzazioni e le strutture di resistenza del movimento operaio,
ancora esistenti e maggiormente radicate,sviluppano indicazioni e
strategie che a partire dall'emergenza cercano di disegnare una nuova
fase economica e politica successiva alla pandemia.
Dalla convinta adesione del Partito
Democratico alla logica liberista trasformando nel più accanito
sponsor e sostenitore delle privatizzazioni e della deregolamentazione
dei servizi e dello stesso "Welfare State" diventato puro contenitore
di lobby locali, spesso in lotta fra loro, la CGIL è forse una delle
ultime strutture di massa che nella propria elaborazione mantiene
ancora un riferimento ed un afflato riformista.
Proprio per questa mantenuta capacità di
elaborazione e sopratutto per la presenza tuttora radicata nel mondo
del lavoro, la CGIL può condizionare e condiziona anche settori che,
come vedremo, si pongono al suo interno su un terreno di classe e in
opposizione alla maggioranza.
Il documento dal titolo "Dall'emergenza al nuovo modello di sviluppo. Le proposte della CGIL"
rappresenta la summa delle posizioni, potremmo dire, progressiste di
sinistra nel nostro paese ed per questo motivo che lo prendiamo a
riferimento.
L'analisi centrale del doccumento parte dalla
convinzione che un nuovo ciclo economico e sociale internazionale si
stia determinando, che le categorie del liberalismo, con la loro
esaltazione dello Stato minimo e la riduzione dei diritti universali
sia finito; che occorra pertanto una nuova e significativa presenza
dello Stato nell'economia che salvaguardi le condizioni di vita dei
lavortori attraveso un opera di programmazione e di costante
sussidiarità all'iniziativa economica privata.
E' questa la vecchia e logora logica del patto dei
produttori di staliniana memoria ed ancor prima di socialdemocratica
memoria la quale diversamente declinata rimane sempre comunque
l'orizzonte di riferimento anche di settori della sinistra sindacale.
Esponenti di tale area, senza alcun imbarazzo
e senza alcun autocritica rispetto ad obiettivi e strategie già
percorse nei cicli economici precedenti dove seppur la presenza
pubblica fosse stata ampia e larga, (si pensi alle cosidette
partecipazioni statali e al suo Ministero di riferimento soppresso solo
nel 1993 o tutta l'elaborazione sulle riforme di struttuura del PCI e
del movimento sindacale a cavallo degli anni '60/'70 del secolo scorso)
non ha impedito lo sviluppo di situazioni di crisi economica e
sociale gravissima, affermano che:
"E’ necessario reimpiantare un settore
industriale e manifatturiero autoctono, che non sia il pulviscolo delle
microaziende. Piccolo (piccolissimo) non è bello. C’è bisogno dello
Stato imprenditore. Ma anche Regione e sistema delle autonomie locali
debbono svolgere un ruolo decisivo. Bisogna allargare il perimetro
pubblico..... La sfida di una nuova Iri, per una Regione come la
Toscana che non si è mai veramente ripresa dalla svendita del sistema
industriale a partecipazione statale, è una sfida decisiva....Occorre
dotarsi di una Agenzia regionale per lo sviluppo che, non solo
attraverso un sostegno di tipo finanziario ma raggruppando le
partecipazioni ancora detenute da Regione e Comuni in vari settori -
non ultimo nelle infrastrutture e nella logistica – agisca come vero e
proprio soggetto imprenditoriale. .." (1)
A questa vecchia logica per altro
dimostratasi sciagurata e perdente si associa l'ulteriore fallace
convincimento che occorra, come classe dei lavoratori, farsi carico non
solo degli interessi della sua parte, ma dell'intero Paese per una
presunta incapacità storica di porsi come classe dirigente da parte
della classe imprenditoriale nazionale. (2) Entrando nel merito del
documento della CGIL leggiamo:
"Siamo ad un bivio della storia del nostro
paese. .... Infatti, proprio l’emergenza sanitaria, la transizione
ecologica e digitale pongono concretamente l’esigenza di un superamento
dell’attuale modello di sviluppo fondato solo sull’espansione
quantitativa delle merci, sulla produzione e sul consumo di beni
prevalentemente individuali, sulla convinzione che la natura sia una
risorsa pressoché inesauribile.........Per fare ciò serve un nuovo
protagonismo di uno Stato che, non solo in questa fase straordinaria,
non può svolgere semplicemente il ruolo di regolatore del «traffico» economico.
Deve ergersi ad attore primario, dotarsi di strumenti come l’Agenzia
per lo Sviluppo, una nuova IRI, che consentano di ricostruire le
filiere produttive indicando le priorità e determinando le necessarie
sinergie con il sistema della ricerca e il sistema produttivo.
