ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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venerdì 29 maggio 2015

90° Consiglio dei Delegati della federazione Alternativa Libertaria / FdCA

ALTERNATIVA LIBERTARIA/Fdca 90° Consiglio dei Delegati Correggio, 17 maggio 2015 Casa Spartaco Contrastare le tendenze alla concentrazione del potere economico e del potere politico I processi di concentrazione del potere economico e del potere politico si sono dispiegati a livello europeo ed ora italiano con un'incidenza sempre più ampia ed acuta sulle condizioni sociali di milioni di lavoratori salariati e di lavoratori interinali, sottopagati e desindacalizzati. Ben presto (giugno), alle autocratiche istituzioni europee garanti della crisi di ristrutturazione capitalistica in atto verrà messo a disposizione un programma di controllo dell'economia noto come Capital Market Union. Si tratta della costruzione di un mercato unico dei flussi finanziari, in cui non sono più previste barriere che blocchino gli investimenti transnazionali all’interno dell’eurozona. Si avvia a compimento il passaggio da un capitalismo a base prevalentemente nazionale a un capitalismo mondializzato o transnazionale, fortemente integrato soprattutto a livello europeo e euro-statunitense. I processi di integrazione europea sono del tutto funzionali a questa trasformazione che è in atto ormai da quasi 40 anni con la progressiva centralizzazione dei capitali, palesemente vincente sulla difesa delle prerogative dello stato nazionale, a ratifica di quanto sta già avvenendo a livello produttivo. Anche la struttura economica italiana è in fase avanzata di trasformazione, sollecitata dalla forte internazionalizzazione, dall’affermazione dei mercati finanziari e delle borse e dalla crisi. La ricerca e l'approvvigionamento di capitali da parte delle imprese avverrà sempre di più mediante la borsa e quindi attraverso i mercati finanziari internazionali. Il governo Renzi si appresta dunque ad emanare una serie di riforme normative, che permettano al sistema finanziario italiano di operare nelle stesse condizioni degli altri Paesi, ad esempio incrementando l’investimento dei fondi pensione e del risparmio degli italiani in borsa. In questo modo, il governo Renzi agisce in coerenza con le politiche europee di riduzione del debito pubblico (la ragione per la quale tutti i proletari sono chiamati a sostenere duri sacrifici generazionali) e dei tassi d’interesse sui titoli di stato che hanno drenato risparmio dal settore pubblico a quello privato, aumentando la capitalizzazione della borsa. Il governo prevede interventi per liberare le banche dai titoli spazzatura -a spese della collettività- e per spingere imprese non quotate in borsa ad agganciare la gigantesca razionalizzazione delle imprese in atto a livello europeo caratterizzata da fusioni e acquisizioni, tipica di una fase di crisi molto profonda. Da questi fenomeni di concentrazione e centralizzazione, favoriti dallo sviluppo dei mercati finanziari, non scaturirà alcun impulso per la produzione né per la ripresa dell’economia reale, bensì solo migliori condizioni di profitto per i grandi gruppi transnazionali. Le economie e gli stati nazionali saranno ancora più dipendenti dai movimenti dei mercati finanziari. Con effetti di ulteriore peggioramento sulle condizioni dei lavoratori. La concentrazione del potere economico si associa inevitabilmente ad una maggiore concentrazione del potere politico: Jobs Act, Italicum e Buona Scuola ne sono esempi diretti. La pressione di questi processi è tale che si è intensificata la capacità di dissenso da parte di un composito movimento sociale che va dalle lotte nella logistica al mondo della scuola, dalla campagna No Expo, alla denuncia dei trattati del TTIP, dalle reti di autoproduzione ai comitati che si oppongono allo scempio dei territori, per la difesa dei beni comuni e dei servizi essenziali. Di fronte all'opera di distruzione operata dai processi di concentrazione economica e politica, occorre dare il massimo risalto alla capacità di costruzione e ricostruzione di diritti, di relazioni sociali, di solidarietà, di una possibile alternativa che si rinviene all'interno di questi fronti di lotta, contribuendovi da parte degli anarchici con una inclusione caratteristica per la prassi libertaria alla base e per obiettivi praticabili ad ampio livello di partecipazione. 90° Consiglio dei Delegati di Alternativa Libertaria/Fdca

giovedì 28 maggio 2015

Alternativa libertaria - foglio telematico della federazione Alternativa libertaria / Federazione dei comunisti anarchici

E' uscito il numero di maggio 2015 del foglio "Alternativa Libertaria" indice: Ambiente: EXPO 2015 - nutrire il capitalismo, energie per lo sfruttamento, FdCA Storia: 1914-1918 - Il grande massacro Lavoro: Nel mondo Internazionale: Palestina-Israele, Ilan Shalif scrivi a fdca@fdca.it o visita il sito

Germinal – “giornale anarchico e libertario di Trieste, Friuli, Isontino, Veneto, Slovenia e …” E’ uscito il n. 122 di maggio 2015.

Germinal – “giornale anarchico e libertario di Trieste, Friuli, Isontino, Veneto, Slovenia e …” E’ uscito il n. 122 di maggio 2015. Ancora “Germinal”! Fondato a Trieste nel 1907, continua la pubblicazione del “giornale anarchico e libertario di Trieste, Friuli, Isontino, Veneto, Slovenia e …” con il n. 122 di maggio 2015. Su questo numero trovano spazio numerosi articoli di approfondimento sulle pratiche e il dibattito nel movimento libertario, , nonché alcuni pezzi che riguardano l’ampia area di un nord-est sconfinato. Gli argomenti trattati spaziano dall’antimilitarismo – la lotta contro il MUOS – allo smascheramento dei funambolismi truffaldini dell’Expo, dalla rivoluzionaria sperimentazione attuata nel territorio kurdo della Rojava all’eredità viva di Murray Bookchin attraverso le parole della figlia Debbie, dai temi ecologici - OGM e rigassificatori – alle questioni legate ai generi e al sessismo, dalla manipolazione attraverso la musica alla denuncia dei nuovi modelli coercitivi dopo la chiusura dei manicomi psichiatrici giudiziari. Un’attenzione speciale è dedicata al lavoro, con una severa e puntuale critica del Jobs Act e all’economia, con la proposta di forme solidali di fuga dal “mercato”. Una riflessione sul rifiuto di arrendersi al presente riporta ad una quotidianità che va profondamente trasformata: due esempi sono una nuova occupazione libertaria a Koper/Capodistria e l’attività pedagogica di una piccola realtà locale in crescita che intende riappropriarsi di pezzi di vita in un ambito collettivo. Completano il panorama le variegate suggestioni di diverse recensioni e la bella storia di un tentativo di rivolta nella Slovenia occupata dallo stato italiano agli albori del fascismo. Il costo di una copia, 32 pagine a due colori, è di 2 euro. L’abbonamento annuo –due numeri con sottoscrizione- è di 10 euro. Chi desidera più copie per la distribuzione può scriverci: germinal@germinalonline.org Per i versamenti utilizzare: conto BancoPosta IBAN IT55 I076 0102 2000 00016525 347 o il ccp 16525347. Va specificata la causale. Entrambi sono intestati a Germinal c/o Centro studi libertari – Trieste; va specificata la causale.

TRIESTE: solidarietà dell'Usi-ait ai lavoratori Alcatel

La Federazione Provinciale di Trieste dell’Unione Sindacale Italiana esprime la propria totale solidarietà ai lavoratori dell’Alcatel in lotta per la difesa del proprio posto di lavoro. Quella dell’Alcatel è l’ennesima storia di Aziende smantellate, svendute a pescecani esteri o dislocate in altri Paesi, pur in presenza di una costante domanda di mercato che non giustifica nessuna riduzione di produzione. E’ in realtà l’attuale economia del liberismo trionfante che, in nome della massimizzazione dei profitti, e senza tenere in nessun conto le storie, i bisogni, la stessa dignità dei lavoratori dipendenti, segue le sole logiche dei “minimi costi, massimi ricavi”. Non è purtroppo una cosa nuova: da troppi anni questa logica sta portando alla desertificazione industriale del nostro Paese, con stabilimenti che vengono venduti a investitori esteri, pronti a chiuderli per tutelare la propria produzione o a trasferire gli impianti all’estero, oppure che vengono trasferiti all’estero in proprio, per poter supersfruttare la manodopera locale, sottopagata e con scarsi –se non nulli- diritti sindacali e sociali. Invertire questa deriva SI DEVE E SI PUO’; non sarà facile, ma sarà solo con la mobilitazione generale e coordinata che si potrà opporsi a questo sfacelo. I lavoratori e le lavoratrici dell’Unione Sindacale Italiana sono e saranno al vostro fianco. Unione Sindacale Italiana Segreteria Provinciale di Trieste Trieste, 15/05/2015 UNIONE SINDACALE ITALIANA – USI/AIT Sezione Italiana dell’Association Internationale des Travailleurs (A.I.T.) FEDERAZIONE PROVINCIALE DI TRIESTE Via dei Cunicoli, 11 – 34126 Trieste (ogni lunedì h.18-20) Per contatti: tel/fax 040567220 usiait_ts@yahoo.it www.usi-ait.org

Il grande passo indietro delle donne dell’Est - Le monde diplomatique 14 maggio 2015

