ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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per giulio

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lunedì 20 marzo 2017


LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE
(Mel Gibson, 2016)
di Pino Bertelli


Posso credere soltanto a degli dèi morti,
angeli banditi dalle ali infrante,
vergini di legno dipinto che si scrostano,
e cristi in pietra a cui le intemperie hanno cancellato
i lineamenti alle porte delle chiese.
(Jean-Michel Maulpoix)

La battaglia di Hacksaw Ridge (Hacksaw Ridge) di Mel Gibson è un'operazione commerciale furba… molto furba… racconta la vera storia di Desmond T. Doss (con molta audacia cartolinesca), primo obiettore di coscienza a ricevere la medaglia d'onore del Congresso degli Stati Uniti (la più alta onorificenza militare statunitense). Delle vicende biografiche di Doss si sono occupati riviste, fumetti, libri e ora il film di Gibson… si tratta di un ragazzo della Virginia, cresciuto secondo la fede della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno (un movimento religioso, vegetariano, che osserva il riposo del sabato e prega la seconda venuta di Gesù Cristo), che, dopo l'attacco dei giapponesi alla base militare di Pearl Harbor (7 dicembre 1941, ore 7:58), va volontario sotto le armi (spinto dalla forza in Dio e dal Patriottismo, che come sappiamo è l'ultimo rifugio delle carogne con o senza divisa). Però non vuole impugnare il fucile, ma aiutare i feriti sul campo… viene imprigionato e subisce un processo per vigliaccheria, ma il tribunale gli dà ragione (con la mediazione di un generale amico del padre, combattente decorato nella Prima guerra mondiale) e lo invia in prima linea come aiuto medico (prima di partire ha una licenza e si sposa)… riesce a salvare 75 soldati durante la battaglia di Okinawa, nel giugno 1945, e sarà coperto di medaglie (Bronze Star, Purple Heart) e celebrato come un eroe fino alla sua scomparsa (23 marzo 2006).
La battaglia di Hacksaw Ridge è candidato a una messe di premi (Oscar, Critics’ Choice Movie Award, AACTA International Award, Golden Globe Award, BAFTA Award ecc.)… non c'importa niente quanti ne potrà ricevere né c'importa se critica e pubblico si trovano in accordo sull'intrattenimento guerrafondaio e religioso di questo film ampolloso di sangue e spettacolo dispensati con particolare attenzione a corpi bruciati, gambe tagliate, braccia mozzate, teste piene di vermi e topi che pasteggiano con le viscere dei soldati… gli affari sono affari… il box-office conferma il successo e la guerra finta (come quella vera) porta un brivido di piacere al pubblico rincitrullito della civiltà consumerista.
Il film armato di Gibson si attesta sulla confessione in Dio e nel coraggio dei guerrieri in difesa della Patria e della Famiglia… bella roba… porco cane! sempre il medesimo lezzo! ovunque! l'imbecillità dilaga, al cinema e dappertutto! ogni imbecille è fiero di sé! e d'imbecilli sono sempre stati fecondi i governi!… ma è inconcepibile aderire a una religione, a un'ideologia, a una nazione fondate sulla violenza… l'ottimismo, come è noto, è la dottrina dei sudditi, dei servi, degli agonizzanti che confondono il boia col santo, che poi è la medesima cosa… e non comprendono che una piccola cosca di saprofiti produce le guerre e sono i popoli a subirle… disconoscere la guerra significa disconoscere ogni potere che la sostiene… disobbedire, disertare, opporsi ai bastardi della guerra, vuol dire combattere la crudeltà dei potenti e ricacciarli nelle fogne da dove sono usciti. L'obbedienza esiste solo fintantoché dura il consenso, come il re, il papa o un capo di stato finché dura l'estasi. L'obbedienza non è mai stata una virtù!
Il percorso iniziatico di Doss è quello di rispettare i dieci comandamenti (le Tavole della Legge scritte sulla pietra) che Dio dette a Mosè sul monte Sinai (c'è da ridere fino alla fine del mondo!) e, in modo particolare, il quinto: Non uccidere. Il padre di Doss frequenta il cimitero dove sono sepolti i suoi camerati in armi, è sempre ubriaco e bastona i figli e la moglie… così, per educarli ai valori del "sogno americano"… il ragazzo gioca nei boschi e, come si è detto, dopo l'attacco dei giapponesi a Pearl Harbor si arruola… nel campo di addestramento viene ritenuto un po' folle, strano, un pauroso anche… alcuni commilitoni lo picchiano, altri affetti da fede cristiana (come il suo comandante) cercano di comprenderlo… il battaglione finisce a Okinawa. Gibson non ci risparmia la macelleria… ben sostenuta dalla musica e dagli effetti speciali… i gialli sono tanti e attrezzati, gli americani pochi e male armati… non è vero (anzi è tutto il contrario)… come sostengono gli storici non avvezzi a chinare il capo (le perdite degli Stati Uniti, compresi gli alleati di Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda e Australia, furono poco meno di 15.000, quelle dei giapponesi ammontarono a oltre 100.000 uomini, molti dei quali rifiutarono di arrendersi e si uccisero facendo harakiri)1. Dietro un imperatore, un generale o un eroe c'è sempre un demente che si prende sul serio o una mente disturbata… si deve concluderne che esiste un legame fra i responsabili del genocidio e la disgregazione del cervello!
Il volto (piuttosto anonimo e a tratti anche un po' ebete) del buon Desmond T. Doss è quello di Andrew Garfield… che non ha vitalità né capacità espressive tali da sostenere il "calvario" che si è posto… del resto anche nei film precedenti, basti citare The Social Network (2010) di David Fincher o Silence (2016) di Martin Scorsese, compreso Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo (2009) di Terry Gilliam o Leoni per agnelli (2007) di Robert Redford, Garfield non riesce mai a "bucare" il lenzuolo dello schermo… in ogni film dà l'impressione di essere capitato lì quasi per caso… un ruolo vale l'altro, senza mai capire cosa sia l'autoritratto di una coscienza infelice o il suo contrario… è il falsario inconsapevole e involontario di una macchina/cinema che produce i propri miti nel più falso e artificiale dei cieli, quello dello spettacolo. E lo spettacolo, come sappiamo, è il capitale giunto a un tal grado d'accumulazione/riproduzione da divenire immagine del mondo2.
La ribalta dei comprimari de La battaglia di Hacksaw Ridge è fitta di attori abbastanza anonimi o impersonali… Vincent Vaughn, Sam Worthington, Luke Bracey, Ryan Corr sono i commilitoni dal cuore d'oro, ma con un fucile in mano come un vaso da notte restano comunque ai bordi della credibilità… Teresa Palmer, la mogliettina di Doss, sembra appena uscita da una rivista di moda e ha poco a che vedere con l'infermiera tutta acqua e sapone che ci viene propinata dal regista… Hugo Wallace Weaving, il padre di Doss, invece, è il solo interprete di statura del film… è un uomo che non sa cosa vuole e ubbidisce a qualcosa in cui crede o, forse, alla vergogna di avere ucciso e di aver visto i suoi amici uccisi per le ideologie dei signori della guerra. Un disilluso insomma… in conformità alla morale dominante, sempre.
La sceneggiatura di Andrew Knight e Robert Schenkkan è "classica"… prima il dispregio, poi la vicenda narrata con solenne lentezza e quindi la salvezza e la santità militarista… il dovere verso lo Stato è salvo! i morti non contano! gli eroi, come gli stupidi, sono coperti di medaglie e quando va male basta un bel monumento nei giardini pubblici! elevare nuovi idoli è un affare da capi di Stato, il compito degli uomini del no! ad ogni guerra e ad ogni fede monoteista è quello di abbattere gli idoli con i pregiudizi che si portano addosso! La felicità umana si trova solo nelle mucche, diceva, o nel risentimento e nella coscienza rivendicata dell'uomo in rivolta.
La fotografia di Simon Duggan, tutta giocata sui marroni, sui neri e i cieli color cenere… lavora sui registri del sentimentalismo… il naturalismo della prima parte rispolvera il manierismo campagnolo del West (Gibson sembra non sapere che nel West sono passati autori di gesta come John Ford, Don Siegel, Samuel Fuller), per poi approdare nel convenzionalismo militarista e "anonimo" proprio delle saghe o serie televisive che attanagliano per anni l'immaginario collettivo (sovente giovanile) davanti alla scatola televisiva. La musica di Rupert Gregson-Williams è smielata su tutta la catenaria filmica e suscita la litania del falso a profitto della "plebe" lacrimante… anche il montaggio di John Gilbert è parte integrante della baracconata filmica di Gibson… i tempi lunghi delle sequenze di apertura e quelli scorciati delle scene di guerra si fondono in un unico barattolo di pomodori pelati e l'uscita dal cinema aiuta a sentirsi meno stupidi e complici di tante sciocchezze. La seduzione mercantile è una gran brutta cosa e va combattuta col fascino critico - radicale - dell'impossibile e attentando all'idea di sistema globale che contiene.
Infine la regia di Gibson… lo sguardo è quello fascistoide di sempre… se si vuole ancor più struggente di amore in Dio, nella Patria e nello spettacolare… cose che fanno rabbrividire quanti si pongono autenticamente dalla parte delle disuguaglianze sociali e vedono l'urgenza di porvi rimedio… le inquadrature, i tagli, i movimenti di macchina sono elementari e accattivanti… il teatro della guerra, partecipato… tutti sono eroi e tutti sono belli… perfino i comandanti giapponesi che si suicidano mostrano una certa elegia figurativa della distruzione goduta. Il regista australiano non sembra aver studiato i grandi film di guerra, almeno quelli moderni, come Ran (1985) di Kurosawa; Apocalypse Now (1979) di Coppola; Full Metal Jacket (1987) di Kubrick; La sottile linea rossa (1998) di Malick; Platoon (1987) di Stone… e senza avere il coraggio dell'ambiguità nazionalista di Clint Eastwood - in Flags of Our Fathers (2006) o Lettere da Iwo Jima (2009) - ne La battaglia di Hacksaw Ridge assume la maschera del prete o del filosofo conservatore dei valori imposti. Tagliamo corto… il film di Gibson è depositario della medesima idiozia di quella incredibile cazzata di Bastardi senza gloria (2009) di Tarantino… non ne vogliamo mangiare di questo pane… le certezze del fanatismo ci fanno vomitare… il grande cinema non è una religione e nemmeno una pubblicità di saponi o proclami elettorali… non dà risposte, pone domande… indica i sentieri ininterrotti dell'utopia… fa a pezzi l'infelicità della conoscenza dopo averla superata… il cinema hollywoodiano è come la muffa, a frequentarlo a lungo contamina tutto e tutto rovina. La stupidità abita la superficie desolata dello civiltà dello spettacolo e trasferisce la miseria dei potenti nell'attività vergognosa dei sudditi, che è quella di assorbire linguaggi, comportamenti, bisogni che portano laddove l'umanismo della merce ha inghiottito l'intera umanità. Ma niente è perduto… e alle persone sensibili lasciamo in sorte le parole di mia nonna partigiana: «la battaglia contro il pensiero dominante migliora quando si è passati a dare inizio alla sua dissoluzione»… si tratta di cancellare alla radice una morale falsa e sostituirla con un'etica giusta del vivere senza padroni né servi. Tutto qui. Buona visione.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 19 volte febbraio 2017