Questo rinnovato ruolo pubblico non deve riguardare solo le politiche nazionali ma anche quelle europee. È l’ultima chiamata per l’Unione Europea. O ci sono risposte all’altezza della situazione
o non c’è Europa.Non è consentito alzare la bandiera dell’austerità, non sono consentiti
balbettii, ambiguità o vecchie ricette.
Questo rinnovato ruolo pubblico non deve riguardare solo le politiche nazionali ma anche quelle europee. È l’ultima chiamata per l’Unione Europea. O ci sono risposte all’altezza della situazione
o non c’è Europa.Non è consentito alzare la bandiera dell’austerità, non sono consentiti
balbettii, ambiguità o vecchie ricette.
È necessario affrontare con estrema forza e
rapidità la situazione economica e sociale: occorrono strumenti
finanziari come gli eurobond, quale condivisione dei rischi;
mutualizzazione del debito, investimenti e nessuna condizionalità e
cancellazione del Fiscal Compact.
Occorre essere tutti sulla stessa linea
di partenza: regole omogenee sul versante fiscale, rafforzamento del
bilancio europeo con imposizione propria, investimenti in welfare e
politiche industriali comuni." (3)
E' fin troppo evidente in queste poche righe
riportate dal più ampio documento la funzione e la natura duale del
sindacato riformista, che da una parte difende gli interessi delle
lavoratrici e dei lavoratori ed è, contemporaneamente, agevolatore
degli interessi del capitale nazionale risolvendosi in strumento
politico di sostegno agli interessi imperialistici della borghesia
nazionale.
Tutto il chiacchiericccio sul rafforzamento
dell'Eurropa con una propria imposizione fiscale e sulla
mutualizzazione del debito è solo un chiacchericcio buono per i comizi
televisivi o domenicali in quanto è la lotta di concorrenza quella che
spinge le diverse borghesie nazionali a "non allontanarsi dalle catene di valore"
come ci ricordava il nosro economista bocconiano e sempre per
l'accanita concorrenza fra le diverse borghesie nazionali che le
strutture padronali non solo del nord ma tutta la struttura nazionale
Confindustria sta facendo una grande presssione per riaprie più
arttività possibile rispetto all'accordo raggiunto nel marzo scorso con
le organizzazioni sindacali ed il governo.(4)
Di estrema attualità ritorna l’indicazione di Franz Mehring: “
Il modo di produzione capitalistico, che è in se stesso
contraddittorio, genera gli Stati moderni e insieme li distrugge.
Accentua al massimo i contrasti nazionali, ma trasforma anche tutte le
nazioni secondo la propria immagine. Sul suo terreno questo contrasto è
insolubile e per causa sua sempre ha fatto fallimento la fratellanza
dei popoli tanto proclamata e decantata dalla rivoluzione borghese.
Mentre predicava libertà e pace fra le nazioni, la grande industria faceva di questo mondo un campo di battaglia quale nessun periodo precedente della storia aveva mai visto” (5)
Mentre predicava libertà e pace fra le nazioni, la grande industria faceva di questo mondo un campo di battaglia quale nessun periodo precedente della storia aveva mai visto” (5)
rilanciare la prassi dell'azione
diretta come strumento di lotta collettiva e strumento propeudetico ad
un nuovo modello di sviluppo
Tale chiarezza di analisi oggi purtroppo è
venuta meno, e come abbiamo visto anche nel dibattito e nelle posizioni
di compagni e compagne sensibili e vicine alle sorti delle classi
lavoratrici e alla sua prospettiva di affrancamento, verifichiamo che
c'è chi invoca la necessità di aumenti di competitività e di
produttività, poiché il "piccolo non sarebbe bello" e di un
rilancio del ruolo programmatore e di indirizzo degli Stati, producendo
merci con più valore aggiunto e prospettando, all’interno della
competizione globale, una nuova accumulazione fondata sempre più su una
’”economia verde” se non addirittura chi
privilegia un ritorno ad economie più piccole, locali, autocentrate,
non energeticamente onnivore, rispettose degli equilibri ecologici.
A questi compagni e compagne vogliamo
ricordare che le economie locali per potere essere una reale
prospettiva di alternativa globale e non rimanere economie di nicchia, o
splendide avventure personali per chi le pratica, devono rispondere ai
bisogni reali non solo delle comunità, ma porsi immediatamente come
modello universale di sviluppo.