14 maggio 2015 Le monde diplomatique Il grande passo indietro delle donne dell’Est A 25 anni di distanza, la vita quotidiana delle donne tedesche continua a essere caratterizzata dalle diverse concezioni del loro ruolo da una parte e dall’altra del Muro. di Sabine Kergel ( Sociologa, ricercatrice all’Università libera di Berlino). La maggior parte dei sociologi aveva pronosticato che la vita delle donne all’Est e all’Ovest si sarebbe armonizzata nel breve e nel medio termine, grazie al processo di unificazione; troppo ottimisti? Per esempio, nel 2007 solo il 16% delle madri di bambini fra i 3 e i 5 anni lavorava a tempo pieno nell’Ovest del paese, contro il 52% all’Est. E, anche se il tasso di natalità dell’ex Repubblica democratica tedesca (Rdt), è ormai basso come quello dell’Ovest, rimangono forti disparità. Anche quanto a percentuale di bambini nati fuori dal matrimonio: nel 2009, il 61% nella parte orientale, contro il 26% nella parte occidentale. La popolazione femminile dei nuovi Länder è stata particolarmente colpita dagli sconvolgimenti sociali e politici provocati dall’unificazione. Nella Rdt le madri, al contrario di quelle della Repubblica federale di Germania (Rft), conciliavano senza problemi vita familiare e vita professionale. L’assorbimento dell’Est da parte dell’Ovest ha provocato un vertiginoso aumento del loro tasso di disoccupazione e ha stravolto modi di vivere, progetti, fiducia in se stesse. In tutta la Germania, come altrove in Europa, il tasso di attività delle donne era notevolmente cresciuto dopo gli anni 1950, ma l’evoluzione nella Rdt era stata senza paragoni con quella dell’Ovest. Alla fine degli anni 1980, il 92% delle tedesche dell’Est occupava un lavoro, contro il 60% delle loro vicine occidentali. E l’uguaglianza era evidente, un caso quasi unico al mondo. Mentre a Ovest le donne orientavano i loro progetti di vita secondo schemi ancora molto impregnati dell’immaginario familiare e patriarcale tradizionale, all’Est la loro indipendenza economica nei confronti del marito era praticamente naturale. La caduta spettacolare della natalità verificatasi nella Rdt nel corso degli anni 1970 indusse il regime a introdurre diverse misure per incitare le donne attive a procreare, con uno sforzo particolare a favore di madri sole o divorziate. Talvolta messa in ridicolo per la sua giustificazione ideologica (aumentare i membri di una «società socialista»), questa politica permetteva di armonizzare progetti professionali e compiti genitoriali. Invece, dall’altra parte del Muro la condizione di madre portava spesso con sé privazioni, addirittura un pericoloso avvicinamento alla povertà, soprattutto in caso di divorzio o di abbandono da parte del coniuge. Niente di strano, dunque, che le donne della ex Rdt abbiano spesso percepito la riunificazione come una minaccia alle loro condizioni di vita. Attraverso l’inedita esperienza della disoccupazione, è crollato un sistema di valori fino ad allora ritenuto ovvio. «All’agenzia dell’impiego, quando dici “sola con due bambini”, non sanno di cosa stai parlando. L’addetta seduta di fronte a me non mi ha neanche rivolto uno sguardo, niente, racconta Ilona, madre single ed ex commessa a Berlino Est. Riempie il modulo, in fretta, e poi fuori e avanti il prossimo.» Nella Rdt le donne vivevano sotto la protezione di uno Stato onnipotente che manteneva il padre e la famiglia in una funzione sociale subalterna. La socializzazione dei bambini, sotto l’egida delle istituzioni, avveniva in gran parte fuori dalla cellula familiare. Questo attaccamento all’autonomia non è scomparso con il Muro. Una protezione sociale affidabile, condizione essenziale per l’uguaglianza dei diritti Uno studio condotto presso berlinesi disoccupate agli inizi degli anni 2000 rivelava modalità di rapporto molto diverse con il lavoro e i bambini. Tutte le donne consideravano questi ultimi come un elemento centrale della loro esistenza, ma quelle che venivano dall’Ovest davano loro più importanza che al lavoro. Benché coscienti delle difficoltà in agguato, tendevano a vedere la mancanza di occupazione come un’occasione per giocare appieno il proprio ruolo di madri. Al contrario, le berlinesi dell’Est mettevano in primo piano l’istruzione e la realizzazione dei propri progetti professionali, ritenendo che se avessero ritrovato un lavoro, i bambini sarebbero cresciuti in condizioni migliori. Essendo «più a proprio agio» nella condizione di lavoratrici, avrebbero assolto meglio anche il ruolo materno. Esse consideravano l’autonomia un elemento positivo per sé e per tutta la famiglia. Le madri di Berlino Ovest ritenevano in generale che nessuno più di loro fosse in grado di prendersi cura dei loro figli. Pur riconoscendo l’utilità di nidi e asili d’infanzia, tendevano ad avere problemi con gli orari troppo stringenti. Al contrario, per le madri di Berlino Est, abituate agli orari più flessibili della Rda, l’accesso ai nidi d’infanzia era un fattore cruciale, tanto più che i datori di lavoro ne tenevano conto nella loro politica di assunzioni. Nel 2000, Anna, commessa disoccupata di 28 anni, non nasconde la sua collera davanti ai rifiuti a ripetizione che incassava per la sola ragione di essere una madre sola. «Ti ripetono di continuo: “Che cosa? Ha due bambini? Ah ma allora non è possibile.” Quando gli spiego che ho trovato il modo di sistemarli, fanno comunque orecchio da mercante.» E poi l’eterno sospetto che potrebbe fare altri figli: «Eppure non ci sono molte possibilità che io rimanga di nuovo incinta. L’ho detto a un tipo, di recente: non farò un altro figlio, ne ho già due, stia tranquillo». Ai tempi della Rdt una dichiarazione simile all’ufficio di collocamento sarebbe stata inconcepibile. Tutte le madri dell’Est in cerca di lavoro hanno dovuto dunque abbozzare, convincere che accettavano le nuove regole del gioco, sopportare l’umiliazione di vedersi infliggere questo trattamento. Per le berlinesi dell’Ovest, al contrario, sono soprattutto le crescenti esigenze del mercato del lavoro a essere un problema. Paula, 36enne madre single disoccupata, aveva fatto domanda per un lavoro a due passi da casa. «Era perfetto. Avrei dovuto scrivere al computer, rispondere al telefono, occuparmi dei clienti, ecc. Ma poi la direttrice mi ha detto: “È possibile che talvolta le chiederemo di lavorare quaranta ore o di venire nel week-end.” Ho risposto che per me sarebbe stato molto difficile, che volevo lavorare trenta ore, come nelle mie precedenti occupazioni. Non l’avessi mai detto! Si è messa a urlare, era fuori di sé. Con tutta la disoccupazione che c’è in giro, mi diceva, avrei dovuto ritenermi fortunata. E mi ha chiesto che effetto faceva essere un’assistita, una parassita che viveva a spese della società.» Paula si chiede: «Io non chiedo di meglio che lavorare, ma che cos’è una società nella quale bisogna affidare a qualcun altro i bambini dall’alba al tramonto?». Per le madri di Berlino Ovest la disoccupazione è un’opportunità Secondo le sociologhe Jutta Gysi e Dagmar Meyer, «il risultato più positivo della politica familiare nella Rdt era l’indipendenza economica ottenuta dalle donne. È qualcosa di inimmaginabile oggi. Avevano certo un salario del 30% inferiore a quello degli uomini, perché erano sovente destinate a incarichi meno qualificati, e in questo senso la loro condizione non brillava, cosa che a volte si tende a dimenticare. Ma non conoscevano la paura di perdere l’alloggio o di non trovare posto al nido, perché potevano contare su una protezione sociale solida e affidabile. È una condizione importante per l’eguaglianza dei diritti, forse la condizione essenziale» (3). Con un simile retaggio, Edeltraud, cuoca di 28 anni, sposata e madre di due bambini, vive molto male le leggi sociali attuali e la dipendenza dal marito. «Si diventa dipendenti dal proprio partner, dipendenti dal denaro che decide di darci, dipendenti da come lo Stato valuta tutto ciò. Se decide di cancellare gli assegni, è così, punto e basta. Ci si ritroverà con l’emicrania, perché i soldi, questi maledetti soldi, è un discorso che ritorna sempre e non ci si può fare nulla.» Il modello tedesco-orientale di uguaglianza fra uomini e donne è scomparso con il Muro, ma dopo 25 anni, continua a plasmare la considerazione che le madri della ex Rdt hanno di sé e del proprio ruolo sociale. Sabine Kergel (1) Si legga Michel Verrier, «Una crisi demografica che viene da lontano », Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2005. (2) Joshua Goldstein, Michaela Kreyenfeld, Johannes Huinink, Dierk Konietzka, Heike Trappe, «Familie und Partnerschaft in Ost-und Westdeutschland», Istituto di ricerche demografiche Max-Planck, Rostock, 2010. (3) Jutta Gysi, Dagmar Meyer, «Leitbild: berufstätige Mütter – DDR-Frauen in Familie, Partnerschaft und Ehe», in Gisela Helwig, Hildegard Maria Nickel, Frauen in Deutschland 1945-1992, Akademie Verlag, Berlino, 1993. (Traduzione di Marinella Correggia) Dallo Stato sociale al lavoro forzato Il 14 marzo 2003, poco dopo l’inizio del suo secondo mandato (2002-2005), il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder presenta al Parlamento l’Agenda 2010: un insieme di riforme che riguarda in particolare le pensioni (aumento dei contributi da versare e dell’età pensionabile, che passa da 63 a 65 e poi a 67 anni) e il mercato del lavoro. Quest’ultimo ambito, affidato a Peter Hartz, direttore del personale per Volkswagen, mira a smantellare il sistema di protezione sociale e a sviluppare la precarietà per «attivare» i disoccupati. Hartz I – gennaio 2003 Creazione di agenzie di lavoro interinale private o pubblicoprivate per i servizi; liberalizzazione del lavoro interinale; restrizione del diritto da parte dei disoccupati di rifiutare un’offerta di lavoro. Hartz II – gennaio 2003 Promozione dello sviluppo di lavori complementari a basso reddito, i «mini-jobs» – pagati meno di 400 euro al mese (450 en 2013) – e i «midi-jobs» – pagati da 400 a 850 euro-, che beneficiano di esoneri dai contributi sociali e sono destinati in primo luogo ai disoccupati poco qualificati. Sostegno all’autoimprenditoria. Hartz III – gennaio 2004 Ristrutturazione dell’Ufficio federale del lavoro, che adotta una gestione per obiettivi con la valutazione delle performance di ogni agenzia locale. Hartz IV – gennaio 2005 Riduzione della durata dell’indennità di disoccupazione da 32 a 12 mesi; rafforzamento dei controlli. Dopo un anno, il disoccupato dipende dall’aiuto sociale (che si somma con l’indennità di disoccupazione di lungo periodo). Il suo ammontare, in proporzione alle risorse, parte da un plafond inferiore ai 350 euro mensili. I «beneficiari» hanno l’obbligo di accettare i «mini-jobs» e i «lavori a 1 euro» (Ein-Euro Jobs, pagati da 1 a 1,25 euro all’ora per 15-30 ore settimanali). A dieci anni dalla legge Hartz IV, il 1° gennaio 2015, il governo ha introdotto un salario minimo orario di 8,5 euro lordi. Gli imprenditori aggirano la norma in massa.

BERRETTO FRIGIO IN CONCERTO A ROVIGO - 6 GIUGNO 2015

abato 6 giugno 2015 alle 21.00 saremo "Le ciaramelle", "Berretto Frigio" e "Coro monte Pasubio" in concerto presso l'auditorium del Conservatorio di Rovigo. Il concerto è parte del ricordo che viene dedicato all'assassinio di Giacomo Matteotti. Sarà dato ampio spazio alle canzoni dedicate al martire polesano. Salute e libertà,

giovedì 14 maggio 2015

Verso il 23 maggio a Gorizzia - 16 maggio a Pordenone .

16 MAGGIO ORE 20.00 al PREFABBRICATO - Quartiere Villanova (PN) - Via Pirandello, 22 (dietro centro anziani) Si avvicina la data del corteo antifascista e antimilitarista del 23 Maggio a Gorizia. Una manifestazione transnazionale, che vedrà convergere nel centenario dell'entrata nella prima guerra mondiale, persone da tutta Italia, ma anche dall'Austria e dalla Slovenia. Durante la serata infopoint per la manifestazione e per la corriera verso Gorizia. ...Intanto noi andiamo avanti con le Serate Rebel: Sprong Boys - rock'n'roll-noyse from Treviso http://sprongboys.blogspot.it/ Veuve - stoner rock from Spilimbergo (PN) https://veuve.bandcamp.com/releases A seguire Dj-Set e solita bella gente. INGRESSO LIBERO E GRATUITO Banchetti distro, Chiosco ben fornito e tanti gattini per Salvini.

L’ATTITUDINE NO EXPO, NEL TEMPO E NEL FREDDODENTRO E OLTRE LE 5 GIORNATE DI MILANO.