domenica 19 marzo 2017

L'Europa del capitale, 60 anni di distruzione di diritti e democrazia (Roma 1957 – Roma 2017)

 

































Compie 60 anni il processo di costruzione dell'Unione Europea, iniziato nel 1957 e passato attraverso varie fasi che hanno fatto scempio delle buone intenzioni dei vari movimenti federalisti europei e che oggi alimentano -a destra come in certa sinistra- spinte nazionalitarie e sovraniste che non spostano di un millimetro la questione fondamentale fin dalle origini: il parto tutto capitalistico dello spazio europeo.

Il secondo dopoguerra e gli anni del boom economico
Dopo la 2GM, l'Europa era un territorio desolato, con un bilancio di milioni di morti, città distrutte, miseria generalizzata, forte contestazione sociale, Stati in collasso...
La ricostruzione, finanziata ad est dall'URSS e ad ovest dal Piano Marshall statunitense, comporta però una sorta di riduzione degli Stati europei a protettorati delle due superpotenze.
Gli eventi della fine degli anni '40: inizio della Guerra Fredda nel 1948, la creazione a scopi militari dell'Unione Europea Occidentale sempre nel 1948, la creazione della NATO nel 1949 (e risposta sovietica con il Patto di Varsavia nel 1951) costringono gli Stati europei occidentali in una situazione di debolezza e dipendenza, acuita dalla progressiva perdita dei possedimenti coloniali in Africa ed in Asia e dalla limitatezza dei mercati nazionali di fronte alla concorrenza crescente degli USA, peraltro legittimata dalla nascita dell'OCSE.
Dopo 500 anni l'Europa occidentale non era più il centro del mondo.
Iniziano le pressioni delle élite economiche e finanziarie dell'Europa occidentale sugli Stati di riferimento per affrontare uno scenario di enorme incertezza; Stati che intanto erano diventati (sotto la spinta delle condizioni sociali e delle condizioni geopolitiche) garanti di un nuovo patto tra capitale e lavoro, per gestire il capitalismo keynesiano postbellico.
E' in queste circostanze che nasce il “progetto europeo”, prima con la costituzione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, praticamente la messa in comune di tutta l'industria estrattiva e di base) nel 1951 e poi nel 1957 con la firma del Trattato di Roma, quando sei paesi continentali si dotano di un'Unione Doganale e creano la Comunità Economica Europea (CEE).
Francia, Germania Ovest, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo danno inizio alla creazione di un mercato superstatale con l'obiettivo di potenziare le imprese nazionali, in modo da poter competere nelle migliori condizioni su scala europea e mondiale.
Nel corso degli anni '60 la CEE diventa volano di un'elevata crescita economica con forte base industriale, di un'intensa urbanizzazione con incremento della motorizzazione ed una parallela disarticolazione del mondo rurale tradizionale. Lo sfruttamento della nuova classe operaia permette processi di accumulazione che accrescono le capacità competitive delle imprese della CEE.
Gli anni '70: la crisi del “dominio dolce”
La crisi del sistema monetario disegnato a Bretton Woods (1944), vale a dire la fine della garanzia aurea per il dollaro (1971) acuisce uno scenario di rivalità tra USA e Stati della CEE. Il tentativo di questi ultimi di dotarsi di una moneta unica per la fine degli anni '70 crea una forte crisi con gli USA, risolta con la rinuncia della Francia di Pompidou alla moneta europea in cambio dell'eliminazione del sistema di cambi fissi risalente al 1945 (previsto dagli accordi di Bretton Woods).
Dal 1973, il dollaro entra così a far parte delle altre valute mondiali come il marco e lo yen, ma da una posizione di egemonia.
Le due crisi energetiche del 1973 e 1979 acuiscono la recessione e la paralisi economica interna agli Stati CEE, comprendenti dal 1973 anche UK, Irlanda e Danimarca.
L'elezione di Reagan alla presidenza USA e della Thatcher a primo ministro dell'UK aprono la strada ad un capitalismo sempre più globalizzato, basato sul crescente predominio dei loro mercati finanziari e su una profonda ridefinizione del ruolo dello Stato e del rapporto capitale/lavoro che prenderà il nome di neoliberismo.
Inizia lo smantellamento delle conquiste sociali.
Gli anni '80: la svolta neoliberista
Le imprese europee transnazionali reagiscono.
Riunitesi nella lobby di pressione ERT (European Round Table of Industrialists) ed appoggiate dalle élite finanziarie, spingono Bruxelles affinchè dia inizio ad una svolta liberista anche nella CEE, puntando ad un mercato unico e successivamente ad una moneta unica, quale unico modo per conservarsi e prosperare nel nuovo mondo della globalizzazione produttiva e finanziaria imposta da USA e UK.
La Commissione Europea promuove una profonda svolta nel progetto europeo originario, quello detto del “dominio dolce”.
Il Consiglio Europeo, infatti, approva nel 1985 l'Atto Unico che istituisce un mercato unico per le merci, i servizi, i capitali e le persone (Schengen, inizio della costruzione della “fortezza Europa”) entro il 1993. Lo spazio sociale europeo promesso all'indomani dell'Atto Unico per alleviare i danni del neoliberismo è rimasto uno slogan opportunistico, mentre si instaura la pratica del “dialogo sociale” (poi ripresa da ogni singolo Stato membro al suo interno) con le organizzazioni sindacali della CES per risolvere i conflitti nel mondo del lavoro, senza ricorrere a fastidiosi scioperi e mobilitazioni.
Intanto la CEE si era ampliata con l'adesione della Grecia (1981), della Spagna e Portogallo (1986).
Cade il Muro di Berlino nel novembre 1989 mentre nei paesi dell'Europa dell'Est avvengono le cosidette Rivoluzioni di Velluto.
Gli anni '90: l'illusione della superpotenza Europa
Nel 1990 viene realizzata l'unificazione della Germania e l'URSS collassa nel 1991.
La svolta neoliberista del “progetto europeo” si rafforza con il Trattato di Maastricht (1991-1993) che prevede la creazione dell'Unione Economica e Monetaria, cioè l'instaurazione di una moneta unica per la fine degli anni '90 (l'euro entrerà in circolazione nel 2002), con tutti i suoi “parametri di convergenza”, vale a dire dei veri e propri vincoli su rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%, rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60% (Belgio e Italia furono esentati), tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi.
In più viene introdotto il principio di sussidiarietà che tanto ha contribuito alle privatizzazioni dei servizi pubblici e sociali. In Italia, anche con l'uso capitalistico di molte cooperative che hanno assorbito parte del welfare. 
Dopo Maastricht viene assunta la denominazione di Unione Europea (UE).
Il Trattato di Maastricht è la risposta dell'UE alla fine del bipolarismo mondiale, alla globalizzazione che diventava veramente mondiale, sotto il controllo della sola superpotenza USA.
Il tentativo di costruire organismi intergovernativi per la Politica Estera e di Sicurezza Comune e per la Politica Interna di Giustizia Comune al fine di dare protezione politico-militare alla nuova moneta si rivelarono ben presto impraticabili.
Aderiscono nel 1995 Svezia, Finlandia e Austria, ma già dal 1993 si era deciso per una gigantesca espansione ad Est, verso gli ex-paesi membri del Patto di Varsavia.