Reclamare la “filiera corta”per gli
ortaggi può essere cosa giusta e praticabile, ma altra cosa è
garantire un livello standard e universale sui servizi, come
l’istruzione, la previdenza, la sanità, la stessa mobilità, che
rappresentando appunto diritti universali hanno necessità di essere
coniugati globalmente, a meno di non ricadere in una versione
edulcorata di sinistra della visione xenofoba e razzista leghista dell’“ognuno è padrone a casa sua”.
Inoltre senza affrontare la questione di quale struttura economica e sociale possa contenere la cosiddetta “filiera corta” o quella cosi detta a “Km.0 “,
senza pensare cioè di incidere sul meccanismo di accumulazione del
profitto, anzi prospettando, come abbiamo visto possibili alleanze con
presunti ceti imprenditoriali illuminati, (il vecchio e logoro patto
fra produttori) si possono anche produrre merci ecologiche e meno
invasive dal punto di vista energetico ed ecologico, ma la
contraddizione tipica della sovrapproduzione di merci, e dello sviluppo
diseguale si ripresenterebbe in egual misura.
Ci sarà sempre un paese, una realtà
territoriale che ha meno capacità produttive di altre; una classe
operaia e masse lavoratici con più o meno diritti garantiti.
Il caos della produzione capitalistica, la
ineluttabilità del meccanismo economico e del profitto aziendale,
riprodurrebbe inevita- bilmente lotta di concorrenza, impoverimento di
settori proletari, sovrapproduzione di merci, crisi economica e
sociale.
merci con più valore aggiunto o un maggior conflitto di classe ?
Non a caso agli albori della nascita del
movimento operaio organizzato l’Internazionalismo fu individuato come
condizione necessaria per una battaglia di affrancamento dal giogo
capitalista.
Se il padronato, così come il Governo ha a sua disposizione una massa di lavoratori che accetta di lavorare a ritmi maggiori, di lavorare più a lungo, aumentando gli orari giornalieri, una classe operaia frantumata e ricattata che accetta di lavorare il sabato o le notti aumentando in questo modo la produttività ed il valore aggiunto delle merci, perché innovare ed investire?
Se il padronato, così come il Governo ha a sua disposizione una massa di lavoratori che accetta di lavorare a ritmi maggiori, di lavorare più a lungo, aumentando gli orari giornalieri, una classe operaia frantumata e ricattata che accetta di lavorare il sabato o le notti aumentando in questo modo la produttività ed il valore aggiunto delle merci, perché innovare ed investire?
Se una nuova generazione di giovani ha oramai
acquisito l’ineluttabilità di una prospettiva lavorativa precaria e
sempre più incerta, per quale motivo si dovrebbe spendere quantità
enormi di soldi per la formazione, per la ricerca di base o per la
razionalizzazione dei processi produttivi?
Il determinismo economico della guerra commerciale e del mercato, non giustifi- cherebbe nessun investimento.
Il determinismo economico della guerra commerciale e del mercato, non giustifi- cherebbe nessun investimento.
Dove si hanno lavoratori deboli ci sono merci con minore valore aggiunto.
Può sembrare un paradosso, ma è il livello della lotta di classe che impone e obbliga a scelte più impegnative dal punto di vista degli investimenti e della razionalizzazione dei processi produttivi.
Può sembrare un paradosso, ma è il livello della lotta di classe che impone e obbliga a scelte più impegnative dal punto di vista degli investimenti e della razionalizzazione dei processi produttivi.
Aumentare la produttività o il valore
aggiunto, come anche una certa sinistra politica e sindacale afferma, è
impensabile se al contempo non si tengono fermi i diritti, le
condizioni normative e salariali dei lavoratori. Se la borghesia ha a
disposizione una massa lavoratrice debole e ricattata, nessun
investimento è necessario e possibile. Solo se la lotta di classe ed il
conflitto obbligheranno i padroni ad investire ed a razionalizzazione i
processi produttivi, l’aumento del valore aggiunto potrà non
significare peggiori condizioni occupazionali, normative e salariali.
Maggiore è il conflitto di classe, e maggiori
dovranno essere gli investimenti affinché le merci possano avere più
valore aggiunto. Ciò significa mantenere fermi i diritti acquisiti,
rivendicare sempre più una quota di quel valore aggiunto a favore dei
produttori e delle nuove generazioni, distogliere quote di denaro dalle
rendite verso i servizi .
Significa avere una politica di parte. Significa svolgere quella funzione "istituzionale"
delle strutture sindacali e politiche che si rifanno al movimento
operaio e che dovrebbe essere quella di garantire e sostenere sempre
migliori condizioni lavorative e salariali dei lavoratori.