L’ATTITUDINE NO EXPO, NEL TEMPO E NEL FREDDODENTRO E OLTRE LE 5 GIORNATE DI MILANO. Si sono appena concluse “le 5 Giornate di Milano”: dal 29 Aprile al 3 Maggio, giorni intensi di lotta, scambio e autogestione, protesta, sconfitte e successi.A distanza di alcuni giorni dalle mobilitazioni lanciate dalla Rete Attitudine No Expo, fra i comunicati che si susseguono, vogliamo prendere parola anche noi su alcune questioni che hanno segnato le piazze, cercando di uscire dallo steccato dei messaggi del movimento per il movimento, che non è stato e non sarà l’unica parte coinvolta nella lotta contro Expo. Abbiamo atteso questo tempo, perché ritenevamo importante affrontare prima un momento approfondito di restituzione e dibattito interno ai nostri spazi e collettivi, oltre che con la rete con cui abbiamo costruito, nel bene e nel male, tutto questo percorso.Le valutazioni da fare non posso prescindere dal considerare già il 29 Aprile come apertura delle giornate di mobilitazione.L’iniziativa antifascista nel settantesimo anniversario della Resistenza ha portato in piazza migliaia di persone. La determinazione e la chiarezza messi in campo dalla rete cittadina di “Fascisti e Razzisti no grazie” nel rifiutare chiaramente la parata fascista in ricordo di Ramelli, hanno creato una mobilitazione quanto più allargata e comprensibile possibile.Il 30 Aprile abbiamo visto una piazza studentesca animata a fine anno scolastico da duemila persone sulla tematica del rifiuto del lavoro gratuito. Per noi è necessario restituire alla giornata di mobilitazione studentesca l’importanza e il valore che ha avuto come prima data delle mobilitazioni cittadine contro Expo. E’ stata una mobilitazione interamente costruita da studenti, medi ed universitari, che ha saputo avere un respiro nazionale e anche internazionale, eterogeneo e trasversale. All’interno del corteo molte sono state le azioni dispiegate, tra cui ricordiamo il sanzionamento del Consolato turco per segnalare le vergognose politiche di Ankara nei confronti del popolo curdo, oltre ai comportamenti tenuti durante l’assedio dell’Isis di Kobane e un colorato intervento sulla facciata di Manpower, l’agenzia interinale che gestisce i “lavoratori gratuiti” per conto di Expo Spa. Queste e altre azioni nascevano e vivevano in un processo collettivo di ragionamento e condivisione.Altro dato interessante che ci consegna la giornata del 30 è la presenza attiva, e segnalata da continui interventi dal camion, degli studenti di Berlino, Lipsia e Francoforte, segno che dopo Blockupy c’è una volontà comune fra molti in Europa di avere una maggiore convergenza e intreccio sul piano delle lotte. La giornata del 30 ha segnato un passaggio importante all’interno dell’opposizione ad Expo: in una Milano dove il marcio dietro al grande evento è stato occultato da una campagna propagandistica che ha tentato di sbandierare slogan senza sostanza, l’ampia componente studentesca rappresenta la possibilità di coinvolgere la cittadinanza attraverso la partecipazione dal basso e la costruzione di un agire politico comune.Il mondo della scuola, sceso poi in piazza il 5 Maggio per una mobilitazione interna alla lotta contro la riforma della Buona Scuola, è ancora un terreno fertile per la creazione di mobilitazioni contro modelli di governo imposti dall’alto. Dalla mobilitazione nelle scuole, dal rifiuto del lavoro volontario e gratuito per gli studenti e le studentesse ripartiremo nei prossimi mesi di ExpoIl Primo Maggio Milano è il palcoscenico della ormai tradizionale della Mayday Parade, un corteo musicale e festoso che si è caratterizzato per la capacità di portare in piazza la voce dei lavoratori precari e non solo, in forme sempre nuove, conflittuali e inclusive. Negli ultimi due anni la natura di questa manifestazione è radicalmente cambiata. Con l’avvento di Expo2015 si è deciso di declinare questa manifestazione come momento di conflitto e contestazione al grande evento, oltre che alla precarietà delle vite di tutti/e.Abbiamo deciso di opporci ad Expo perché rappresenta la fiera della cementificazione e predazione del territorio, della divulgazione di una tipologia di cibo che fa l’occhiolino agli OGM e alle multinazionali, del lavoro gratuito mascherato da grande occasione, della privatizzazione e del debito pubblico, della discriminazione dei generi, delle organizzazioni mafiose, delle tangenti e degli arresti dei suoi dirigenti.Il Primo Maggio la nostra partecipazione si collocava all’interno di “Expo in ogni città” con lo spezzone “ScioperiamoExpo” con cui si intendeva mettere in questione specificatamente alcune dimensioni.In primo luogo la vertenza sul lavoro ai tempi di Expo e quindi l’esposizione concepita non come un grande evento, bensì come paradigma che si impone confermando la precarietà come dato strutturale. Expo è promotore di quell’economia della promessa in cui i lavoratori accettano qualsiasi condizione nella speranza di un’esistenza più stabile.Questo nei cantieri Expo si è tradotto in un aumento incessante dei ritmi di lavoro e nell’annullamento dei diritti, anche in relazione alla tutela.Per questo abbiamo voluto ricordare Klodian Elezi, il giovane lavoratore morto a causa delle inesistenti condizioni di sicurezza sul lavoro nei cantieri della Teem.Il percepire Expo come paradigma di un modello di governo del territorio non può non considerare la dimensione europea in cui si colloca. Expo rappresenta un modello di falsa crescita e sviluppo: mentre un comparto pseudo-industriale si arricchisce sulla devastazione della città e della sue dimensioni sociali e popolari, dall’altra parte aumenta il debito a causa dell’ingente investimento di soldi pubblici. Questo modello è pensato per abbattere la possibilità di uno stato sociale in grado di sostenere la popolazione: in un periodo di recessione come questo l’imperativo è tutelare la finanza a discapito dell’economia reale e del benessere collettivo, l’ordine è tenere in vita un sistema già fallito.Ci siamo diretti quindi al Palazzo delle Stelline sede di rappresentanza del Parlamento e della Commissione europea, obiettivo che si caratterizzava anche per un’urgenza di ordine morale: la messa in discussione delle politiche omicide dei governi europei che, in nome del consenso elettorale e dell’idea dell’Europa come una fortezza da difendere, abbandonano al proprio destino in mare migliaia di profughi e migranti. Si è collettivamente deciso di provare a raggiungere quella sede perché pensiamo che si debba costruire uno spazio europeo dei conflitti, che sappia mettere in crisi le politiche di austerity che stanno spazzando via un gran numero di diritti e conquiste sociali.Abbiamo deciso di indossare le pettorine dei volontari Expo per raccontare il disastroso accordo fra confederali, Comune e Expo che sancisce la possibilità per una grande impresa privata di abusare di lavoro gratuito spacciandolo come volontariato.Quest’azione è stata messa in campo in una cornice di condivisione e tutela del resto del corteo da parte di una pluralità di soggetti e collettività da tutta Italia e dalla Germania. Questo siamo noi e non smetteremo di portare con i nostri corpi il nostro dissenso, quando riteniamo calpestati i diritti.Noi decidiamo con coscienza di colpire punti sensibili della città sede e simbolo di chi calpesta il bene comune per il profitto di pochi.Lo facciamo con una presenza comunicativa che sappia coinvolgere e far immedesimare chi sfila in corteo per far sentire la propria voce.Se era doveroso dare conto di quanto le nostre collettività hanno messo in atto, non si può però omettere una valutazione più complessiva anche in merito a quella che è stata la dimensione più enfatizzata dai media. Innanzitutto, come già altri hanno scritto prima di noi, non riteniamo che quanto avvenuto nella piazza milanese sia ascrivibile allo stesso ordine di eventi di Baltimora, Ferguson o di una novella piazza Statuto. Non abbiamo visto una composizione sociale esclusa dalle dinamiche classiche organizzative prendere parola passando ai fatti.Qualcuno parla di rabbia e rivolta, per noi non c’erano né l’una né l’altra.Pochi mesi fa, come se non bastassero 7 anni di austerità, l’articolo 18 è stato abbattuto e il Jobs Act ha fatto ulteriore carne da macello dei lavoratori. Le reazioni, a livello di conflitto sociale agito quotidianamente, non sono state all’altezza del momento e purtroppo ci sembra che la situazione, in questi mesi, non sia cambiata in meglio.Quella che si è dispiegata in tutta chiarezza nel corteo milanese è un’opzione politica che da tempo si affaccia sulle piazze italiane. Chi ha deciso di praticare questa scelta politica ha deciso anche di sorvolare completamente il livello della costruzione condivisa e di agire, consapevolmente, al di là delle modalità che si era deciso collettivamente di tenere, usando come paravento e artificio retorico una presunta rabbia sociale che stranamente si palesa solo nelle piazze strutturate.Questa “rabbia” è andata a sovradeterminare le impostazioni politiche e di metodo di una rete eterogenea e includente quale è la Rete Attitudine No Expo, snaturando così il significato di un corteo con l’attuazione di pratiche che hanno ipotecato in maniera identitaria il corteo.Il problema per noi non sono le vetrine o le macchine distrutte, non sono le pratiche in sé, ma i ragionamenti e le elaborazioni: difficilmente possiamo immaginare un immediato futuro in cui si possa trovare un elemento che garantisca la mutua esistenza nostra e di chi si fa portatore di queste tesi, perché questa opzione si pone in maniera di forte incompatibilità con la nostra idea di movimento. Noi crediamo nella partecipazione, nell’allargamento, nella contaminazione, nella divulgazione, nel conflitto radicale, che non si può tradurre sempre e soltanto con il riot di piazza.La nostra idea di conflitto vive nella costruzione di legami che sappiano rendere la complessità e tengano insieme differenze.Pensiamo che la tutela delle persone che decidono di compiere dei pezzi di strada assieme sia un elemento cardine e non possa essere subordinato alla pratica di obiettivi.Chi ci conosce sa bene che non siamo allergici alla conflittualità di piazza, ma questa dovrebbe sempre cercare di aprire spazi, mutare i rapporti di forza, rilanciare. Gli ultimi anni di movimento hanno visto alcune giornate in cui questa potenza si è dispiegata a pieno, anche in una città difficile come Milano.Quando si torna sui posti di lavoro, nelle scuole e nei quartieri dove si vive quotidianamente e la reazione maggioritaria (tranne poche sacche solidali “a prescindere”) è l’aperta ostilità, un’ostilità che altre volte non si era manifestata, è evidente che qualcosa non ha funzionato.La giornata del 2 Maggio, passata in sordina, ha in realtà regalato differenti momenti di soddisfazione e, nel suo piccolo, di ripartenza per quanto riguarda la lotta contro Expo. La pedalata verso il sito e il pranzo sociale davanti a Eataly, messo in campo dalla rete di Genuino Clandestino, sono due esempi della risposta tematica e di contenuto a Expo. Mobilità sostenibile, contro mega-costruzioni e svincoli autostradali immensi quanto vuoti, al secondo giorno dell’esposizione. In piazza 25 Aprile, invece, cibo a chilometro zero, rispetto dei produttori e della terra, dalla produzione al consumo finale. Spettacoli musicali e la presenza dissacrante della Clown Army, che ha saputo ridicolizzare l’apparato poliziesco disposto a difesa di Eataly.Non crediamo con questo di aver espresso meno “rabbia” con queste iniziative, non crediamo che la rabbia sia un’emozione a completo appannaggio di alcun*, di chi la esprime in un solo modo e soprattutto non ci interessa tanto la rabbia in sé, ci interessa tradurla in azione politica, in proposta intelligente e collettiva di alternative reali.Il 3 Maggio avremmo dovuto chiudere le giornate di mobilitazione con una grande assemblea di rilancio del percorso No Expo e dei sei mesi che ci aspettano. L’assemblea non si è tenuta. In quel momento, infatti, mancava il clima necessario; e tanto ci basta,Ma domenica 3 Maggio alcune vie di Milano sono state percorse da un corteo silenzioso, se non per i proclami legalitari e perbenisti, che ha espresso la propria indignazione per quanto avvenuto in piazza il Primo Maggio ripulendo i muri dalle scritte e ha voluto così rappresentare il suo orgoglio di appartenenza alla città.Nessuno tocchi Milano? E’ particolarmente fastidioso se detto da chi non ha mosso un dito per ridiscutere le nocività che il modello Expo porta. Vedere la propria città devastata da opere pubbliche inutili, da cantieri con conclamate infiltrazioni mafiose, la sottrazione di denaro pubblico dovuta a spese esagerate, corruzioni e tangenti, la distruzione del sistema di tutele contrattuali e dei diritti dei lavoratori, l’attacco generalizzato al diritto alla città di giovani, famiglie, anziani, non scalfisce il muro di indifferenza della popolazione meneghina. Sicuramente anche la Rete Attitudine ha le sue colpe, noi stessi abbiamo certamente perso tante occasioni di aumentare la diffusione e la comprensibilità dei nostri messaggi, ma esiste una condizione oggettiva di distacco dei soggetti dall’interesse comune, dall’interesse per “il comune”.L’atomizzazione delle relazioni sociali, l’individualismo capitalista si è radicato così profondamente nello spirito e nelle abitudini delle persone, nel dibattito pubblico, da generare un triste cortocircuito.In quella piazza domenica c’erano anche tante persone che hanno affrontato le mobilitazioni migliori di questi anni, o che sono più volte passate nei nostri spazi, o che si spendono talvolta in iniziative di “sinistra” oltre e fuori dai partiti. Comprendere e ricomporre lo scollamento di queste persone dalle motivazioni più profonde del No Expo; ricreare e rafforzare la comunicazione; eliminare la possibilità che un silenzioso corteo del genere si verifichi dopo una qualunque altra manifestazione, saranno i punti principali da aggiungere alla nostra lotta contro Expo da ora in avanti. In virtù della condivisione dei contenutiPer noi le alternative a questo paradosso sono l’affermazione, la ri-affermazione dell’autogestione, la creazione di una vita comune e di un’alternativa fatta di discorso collettivo, reciproco aiuto e cura.Con orgoglio ben diverso diciamo che noi “tocchiamo” Milano quotidianamente, nei nostri spazi, nei luoghi dei conflitti.Perché toccare e intervenire è la nostra modalità di amare e rispettare la metropoli. Noi mettiamo tutti i giorni le mani su e dentro Milano, nei nostri spazi occupati e autogestiti, nei nostri progetti dal basso, aperti e attraversabili da tutti.Inoltre si torna a parlare di restrizioni al sacrosanto diritto di manifestare, anche attraverso il reato di devastazione e saccheggio, rispolverato ad hoc per questo tipo di occasioni e la cui applicazione è usata come deterrente.Rigettiamo questa strategia general preventiva inserita in una dimensione liberticida; esprimiamo solidarietà e chiediamo l’immediata liberazione degli arrestati, prime vittime del clima creato ad arte dalla stampa e dai tanti esponenti delle istituzioni cittadine e nazionali.Insieme alla Rete Attitudine No Expo, ripartiamo dal due Maggio, per proseguire la lotta nei sei mesi di Esposizione ed oltre, nella proposta di iniziative, eventi, manifestazioni che portino alla condivisione vera e reale di una sempre più larga fetta di cittadinanza. Per riconquistare quel consenso che, anche grazie al lavoro dei media e alla loro visione parziale, è stato messo a dura prova. Facendo in modo che i nostri contenuti possano arrivare sempre chiari e non travisati da chi ha il potere di manipolarli.Ripartiamo dal 20 Giugno giorno della No Expo Pride che avrà luogo a Milano.Nel tentativo di appropriazione al diritto ad una città frocia e queer, libera da identità releganti e vetrine costruite ad hoc da Expo,dove la differenza non sia rinchiusa ognuna nel proprio ghetto ma sappia vivere e confliggere.Ripartiamo dal festival degli studenti che animerà il Parco Lambro e ridarà la parola agli studenti per riannodare il filo della discussione. …E nonostante tutto saremo ancora No Expo, nel tempo e nel freddo saluti libertari. Zona Autonoma Milano Csoa Lambretta Rete Studenti Milano Casc Lambrate Dillinger Project Collettivo Bicocca