L'obiettivo era portare nel mercato della UE quasi 100 milioni di nuovi consumatori, sfruttare forza-lavoro qualificata e molto a buon mercato (in vista delle future delocalizzazioni), acquisire imprese e risorse locali e disinnescare il potenziale militare dell'ex-Patto di Varsavia, sottraendo questi paesi all'influenza della Russia.
Operazione complessa ed arrischiata, visti i rapporti di sostegno militare stabiliti tra questi paesi e gli USA che vogliono un ampliamento della NATO verso l'est europeo.
Si consolida l'intento di creare una dimensione imperialistica europea.
Gli anni 2000: il “dominio forte”
Si apre un periodo segnato dalla cosiddetta Strategia di Lisbona che deve permettere una crescita economica. Questa genererà crescenti disuguaglianze sociali e territoriali, attivando una vera esplosione della urbanizzazione, con una ristrutturazione-terziarizzazione metropolitana causa di crescente dispersione in parallelo al deflagrare della mobilità motorizzata.
E' il periodo in cui si afferma il dominio dell'agrobusiness sul mondo rurale.
L'attentato di New York del 2001 apre una nuova fase militare nella politica internazionale in cui la UE non sarà capace di trovare una posizione autonoma rispetto all'aggressività degli USA.
Il Trattato di Nizza del 2000 e la nuova Costituzione europea (2004) blindano e consolidano l'Europa neoliberista che non ragiona più in termini di “noi”, ma di “dentro”o “fuori” le regole.
Il processo iniziato alla metà degli anni '80 porta Bruxelles ad imporre agli Stati membri lo smantellamento dello “stato sociale”, la cessione crescente di competenze, l'instaurazione della disoccupazione cronica e della precarietà.
La pronta risposta giunta già dalla metà degli anni '90 dal movimento antiglobalizzazione e dai movimenti contro le privatizzazioni di sanità, formazione e sistema pensionistico, contro la dicoccupazione, la precarietà e l'esclusione, portano ad una vera crisi prima e rifiuto poi della “cittadinanza” dentro un'Europa che esclude, precarizza e crea disoccupazione.
Il fronte aperto dal movimento anti-globalizzazione non era contro la moneta unica, ma contro il “dominio forte” del capitalismo liberista europeo ed il “dominio armato” dei singoli Stati membri della UE, coalizzando la classica opposizione di classe con nuove sensibilità sociali ed ambientali che raccoglieranno centinaia di migliaia di attivist* in tutto il mondo, con un forte protagonismo del movimento anarchico.
Purtroppo il portato anticapitalista e socialmente alternativo del movimento antiglobalizzazione non ha avuto il tempo di sedimentarsi livello popolare: la durissima repressione (Genova 2001) e la crisi globale del 2007 lo hanno indebolito, consentendo che maturassero sentimenti “euroscettici” poi evolutisi in formazioni politiche sovraniste e nazionalitarie che da uno scioglimento della UE pensano di riscattarsi dal debito, di tornare a stampare moneta e di murare i confini, ri-alimentando lo statalismo di sempre.
Imperturbabili, le istituzioni europee -sostenute dagli Stati membri- hanno fatto sì che non esista un “immaginario” comune europeo, se non quello fondato sulla paura per “l'altro” sia all'interno che all'esterno dei labili confini della UE.
Nel 2012 viene approvato il famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità, il fondo salva-stati a condizioni di prestito durissime, applicato ai famigerati paesi marchiati dallo spregevole acronimo di PIGS.
I PIGS all'interno dell'Unione sono come i migranti che cercano di forzare la “fortezza Europa”: vanno puniti e rinchiusi nel penitenziario del debito se non si possono buttare fuori dall'Europa, salvo pensarne una a due velocità: tema ricorrente invano per tutti gli anni 2000.
La crisi dell'imperialismo europeo appare evidente: per fronteggiare efficacemente lo scontro nel mercato mondiale l'Europa dovrebbe essere unita ma non è ancora capace di esserlo.
Lo stesso UK, dopo la Brexit del 2016, non avrà vita facile nelle trattative per l'applicazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Tutto sommato i sovranisti -a destra come in certa sinistra- fanno il gioco delle istituzioni europee, che non sono altro rispetto agli Stati che le compongono con loro delegati.
Commissione Europea, Consiglio Europero, Eurogruppo sono semplicemente la proiezione politico-economica degli Stati membri a livello della UE.
Per sciogliere la UE, i sovranisti dovrebbero prima prendere il potere nei loro singoli Stati (sono 27) e poi decidere di uscire, se i costi economici, politici e militari lo permetteranno.
Eppure né Syriza in Grecia, né Podemos in Spagna sembrano sognarsi una cosa simile. Forse hanno fatto una botta di conti.
Il 25 marzo 2017 a Roma
E' presumibile attendersi che Roma sarà attraversata da manifestazioni federaliste pro-Europa (magari chiedendo modifiche alle politiche attuali) e da manifestazioni della sinistra sovranista no-global  insieme a manifestazioni della destra sovranista no-global.
Tuttavia la posta in gioco non è la permanenza o meno nell'euro e/o nella UE e nemmeno il no-global di moda oggi, che non mette in discussione il capitalismo, basta che investa in patria.
Lottare contro le politiche della UE, espressione degli Stati che la compongono, significa riaprire una nuova stagione di lotte anticapitaliste.
Tutto ciò comporta una capacità del movimento libertario di offrire un programma complessivo di obiettivi da raggiungere nei maggiori movimenti sociali ed un ammodernamento delle sue proposte rivoluzionarie.
Dobbiamo dimostrarci capaci di raggiungere la più vasta unità d'azione nella creazione di una mediazione strategica che proponga ed effettivamente inizi a garantire un processo di riunificazione del proletariato, che il capitalismo sta lacerando tramite la disoccupazione, la precarietà e l'esclusione.
Questo processo deve evidentemente prevedere una mediazione tra le politiche rivoluzionarie ed il ciclo di lotte attuali. Comporta la creazione di un'area di opposizione -ben al di là del solo mondo del lavoro, comprendente tutti gli aspetti di antagonismo contro il controllo sociale capitalistico e patriarcale- in cui il proletariato ed i movimenti sociali possano realizzare una crescente quantità di auto-organizzazione e di azione diretta ed in cui il ciclo di lotte possa essere patrimonio socializzabile, tramite un'appropriata relazione tra le esperienze proletarie e le proposte rivoluzionarie.
Non è possibile alcuna strategia che coinvolga le richieste ed i bisogni dei settori sociali oppressi senza assumere la parzialità, senza un farsi altro dal corpo sociale, costruendo alterità organizzativa, autonomia, piattaforme unificanti.
Costruire fronti di lotta sociali (sindacale, ambientale, antirazzisti e per la libera circolazione delle persone, anti-patriarcato, per la costruzione di esperienze alternative dal basso nella produzione e negli scambi) attraverso i confini della UE; costruire fronti di lotta politici specifici dei libertari per sostenere le lotte sociali, sono i compiti da darsi per uscire dai confini della dimensione capitalistica dell'Unione Europea.
Alternativa Libertaria/fdca
25 marzo 2017