Nessuna politica di alleanza interclassista, di solidarietà o responsabilità nazionale può essere un buon viatico per le sorti e le condizione delle classi meno abbienti.
Nessuna politica di alleanza interclassista, di solidarietà o responsabilità nazionale può essere un buon viatico per le sorti e le condizione delle classi meno abbienti.
In coclusione prima di un presunto“che fare” diventa
prioritario chiedersi quale blocco sociale vogliamo rappresentare.
Quali interessi e diritti vogliamo tutelare. Se vogliamo rappresentare e
tutelare gli interessi di una nazione, di un continente (l’Unione Europea piuttosto che gli USA o la Cina) con
tutta la sua articolazione finanziaria economica e sociale, di gruppi
industriali più o meno nazionali, o se ci interessa tutelare realmente
gli interessi dei lavoratori, di tutti i lavoratori.
Occorre in sostanza avere rapporti di forza
favorevoli alle masse lavoratrici. Occorre avere una classe operaia ed
una massa di salariati non frustrati e ricattati dalle condizioni
economiche e sociali di miseria in cui vivono.
riprendere la battaglia salariale per la riduzione d'orario a parità di paga
Per far questo occorre che la lotta economica sia vincente.
Per vincere occorre avere una capacità non
locale ma nazionale, persino continentale di mettere al centro
questioni di redistribuzione del reddito e di stornare quote crescenti
di denaro dalla rendita e dal profitto verso i salari.
Occorre cercare di interrompere il
determinismo economico dell’attuale sistema economico e sociale.
Ripensare ad una stagione centralizzata di lotte e di azione diretta
che ridia speranza e dignità alle classi lavoratrici e speranza nel
futuro alle nuove generazioni.
Individuare terreni su cui tutta la capacità
organizzativa del movimento operaio può autonomamente svilupparsi e
vincere, dimostrando non solo una concreta possibilità di cambiamento,
ma una completa alterità di modello economico e sociale.
L’organizzazione operaia, ed intendiamo con
tale espressione tutte le strutture sindacali e politiche che si
richiamano al movimento operaio, con tutti i suoi naturali alleati,
giovani, donne, compreso parte delle classi intermedie, oggi sempre più
in fase di pauperizzazione, in questo periodi infausto per i meno
abbienti e per i lavoratori, organizzi, per esempio, a livello
nazionale (basterebbe in tre o quattro grandi centri metropolitani) spacci alimentari, ambulatori
medici gratuiti, da collocare nei territori, usando le Case del
Popolo, le sedi sindacali, sedi politiche in cui si dispensino cure di
base gratuite.
Imponga, con la costituzione di organismi di
quartiere nei centri cittadini, il recupero degli alloggi sfitti contro
gli sfratti ed impedisca, con la controinformazione, presidi ed
occupazioni non violente e costanti dei terreni, la nuova costruzione
di periferie degradate o vere e proprie speculazioni edilizie che
rimangono vuote per anni, fino a che non venga ripristinato e
bonificato tutto ciò che è già costruito.
Mobiliti forza umana e intelligenza con
brigate volontarie per la ricostruzione di quei territori degradati o
per esempio alluvionati, adottando e ripristinando piazze e strade.
Crei e sviluppi nei servizi, negli enti
locali, organismi di controllo e di vigilanza dei lavoratori contro gli
sprechi ed il male affare.
Organizzi nel mondo del lavoro tutto, senza
aspettare una legge di rappresentanza, la propria rappresentanza in
modo capillare; organizzi autonomamente i referendum consultivi sulle
piattaforme contrattuali.
Solo in questo modo sarà possibile
determinare rapporti di forza favorevoli e conseguentemente sarà forse
anche possibile anche una legge sulla rappresentanza sindacale che non
sia escludente delle organizzazioni sindacali e dei compagni e compagne
più radicali e che come tutte le leggi cristallizza fenomeni già in
atto.
Con una prassi di questo genere sarebbe
possibile affrontare anche le più circoscritte e complicate crisi
aziendali o i presunti fallimenti e/o delocalizzazioni di attività
produttive che all'indomani di questa ennesima crisi sanitaria ed
economica si ripresenteranno.
Sarebbe infatti possibile ipotizzare
occupazioni ed autogestioni di intere filiere produttive,
riposizionando e ristrutturando le stesse capacità produttive di questi
siti industriali ai fini di una tale attività pubblica.
Ma una tale strategia seppure necessaria non
sarebbe sufficiente a modificare i rapporti di forza fra lavoratori e
padronato, unico fattore concreto per una possibile ripresa e
miglioramento delle proprie condizioni materiali di vita.
