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mercoledì 18 marzo 2015

UNA STORIA QUASI DIMENTICATA

DA http://opinionefranchi.blogspot.it/2015/03/una-storia-quasi-dimenticata.html RINGRAZIANDO L'AUTORE GIORGIO PASSATORE FRANCHI CONSIDERAZIONE PRELIMINARE È innegabile che negli ultimi 15 anni il movimento anarchico nel suo complesso abbia avviato una colossale operazione di recupero della propria memorialistica consentendo anche agli esterni al movimento la fruizione di opere oggettivamente molto ben documentate. Purtroppo la maggior parte di queste opere storiche riguardano il periodo antecedente il fascismo, mentre ancora poco è stato scritto, soprattutto in chiave critica, del periodo successivo al 1945 fino ad oggi. Molto probabilmente la dinamica è spiegabile con il fatto che quest'ultimo lasso di tempo sia ancora vissuto come cronaca e non come evento puramente storico: le dinamiche innescatesi a partire dal 1945 ancora oggi presentano strascichi nell'attualità tanto in termini organizzativi, quanto teorici e pratici. Molti militanti dell'ultima generazione hanno presente chi era Bakunin, Malatesta, conoscono su per giù il fenomeno dell'antifascismo militante che va dagli Ardititi del Popolo alla lotta partigiana, ma poco o nulla sanno delle distinzioni in essere nel movimento anarchico, da dove vengono e in cosa consistono se eccettuiamo una serie di considerazioni preconfezionate che vengono passate come un testimone di generazione in generazione. La mancata metabolizzazione di questo periodo ha chiaramente risvolti nefasti che all'oggi si traducono in immotivati atteggiamenti di ostilità o diffidenza che indeboliscono il movimento complesso; la puerilità politica purtroppo è una malattia cronica del movimento che ci condannerà per sempre alla marginalità. Per uscire dall'angolo occorrerebbe un altro sforzo titanico di recupero, studio e critica di quel periodo poiché solo dando la possibilità al militante di riannodare i fili fra il passato remoto ed il presente sarà possibile guardare avanti. I FIGLI DELL'OFFICINA Come dicevo sopra un giovane militante sa bene cos'è la F.A.I., sa chi era Malatesta, chi era Emilio Canzi, ma se gli chiedi chi erano Gruppi Anarchici d'Azione Proletaria molto probabilmente farà spallucce: è una parentesi della storia anarchica contemporanea volutamente rimossa, magari anche in buona fede, ma comunque un'anomalia che doveva e deve essere sanata. Un primo passo in questa direzione è stata fatta dal Centro di Documentazione Franco Salomone che ha editato questa bellissima ricerca di Guido Barroero. Mi piace pensare a questo libro non come una ricerca ultimativa sul fenomeno G.A.A.P., bensì come un primo passo verso studi più approfonditi al riguardo e che attualmente non possibili a causa della scarsa fruizione delle carte di polizia che potrebbero far luce su connessioni e dinamiche interne ed esterne ai G.A.A.P. ancora poco chiare; non a caso la maggior parte del libro è occupato dagli articoli de “L'Impulso”, loro organo di stampa fino al 1957 anno dello scioglimento, che permettono una buona definizione dell'impianto teorico della prima formazione distintamente “piattaformista” di lingua italiana. Una storia tutt'altro che marginale in quanto sintomo di uno scontro generazionale fra gli anziani in massima parte arroccati su posizioni rinunciatarie o in taluni casi “resistenzialiste” (termine usate ne “L'Impulso” per definire le posizioni di Volontà allora un guazzabuglio fra posizioni anti-organizzatrici, di testimonianza e in taluni casi con esternazioni al limite dell'anarco-capitalismo n.d.a.), dall'altra i giovani di cui molti reduci dalla guerra partigiana che invece volevano un taglio politico netto e ben distinto. Tale posizione fu stigmatizzata così violentemente dai vecchi che al congresso F.A.I. di Ancona del 1949 i G.A.A.P. furono semplicemente espulsi. I G.A.A.P. furono considerati come una malattia, ma in realtà erano il sintomo di un malessere che covava già dall'immediato dopoguerra quando nel giro di pochi anni il movimento perse non decine, non centinaia, bensì migliaia di militanti stufi e frustrati dall'attendismo e dalle posizioni rinunciatarie dei vecchi saccenti molti dei quali vissero come esuli politici durante il periodo fascista: non a caso il fulcro ideologico di tale posizione era identificabile nel “gruppo americano” facente capo a “L'Adunatadei Refrattari” con in testa quell'Armando Borghi che nel secondo dopoguerra causò più danni che altro al movimento. Danni talmente rilevanti che portarono nella prima metà degli anni '70, quando Borghi era già deceduto fisicamente ma non in spirito, alla seconda ondata epurativa nella F.A.I. con il dimezzamento dell'organizzazione (i G.A.A.P. al contrario erano abbastanza territorializzati con presenza soprattutto in Liguria, Toscana e Lazio n.d.a.). Crisi che all'oggi evidentemente non è ancora stata superata. Se è vero che i G.A.A.P. cercarono disperatamente di portare un'ondata di rinnovamento nel movimento, è anche vero che non riuscirono mai a sintetizzare realmente la propria identità, continuamente combattuti fra anarchismo classico e posizioni analitiche chiaramente marxiste e senza un reale spazio politico proprio. Questo fu il vero limite di questa singolare esperienza che portò molti militanti di punta a creare quello che oggi è Lotta Comunista, fondata da Arrigo Cervetto una delle menti più vulcaniche dei G.A.A.P.: basta leggere le famose Tesi di Pontedecimo del 1951 per capire la profondità di questo operaio autodidatta. I G.A.A.P. non avrebbero senso di esistere oggi considerando che il “piattaformismo”, al contrario dell'anarchismo di sintesi, ha approntato nelle ultime decadi più di una revisione tattica e strategica pur mantenendo fede ai 4 punti chiave della Piattaforma Organizzativa dell'Unione Generale degli Anarchici oggi portati avanti da Alternativa Libertaria / Federazione dei Comunisti Anarchici (tutt'ora viva e vegeta alla faccia dei gufi e di coloro che vivono ancora il phatos “resistenzialista” con stoica abnegazione n.d.a.).

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