Sulle tracce di Dolcino e Margherita


mercoledì 15 marzo 2017

17 MARZO: SCIOPERO GENERALE DELLA SCUOLA CONTRO LA LEGGE 107


Giovedì 16 marzo 2017 – della contro la legge 107, gli otto decreti attuativi e il modello renziano della cosiddetta “Buona ”, prima che questa inizi a essere applicata in maniera definitiva. Lo hanno proclamato i sindacati di base , UniCobas, Anief, e FederAta per la giornata di venerdì 17 marzo. Sono prevista, per quel giorno, 10 manifestazioni regionali e interregionali lungo l’intero Stivale, in alcuni casi parteciperanno.
La presentazione della mobilitazione con Piero Bernocchi, portavoce nazionale della confederazione Cobas. Ascolta o scarica.
Di seguito il comunicato stampa firmato da Cobas e UniCobas:
Il 17 marzo sciopero generale della scuola contro la legge 107 e gli otto decreti attuativi
Manifestazioni a Roma (MIUR, ore 9.30), Torino, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Cagliari, Palermo, Catania.
Il Parlamento dovrà decidere nei prossimi giorni se dare parere favorevole agli otto decreti attuativi della legge 107 che, incurante della amplissima opposizione alla legge, il governo Gentiloni ha varato per chiudere definitivamente nella gabbia della “cattiva scuola” renziana docenti, ATA e studenti. Per il futuro reclutamento dei docenti non si riconoscono le abilitazioni già conseguite né il servizio prestato e si delinea un infinito percorso di quasi un decennio prima di entrare nella scuola, peraltro a stipendi infimi. Per i diversamente abili, si superano gli attuali limiti di studenti (20 per classe) e si mira a distruggere l’inclusione subordinando il diritto al sostegno a logiche discriminanti  di mero risparmio e a ridurre il numero degli insegnanti di sostegno, per delegare progressivamente tale attività all’intero personale docente. Negli istituti Tecnici, nei licei e in particolare negli istituti Professionali (unificati con la professionale regionale) si aggrava la centralità dell’”alternanza scuola-lavoro”, in una forma sfacciata di apprendistato gratuito, con flessibilità fino al 40% del monte orario, con presenze pomeridiane vincolanti per docenti ed ATA e la valutazione dello studente in base ad una presunta “cultura del lavoro”. L’”alternanza” diviene addirittura materia di esame alla Maturità, per sostenere la quale è obbligatorio anche aver svolto gli assurdi quiz Invalsi (i cui risultati accompagneranno il curriculum dello studente anche all’Università) così come per l’esame di Terza media, rendendo la valutazione tramite quiz più importante di quella effettuata dai docenti nel percorso scolastico. In quanto al “sistema integrato 0-6 anni”, si abbassa il livello della scuola dell’Infanzia pubblica, con il grave rischio per il personale di trasferimento nei ruoli degli Enti locali, creando caos gestionali in scuole primarie già sovraccariche di pesi e di ruoli.  Insomma, i decreti aggravano le disastrose brutture della legge 107, dal famigerato “bonus” per i docenti “meritevoli” (i cui nomi i presidi tengono nascosti) allo strapotere dei dirigenti, dalla truffa di un “organico di potenziamento” utile solo a ingigantire il demansionamento e la conflittualità tra docenti, ai ricatti pesanti sulla mobilità e sull’organico triennale, fino all’obbligo di “un’alternanza scuola-lavoro” che mescola l’apprendistato gratuito ed inutile con la cialtroneria di accordi con aziende “amiche” che risparmiano sul personale (“scuola-bottega”). Il tutto provocando un’ulteriore, drammatica dequalificazione del lavoro degli insegnanti, sempre meno educatori/trici e sempre più “manovali culturali” tuttofare, a compimento di un ventennio di immiserimento di una scuola, degradata ad azienducola cialtrona, arruffona e clientelare.
Per protestare contro tutto questo abbiamo indetto su tutto il territorio nazionale, insieme ad Anief, Usb, FederAta e Orsa, per il 17 marzo lo sciopero generale della scuola, sciopero da cui si sono sottratti i Cinque sindacati “rappresentativi”, impegnati in una rinnovata pantomima concertativa con la ministra Fedeli, che, per garantirsi tale complicità, ha contato sull’unico “titolo” che aveva a disposizione per la scalata al MIUR, ossia il suo passato ruolo di segretaria generale della Federazione dei Tessili CGIL. Con lo sciopero del 17 marzo, oltre al ritiro delle deleghe, vogliamo che: 1) la mobilità sia gestita con titolarità su scuola, eliminando la chiamata diretta e gli incarichi triennali decisi dal preside, garantendo la continuità a tutti/e i/le docenti; 2) i fondi del sedicente “merito” , della Carta del docente e del Fondo di istituto siano destinati alla contrattazione nazionale per un aumento che, insieme a rilevanti fondi da stanziare,  garantisca a docenti e ATA il recupero almeno di quel 20% di salario perso nel più lungo blocco contrattuale della storia repubblicana; 3) siano assunti i precari – docenti ed ATA – con almeno 36 mesi di servizio su tutti i posti disponibili in organico di diritto e di fatto; 4) venga ampliato l’organico ATA, resa giustizia agli ATA ex-Enti locali, re-internalizzati i servizi di pulizia, eliminato il divieto di nominare supplenti per gli Amministrativi e Tecnici anche per periodi prolungati, e nominati i supplenti per i Collaboratori scolastici anche per i primi 7 giorni; 5) sia ridata alle scuole superiori la libertà di istituire o meno l’”alternanza scuola-lavoro” e di determinarne il numero di ore; 6) vengano eliminati i quiz Invalsi come strumento per valutare scuole, docenti e studenti; 7) sia restituito ai lavoratori/trici il diritto di partecipare ad assemblee indette da qualsiasi sindacato e applicato un sistema proporzionale di voto senza sbarramenti per l’accesso ai diritti sindacali, con un voto a livello di scuola, uno a livello regionale e uno nazionale per determinare la rappresentatività dei sindacati ai tre livelli.
Nella mattina del 17 marzo si terranno 10 manifestazioni regionali o interregionali a Roma (MIUR, V.le Trastevere, ore 9.30), Torino (USR Piemonte, C. Vittorio Emanuele, ore 9), Venezia (USR Veneto, Riva de Biasio, ore 10.30), Bologna (P. S. Stefano, ore 9.30), Firenze (P. S. Marco, ore 9), Cagliari (P. Giovanni XXIII, ore 9.30), Napoli (P. del Gesù, ore 9.30), Bari (USR Puglia, V. Castromediano, ore 10), Palermo (P. Politeama, ore 9.30), Catania (P. Stesicoro, ore 9.30).
Piero Bernocchi   portavoce nazionale Cobas
Stefano d’Errico   segretario nazionale Unicobas

martedì 14 marzo 2017

INDIVISIBILI (Edoardo De Angelis, 2016) di Pino Bertelli



Non è grazie al genio ma grazie alla sofferenza,
e solo grazie ad essa, che smettiamo di essere una marionetta.
(E.M. Cioran)