Marcia contro Monsanto

Il prossimo 23 maggio si terrà in 50 Paesi la terza MAM – March against Monsanto. Alla MAM, Marcia Globale contro Monsanto, si prevede una vasta partecipazione e l’intenzione della manifestazione è di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di bandire gli OGM assieme a una crescente pressione politica in materia di agricoltura e sulle pratiche commerciali aziendali di Monsanto e per lottare per l’etichettatura degli alimenti che contengono OGM. La manifestazione globale coinvolge 38 nazioni di 6 continenti con la partecipazione di 428 città per una soluzione pacifica. by Utopia on mag.08, 2015, under Internazionale Gli OGM secondo molti scienziati, sono sospettati dai causare danni alla salute umana, come sterilità, reazioni immunitarie, allergie e aumento dei rischi di cancro, tanto che in 828 hanno firmato una lettera aperta, inviata ai capi di Stato di tutto il mondo in cui sono espresse una serie di preoccupazioni circa l’uso degli organismi geneticamente modificati per l’alimentazione umana. Ma perché l’obiettivo è la Monsanto? E’ la multinazionale più potente nel settore biotech e ha sotto brevetto migliaia di semi, tra cui gli OGM e tanti prodotti per l’agricoltura tra cui l’erbicida Roundup a base di glifosato recentemente indicato dallo IARC, l’Agenzia per la lotta al cancro dell’OMS – Organizzazione Mondiale della sanità- come probabile cancerogeno. L’Europa ha approvato recentemente 10 nuovi OGM e confermati 9, seppur lasciando ai singoli Stati membri la possibilità dio autorizzarli sul proprio territorio. Ma si tratterebbe di una finta possibilità poiché sarà complicato impugnare la questione nei tribunali. Spiega Daniel Romano di Gateway Green Alliance: Monsanto sta mandando in rovina gli agricoltori, causando sterilità del terreno per le monocolture, la perdita della biodiversità e il collasso degli alveari. Inoltre, le loro pratiche costituiscono una vera minaccia per l’agricoltura biologica e la perdita di piante autoctone. Sta causando dipendenza verso un sistema alimentare centralizzato. Insomma, è la ricetta per la carestia globale. Gli OGM sono stati rimossi e banditi da Austria, Bulgaria, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Giappone, Lussemburgo, Madeira, Nuova Zelanda, Perù, Sud America, Russia, Francia e Svizzera. Conclude Barbara Chicherio di Gateway Green Alliance Monsanto non vuole che i consumatori sappiano cosa mangiano e sta continuando a combattere in modo aggressivo l’etichettatura degli OGM negli alimenti.Attualmente un ex lobbista della Monsanto è uno dei rappresentanti impegnati nella redazione del più grande accordo commerciale internazionale, il TPP (Trans Pacific Partnership) dove è prevista la non etichettatura degli alimenti OGM. Fonte: Blogeko

La “Repubblica dei Matti”

sabato 16 Maggio 2015 ore 17,30 All’Ateneo degli Imperfetti In collaborazione con “Storia Mestre” presentazione del libro: La “Repubblica dei Matti” John Foot, docente di Storia contemporanea italiana Università di Bristol e con Christian G. De Vito Research Associate Università di Leicester «Fu un “no” collettivo. E questo “no” cambiò il mondo. Era inaccettabile che degli esseri umani venissero trattati in quel modo –privati dei diritti, dell’autonomia, della possibilità di mangiare con le posate, dei capelli, di qualsiasi controllo sulla propria terapia, della libertà. Erano inammissibili le scosse elettriche, gli interventi al cervello, gli anni in contenzione. I 100.000 internati nei manicomi erano stati cancellati dalla storia» Ateneo degli Imperfetti Via Bottenigo, 209 30175 Marghera (VE) tel. 327.5341096 www.ateneoimperfetti.it

giovedì 7 maggio 2015

Alla ricerca di un (reale) conflitto sociale di Thomas Müntzer - Communianet.org

Alla Mayday milanese si è mostrata in piazza una parte importante, determinata e determinante delle soggettività politiche e sociali che si oppongono alle politiche del governo Renzi e alle narrazioni sulle "magnifiche sorti e progressive" che si aprirebbero davanti al nostro paese grazie alla “politica del fare”. Trentamila persone, dipinte dal Presidente del Consiglio e da media compiacenti come “gufi” fuori e contro la storia, come un pittoresco residuo che non riesce a intendere il cambiamento in atto. Al contrario i trentamila in piazza hanno compreso bene la direzione del "cambiamento" imposta da questo Governo. E hanno compreso bene come l'evento Expo – per certi versi episodio "marginale" di fronte a quanto succede nel mondo – sia al tempo stesso simbolo e acceleratore (sul piano politico, economico e ideologico) di tali politiche. La rete milanese NoExpo da sette anni lavora, con tenacia e intelligenza, per demistificare l'evento, rendere chiaro quale sia il suo significato e quali conseguenze sta producendo. Un lavoro che ha prodotto riflessioni, analisi, denunce e che ha provato anche a far circolare proposte alternative, non all'evento in sé, quanto alla narrazione e alle politiche che accelera. Non si può non vedere però che questo lavoro non è bastato a produrre un allargamento significativo della superficie di contatto con i soggetti colpiti da quelle politiche e che in diversi modi avremmo dovuto coinvolgere in maniera diretta e comprensibile: promuovendo pratiche di opposizione e strumenti per l'autorganizzazione e la partecipazione su obiettivi specifici. Un po’ sul modello di quello che abbiamo visto in Brasile per le mobilitazioni contro le politiche prodotte dal Mondiale di calcio. Ma la dimensione dell’autorganizzazione dei soggetti è stata del tutto assente, o quasi. È questo il primo problema che tutti ci dovremmo porre, antecedente alla dinamica fuoriuscita dalla piazza e che in parte ne spiega anche la difficoltà: come si radica socialmente la lotta contro Expo? Il corteo – anche uno importante come questo della Mayday – non è mai il momento principale e nemmeno il più importante in cui si pratica il conflitto, ma deve essere un piccolo evento capace di parlare non solo a chi vi partecipa ma anche, in questo caso, di svelare alla città la realtà nascosta dietro la campagna martellante dei media. Per poter poi rilanciare il conflitto e l’autorganizzazione contro le politiche di precarizzazione, cementificazione e debito imposte da Expo. Tale rilancio dalla may day è stato evidentemente reso più difficile dalle scelte di una soggettività politica organizzata che ha voluto fare di quel corteo un momento di estetica del riot, imponendo una pratica di piazza dentro e contro la volontà della maggior parte delle donne e degli uomini che partecipavano. Non prendiamoci in giro. Ciò che si è visto a Milano non è stata una rivolta spontanea di un conflitto reale, ma la semplice rappresentazione scenica della rivolta, la manifestazione di una forza organizzata che ha voluto spezzare il ritmo e il consenso che in questi anni la rete NoExpo ha cercato di costruire in maniera aperta alle diverse soggettività. Un modo come un altro per mettere il “cappello” ad una manifestazione, in maniera ormai piuttosto vecchia e scontata. Noiosa. Si, noiosa, perché i riot visti a Milano non hanno nulla a che vedere con quanto accade a Baltimora. Un conto è l’espressione di una rabbia diretta, autorganizzata e rivolta direttamente contro ciò che si contesta, altro è una pratica organizzata da una precisa soggettività politica, per di più senza un obiettivo comprensibile. Non ci interessa alcun discorso moralista sentito in questi giorni, né l’idea di dover educare a una presunta "giusta pratica rivoluzionaria". Così come non ci interessano le tante sciocchezze sentite riguardo a infiltrazioni di vario tipo. A noi interessa l’autorganizzazione dei soggetti sociali, e la democrazia dei movimenti, e sono proprio queste le dinamiche del tutto assenti nei fatti della may day. L’autorganizzazione non si organizza, produce le sue forme nelle dinamiche del conflitto, ma in una fase in cui il conflitto reale va ancora costruito le soggettività sociali e politiche devono sapersi coalizzare, mettersi in rete rispettandosi e arricchendosi l’un l’altra. Specie in una fase ben diversa da quella di 10 o 15 anni fa, in cui qualche soggetto, partito o area politica poteva dirsi egemone rispetto ad altre. Non ci interessa separare i buoni dai cattivi, questo giochino lo lasciamo ad altri. A noi interessa avere corrette relazioni nel movimento in grado di rispettarne l’eterogeneità, unico modo in questa fase per costruire reti di opposizione sociale e politiche più larghe e inclusive, in grado di saper allargare la partecipazione conflittuale. Intendiamoci. La scelta della stampa di concentrare tutta l'attenzione sugli eventi e gli "scontri" – già presa nei giorni precedenti inventando inesistenti “assalti” a banche e ritrovamenti di fantasiosi armamentari – è volutamente strabica. Parlare di una città "devastata" e di Milano a “ferro e fuoco” per danni limitati ad un triangolo di vie, fa parte della narrazione tossica che volevano cucire sopra i no Expo, fomentando un’indignazione del tutto sproporzionata e fuori luogo sulla città “violata”. La manifestazione organizzata da PD e maggioranza arancione ha messo in campo un proposta moralistica del tutto ipocrita. Si fomenta l’indignazione per danni economici circoscritti e contenuti nei costi, senza aver provato invece la minima indignazione per i miliardi di euro sprecati da Expo, per quelli finiti in tangenti e corruzione, e senza aver sprecato nemmeno un commento per chi è morto nel cantiere dell’Expo lavorando in condizioni infernali pur di renderlo “fruibile” il primo maggio. Un’ipocrisia che serve solo a contrapporre una presunta "Milano città aperta e solidale" alla possibilità del dissenso, presentandosi di fatto come il solo cambiamento possibile. Così come ci fanno venire l’orticaria le richieste di "condanne esemplari" e l’insistenza sul reato di "devastazione e saccheggio" (con pene che arrivano fino a 15 anni!), dispositivo letale reintrodotto per reprimere i fatti di Genova 2001 e da allora sventolato ad ogni manifestazione con scontri di piazza per criminalizzare il movimento intero, colpendo singole persone e tentando di affrontare una questione politica e sociale sul piano penale. Noi rivendichiamo fino in fondo di aver partecipato all'organizzazione della Mayday e la nostra internità alla rete Attitudine No Expo (che è chiamata ad una difficile e importante discussione, che comincia con il comunicato uscito ieri). Rivendichiamo la scelta di stare in un corteo difficile, per il quale segnali di possibili episodi che non avremmo condiviso c'erano tutti, ma pensiamo sia stata sbagliata la scelta di alcuni di porsi fuori, di subire il ricatto delle possibili "violenze", di non tentare e inventare pratiche autonome, democratiche ed efficaci. Oggi però si impone una riflessione sulle pratiche e sulla capacità di proteggerne il senso collettivo e la possibilità reale di raggiungere gli obiettivi che ci si è dati collettivamente – senza cadere nella scorciatoia (peraltro impossibile da realizzare) della costruzione di servizi d'ordine capaci di risolvere le questioni sul piano "militare". La questione è politica e politicamente va risolta. Una riflessione sulle pratiche che investa i modi con cui si esprime conflitto in un corteo, ma che sappia andare anche al di là interrogando la quotidianità dell'impegno sociale e politico, fatta di riappropriazione, percorsi politici capaci di essere credibili e aperti, relazioni dal basso e conflitto – per radicare socialmente le lotte e ottenere risultati, pur in un contesto non facile. Per questo vogliamo valorizzare quanto la rete ha fatto in questi giorni, oltre al corteo. Stiamo parlando del nostro contributo alla realizzazione della "tavolata popolare" davanti Eataly, insieme allo spazio Fuorimercato e Genuino Clandestino – momento che ha mostrato le alternative che esistono e che vanno costruite ogni giorno. Parliamo delle iniziative della e alla RiMaflow. Parliamo della nostra presenza nella rete NoExpoPride e così via... Pratiche volte a promuovere, salvaguardare e consolidare percorsi sociali, con l'obiettivo di una politicizzazione collettiva. Ogni "coalizione sociale" può essere un terreno dove sperimentare e costruire questa politicizzazione collettiva, se è capace di produrre iniziativa e di includere conflitti, vertenze, pratiche dal basso. I prossimi sei mesi la sfida sarà riuscire a manifestare la nostra opposizione a Expo e a quello che rappresenta oltre la forma corteo e oltre la risposta ad ogni evento. E' la sfida di saper costruire un conflitto sociale reale. Quello che vogliamo e dobbiamo fare è consolidare le reti esistenti, allargare la superficie di contatto con chi è colpito dalle politiche renziane, costruendo spazi per la loro autorganizzazione e insieme capire davvero come quelle politiche incidono sulle nostre vite. Expo esiste e continuerà a esprimere narrazione tossica, ideologia, circuiti di relazioni per il rilancio dei profitti. Noi dobbiamo essere in grado non solo di costruire una diversa narrazione, ma di saperla comunicare; non solo di costruire spazi di riappropriazione, ma di saperli aprire e rendere attraversabili; non solo denunciare le nuove schiavitù e sfruttamento del lavoro, ma di intercettare i soggetti reali favorendone l’autorganizzazione realmente conflittuale.