Occorre una robusta e decisa ripresa della
battaglia salariale rivendicando al contempo un'altrettanta robusta
riduzione d'orario a parità di paga.
Nel documento che abbiamo preso come
riferimento a questa nostra discussione un tale obiettivo è
fortunatamente indicato così come la riduzione a parità di paga è stata
ribadita anche nelle ultime scelte congressuali.
Ma dalla pur dichiarazione cartacea non si
imposta mai, proprio per quella contraddittorietà di ruolo indicata
negli organismi sindacali, una concreta battaglia a livello nazionale
perdendo, oltre che i diritti acquisiti e peggiorando le condizioni
sociali dei lavoratori, il possibile e necessario aggancio con le nuove
generazioni costrette invece a lavori precari, saltuari se non andare
all'estero in una sorta di nuova silenziosa emigrazione rendendo fra
le altre impossibile e vano il necessario ricambio generazionale anche
nelle strutture politiche sindacali.
Nei settori produttivi tutti, sarebbe
necessario riprendere la discussione timidamente avviata a seguito
dell'ipotesi del salario minimo garantito, sulla riduzione di quei 800 e
più contratti registrati al CNEL, la maggior parte "contratti pirata"
che possono avere voci salariali inferiori anche del 20% con un
differenziale retributivo annuo che può variare dalle 2000 euro alle
3500 euro; una variazione salariale di due o tre mensilità. (6)
Una neccessità quindi di limitare le
differenze salariali quanto meno nelle filiere produttive omogenee
ricorrendo anche a robuste rinternalizzazioni di lavoratori oggi
precari e sottopagati come il settore delle cooperative nei servizi
all'industria o bloccando le finte cessioni di ramo d'azienda, utili
esclusivamente a dividere e diversificare le condizioni normative e
salariali dei lavoratori.
Infine se questa pandemia ha esplicitato un
dato è la necessità di avere una sanità pubblica ed efficiente alla
quale non è più pensabile ridurre le risorse a favore di strutture
private convenzionate.
Prima che tutta la retorica sugli "angeli"
del nostro personale sanitario, dei nostri infermieri e dei nostri
medici, che pure hanno subito avvenimenti pesanti e luttuosi con
centinaia di morti, si spenga occorre una riflessione autocritica da
parte della CGIL sul welfare aziendale e sul suo ampio sviluppo nella
contrattazione non solo territoriale ma di intere categorie come, per
esempio, quella dei meccanici.
Non è più pensabile dopo il corona virus
pensare di dare soldi, per altro defiscalizzate da parte dei padroni,
alle strutture privater attraverso il welfar aziendale.
Occorre che tutte questi soldi e queste cifre
fatte di benefit anche non esclusivamente sanitari, come i buoni
benzina per passare alle cure termali, siano rinserite nelle paghe
base in modo tale da pesare e contribuire alla future pensioni, così
come nel settore specifico sanitario occorre una forte battaglia
politica e sindacale per nuove assunzioni, nuove aperture di presidi
sanitari territoriali, nuovi medici eliminando il numero chiuso alle
facolta universitarie.
(1) La Toscana dopo il coronavirus - di Maurizio Brotini "Sinistra Sindacale" Lavoro Società Sinistra Sindacale Confederale – n 5 del 16 Marzo 2020
(2) Tale prospettiva ben rappresentata negli ultimi anni del Partito Comunista Italiano dalla corrente cosidetta dei "miglioristi"
che rappresentavano la destra del partito. Essi erano gli eredi delle
posizioni di Giorgio Amendola il quale era orientato verso una forma
di socialismo democratico e riformista. Non condividevano la politica
sovietica, contrastavano i movimenti di estrema sinistra, e anche le
correnti più movimentiste del partito.I miglioristi erano radicati
nell'apparato del partito e nella gestione delle cooperative rosse.
Furono gli interlocutori privilegiati del Psi di Craxi e del PSDI. Tra
gli esponenti di spicco, risultano l'ex Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano, Nilde Lotti, Napoleone Colajanni ed altri nomi
illustri che hanno fatto la storia del partito.
(3) "Dall'emergenza al nuovo modello di sviluppo. Le proposte della CGIL" Aprile 2020
(4) per una ulteriore riflesssione sul polo
imperialistico europeo cfr. La voce del Padrone "Socialismo o barbarie"
. Foglio aperiodico sez Livorno Lucca di
AlternativaLivertaria/FdCA - Marzo 2020
(5) “Vita di Marx. Una biografia rivoluzionaria" Franz Mehring Shake edizioni
(6) Cfr Rivista An° 437 Ottobre 2019 Salario minimo orario e lotta di classe. Cristiano Valente.
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