Ci si può immaginare un politico, un prete o un intellettuale che non abbiano un'anima di assassini? Nel cinema poi (specie quello italiano) lo sterminio delle idee passa da un film all'altro ed è riprovevole che produttori, registi, attori, tecnici, critici e spettatori non siano processati per eccesso di stupidità. Bisognerebbe essere fuori di testa come un angelo o come un idiota per credere alla mediocrità, alla banalità, alla superficialità di quanto scorre sugli schermi nostrani… ognuno si aggrappa come può alla cattiva stella del mercato e così anche i registi più accreditati dalla critica ossequiosa al padronato di destra e di sinistra (premiati perfino con l'Oscar dal baraccone hollywoodiano) continuano a sfornare prodotti di illuminante bruttezza etica ed estetica… il cinema è altrove. Finché vi sarà il potere dell'odio, della violenza o della domesticazione sociale ancora in piedi, il compito dell'artista del disinganno non sarà finito (rubata a Cioran)! La poesia (anche del cinema) è il vero delitto d'indiscrezione ed è il primo strumento per dissotterrare tutte le vergogne del potere e passare alla sua liquidazione.
Indivisibili è il terzo film di Edoardo De Angelis, autore talentuoso e visionario di Mozzarella stories (2011) e Perez (2014)… attraverso un piccola storia del napoletano riesce a costruire un autentico ritratto antropologico di un pezzo d'Italia e, forse, dell'Italia tutta… il bisogno di credere a una fede, un partito o alla criminalità organizzata dispensa dal disgusto e dall'indignazione e invita alla rassegnazione della vita quotidiana! Al culmine del successo o dell'insuccesso, occorre ricordare che non c'è niente di meglio che tacciare d'imbecillità i teatranti dell'ordine costituito, così per perdere l'abitudine a sputare controvento. Solo i pesci morti vanno con la corrente.
Il film di De Angelis è un piccolo gioiello di ironia e una radiografia di un popolo dalla cultura millenaria che con fatica cerca di cancellare la soggezione atavica alla paura e alla servitù nella quale versa. Indivisibili racconta la storia di Viola e Dasy, due sorelle siamesi che cantano ai matrimoni, alle feste di quartiere, per qualche camorrista, e sono la principale fonte di guadagno per l'intera famiglia… padre, madre e due gay che si occupano della comunicazione (scenografie, fotografie, manifesti, CD). Quando scoprono che possono separarsi e vivere una vita "normale" (specie una delle due)… capiscono che sono tenute prigioniere nella loro condizione di freaks e cercano aiuti (prima uno squallido prete affarista, poi un lugubre impresario depravato) per uscire dalla loro situazione di sfruttamento… il lieto fine mette tutto a posto (forse un po' troppo facilmente) e le ragazze potranno incamminarsi verso l'innocenza del divenire.
A ritroso. - La storia di Viola e Dasy ha un poco a che fare con le sorelle Violet e Daisy Hilton apparse nel film geniale di Tod Browning, Freaks (1932). Daisy e Violet erano gemelle - pygopagus - unite a fianchi e glutei. Condividevano la circolazione sanguigna e risultavano fuse nel bacino, ma non condividevano organi… suonavano il sassofono, il piano e il violino, cantavano, ballavano e si esibivano in spettacoli di vaudeville o nei grandi circhi. Daisy e Violet erano nate a Brighton, in Inghilterra, nel 1908. Non seppero mai chi era il padre; la madre, una cameriera ventenne (Kate Shinner), le vendette alla sua datrice di lavoro, Mary Hilton, che sin da bambine le usò per un ritorno economico. Alla morte della Hilton (1915) Daisy e Violet divennero di proprietà della figlia Edith Hilton e del marito Meyer Meyers… ex venditore di palloncini… le ragazze erano tenute in schiavitù mentale e fisica. Nel 1931 Daisy e Violet (allora ventitreenni) fecero causa ai coniugi Meyers e la vinsero con un risarcimento di 100.000 dollari. Rifiutarono sempre di fare l'operazione che poteva dividerle… investirono tutti i loro soldi nel film Chained for Life (1951), diretto da Harry L. Fraser, ma fu un insuccesso clamoroso. L'agente delle sorelle siamesi (Terry Turner) cercò un rilancio mediatico e organizzò uno show a Dallas per il matrimonio di Violet con il musicista omosessuale Jim Moore (durato 10 anni e mai consumato)… finiti la notorietà e i soldi (l'ultima apparizione pubblica risale al 1961), Daisy e Violet furono assunte come commesse in una drogheria di Charlotte (Nord Carolina) e morirono di influenza cinese nel 1969. Furono sepolte in una sola cassa. Nel 2012 Leslie Zemeckis ha girato il docu-film Bonded and Bound by Flesh: The Story of Daisy and Violet Hilton, che ha raccolto numerosi riconoscimenti in varie rassegne del cinema documentario (Idyllwild International Festival of Cinema, Hollywood Film Festival, Louisiana International Film Festival). La diversità, come l'amore, è un'illusione o un'esistenza che riscatta tutte le altre.
Come si è detto Daisy e Violet parteciparono all'indimenticabile film di Browning (Freaks)… interpretato da veri "fenomeni da baraccone" e alcuni attori di pregio (Wallace Ford, il nano Harry Earles, eccezionale)… e dietro l'architettura di una storia di violenza e d'amore, il regista si affranca al diritto di avere diritti degli ultimi, degli esclusi, degli offesi. Freaks sconvolse le tavole comandamentali della fabbrica dei sogni… venne rinnegato, boicottato, censurato, manomesso dai magnati di Hollywood e vietato in qualche città americana (Cleveland), nella Germania nazista, nel Regno Unito, nell'Italia fascista e bandito da ogni festival del cinema (è stato trasmesso alla televisione italiana solo nel 1983, preceduto da un'introduzione straordinaria di Enrico Ghezzi). A Browning furono chiuse le porte di Hollywood, riesce comunque a fare qualche film con piccole produzioni… dopo Miracles for Sale (1939) si autoemargina dalle scene e viene operato per un cancro alla gola… fu trovato morto nella sua casa il 6 ottobre 1962. Browning lascia alla storia del cinema e a quella dell'umanità almeno tre capolavori: Lo sconosciuto, 1927 (con l'immortale Lon Chaney), Dracula, 1930 (con l'indimenticabile Bela Lugosi), e Freaks, oggi considerato uno dei più grandi cult movie di sempre -. Sia lode ora a uomini di fama.
Indivisibili, dicevamo, racconta di Viola (Marianna Fontana) e Dasy (Angela Fontana), gemelle siamesi che si esibiscono come cantanti a feste e matrimoni nel territorio violato dalla camorra di Castel Volturno… il padre (Massimiliano Rossi) è autore delle canzoni e agente-carceriere delle figlie (spende tutti i soldi nel gioco)… la madre (Antonia Truppo) è sempre fuori di testa per abuso di marijuana… il prete del quartiere (Gianfranco Gallo) è uno oscuro personaggio che predica superstizioni e raggira i disperati del luogo… quando un medico (Peppe Servillo) si offre di operare le gemelle per dividerle, Viola e Dasy (forse un po' troppo ingenuamente) vanno alla ricerca dei soldi necessari per la clinica svizzera… il prete le respinge e allora si rivolgono a un sedicente produttore discografico (Gaetano Bruno), interessato più alla loro "sessualità diversa" che alla loro musica… vanno sulla sua barca… c'è un festino in corso… le ragazze chiedono un prestito di 20.000 euro e l'uomo vuole abusare di una delle due… le ragazze non ci stanno… riescono a prendere i soldi e si buttano in mare… le trovano sulla riva ancora vive… i soldi sparsi sull'acqua sono raccolti dai migranti (come un miracolo divino)… le vestono da Madonne e vengono adorate come sante da una processione di disadattati… Viola e Dasy saranno comunque divise, riusciranno ad amarsi come prima, ma da persone "normali".
Il film di De Angelis mescola melodramma, musical e commedia sociale… le citazioni felliniane sono cospicue (ma anche i buoni, brutti e cattivi della periferia romana di Ettore Scola emergono con grazia)… tuttavia non è male, perché il regista riesce a conferire all'universo napoletano che ben conosce quel senso estetico/straccione o realismo magico, proprio alla commedia dell'arte o alle canzoni dei trovatori… l'atmosfera pagana che attraversa Indivisibili è identitaria di un popolo di saperi secolari che sopravvivono nei riti e nelle feste popolari. C'è da dire che a volte il pittoresco del film supera la storia trattata e a pezzi si rifugia nella prolissità del kitsch, invece che incendiarsi nello stupore di vivere.
La sceneggiatura di De Angelis, Nicola Guaglianone e Barbara Petronio conferisce a Indivisibili quell'asciuttezza e quella surrealtà al contempo, necessari a far comprendere che la fierezza e la ricerca della felicità non possono essere repressi né dalla famiglia, né dalla società… lo scenario del litorale campano, immerso in una ordinarietà di fame, miseria e delinquenza diffusa, qui viene figurato con disinvoltura, senza mai entrare troppo nello specifico di una dolente realtà. Marianna e Angela Fontana (all'esordio sul grande schermo) esprimono una notevole freschezza attoriale (anche una certa acerba sensualità) e insieme alla forza visiva di Antonia Truppo e Massimiliano Rossi conferiscono al film quel timbro veridico non proprio avvezzo o conosciuto nel panorama anemico del cinema italiano. La fotografia di Ferran Paredes Rubio è giocata su toni scuri… bella, mai televisiva… insieme alle musiche e canzoni di Enzo Avitabile incastona la storia di Viola e Dasy nella complicità indistruttibile di un sogno che diventa vero. Il montaggio di Chiara Griziotti è secco, mai scontato… riesce a sottolineare e amplificare le notevoli inquadrature (e movimenti di macchina) di De Angelis… Indivisibili insomma è un coagulo di grandi emozioni, sentimenti, passioni, verità sovente celate per compiacenza della politica, del malaffare o del mercato e, come sappiamo, le grandi verità si dicono sulla soglia della poesia in rivolta.
Va detto. Il cinema del Sud, mai troppo sostenuto dalla critica velinara, contiene spesso un fascino da fine del mondo e nulla eguaglia l'oblio che si porta dietro o dentro… la menzogna che incarna o disvela lo rende protagonista dell'intera storia italiana… nella musica, nella fotografia, nella letteratura, nel teatro, nel cinema, nella parola orale dei "cafoni" del Sud c'è un patrimonio inesauribile di bellezza e dignità e come tutti gli inclassificabili della terra, lo spaventamento del diritto di avere diritti che si portano addosso infrange regole e dogmi e partecipa alla decadenza spettacolare di un Paese in delirio… non si abita una nazione impunemente, si vive una lingua! Le religioni, le ideologie, il crimine legalizzato sono opera di ciarlatani che trionfano in qualsiasi campo della politica, della chiesa, del mercato… solo gli eresiarchi di ogni tempo non dimenticano di essere maledetti dalla storia e i suoi miti e non cessano di lavorare alle fondamenta degli incurabili per distruggerli. Buona visione.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 28 volte dicembre 2016