Lettera aperta ai funzionari e alle funzionarie dello Spettacolo dopo il primo maggio a Milano di Andrea Zappa

Lettera aperta ai funzionari e alle funzionarie dello Spettacolo dopo il primo maggio a Milano http://video.repubblica.it/dossier/expo-milano-2015/noexpo-un-manifestante-a-tgcom24-giusto-spaccare-tutto/199573/198622 http://video.repubblica.it/dossier/expo-milano-2015/parla-lo-studente-che-giustificava-gli-scontri-chiedo-scusa-pronto-a-pulire-la-citta/199621/198670 Cari funzionari e care funzionarie dello Spettacolo, voi avete preso la vita di un ragazzo di provincia e l'avete messa in esposizione nel giorno inaugurale della grande festa autocelebrativa del Tutto e del Nulla. Voi avete preso la vita di questo ragazzo, l'avete messa sul palcoscenico e ne avete fatto la prima Merce in esposizione della grande fiera unidimensionale dell'Impero. In un giornata in cui decine di migliaia di persone protestavano consapevolmente, lucidamente e con un lungo elenco di motivazioni inattaccabili contro la Grande Fiera delle Sorti Progressive di cui voi siete gli entusiasti menestrelli, voi avete reso pubblica, sulle vostre oscene pagine virtuali, solamente la penosa storia di questo ragazzo, usandolo scientemente con l'intenzione di denigrare, ridurre e demolire ogni opposizione ragionata. Ma ciò di cui forse non vi siete resi conto, cari funzionari e care funzionarie dello Spettacolo, è che la vita di questo ragazzo, il vuoto che sta dietro le sue parole, il suo sguardo allucinato sono la denuncia più grande che potevate fare ad Expo perché essi non sono altro che il principale prodotto di Expo, di un Mondo che si fa prima Merce e poi Esposizione, voglioso di mettere in mostra sé in quanto Merce e il proprio mettersi in mostra in quanto Spettacolo. La Merce si fa Spettacolo e lo Spettacolo diventa l'unica vera Merce. Il suo vuoto è il vostro vuoto, è il vuoto in Expo(sizione) della vostra Società (per azioni s'intende) da difendere. Le motivazioni di questo ragazzo, che voi pretendete denigrare, la sua fragilità, che voi avete triturato come un pulcino nel grande Macello della Disinformazione, sono un sotto prodotto di decenni di inebetimento televisivo e di quindici anni di Virtualismo acritico. Questo ragazzo, che verrà presto trascinato in gita scolaresca ad Expo dagli zelanti funzionari e funzionarie del Ministero della Distruzione incaricati del suo indottrinamento, si è sentito finalmente vivo in mezzo al "disastro". Dopo lunghi anni di apprendistato da spettatore o da giocatore virtuale si è sentito per la prima volta attore, parte dello Spettacolo da voi scenografato, al centro di una scena incredibilmente più grande di lui. E ha provato piacere nel prendere parte alla distruzione. E ha provato piacere a raccontervelo, ancora sotto adrenalina, salvo poi chiedere scusa per le parolacce e fare Repubblica ammenda per il padre "incazzato" davanti alle vostre esclusive e viscide telecamere che dopo averlo condannato all'imbecillità gli hanno offerto una pelosa redenzione trasformandolo in figlio di papà che ha sbagliato condendo il tutto con un po' di italiano familismo da sceneggiato. Voi, che siete poi gli stessi che con altre facce, altri abiti e soprattutto altri mandati dai vostri direttori editoriali (c'è un pubblico per ogni manipolazione, quello colto e impegnato che predilige i piatti più raffinati, e quello più becero che si nutre di sensazioni a buon mercato), richiedete interviste all'affascinante anarco-contadino Genuino Clandestino, voi e la vostra Esposizione Universale avete vinto da tempo, e lo sapete fin troppo bene. Ma di una cosa forse potreste continuare ad avere paura. Del fatto che nella vita di questo ragazzo, quegli attimi di distruzione resteranno, forse isolati, come qualcosa di vero, di vivo e di autentico in mezzo a un mare di falsità, di non senso e di alienazione. Ecco, forse questo ricordo incastonato lì nella sua memoria, anche se diventerà il più diligente dei funzionari, resterà sempre una piccola ma inquietante spina nel vostro fianco. Magari. Andrea Zappa

martedì 5 maggio 2015

VERSO IL 23 MAGGIO A GORIZIA - ASSEMBLEA ANTIFASCISTA ALLA CASA DEL POPOLO DI TORRE A PORDENONE VENERDI 8 MAGGIO ORE 20 E 30

Il 23 maggio, l'organizzazione neo-fascista Casapoud Italia ha indetto, con lo slogan "alcuni italiani non si arrendono", una manifestazione nazionale a Gorizia per celebrare l'entrata in guerra dell'Italia. L'Osservatorio regionale antifascista ( a cui aderiscono diverse realtà politiche e individualità) ha lanciato due appelli (che allego) per una manifestazione transnazionale antifascista e antirazzista da tenersi lo stesso giorno. Al fine di promuovere gli appelli e mettere in campo alcune iniziative locali, in vista di una nostra partecipazione alla manifestazione, abbiamo indetto una riunione per venerdì 8 maggio alle ore 20:30 presso la Casa del Popolo. Visto la deriva fascista e xenofoba che ha investito anche la nostra regione, così come l'apertura di due sedi fasciste in provincia, Vi invitiamo tutti a partecipare e a far circolare i testi degli appelli. circolo zapata PN ------------------------------------------------------------------------ Appello per una Manifestazione Antifascista e Antimilitarista a Gorizia - 23 maggio 2015 Il 24 maggio di cent'anni fa l'Italia entrò nella Prima Guerra Mondiale e i fascisti del terzo millennio scelgono questo giorno di vergogna per ribadire il loro slogan demenziale: “alcuni italiani non si arrendono”. Infatti per sabato 23 maggio 2015, Casa Pound ha convocato un corteo nazionale a Gorizia. È degno dei fascisti celebrare milioni di morti inviati al macello per il riassetto di quei poteri che subivano prima e subirono ancora dopo nelle loro vite. Proprio i fascisti sono sempre stati e sempre saranno i migliori alleati di quegli stessi poteri: le prime azioni squadriste furono proprio contro gli scioperi e le autorganizzazioni popolari per garantire gli interessi e i profitti di quei poteri o contro gli sloveni, in queste terre, per creare il mito di una identità nazionale contro “i barbari”.
 “Risorgi, combatti e vinci” dice Casa Pound. A parte il fatto che ben poco fu vinto e molta ignominia ricade ancora sul comportamento dei “generali” sadici che mandarono al macello seicentomila persone, certamente non si trattò di un risorgimento perché in quella guerra e dalla sua mitologia nazionalista e razzista si propagarono poi i prodromi e le radici lunghe del fascismo e degli orrendi crimini di cui si macchiò poi lungo questi confini.
 Si trattò certamente per centinaia di migliaia di uomini di combattere una guerra che non era la loro, strappati a forza dalle loro terre e mandati al massacro in condizioni disumane: è facile trovare testimonianze, foto e video che restituiscono lo schifo e l'orrore di quella “bella morte” che esiste solo nei deliri fascisti. Casa Pound sceglie Gorizia perché fu l'unica città conquistata con le armi, al prezzo di decine di migliaia di vite e della distruzione e abbandono dell'intera città – l'8 agosto 1916 vi era tra le macerie solo un decimo degli iniziali trentamila abitanti – che di “redenzione” visse assai poco e, in più, conobbe la prima deportazione razzista a danno degli sloveni che erano circa la metà della popolazione iniziale. Ma sceglie Gorizia anche perché da decenni è stato seminato in questa città, da parte di alcune organizzazioni, un seme nazionalista, irredentista, che legittima operazioni come quelle che ora si vorrebbero attuare.
 
Solo dei fascisti possono trovare in tutto questo qualcosa di degno e glorioso.
 Noi ci troviamo solo putrefazione e morte: per dirla con Kafka, a noi “La guerra non suggerisce nessuna idea degna”. 
Come dice Dürrematt “Quando lo stato si prepara ad assassinare, si fa chiamare patria”. Non ci piace quell'Europa nella quale gli stati e il capitalismo a suon di patriottismo costruivano e affermavano il loro dominio con la guerra e i massacri e ci opprime quella di oggi fondata sull'austerity imposta dalla Banca Centrale e dalla Commissione Europea, sulla privatizzazione di tutto, sulla distruzione dei diritti e la precarizzazione di ogni aspetto della vita, mentre l'1% si arricchisce tanto da possedere quanto il rimanente 99%.

 Il nostro nemico non è chi vive oltre una qualche linea chiamata confine ma chi ci opprime ogni giorno e, a ben guardare, non è cambiato poi molto. Si è solo organizzato meglio.
 Di queste terre a noi piace ricordare le rivolte, l'ammutinamento e la resistenza di tante e tanti nelle fabbriche, nei quartieri, nei luoghi di lavoro che si diedero allora così come in altre forme quarant'anni dopo e poi ancora, sino ad oggi, nella trama di una società che, quella sì, non si arrende mai reclamando diritti e dignità per tutte e tutti. Ci è impossibile accettare che il 23 maggio a Gorizia si celebri l'infamia dei massacri, tanto più da parte di un’esplicita organizzazione neofascista come Casa Pound che, nella fattispecie, sfrutta proprio le coincidenze simboliche degli anniversari per esaltare la guerra da un lato e infangare la Resistenza Antifascista dall’altro. Il 23 maggio a Gorizia ci saranno manifestazioni antifasciste e rivolgiamo un appello per una mobilitazione ampia e plurale a tutte e tutti coloro – antifascist*, antirazzist*, movimenti sociali, associazioni, individualità – che hanno per patria il mondo intero, che odiano la guerra ma amano la resistenza e la liberazione dai fascismi di ieri e di oggi. Osservatorio Regionale Antifascista del Friuli Venezia Giulia Allo stato attuale è stato comunicato alla Questura di Gorizia un presidio per tutta la giornata di sabato 23 maggio in Piazza della Vittoria e lo svolgimento di due cortei: uno che parte da Piazza Transalpina e raggiunge Piazza della Vittoria e l’altro che parte dalla stazione ferroviaria e arriva, a sua volta, in Piazza della Vittoria. Ulteriori informazioni verranno ovviamente date in seguito attraverso i giornali, i siti internet, facebook eccetera. PER ADERIRE A QUESTO APPELLO SCRIVERE A: antifa.fvg@gmail.com ---------------------------------------------------------------------- Appello agli storici, agli intellettuali e agli artisti Il prossimo 23 maggio, in occasione del Centenario dell'entrata nel Primo conflitto mondiale dell'Italia con la dichiarazione di guerra all'ex alleato Impero Austro-Ungarico, a Gorizia è stata indetta una manifestazione nazionale da parte di Casa Pound Italia, i cosiddetti “Fascisti del Terzo Millennio”. Detta manifestazione avrà le parole d'ordine “Risorgi, combatti, vinci” che suonano come una provocazione in una città che, a causa del conflitto, ha sofferto più di tutte essendo distrutta tre volte. Nel comunicato di convocazione, Casa Pound sostiene che la “Grande Guerra fu uno sforzo colossale in cui italiani di tutte le classi sociali e di tutte le regioni si unirono per portare a termine il percorso di indipendenza nazionale”. Si tace dell'immane massacro e del fatto che tali italiani erano spinti all’assalto – spesso suicida – anche dalla minaccia di processi sommari e fucilazione. Siamo convinti che le arbitrarie interpretazioni e manipolazioni storiche di stampo nazionalista e nostalgico siano state criticate e smentite dalla ricerca scientifica più puntuale. Logicamente, restano aspetti e problemi ancora da esaminare. Come ricercatori/trici e creatori/rici di cultura critica e di coscienza civile, non possiamo restare indifferenti di fronte alla mobilitazione neofascista del 23 maggio a Gorizia, quanto mai strumentale e nefasta. Il 23 maggio, Gorizia sarà anche il luogo in cui si svolge il festival storico “èStoria” – vetrina che dà lustro alla città a livello nazionale e internazionale – in cui quest'anno si approfondiranno le vicende legate a quella guerra in un modo che si presenta scientifico e non parziale. Il giorno dopo la presenza del Presidente della Repubblica Mattarella tra le trincee testimonierà il giusto cordoglio per la morte di centinaia di migliaia di giovani. Notiamo anche che Gorizia, città storicamente plurilingue e crocevia di popoli, ora si sta impegnando nella solidale accoglienza di profughi in fuga da altri conflitti. Per questo crediamo che nessuna credibilità debba essere lasciata a chi, richiamandosi a passate dittature, inneggia ai massacri di un secolo fa e riteniamo sia molto più logico e utile affermare la contrarietà a tutte le guerre ribadendo il desiderio di dialogo e confronto fra le culture e le lingue che caratterizzano questa terra. Per aderire a questo appello scrivere all'indirizzo: noncestoriagorizia@gmail.com

DIBATTITO SUI FATTI DI MILANO (01/05/15) - MILANO BRUCIA ! + comunicato della rete NO Expo