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

venerdì 10 marzo 2017

Precisazioni circa Makhno, Contropiano e le solite calunnie


Stimati compagni della redazione di “Contropiano”,
non ci stupisce né ci indigna che il presidente della Commissione esteri del Senato russo veicoli via Facebook (e dove, altrimenti?) antiche calunnie bolsceviche e liberali circa il compagno Nestor Ivanovic Machno, riprese poi da tal Fabrizio Poggi nel suo articolo “La fede ucraina tra Stepan Bandera e Nestor Makhnò”. Più concretamente ci interessa ristabilire i termini della verità storica, mille volte mistificata dalla storiografia liberale, socialdemocratica e bolscevica.
Il compagno anarchico Nestor Ivanovic Machno era un rivoluzionario internazionalista che combattè, in nome dell’emancipazione dei lavoratori, contro le armate bianche che dilagarono in Ukraina fin dal 1918.  Lo fece a fianco dell’Armata Rossa, con successo e lealtà per quella rivoluzione proletaria che sempre difese: dalle armate controrivoluzionarie e dalle bande di briganti fino all’aggressione sanguinosa da parte del maresciallo Trotzkj che non poteva acconsentire all’autogoverno del proletariato d’Uckraina la cui sanguinosa sconfitta, da parte dell’esercito del nuovo stato sovietico precedeva, nel 1921,  l’insurrezione de Kronstadt contro il super lavoro e il super sfruttamento, il ripristino dei privilegi di classe abbattuti, la fame, la miseria e la morte per la patria socialista”. 
 Queste vicende anticipavano la tragedia del proletariato russo soccombente di fronte all’insorgente capitalismo di stato sovietico e nella sua successiva configurazione imperialistica, alla cui edificazione il bolscevismo non può dirsi estraneo.
saluti libertari

Alternativa Libertaria/FdCA




giovedì 9 marzo 2017

NON UNA DI MENO - UNA MINACCIA CONSERVATRICE CREA NUOVE OPPORTUNITÀ PER UN FEMMINISMO DI CLASSE

UNA MINACCIA CONSERVATRICE CREA NUOVE OPPORTUNITÀ PER UN FEMMINISMO DI CLASSE
Nota delle autrici: questo articolo è stato redatto da Romina Akemi e Bree Busk per Solidaridad, il giornale della organizzazione cilena Solidaridad-Federación Comunista Libertaria. Per questo motivo, alcuni concetti e fatti storici che risultano familiari ai lettori statunitensi vengono spiegati più dettagliatamente.

Nella prima settimana di presidenza di Donald Trump hanno avuto luogo due importanti mobilitazioni, espressione di due visioni radicalmente distinte sui diritti riproduttivi.
La marcia delle donne a Washington nel giorno seguente all'insediamento di Trump è stata una delle manifestazioni più partecipate nella storia degli Stati Uniti. Quello che è cominciato come una chiamata spontanea è cresciuta rapidamente fino a diventare un movimento rappresentativo della crescente preoccupazione nei confronti del programma del nuovo governo. La marcia ha riunito circa 500.000 persone a Washington D.C, con manifestazioni parallele in tutto il paese e nel resto del mondo. Una settimana dopo, ha avuto luogo una mobilitazione molto diversa: la marcia annuale per la vita.
Nonostante questa sia stata considerabilmente minore, ha riunito comunque un buon numero di persone, inclusi personaggi noti del governo Trump. Rompendo il protocollo politico tradizionale, il vicepresidente Mike Pence, un ex-cattolico convertito al cristianesimo evangelico, ha parlato durante la manifestazione dichiarando: "La vita sta vincendo di nuovo negli Stati Uniti".
Negli Stati Uniti, la legalità dell'aborto è affidata alla Roe. v. Wade, una sentenza del 1973 che può essere riconosciuta solo da una nuova decisione della Corte Suprema. Attualmente vi è un vuoto legislativo che il presidente Obama non è stato in grado di riempire nel suo mandato. Durante la sua campagna elettorale il candidato successore Donald Trump aveva espresso l'intenzione di nominare un giudice antiabortista, promessa che è stata ripetuta da Pence e finalmente realizzata il 30 di gennaio con la nomina di Neil Gorsuch. Se verrà confermato il rapporto pubblicato recentemente sulle vicende che hanno portato all'elezione del giudice Gorsuch, la direzione sarà quella di una svolta conservatrice, "votando per limitare i diritti degli omosessuali, mantenere restrizioni sull'aborto e invalidare i programmi di azione positiva (affirmative action)".
Nonostante sia legale, l'accesso all'aborto continua ad esser precario e discontinuo negli Stati Uniti, specialmente per gli abitanti delle comunità rurali. Questo è dovuto in parte al successo del movimento antiabortista, che si è servito di metodi legali o dal basso per ridurre l'accesso all'aborto. Questa tendenza è divenuta particolarmente evidente negli anni '90, quando organizzazioni evangeliche di destra come Operation Rescue, Moral Majority, and the Family Research Council hanno acquisito maggiore importanza. Queste organizzazioni hanno cavalcato la reazione conservatrice di fronte alla rivoluzione culturale degli anni '60, esigendo che si pregasse nelle scuole pubbliche, opponendosi all'educazione sessuale e chiudendo le cliniche per donne. Questo periodo di opposizione tra il conservatorismo religioso e i valori progressisti secolari è chiamato la "Guerra culturale" ("The cultural wars"). In quell'epoca il movimento femminista nordamericano della terza onda era già completamente istituzionalizzato dentro al Partito democratico, e non è stato possibile difendere le conquiste già fatte di fronte ad una tale opposizione.
La marcia delle donne è stata la dimostrazione pubblica in difesa dei diritti riproduttivi più importante nella storia recente. Essa rappresenta la prima chiamata ad un'azione capace di unire trasversalmente donne di ogni razza, classe e tendenza politica dalla sconfitta dell'emendamento sulla legge paritaria (Equal Rights Amendment) della fine degli anni '70. Durante l'ultima decade, le politiche di sinistra negli Stati Uniti sono state dominate dalla politica dell'identità: una teoria politica che enfatizza l'identità razziale, sessuale e di genere a discapito della classe sociale. Le politiche dell'identità inizialmente contribuirono all'analisi e alla decontrazione delle manifestazioni di supremazia bianca e di patriarcato all'interno di organizzazioni e movimenti di sinistra, ma furono adottate presto dai giovani progressisti in ambito accademico. All'interno di questa analisi, il concetto di classe s'intende come un'identità in più, soggetta ad essere discriminata però non sulla base della sua relazione con i mezzi di produzione.
Ciò che era inizialmente uno strumento utile per l'analisi dei disequilibri del potere finì per trasformarsi in una posizione ideologica caratterizzata dalla disunione, dal separatismo e da un localismo estremo. Questi comportamenti politici hanno influenzato fortemente le sinistre istituzionali e rivoluzionarie negli Stati Uniti, bloccando la crescita di movimenti sociali ad ampia base.
Il problema della natura frammentaria della politica dell'identità è stato affrontato mediante l'applicazione del concetto di intersezionalità, una pratica teorica che contiene l'analisi delle identità sociali sovrapposte e dei loro corrispondenti sistemi di oppressione, dominio o di discriminazione. L'intersezionalità è stata pensata per preparare un modello che promuovesse una cooperazione orizzontale e inclusiva all'interno dei movimenti e delle organizzazioni tra le diverse identità. Senza dubbio nella pratica gli attivisti finirono per seguire l'interpretazione secondo la quale tutte le identità e tutte le oppressioni sono collocabili sullo stesso piano, e non si richiede nessun giudizio particolare al capitalismo o allo Stato per completare l'analisi. Come dimostrato nella recenti elezioni negli Stati Uniti, la maggior parte delle persone reagisce alle minacce contro la sua realtà materiale e non in base a considerazioni puramente ideologiche sulla propria collocazione nella complessa gerarchia delle identità oppresse…risulta ironico che la politica "dall'alto" condotta da Trump abbia finito per costringere la sinistra statunitense ad incontrare un'unità che, appena un mese fa, brillava per la sua assenza.
In questo momento non esiste alcuna certezza che la marcia delle donne si possa trasformare in un movimento sociale legittimo. In tutto il paese, i microfoni sono stati monopolizzati dai politici democratici e da celebrità liberali, mettendo l'accento sulla resistenza istituzionale. Questo contrasta con la diversità politica dei partecipanti alla marcia: alcuni esigono riforme, mentre altri chiamano alla rivoluzione. Il fattore unificante è il desiderio collettivo di iniziare una resistenza nelle strade di fronte alla regressione sociale che si sta annunciando. Le femministe rivoluzionarie hanno appena iniziato ad inserirsi in questi spazi politici e il ruolo che ricopriranno non è ancora chiaro. Ciò che risulta chiaro è che la marcia delle donne rappresenta un'opportunità politica per ricostruire un movimento femminista libertario (insieme ad altre lotte che si stanno sviluppando) che ponga domande finalizzate a migliorare la vita dei lavoratori e che si opponga al carattere liberale e capitalista del movimento femminista attuale. Esiste una chiara opportunità per riportare l'attenzione sulle domande classiche di giustizia riproduttiva, uguaglianza economica e fine della violenza patriarcale, e per porre nuove domande con una forza maggiore rispetto ai decenni passati. I nostri sforzi necessiteranno degli elementi migliori dell'analisi intersezionale per impedire che si sviluppino di nuovo le gerarchie che cerchiamo di abolire, però questo è solo il principio. Dobbiamo riconoscere la realtà materiale di coloro che vengono direttamente impattati dal capitalismo patriarcale, e lasciare che questa prospettiva ci guidi nel movimento rivoluzionario che vogliamo costruire.

(traduzione a cura di Alternativa Libertaria/fdca - Ufficio Relazioni Internazionali)

venerdì 3 marzo 2017

8 marzo internazionale

 OTTO MARZO SCIOPERO INTERNAZIONALE DELLE DONNE


La storia dell’8 marzo nel Novecento è quella di manifestazioni e scioperi. Anche dopo la sua consacrazione istituzionale questo giorno rimane quello della lotta femminista internazionale per una società in cui vivere libere da oppressioni patriarcali e capitaliste.

Dallo sciopero femminista USA 1961 contro la guerra, a quello del 1970 “per la pace e l’Uguaglianza”, sino a quello generale del 1975 in Islanda per il riconoscimento del lavoro delle donne, e poi la grande manifestazione in Usa del 1986 “pro Choice”, …
dalle vaste e trasversali manifestazioni italiane per il divorzio e la libertà femminile nel 1972 e nel 1974, a quelle  spontanee per la difesa della Legge 194 nel 1981 (vittoria dei No ai referendum abrogativi) e nel 2008, alla manifestazione contro le disparità sul lavoro, e per inciso contro il governo Berlusconi, indetta da ‘Se non ora Quando’ nel febbraio 2011...
…sino alla grande manifestazione delle donne in Polonia per l’aborto legale, il “Black Monday” di Varsavia del 3 ottobre 2016 ed al “Mercoledì Nero” di Buenos Aires del 19 ottobre 2016 che le donne sudamericane, riunite in “Ni una menos”, hanno lanciato con un grido di rabbia per dire basta alla violenza machista riproponendo il “paro”, lo sciopero, per l’otto marzo,
…alla manifestazione “Non una di meno” a Roma dello scorso 26 novembre che ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di donne…
...La manifestazione contro l’elezione di D. Trump, sabato 21 gennaio 2017, ha espresso la protesta contro il sessismo del nuovo presidente, e fatto scendere in strada tante altre voci per un totale di oltre 500mila persone nella sola Washington e oltre tre milioni nell’intero Paese....
Le donne in questi decenni sono scese nelle piazze per reclamare ed esigere la fine dei sistemi di violenza, sia contro il militarismo che contro la violenza domestica e il sessismo…
e la protesta è arrivata con la sua ondata anche in Italia proprio nel momento in cui cresceva il dissenso verso il nuovo “Piano strategico contro la violenza” sulle donne, contestato per i suoi contenuti politici e per gli stanziamenti inadeguati, oltre che per la metodica di approvazione, in primo luogo dalle donne che da decenni lavorano nelle Case rifugio e nei Centri antiviolenza (77 centri riuniti nella associazione DiRE).

Un movimento trasversale di donne formato dalla manifestazione “Non una di meno” dello scorso 26 novembre 2016 a Roma per rivendicare la centralità dell’autonoma voce delle donne nei confronti dei piani governativi promossi al fine di contrastare la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere. Questo movimento si è riunito nuovamente in assemblea a Bologna a febbraio: la piattaforma che è scaturita indica i punti da cui partire per un programma politico femminista ad ampio spettro, inclusivo e radicale, sfociato nella richiesta, plaudita o controversa, alle forze di sindacali di indire per l’otto marzo 2017 uno sciopero di 24 ore.

I punti della piattaforma di NON UNA DI MENO sono:

La risposta alla violenza è l’autonomia delle donne

Senza effettività dei diritti non c’è giustizia né libertà per le donne

Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi

Vogliamo rivendicare un reddito di autodeterminazione, per uscire da relazioni violente, per resistere al ricatto della precarietà

Contro ogni frontiera: permesso, asilo, diritti, cittadinanza e ius soli

Scioperiamo affinché l’educazione alle differenze sia praticata dall’asilo nido all’università, per rendere la scuola pubblica un nodo cruciale per prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne e tutte le forme di violenza di genere

La violenza ed il sessismo sono elementi strutturali della società che non risparmiano neanche i nostri spazi e collettività

Contro l’immaginario mediatico misogino, sessista, razzista, che discrimina lesbiche, gay e trans

Alternativa Libertaria/FdCA condivide la piattaforma di Non una di meno, partecipa alle mobilitazioni per la sua piena attuazione e con le sue e i suoi militanti contribuisce a costruire momenti di crescita e di affermazione di libertà, giustizia e laicità per tutt*.
8 marzo 2017
Alternativa Libertaria/fdca

giovedì 2 marzo 2017

Kurdistan iraniano

La rivoluzione islamica nasconde una repressione crescente contro le donne e le popolazioni indipendentiste tradite dalla Nuova Repubblica: soprattutto i Curdi.
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L'11 febbraio del 1979, le forze di Khomeini, insieme con settori della sinistra, islamisti e indipendentisti, rovesciavano la monarchia dei Pahlevi. Sempre l'11 febbraio, dopo la morte di centinaia di manifestanti durante le rivolte che si erano diffuse in più di un anno, venne istituito un Consiglio di transizione che ha portato all'attuale Repubblica dell'Iran. Il 1979 fu un momento cruciale per l'Iran e tutto il Medio Oriente, che avrebbe trasformato le condizioni geopolitiche e strategiche del paese nella regione, della regione con il mondo e anche del mondo con l'Iran.

Con la caduta della dinastia Pahlevi, il vuoto di potere è stato riempito dalla teocrazia degli Ayatollah. La rivoluzione islamica nasconde una repressione crescente contro le donne e le popolazioni indipendentiste tradite dalla Nuova Repubblica: soprattutto i Curdi. Sotto la tutela dei giuristi islamici le donne sono state segregate nelle aree pubbliche, sono state costrette a indossare burqa e chador, la coeducazione di maschi e femmine è stata vietata, i divorzi sono unilaterali (ad esempio, se è l'uomo che lo  desidera), per continuare con i delitti d'onore , la morale islamica governa sia la vita privata che pubblica, il tutto sotto pena di morte. Simile destino attende i Curdi e le Curde intrappolati/e  sotto questa Repubblica. Il regime non perdona loro il  tentativo di aver perseguito l'indipendenza con la Repubblica di Mahabad (1941-1946), nè l'insurrezione curda contro la nuova autorità di Khomeini (1979), nè la rivendicazione dell'autodeterminazione del Rojhilat (Kurdistan iraniano).

La guerra santa: uno  strumento unificante

Quando il vuoto di potere è stato riempito dagli ayatollah dopo la caduta della dinastia,  i Curdi si sono rivoltati contro le autorità locali dei Pahlevi del Rojhilat e avevano occupato le loro terre ancestrali. I "rivoluzionari khomeinisti" hanno cercato di placare la rivolta con la morte e la repressione, fallendo nel loro tentativo. Il Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (KDP) ha ricevuto il sostegno incondizionato da parte della popolazione e le autorità del nuovo governo sono state costrette a negoziare. Le promesse di autodeterminazione da parte dei rivoluzionari prima della "presa" del potere verranno disattese, Khomeini negò la possibilità di autonomia per i Curdi e li accusò di  separatismo. Nel frattempo, in vista delle crescenti tensioni, entrambe le parti in conflitto riorganizzavano le forze decimate: Khomeini fece accordi con le forze repressive pro-Pahlevi e riunificò il comando militare, mentre i rivoluzionari del PDKI riorganizzarono le loro forze dopo i massacri subiti dai khomeinisti .

Lo scontro era imminente. Alla vigilia del Newroz (Capodanno curdo) i peshmerga curdi attaccarono il quartier generale della polizia in tutto il Kurdistan iraniano, mentre le forze repressive si ritiravano. Dopo le celebrazioni del Newroz ci fu un cessate-il-fuoco e ripresero i negoziati. Il cessate-il-fuoco durò meno di un mese e in aprile i battaglioni iraniani attaccarono le popolazioni curde, gli scontri furono durissimi e la popolazione fu massacrata. L'artiglieria pesante intervenne contro la popolazione, la cavalleria leggera attaccava le case. Tutto il territorio del Rojhilat venne occupato da forze di invasione e i membri del PDKI lottarono fino alla morte, o furono fatti prigionieri e impiccati o nel migliore dei casi scelsero l'esilio. L'insurrezione venne schiacciata e i colonialisti, incoraggiati, saccheggiarono tutti i beni dei rivoluzionari/e curd/e.