Si sta sviluppando un dibattito sui fatti di Milano che, spero, vada ben oltre l'indignazione o una reazione confusa condizionata da una campagna mediatica forcaiola ---------------------------------------------------------- DOPO LA NOEXPO MAYDAY, VERSO #ALTEREXPO Nella giornata del primo maggio, nella Milano di Expo 2015, mentre la politica e le multinazionali celebravano l’apertura dell’esposizione, un corteo di oltre 50mila persone ha sfilato per le vie di Milano. La MayDay parade 2015, il tradizionale I maggio dei precari, è stata declinata quest’anno in una prospettiva di opposizione ad Expo: acceleratore di dinamiche di precarizzazione, rasponsabile di devastazione e saccheggio del territorio, matrice di debito pubblico. Un corteo composito quello che ha attraversato le vie di Milano: l’internazionale delle bande musicali, i comitati che si oppongono alla predazione del territorio, i lavoratori e le lavoratrici della Rimaflow, la rete di produttori di Genuino Clandestini, i movimenti di lotta per la casa, gli studenti e le studentesse, i precari e le precarie che non hanno rappresentanza, uno spezzone ampio del mondo del lavoro, gli antispecisti, la rete NoExpo Pride, i sindacati di base, le opposizioni all’ interno delle organizzazioni confederali e le sigle della sinistra radicale. Tutte queste componenti hanno portato a termine il corteo in forma organizzata, attraverso pratiche comunicative per segnalare le nocività di Expo. I sette anni che hanno caratterizzato la storia della Rete non possono essere ridotti alla strumentalizzazione mediatica e politica di alcuni momenti del corteo, che ne hanno sovradeterminato l’impostazione collettiva e che poco hanno a che vedere sia con un’espressione di rabbia spontanea, sia con lo stesso percorso No Expo. Come abbiamo sempre fatto, ripartiremo dai nostri contenuti: lo abbiamo dimostrato con la pedalata di ieri, 2 maggio, che ha portato gli attivisti a girare attorno al sito Expo, nella penuria dei suoi visitatori, e con il pranzo popolare davanti a Eataly, che ha riempito Piazza XXV Aprile con il cibo di piccoli produttori agricoli, il suono delle bande musicali e la clown army. Non siamo nè opinionisti nè giudici: di fronte alle dichiarazioni che evocano inasprimenti repressivi fino all’ introduzione di daspo per future manifestazioni, noi possiamo dire con fermezza che nessuno sarà lasciato solo. Abbiamo aperto una stagione di sei mesi contro ed oltre il grande evento, che passerà dal No Expo Pride del 20 giugno, rivendicando il diritto ad una città femminista, frocia e queer, e dall’ assemblea nazionale prevista per la giornata del 3 maggio che sarà riconvocata a breve. rete NO Expo -------------------------------------------------------- Dalla parte dei teppisti Di prima mattina ho fatto una ricognizione per Milano per decidere che fare. Piovigginava e l’asma mi rallentava il passo: dopo aver camminato un’oretta ho capito che era meglio tornarmene a Bologna. Si sapeva che a un certo punto sarebbe scoppiata la baraonda. La polizia non poteva farci niente per una ragione facile da capire: gli occhi di tutto il mondo erano puntati sull’inaugurazione dell’EXPO, un morto nelle strade di Milano non sarebbe stato buona pubblicità. A Genova quindici anni fa (come passa il tempo!) il potere intendeva dimostrare che i grandi del mondo sono inavvicinabili e se ci provi ti ammazzo. A Milano intendeva dimostrare di essere tollerante. Da una parte si fa festa con Armani e Boccelli perché ormai i giovani sono talmente frollati dalla disperazione che fanno la fila per poter servire gratis al tavolo di Monsanto e di McDonald. Dall’altra si permette di sfilare a qualche migliaio di sessantenni i quali, poveretti, credono che per telefonare ci vuole il gettone, e quindi sono ancora dietro a quelle vecchie storie dei diritti. Poi tremila teppisti hanno rovinato il banchetto, tutto qui. Ho letto l’articolo di Luca Fazio e vorrei esprimere un’opinione diversa dalla sua. Fazio scrive che i teppisti hanno rovinato una manifestazione democratica. Sarò brutale con spirito amichevole: a cosa serve manifestare per la democrazia? che utilità può avere sfilare per le vie della città dicendo: diritti, costituzione, democrazia? Io lo faccio talvolta (quando l’asma me lo permette) per una ragione soltanto: incontro i miei amici e le mie amiche. E’ quel che ci è rimasto della sfera pubblica che un tempo chiamavamo movimento. Ma non penso neanche lontanamente che si tratti di un’azione politicamente efficace. C’è ancora qualcuno che creda nella possibilità di fermare l’offensiva finanzista europea, o l’autoritarismo renziano con pacifiche passeggiate e referendum? A proposito: ci sarà un referendum contro la legge elettorale denominata Italicum. Probabile. Giusto per riepilogare voglio ricordarvi gli antefatti. Esisteva una legge elettorale denominata Porcellum (perché coloro che la avevano promulgata dichiararono fra le risate che si trattava di una porcata). La Consulta dichiarò quella legge incostituzionale, dunque sancì l’illegittimità del Parlamento eletto con quella legge. Fino al 2011 c’era almeno un Primo Ministro votato da una maggioranza. Si chiamava Berlusconi (remember?). Fu esautorato per volontà della Bundesbank, venne un primo ministro direttamente eletto dalla finanza internazionale di nome Monti. Il disastro fu tale che si tornò alle urne. Le urne risultarono enigmatiche, e dopo varie tergiversazioni emerse un tizio che nessuno ha votato ma nei sondaggi risultava vincente. Dal momento che questo tizio ha la fiducia dei mercati il Parlamento, eletto con una legge incostituzionale, ora si prostra ai suoi piedi. La cifra vincente del governo Renzi è il totale disprezzo delle regole costituzionali, perciò un parlamento incostituzionale vota una legge elettorale incostituzionale imponendola con il voto di fiducia. Tombola. A questo punto qualcuno raccoglierà le firme per un referendum. Referendum? Io ne ricordo un altro: il 90% del 70% degli elettori votarono contro la privatizzazione dell’acqua. Vi risulta che la privatizzazione dell’acqua sia stata fermata? A me risulta il contrario. E allora perché dovrei andare a votare al prossimo referendum? Qualcuno mi risponde: per difendere la democrazia. Democrazia? Ma di che stai parlando? L’80% dei greci appoggia il suo governo, ma la Banca Centrale europea ha detto con chiarezza che le regole non le stabilisce l’80% dei greci, ma il sistema bancario, quindi che i greci vadano a farsi fottere, e con loro la democrazia. Ma torniamo a Milano. Tremila teppisti spaccano tutto? Non esageriamo, ma certo hanno fatto abbastanza fumo. E i giornali parlano di loro più che di Renzi Armani e Boccelli. Come posso non essergliene grato? Sto forse proponendo una strategia politica? Credo io forse che spaccando le vetrine di tre banche (o magari di trecento o di tremila) il potere finanziario si spaventa? Non scherziamo. So benissimo che il potere finanziario non sta nelle vetrine delle banche, ma in un circuito algoritmico virtuale che nessuna azione teppistica può distruggere e nessuna democrazia influenzare. So benissimo che mentre tremila spaccavano vetrine diciassettemila e cinquecento correvano a lavorare gratis e questo è l’avvenimento più importante. So benissimo che nell’azione teppistica non vi è alcuna strategia politica. Ma c’è forse una cosa più seria. C’è la disperazione che cresce, limacciosa e potente, ai margini del mondo levigato. Cosa ne pensa Fazio (al quale rivolgo un saluto in amicizia) dei teppisti di Baltimore e di Ferguson? Pensa che dovrebbero avere fiducia nella democrazia? Io ricordo di avere visto (era la CBS?) un’intervista a una ragazza che stava in strada a New York una notte del novembre 2014. Il giornalista le chiedeva qualcosa sui bianchi e sui neri e lei rispose: “This is not about white and black. This about life and death.” Nel tempo che viene non capirete niente se penserete alla democrazia. Occorre pensare in termini di vita e di morte, e allora si comincia a capire. Ci stanno ammazzando, capito? Non tutti in una volta. Ci affogano a migliaia nel canale di Sicilia. Un numero crescente di ragazzi si impiccano in camera da letto (60% di aumento del tasso di suicidio nei decenni del neoliberismo, secondo i dati dell’OMS). Ci ammazzano di lavoro e ci ammazzano di disoccupazione. E mentre la guerra lambisce i confini d’Europa, focolai si accendono in ogni sua metropoli. Perché dovrei preoccuparmi dell’Italicum? E’ una forma di fascismo come un’altra. Abbiamo perso tutto, questo è il punto, e il primo maggio 2015 potrebbe essere il momento di svolta, quello in cui lasciamo perdere le battaglie del passato e cominciamo la battaglia del futuro. Non la battaglia della democrazia né quella per i diritti, meno che mai la battaglia per la difesa del posto di lavoro, che è stata l’inizio di tutte le sconfitte. La battaglia necessaria (e forse a un certo punto anche possibile) è quella che trasforma la potenza della tecnologia in processo di liberazione dalla schiavitù del lavoro e della disoccupazione. Quella battaglia si combatterà cominciando a comportarci come se il potere non esistesse, rifiutando di pagare un debito che non abbiamo contratto, rifiutando di partecipare alla competizione del lavoro e alla competizione della guerra. E’ impossibile? Lo so, oggi è impossibile, i giovani che hanno aperto gli occhi di fronte a uno schermo uscendo dal ventre della madre si impiccano a plotoni perché per loro il calore della solidarietà politica e della complicità amichevole sono oggetti sconosciuti. Ma se vogliamo parlare con loro è meglio che lasciamo perdere i gettoni, la democrazia e i diritti. E’ meglio che impariamo a parlare della vita e della morte. Franco “Bifo” Berardi ------------------------------------------ Primo maggio: quello che “si dice” Si dice che grazie alle “violenze” al primo maggio di Milano, le ragioni del No Expo siano state completamente oscurate. Infatti, prima di ieri, queste ragioni erano all’ordine del giorno, venivano affrontate con correttezza dalla stampa ed esposte con chiarezza dalla televisione generalista, che invitava gli esponenti dell’opposizione sociale a dibattiti e ad approfondimenti, talmente ascoltati da essere quasi riusciti ad annullare l’evento. Si dice anche che grazie alle “violenze” al primo maggio di Milano, ora l’intero Movimento si trovi sotto attacco, esposto alle sevizie della polizia e della magistratura, pronta a usare come un ariete l’arma più micidiale del codice (fascista) di procedura penale: il reato di devastazione e saccheggio. Infatti, prima di ieri, questo stesso reato non era mai stato usato, né per colpire i partecipanti al vertice contro il G8 di Genova e neppure, più recentemente, per processare i partecipanti alla manifestazione del 15 ottobre utilizzando un imputazione che prevede pene fino a quindici anni. Alla stessa maniera, per colpire il movimento No Tav, la magistratura non si era certo sognata di trattare quattro ragazzi accusati di aver danneggiato un compressore alla stregua di pericolosi mafiosi, imponendo loro un isolamento degno di quanto previsto dal famigerato 41bis. Si dice persino che da questo momento in poi, considerate le “violenze” al primo maggio di Milano, nessuno vorrà più scendere in piazza. Infatti prima di ieri le piazze erano traboccanti di folle decise a riconquistare i propri diritti, né si stava cercando, visto il surplus di partecipazione, di giocare la delicatissima partita con la quale – magari passando per errori e sbandamenti – tentare di rompere la stagione del reflusso e riconquistare una necessaria ricomposizione di classe. E poi basta guardare quanto accaduto a Cuba con il Movimento 26 Luglio, in Russia con i Soviet o a Parigi con la Comune: quando si registrano episodi di violenza popolare le piazze si svuotano, è la storia che lo insegna. Insomma, si dicono tante cose. Una in più non farà la differenza, è tanto semplice battere i tasti di un computer, pare che anche molte scimmie siano in grado di farlo… intanto Expo non è ancora finito. Mentre fino a prova contraria solo la lotta paga. Cristiano Armati – redattore Red Star Press ---------------------------------------------------------------- Expo: Renzi si accorge che c’è vita oltre twitter È stata una settimana decisamente dura per l’uomo immagine del Pd, segretario di un partito senza spina dorsale e presidente del Consiglio. Il primo colpo, grosso, glielo ha dato la Corte Costituzionale. La sentenza che liquida il congelamento degli aumenti delle pensioni (voluto da Monti-Fornero) come incostituzionale, pone problemi serissimi al governo. Problemi tipici di chi è assoggettato a Bruxelles e Francoforte e a qualche fondo d’investimento (persino Brunetta ha avuto gioco facile alla Camera a svergognare il governo sui prodotti finanziari tossici). In poche parole, mentre il governo è in difficoltà per trovare 4-5 miliardi di tagli, per arrivare a quota 10 a fine anno, almeno altri 5-6 sono da recuperare dopo la sentenza della Corte. Certo basterebbe questa situazione per fare capire, anche ad un governo pallidamente socialdemocratico, che è il caso di allearsi con la Grecia e mettere seriamente in discussione le politiche di austerità. Ma Renzi esiste per garantire, in Italia, i sacerdoti della moneta, quelli che guadagnano con l’austerità. Ma, con le difficoltà oggettive nelle politiche di bilancio, non sarà affatto facile tagliare e, allo stesso tempo, trovare il consenso per nuovi tagli. Oltre al fatto che, come si capisce dalla sentenza della Corte, nessun potere reale dello Stato ci sta a farsi disarticolare dalla crisi, e dal conseguente smantellamento dei poteri istituzionali, come se fosse una provincia o una comunità montana qualsiasi. A Renzi, che dovrà penare non poco per farsi approvare la legge elettorale al Senato (e più penerà più dipenderà dagli alleati) non è quindi restato che inaugurare Expo facendo un po’ di marketing per il governo. Stiamo parlando dell’Esposizione universale che è il vero tempio del disastro economico e sociale della seconda Repubblica. Expo voluta da Prodi e dall’allora sindaco Moratti nel 2007 doveva essere la solita bolla immobiliare-finanziaria più o meno adattata a volano dell’economia lombarda.Come prevedibile, tangenti, addirittura stabilite da patti tra vecchi ras inquisiti per la tangentopoli del ’92 (un ex DC e un ex PCI ad esempio), project-financing, costi gonfiati, contenziosi giudiziari, appalti al massimo ribasso, crisi del credito, tagli, consigli di amministrazione surreali, affidamenti di opere in modo discrezionale hanno trasformato Expo nel consueto buco nero dell’economia italiana. Per non parlare dei salari, livello zero tanto per contribuire alle trimestrali di cassa delle imprese, negati ai volontari che si massacreranno per “un’esperienza”. Ma la cosa più grave di Expo, che ha fatto solo sorridere il solito nucleo di ditte e di cooperative che la fa da padrone dagli anni ‘90 (tutto lottizzato tra centrodestra, centrosinistra e Lega Nord) è che, di fatto, non lascerà traccia. O meglio, rischia solo di lasciare traccia nelle opere mai finite. Non è chiaro infatti non solo quale sarà il destino delle aree inaugurate ma se esista un futuro, un traino economico, tecnologico e sociale rappresentato da Expo. L’Italia, del resto, già con i mondiali ’90 ha dimostrato, a differenza della Germania con i mondiali 2006, come si possa arrivare alla costruzione di grandi opere in modo così disastroso da lasciare terra bruciata a evento finito. Questo per capirsi sul fatto che al miraggio delle grandi opere ci possono giusto ormai credere quelli che votano “per Matteo” sul pulsante del telecomando di Sky al referendum del giorno. L’inaugurazione di Renzi a Expo è stata poi, dal punto di vista dell’immagine globale, una vera e propria Waterloo. Ora non ci vuole molto a intendersi sul fatto che per un’esposizione che si chiama “universale” si ha tanto più successo tanto più si sa parlare all’audience globale. Renzi, che oltre le polemiche da pollaio proprio non riesce ad uscire, ha invece usato il suo discorso come ennesima riedizione della polemica contro quelli che gufano contro il suo governo. Persino noi, che vediamo la finanza globale come la peste, sappiamo che più sai toccare i temi che piacciono all’audience globale più fai marketing territoriale. Bene, Renzi ha plasticamente dimostrato di non essere in grado di farlo non avendo il respiro retorico, e nemmeno i ghost-writer, per questo genere di occasioni. Ha usato la diretta mondiale per battibeccare con i compagni di cortile che, secondo lui, gli dicevano che non avrebbe mai finito Expo. Non ci vuole molto a capire che il prodotto Italia si vende in un altro modo. Siccome le tv italiane per Expo sono state, come prevedibile, militarizzate il problema non è uscito fuori. Ma si tratta di atteggiamenti che, alla lunga, pesano. Aspettare per credere: l’immagine globale pesa per gli investitori internazionali, perché catalizza investimenti, Renzi non può vivere a lungo sul simbolico del “giovane leader dinamico”. Deve dire qualcosa al mondo, magari di sensato ed incisivo. E qui ci si rende conto di chiedere troppo a qualcuno che campa di rendita, dal punto di vista comunicativo, solo sul riciclo delle parole d’ordine degli ultimi 20 anni di liberismo. Nel pomeriggio l’inaugurazione di Expo si è scatenato un riot di protesta, nel centro di Milano, come non se ne vedevano nella città lombarda dal settembre del ’94(all’epoca della rioccupazione del Leoncavallo). Un riot, a nostro avviso, non delle dimensioni dello storico 10 settembre ma sicuramente espressione di un corteo consistente ad alto impatto spettacolare (perché c’è un piano di audience che paga molto di più della fedeltà a “Matteo”: gli incidenti almeno 3 giorni di prime pagine offline e online, e quindi di pubblicità, li fanno mentre Expo con il resti di Napolitano fa mezza giornata). Ora lasciamo, come è naturale che sia, la valutazione più propriamente politica della giornata a chi l’ha organizzata, e vissuta. Inoltre, qualcuno farebbe meglio a rendersi conto, e a volte capire come funziona la vita non è male, che i riot accadono non per delirio ideologico ma perché c’è un qualcosa che è ritenuto veramente insopportabile. In questo caso tutta la vicenda Expo, col suo corollario di corruzione, di esproprio beni pubblici, di sgomberi e di sfruttamento, e il Jobs Act che non ha prodotto posti di lavoro ma solo liquefazione dei diritti e sgravi alle imprese. Del resto la tv, ormai a reti unificate, non si è nemmeno presa lo sforzo di informare, anche superficialmente, sulle ragioni della protesta. Come ormai accade da lustri, e a noi pare un problema di democrazia molto più grosso di una vetrina in frantumi, la rappresentazione delle idee, quelle non concordate tra ceto politico e redazioni di tg, semplicemente non c’è. Il punto è però che con gli scontri del sabato pomeriggio, il simbolico della giornata, quello da vendere a milioni di persone in prime time, si è rovesciato di significato. L’inaugurazione di Expo, con la trovatina di cambiare le strofe dell’Inno di Mameli, è finita in secondo piano rispetto ad una metropoli straniata dagli incendi e dalla circolazione delle tute nere. In effetti la vera notizia, vera irruzione di novità nella rappresentazione del panico metropolitano in una città che il panico lo percepisce ma lo nega, rispetto al rituale renziano ormai consolidato e metabolizzato dagli stessi media schierati. Qualcosa di diverso rispetto all’inaugurazione della torre della Bce, dove comunque la partecipazione alla protesta è apparsa meno legata all’immaginario del centro città sottratto al governo come nel pomeriggio milanese. Certo, si parla di spettacolo, ma così funziona l’emersione dei contenuti nel 21 secolo. Forse un po’ più di costruzionismo, nel capire come si sedimentano i contenuti, e meno moralismo aiuterebbero a capire come funzionano le nostre società. Così con i riot Renzi si accorge così che c’è vita oltre Twitter. Che fenomeni indistinti, per lui, e oscuri gli sfuggono. E si inquieta perché non li controlla come se fossero un D’Attorre o un Fassina. Inquietudine che filtra nel comunicato dedicato agli incidenti dove, scompostamente, ha dato dei “vigliacchi” ai manifestanti cercando di ribadire una cosa. L’unica che gli interessa: che la vera immagine della giornata era il coro di bambini che cantavano l’inno di Mameli. Tentativo di ristabilire una gerarchia della percezione delle immagini che, una volta tanto, non andrà a segno. La rottura dei media ritual, come sappiamo, favorisce sempre il protagonismo simbolico di chi la esercita. E ad Expo il media ritual è stato interrotto. Altre volte non è così, per miriadi di motivi, stavolta lo è stato. Questo ovviamente sul piano comunicativo. Poi la politica, come sappiamo, è qualcosa di più articolato fino all’estremamente complesso. E non ce lo viene certamente a raccontare un Pisapia. Del resto Pisapia, nel corso degli anni, ha soccorso Deutsche Bank, ritirando la costituzione di parte civile del comune di Milano sullo scandalo derivati finanziari (fatto gravissimo), ha supportato sgomberi di case e centri sociali. Questo senza soffermarsi al ruolo del comune in Expo. Diciamola in due parole: se la sua elezione doveva rappresentare un compromesso accettabile tra sinistre ha completamente fallito. La sinistra istituzionale in Italia, sapendo che più sinistre sono qualcosa di naturale e persino inevitabile, ha bisogno di economisti critici e innovativi sui territori non dei Pisapia, avvocatesco ceto politico colluso che finisce per accodarsi, in ultima istanza, alle esigenze PD. In modo politicamente corretto s’intende. Comunque visto che c’è vita oltre Twitter è meglio che questa si organizzi. Il presidente del consiglio, oltre a voler durare, non ha idee precise sul da farsi. Con una situazione economica, nel migliore dei casi, paralizzata questo rappresenta una cattiva notizia come uno stimolo a far, presto, qualcosa di sensato contro l’ultimo, si spera in senso definitivo, degli improbabili al governo del paese. Redazione Senza Soste -------------------------------------------------------- Non a tutti piace Expo Il primo maggio milanese ci consegna una giornata dalle molteplici sfaccettature. Il primo dato fondamentale da cogliere è che quelle decine di migliaia di persone scese in piazza rappresentano uno spettro della società non recuperabile oggi dalla rappresentanza politico-partitica. Nell’insieme, queste presenze hanno saputo esprimere con forza il rifiuto di una città modellata intorno a Expo, ribaltando in maniera forte quella “valorizzazione del territorio” di cui si riempiono la bocca i padroni del cibo. Arrivando a incrinare quell’expoizzazione della città che pretendeva di delimitare lo spazio di agibilità politica di chi si oppone al modello di sviluppo incarnato nel mega-evento di cemento e lavoro gratuito. C’era solo una risposta da dare alla sfacciataggine della questura che ha deciso a qualche giorno dalla contro-manifestazione di porre una zona rossa e vietare un percorso autorizzato da mesi. La città non è di Expo: dalle periferie al centro è stato importante provare a violare la zona rossa per significarlo. E’ stato un corteo composito, con pratiche eterogenee in cui tutte le realtà che hanno partecipato al percorso di opposizione al mega-evento hanno avuto spazio per esprimersi. Pratiche di conflitto radicali hanno coabitato con momenti di incontro tra giovani precari, occupanti di case di diverse città, sanzionamenti e musica si sono alternati tutelando le diverse sensibilità e componenti. Un primo maggio importante nella misura in cui ha saputo porre con chiarezza un’incompatibilità tra il modello-Expo e la parte del paese che non accetta l’impoverimento generale come orizzonte inevitabile di una “ripresa” che è solo artificio retorico per forzarci a stringere ancora la cinghia. Lo scarto politico, per la composizione giovanile che ha animato, numerosissima, il corteo è stato nell’individuare Expo come punto di arrivo e di rilancio di quei meccanismi di precarietà che subiamo da decenni smontando la retorica di chi voleva camuffarlo da “nuovo inizio”. È uno scarto che ci parla di uno spazio di opposizione possibile e concreta al bulldozer renziano e al partito della nazione, di un’irriducibilità delle tensioni sociali che attraversano i territori. Il premier voleva una vetrina per mostrare il meglio dell’Italia. L’ha avuta in questo primo maggio di lotta: l’eccellenza italiana è riprendersi le strade, tutti insieme. Con tutti i suoi limiti il corteo di ieri è la prima grande e decisa protesta contro Renzi e il suo modello di sviluppo, e cosi verrà ricordata. Ma è stata anche una giornata di protesta contro l’Europa della crisi, in continuità con quel 18M a Francoforte che ci aveva mostrato una ricomposizione possibile sul piano del conflitto fuori e contro la governance dell’unione. A Expo c’erano capi di stato da tutta Europa e da tutta Europa è giunta gente a contestarli. Sicuramente si tratta di una dinamica ancora balbuziente e le reciproche incomprensioni sono moltiplicate da culture politiche diverse e livelli di radicalità discordi tra i nostri territori. È un vero lavoro di traduzione, nel senso più ampio del termine, sul quale dobbiamo ancora lavorare molto. Ma è comunque una ricchezza vedere che quell’orizzonte minimo delle lotte che è l’Europa si concretizzi finalmente nella contaminazione del conflitto e non negli scambi tra ceto politico. Queste le considerazioni positive che ci sentiamo di fare rispetto a questa giornata di lotta. Permangono comunque molte criticità su cui dovremo lavorare insieme… tra chi ha voglia di mettersi sinceramente in gioco. La questione, come al solito, non è nelle identità ma nel metodo. Ragionare su quali pratiche ci rendono più forti e evidenziano le linee di frattura sempre più larghe in una società caratterizzata da una rabbia latente quanto diffusa. Spaccare utilitarie o vetrine a caso è un gesto idiota che ha senso soltanto per chi assume come referente del suo agire “politico” il proprio micro-milieu ombelicale. Per quanto ci riguarda il nostro soggetto sociale di riferimento resta sempre quello degli impoveriti, dei senza casa, dei giovani, dei migranti e di tutta quell’eccedenza umana da cui dipende ogni orizzonte di cambiamento radicale dell’esistente. Ai commentatori indignati che oggi spopolano sui social e più in generale in rete vorremmo però sottoporre alcune piccole osservazioni: 1) quello spezzone di corteo che oggi viene sintetizzato e banalizzato nella formula del “blocco nero” – e che raccoglieva invece composizioni politiche e sociali anche molto differenti e stratificate -, piaccia o meno, era il più numeroso dell’intero corteo. A chi oggi pretenderebbe di negare questa evidenza, chiediamo di tornare con lo sguardo all’imbocco di via De Amicis dove si poteva osservare l’ingrossarsi delle file e lo sciamare di moltissimi giovani da altri punti del corteo in quello spezzone lì. 2) si trovavano lì riunite soggettività collettive e individuali che intendevano praticare una qualche forma di conflitto: esercizio della forza, pratica dell’obiettivo, rottura della compatibilità di sfilate sempre uguali a sé stesse e totalmente ininfluenti. 