Dopo l'enorme dispiegamento militare, migliaia di basi iraniane vennero stabilite al confine con il Rojhilat. I popoli del Kurdistan iraniano si ritrovarono controllati da nuclei di guardia militare che vigilavano sui movimenti della  popolazione di villaggio in villaggio. Una vasta rete di repressione si diffuse sul territorio curdo e ancora oggi, nel 2017, non è stata ritirata. Venne proibito il culto delle ancestrali religioni curde, venne vietata l'istruzione nella lingua madre e venne imposta l'istruzione in Farsi -la lingua persiana- le manifestazioni vennero vietate insieme al diritto di organizzarle, vietata l'aperta professione di cultura curda, imposto il burqa per le donne, ecc. Lo stato iraniano mostrava il suo regno del terrore, da un lato, mentre dall'altro promuoveva politiche di assimilazione islamica. La maggioranza dei popoli curdi trova ancora il proprio rifugio spirituale tra sunniti e sciiti. Ma venne dichiarata una guerra santa: o stai con Dio o contro di lui (o sei con me o contro di me) e a stabilire i parametri erano i giuristi islamici iraniani.

L'espropriazione culturale: un genocidio moderno

Dopo il trionfo della rivoluzione islamica la rivolta curda venne schiacciata e le aree liberate del Rojhilat rimasero in mani persiane. Migliaia di guerriglieri furono costretti all'esilio, molti di loro trovarono la morte nelle lunghe marce attraverso le montagne al confine tra Iran e Iraq. Da allora le montagne sono il rifugio per le forze rivoluzionarie, per la lotta guerrigliera e  i tentativi di auto-determinazione del popolo curdo continuano.

Nel corso dei decenni successivi, le forze di Khomeini hanno costretto le persone a migrare in modo sistematico. Migliaia di persone sono state costrette a lasciare le loro case, i villaggi e il territorio, per essere trasferite in nuove aree. L'habitat che le ha viste crescere, che ha modellato la loro cultura e la loro vita, è stato occupato al fine di fornire la terra per i proprietari persiani. Tra il 1980 e il 1990 circa 40.000 persone troveranno la morte per mano del regime di Teheran. La guerra Iran-Iraq ha colpito duramente attraverso i confini della popolazione curda, che è stata decimata considerevolmente. All'espropriazione delle loro terre, alla detenzione e all'assassinio, è seguita una rigorosa politica di privazione del diritto di associazione e di espressione delle religioni autoctone.

Tuttavia, nel decennio 1995-2005 c'è stata qualche apertura democratica nei confronti dei Curdi e delle diverse culture etniche all'interno dei confini iraniani. Il governo di Mohammad Khatami (1997 - 2005) ha promosso tavoli di dialogo con i rappresentanti curdi, che sono stati chiamati a sedere in parlamento. La lingua curda è stata permessa ufficiosamente, le espressioni curde legalizzate e alcuni partiti politici sono entrati nel parlamento della Repubblica. Ma queste coraggiose, anche se timide, libertà verranno presto contrastate dal vasto apparato di repressione radicato nello stato. Le forze  militari sono state istruite per schiacciare i Curdi e la macchina statale è per sostenere un'identità unica: l'Iran.

Il 2005 è stato un punto di svolta per i separatisti curdi. L'omicidio di un giovane curdo per mano delle forze repressive iraniane, visto in tutto il mondo, darà inizio ad una serie di rivolte popolari simili a quelle del 1999, quando fu imprigionato Abdullah "Apo" Ocalan dal regime turco. Queste rivolte si sono diffuse non solo in tutto il Rojhilat ma anche a  Teheran e in diverse province in cui le maggioranze etniche si oppongono al regime. Dal 2005 al 2011, dopo il clamore delle rivolte popolari, sono  nate delle organizzazioni radicali: i socialisti libertari, i marxisti-leninisti e gli  indipendentisti. Hanno forgiato nuove strutture di guerriglia non più in esilio, ma all'interno delle città più importanti. Il Partito per la vita libera in Kurdistan (PJAK), un gruppo scissionista del Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (KDP), ha ripreso le tattiche di lotta per l'autonomia contro il regime invasore, per ripristinare l'autodeterminazione e la vita democratica confederata all'interno dell'Iran.

La risposta: rivoluzione permanente fino alla autodeterminazione popolare


La campagna di repressione contro la nazione curda si è intensificata. La repressione politica e culturale peggiora sempre di più mentre vengono vergate queste righe. Il regime iraniano ha aumentato il numero dei prigionieri politici con condanna a morte. Gli argomenti segregazionisti per condannare un curdo al martirio vanno dalla "inimicizia contro Dio" (perchè non professa la stessa religione, o perchè è ateo, o per aver resistito ad una guardia iraniana) all'abbigliamento (soprattutto per le donne che non indossano il burqa) fino ad una manifesta affiliazione curda. Dalla metà del 2014 alla metà del 2016, 12.000 Curdi sono stati condannati al carcere, una cifra che non include le migliaia di sparizioni e uccisioni extragiudiziali. Nel 2016 un certo numero di attivisti curdi sono stati accusati di attività terroristiche e condannati all'impiccagione. Attualmente, a migliaia sono in attesa di esecuzione per le loro attività a favore della causa curda. Questi dati non includono i vari gruppi etnici oppressi del paese.
L'Unione delle donne libere del Kurdistan orientale (Kjar) ha lanciato un appello alla popolazione curda di fronte all'intensificarsi delle esecuzioni, degli arresti e delle torture contro i militanti e contro i civili. Adottando le tesi del Confederalismo democratico avanzate da Abdullah Ocalan, il Kjar ha avvertito il regime iraniano che se non vuole fare i conti con la storia e continua a ignorare le richieste di libertà dei popoli curdo e persiano, tra gli altri, è prevedibile l'avvento di una situazione simile a quella dell'Iraq, della Siria e della Turchia. La lotta rivoluzionaria si è intensificata e con essa il confronto per la creazione di un modello democratico che rispetti singolarità etniche, politiche e religiose, alla ricerca di una nazione democratica, multietnica, multireligiosa in uno stato laico.

Il Partito per la vita libera in Kurdistan ha attualmente 3.000 guerriglieri e guerrigliere in armi. Nonostante il cessate il fuoco del 2011 (a causa dell'inizio della guerra civile in Siria), e data la situazione in Medio Oriente, le speranze di cambiamenti significativi all'interno dell'Iran non sono ancora andati perduti. Una grande alleanza delle forze curde e l'unità nazionale del movimento sta fermentando nei fronti di battaglia. La situazione attuale porta alla preparazione di una risoluzione specifica della questione curda. Nonostante gli scontri spasmodici tra le forze regolari iraniane e i guerriglieri e guerrigliere del PJAK, ancora resta aperta una soluzione pacifica e democratica che contempli la multiculturalità nella regione.

Siamo di fronte ad un processo rivoluzionario in tutto il Kurdistan, le quattro regioni (Rojhilat, Rojava, Bakur e Bashur) devono affrontare varie situazioni di combattimenti di misura maggiore o minore a seconda dello stato occupante (Iran, Siria, Turchia e Iraq). Solo un approccio globale alla questione curda, il rilascio dei prigionieri e dei prigionieri politici, il riconoscimento della parità di diritti tra uomini e donne, la liberazione delle donne, il riconoscimento del multiculturalismo che compone la regione, la secolarizzazione degli stati-nazione, per apprestarsi alla formazione di una nazione democratica, faranno riacquistare la pace nella regione.

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Nel frattempo, Abdullah Ocalan vive nell'isola-prigione di Imrali. Il leader dei popoli liberi del Kurdistan ha trascorso 18 anni  evocando carezze ed abbracci, di cui può godere solo simbolicamente. I libri gli sono stati amici, dandogli senno e  saggezza. La tortura a cui è costretto dall'isolamento da tutte le forme di vita, fatta eccezione per i microrganismi che crescono tra le pareti destinate a fargli da volta, non è riuscita a piegare il suo spirito. Apo è una poesia scritta mille volte nella lotta del popolo curdo per l'auto-determinazione, è la lotta delle donne e degli uomini di buona volontà per un mondo più giusto, pluralista e democratico. Il socialismo libertario cresce nelle menti delle persone che lottano per dare un senso alla loro vita, nella storia delle società fino alla giornata trionfale in cui il popolo deciderà di farlo proprio.
(traduzione a cura di Alternativa Libertaria/fdca - Ufficio Relazioni Internazionali)

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