3) il resto del corteo non è stato intaccato o messo a rischio fisico dagli scontri e dalle azioni che vi si sono prodotte. Si dirà che questo è stato merito della oculata gestione delle forze dell’ordine che hanno lasciato sfogare quella piazza evitando un allargamento dei disordini e la loro ingestibilità. Vero, ma la verità sta nella relazione tra quello che la questura ha optato di fronte a una presenza massiccia e di difficile gestione. Una forza effettiva era in campo e poco disponibile a forme di dialogo. In un articolo, peraltro orrendo, Luca Fazio coglie almeno un dato politico: con quel modo di stare in piazza bisogna fare i conti e nessuna struttura organizzata, in queste occasioni, è in grado di esercitare una forza di controllo e direzione compiuta. E’ un bel nodo da sciogliere e su cui lavorare. A partire da una premessa: quella rabbia, quella composizione, quei soggetti sono affare nostro e vogliamo averci a che fare, con tutte le difficoltà del caso. Chi se ne tira fuori – per calcolo, paura o presunta superiorità politico-morale – sta tracciando un solco tra gli alfabetizzati della politica e gli impoveriti ed arrabbiati che in alcune occasioni si presentano sulla scena. Istituisce una gerarchia di apartheid politico tra rappresentabili e non. E’ un gioco a cui non ci prestiamo. Preoccuparsi del solco che si rischia di scavare tra militanti e resto della popolazione è cosa lodevole e necessaria (nodo del consenso). Non porsi il problema di come inglobare e dare senso a una rabbia latente e necessaria (nodo del conflitto) è una scelta ponzio-pilatesca e dallo sguardo corto, tanto più per chi si rappresenta come opzione conflittuale e antagonistica mentre nei fatti pensa ogni volta solo ed esclusivamente a portare a casa la pelle e garantirsi la riproduzione del proprio piccolo aggregato, tenendosi aperti canali di mediazione e dialogo che non portano più da nessuna parte. C’è tanto da dire, ragionare e commentare sui fatti di ieri. C’è però innanzi tutto da prendere una posizione chiara sul dove e con chi stare. Sul fatto che è mille volte preferibile trovarsi il giorno dopo a fare i conti con conseguenze ed esiti imprevisti piuttosto che darsi le pacche sulle spalle tra le infinite gradazioni di un ceto politico costantemente impaurito dall’emergere di una qualunque forma di eccedenza non prevista. Atene, Baltimora, Istanbul sono dietro l’angolo. Prendiamone atto e attrezziamoci di conseguenza. C’è invece chi ancora pensa di trovarsi nella stagione dei social forum o peggio, nei trenta gloriosi. Non è (più) così. Redazione Infoaut.org --------------------------------------------------------------------- Contro l’Expo e gli sciacalli del giorno dopo Trentamila persone per una manifestazione addirittura internazionale, lanciata da mesi e contro la *grande opera* per eccellenza, segnano la cornice entro cui ogni ragionamento andrebbe riportato: oggi, se non in rare occasioni, non abbiamo la forza di costruire consenso, veicolare processi di opposizione reale, sedimentare forme di resistenza. Oggi a muoversi sono sempre e solo militanti politici, numericamente sempre meno e sempre più isolati dal corpo sociale che in qualche modo si vuole rappresentare (quello del lavoro: salariato, disoccupato, precario, non pagato, eccetera). I motivi di questo progressivo scollamento sono da ricercarsi dentro di noi, non all’esterno. Non c’è un complotto contro processi di partecipazione, se non la tipica dinamica volta a disincentivarli sempre però presente, in ogni fase della storia, quando questi assumono forma antagonistica. Questo il primo dato da cui partire, che però spiega i motivi per cui, a seconda del contesto, si dovrebbe avere l’intelligenza e la capacità di scegliere lo strumento più adatto per esprimere un messaggio politico. Per quanto ci riguarda, siamo saliti a Milano con la consapevolezza di partecipare in forma minore, senza velleità protagonistiche, consapevoli che da tempo la città stava investendo tutta l’energia politica di cui è attualmente capace per l’occasione, fidandoci dunque dei compagni che in qualche modo ci si stavano sbattendo. Abbiamo partecipato nello spezzone che consideravamo centrale nel discorso “no-Expo”, quello del lavoro. E’ la questione lavorativa il cuore del significato dell’Expo; sono le forme che il lavoro assume nei progetti pilota quali Expo che minano alla radice le nostre condizioni di vita; sono tali sperimentazioni sociali che poi il capitale generalizza trovando sbocco alla sua necessità di profitto. E’ dunque nella questione lavorativa che si trovano le ragioni della nostra opposizione alla grande opera Expo. Tutelando noi e la metà del corteo dietro agli scontri, abbiamo – insieme agli altri compagni presenti: dai sindacati conflittuali ai collettivi che fondano il proprio agire nella contraddizione capitale-lavoro – garantito che metà corteo giungesse infine alla sua naturale conclusione, evitando la dispersione del corteo stesso. Non eravamo materialmente presenti nel fuoco degli scontri, evitiamo dunque di parlare di dinamiche che ci vengono raccontate ma che sono frutto di legittime decisioni altrui. Soprattutto, non ci accodiamo al pensiero mainstream che da subito ha iniziato la consueta opera denigratoria. Non c’è un corteo buono e uno cattivo; non ci sono infiltrati; non c’è una parte sana e una malata. Questa cosa va detta con fermezza, in ogni dove. C’è solo tanta rabbia, che va articolata ed espressa nel migliore dei modi (e dubitiamo che questo “migliore dei modi” sia quello visto ieri), ma che in ogni caso non condanniamo perché non è certo il comportamento dei subalterni che oggi può essere messo sul banco degli imputati. Ci sono delle scelte politiche precise e una “narrazione conflittuale” che da tempo ha preso il sopravvento sulla strategia politica. Non è lo scontro e la devastazione il problema oggi. E’ come creare consenso attorno a pratiche conflittuali. E’ questo ciò che manca, ed è da qui che si deve ripartire, e da subito. Non reiterando discorsi e immaginari che vengono poi raccolti da altri, che con più sapienza e coerenza li portano alle estreme conseguenze. E’ tornando a fare politica, cioè costruendo un discorso conflittuale che vada di pari passo al sentire comune della classe. Senza accelerazioni inutili o altrettanto inutili attendismi. Quelli che oggi inorridiscono e che magari favoleggiano degli anni Settanta dovrebbero tenere in mente che esteticamente non c’è molta differenza tra la Milano di ieri e una qualsiasi manifestazione del ’77: è il contesto che è radicalmente diverso, la cornice politica radicalmente mutata, i numeri, il consenso diffuso, una dialettica politica differente, differenti organizzazioni capace di reggere pratiche di piazza oggi completamente “anarchiche”. Un modello che oggi non può essere riproposto in sedicesimi sperando di azzeccare la combinazione giusta per caso, scontro dopo scontro, quasi che attraverso una sommatoria di pratiche esteticamente simili si possano riattivare magicamente cicli di lotte ormai trapassati. Tra una sfilata pacifica e una Mercedes in fiamme, ci sembra mancare la politica, quella mediazione capace di spostare in avanti il nostro rapporto di forze con i nemici di classe. Che utilizza il conflitto comemezzo e non come fine, trasformandolo in obiettivo politico strategico e sacrificando ad esso ogni discorso di opportunità politica. Ma questo è un discorso che va affrontato tutti insieme. Da oggi va ricostruita un’opposizione all’Expo, vanno continuati i percorsi e vanno liberati i compagni. Soprattutto quelli arrestati ieri negli scontri. E dopo anni di corruzione, scandali, miliardi sottratti alla cittadinanza, nepotismi vari, disastri economici, sociali e culturali, non ci venissero a parlare di danni d’immagine alla città. Non sarà la collera male organizzata dei subalterni a rendere le nostre ragioni meno decisive. Collettivo Politico Militant – Roma --------------------------------------------------------------- Milano. Quello che va detto E’ tempo di valutazioni su quanto accaduto a Milano con la manifestazione nazionale No Expo, ma il primo errore da evitare è quello di una valutazione circoscritta ai “fatti” avvenuti durante una manifestazione. Questa è l’operazione sistematica che il sistema dei media adotta e dunque non può essere il nostro. Una manifestazione nazionale, tra l’altro, non è che un momento di passaggio e di sintesi di un percorso iniziato da tempo e che dovrebbe – anche in questo caso – indicare i passi del percorso successivo. Il secondo errore è quello di concentrare l’attenzione e dividersi nelle valutazioni sugli e degli scontri avvenuti. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che una manifestazione convive con una dualità al proprio interno. Se non possiamo che riaffermare una distanza stellare da azioni che colpiscono allo stesso modo la vetrina di una banca e quella di un normale esercizio commerciale, di un costosissimo Suv e una utilitaria, dobbiamo anche sottolineare come non siano gli incidenti in piazza – più o meno gravi – a “nascondere” le ragioni dei manifestanti quanto, piuttosto, il sistema dei media e dei loro azionisti di riferimento. Spesso, troppo spesso, proprio l’assenza di incidenti fa sì che manifestazioni pacifiche di migliaia di persone vengano vergognosamente silenziate. Ignorate come se non fossero mai avvenute. Come ebbe a dire un veterano del sindacalismo proprio all’indomani di una manifestazione sindacale a Milano, anche quella ignorata dai media: “la prossima volta rompo una vetrina, così dovranno accorgersi del perché migliaia di lavoratori che sono scesi in piazza”. Non solo. Da mesi ormai, da quando al potere si è insediato Renzi- quello che Marchionne e soci “hanno messo lì” – nel paese e nelle sue relazioni si è imposta una governance autoritaria che nega ogni possibilità di dialogo o modifica delle decisioni imposte dal governo: dalle leggi contro-costituzionali al jobs act, dalla scuola alla legge elettorale. E allora? Se le manifestazioni pacifiche o le opposizioni parlamentari non hanno la possibilità di incidere sulle scelte, che cosa si pretende? Milano ha visto scendere in piazza quasi quarantamila persone, in larghissima parte giovani e lavoratori dei settori a rischio, contro l’Expo, ossia contro una costosissima (per noi) vetrina per le multinazionali che ha devastato un intero territorio e le casse pubbliche. Ma soprattutto contro l'”esperimento” politico del lavoro gratuito e del divieto di sciopero per la durata dell'”evento”. Contro tale progetto sono otto anni che comitati, reti sociali, collettivi si stanno battendo punto su punto. Dunque la mobilitazione No Expo non è nata il 1 maggio a Milano, ma è il risultato di un lungo lavoro. Il governo e i poteri forti hanno spinto il piede sull’acceleratore volendone fare un simbolo, un “pennacchio”, dell’attuale esecutivo. Hanno creato loro stessi l’evento catalizzatore. Il sistema dei mass media ha fatto il resto alimentando per settimane la tensione. Un processo questo che, da un lato vorrebbe allontanare la gente dalle manifestazioni e dall’altro produce l’effetto opposto. Un paradosso? No, proprio perché una manifestazione che possa prevedere scontri di piazza produce l’idea che possa essere una manifestazione più efficace di altre. Infine, su quanto accaduto in piazza. La partecipazione è stata ampia e con migliaia di persone. Si era capito che l’aria si sarebbe saturata di lacrimogeni e quant’altro, ma nessuno se ne è andato via per questo. Solo alcuni – vedi i soggetti della Coalizione sociale di Landini – se ne sono tenuti alla larga. La polizia ha adottato una strategia completamente diversa da Genova. Le immagini della macelleria messicana del 2001, anche alla luce della sentenza della Corte Europea, non erano ripetibili. Dunque ha giocato d’anticipo con alcuni blitz, ha chiuso il centro di Milano, ha tenuto a distanza il corteo ed ha ridotto al minimo i danni. Cariche pesanti, lunghe e indiscriminate, avrebbero esteso a macchia d’olio quello che invece è rimasto circoscritto a due punti del percorso. Volendo avrebbe potuto effettuare centinaia di fermi o arresti nel momento in cui la manifestazione si è sciolta perché l’area era completamente circondata. Con molta probabilità agirà nei giorni successivi utilizzando le tecnologie di identificazione e la deterrenza dei capi di accusa (devastazione e saccheggio) come strumento di repressione e ritorsione. Volendo tirare alcune prime conclusioni, con ancora la stanchezza della manifestazione e del viaggio addosso, ci sembra che la manifestazione di Milano confermi come oggi il conflitto sociale non possa agire dentro contesti che si stano rivelando inefficaci a tutti i livelli – da quello sindacale a quello parlamentare, da quello sociale a quello politico – e che nessuno possa più permettersi di usare i cosiddetti black block come capro espiatorio delle proprie difficoltà. Dall’altra parte occorre intervenire su alcuni pezzi delle nuove generazioni del conflitto per liberarle “dall’edonismo sfasciatutto” che prescinde dal contesto, dalla reazione dei soggetti sociali, dalla possibilità di creare relazioni, amplificare coalizioni e conflitti. Uno spot che dura il tempo di un telegiornale rimane pur sempre uno spot, che si tratti di un innocuo flash mob o di un assalto alla vetrina di una banca. Il fatto che i mass media parlino di loro, solo di loro e solo in questo modo, non è la soluzione, è parte del problema. Prima lo si capisce meglio è. Redazione Contropiano

IX Congresso Nazionale della FdCA

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1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)