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campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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domenica 21 febbraio 2021

sabato 20 febbraio 2021

Lotte (post) pandemiche nella riproduzione sociale: alleanze intersezionali tra alloggi e lotte dei lavoratori essenziali in Romania

Articolo pubblicato il 25.11.2020 su Musafiri în Casa
Jurnalistului; version inglese su Transnational Social
Strikes; versione francese su Le Monde Libertaire.
Traduzione in italiano dal francese di Totò Caggese

QUI IL L'ARTICOLO APPARSO IN "IL CANTIERE"



                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            





Veda Popovici è un’attivista politica che vive a
Bucarest. Oltre a partecipare attivamente ai diversi
movimenti, si impegna attraverso l'arte, la teoria e
l'insegnamento con un interesse speciale per il pensiero
anticoloniale, il femminismo intersezionale,
l'antifascismo e le possibilità materiali di creare i beni
comuni. Ha navigato e co-fondato vari collettivi locali
anti-autoritari, anarchici e femministi come il
collettivo/cooperativo autonomo Macaz, la Biblioteca
Alternativa, il gruppo femminista Dysnomia e la
Gazette of Political Art. Dedicata all'azione abitativa
radicale, è membro del Fronte comune per i diritti alla
casa a Bucarest e attivista per la federazione nazionale
per la giustizia abitativa radicale Block for Housing.
Dal 2019 è facilitatrice della European Action
Coalition for the Right to Housing and the City.

CARCERI: “IO NE HO VISTO COSE CHE VOI UMANI NON POTRESTE IMMAGINARE”

 di Carmelo Musumeci

In questi giorni, forse per ricordarmi da dove vengo, ho
dato un’occhiata ai miei diari che scrivevo dal carcere
e ho pensato di rendere pubblici alcuni brani. Non lo so
perché lo faccio, forse perché m’illudo di poter
seminare qualche dubbio in alcune persone che
pensano che chi fa del male ne deve ricevere
altrettanto. Forse semplicemente perché mi sento un
po' come un reduce di guerra e non riesco a scrollarmi
il carcere di dosso, perché spesso mi tornano alla mente
tutti i ventisette anni di carcere, con i periodi
d’isolamento, i trasferimenti punitivi, i ricoveri
all'ospedale per i prolungati scioperi della fame, le
celle di punizione, ecc. Se vi va leggete, perché spesso
in un prigioniero c’è un pezzo di cuore di ognuno di
noi:
“Oggi un compagno si è tagliato le vene... Tutto quel
sangue mi ha impressionato: la limitatezza e la fragilità
della natura umana in carcere è come uno specchio e ti
senti emotivamente coinvolto... Insomma non è come
vedere la sofferenza in televisione, è tutto molto più
brutto, più vero, più crudele...”
“Verso le 16.00 mi hanno chiamato in matricola ed ho
avuto l’occasione di vedere una donna detenuta con
una bambina bellissima in braccio. Nonostante in
carcere ne abbia viste tante, mi ha fatto molto effetto
vedere un angelo dietro le sbarre... Mentre andavo via
non ho resistito alla voglia di farle una carezza e lei mi
ha sorriso come solo i bambini sanno fare. Aveva sul
visino molte punture di zanzare e anche questo fatto mi
ha fatto molta pena...”
“Oggi c’è stata una battitura alle sbarre, collettiva e
spontanea... un detenuto che si sentiva male, per
protestare che non veniva il medico, si è rifiutato di
entrare in cella e per risposta è stato aggredito da due
guardie... Abbiamo visto il compagno albanese con il
sangue che gli colava dalla testa e poi l’hanno portato
alle celle di punizione...”
“Agli ergastolani malati, per tirare su il morale, dicevo
spesso che il destino, per farci soffrire di più, ci
avrebbe fatto morire per ultimi, ma purtroppo non
sempre è così. Oggi ho ricevuto la notizia che un altro
ergastolano ha finito di scontare la sua pena prima
dell’anno 9.999 perché è morto per un colpo al cuore.”
“Sono partito da Nuoro verso le 11.00, con il solito
blindato che sembra una scatoletta di sardine... Chi ha
progettato questi furgoni blindati per trasportare i
detenuti deve essere una persona che ha dei problemi

mentali perché neppure gli animali sono trasportati in
queste condizioni. Arrivo ad Olbia verso le 12.30.
Dopo ore di attesa, dentro quella scatola di sardine, con
un caldo soffocante, senza poter bere ed andare in
bagno, prendo l’aereo verso le 16.00 e alle 17.00 arrivo
a Firenze e dopo dieci minuti al carcere di Sollicciano.
Come al solito mi assegnano alla sezione transito ma,
peggio del solito, capito in una cella dove sembra che
siano passati i vandali: il tasto del volume della
televisione rotta, senza cuscino, senza luce artificiale,
solo uno stipetto, muri della cella sporchi ed in alcune
parti macchiate di sangue. Pulisco come posso, mangio
un pezzo di pane con un po’ di formaggio, che mi sono
portato da Nuoro, e poi mi addormento, con il
desiderio di non svegliarmi più.”
“Ogni tanto penso a tutto quel tempo che il mio
magistrato di sorveglianza ci ha messo per rispondermi
che devo morire in carcere. Prima di questa esperienza
pensavo che la violenza fosse nelle urla, nelle botte,
nella guerra e nel sangue. Adesso so che la violenza è
anche nel silenzio delle cosiddette persone perbene.
Loro vedono sempre la cattiveria degli altri, mai la
loro.”
“Oggi ho ricevuto una lettera da una detenuta, che mi
ha raccontato di quando si è suicidato il marito (e padre
di suo figlio) in carcere, che mi ha molto commosso.
Le sue parole mi hanno confermato ancora una volta
quanto spesso sono disumani gli umani: (...) Mia
madre e mia zia, che non vedevo da anni, mi vennero a
dire che Giampiero si era impiccato in carcere. Tre
giorni prima nei sottotitoli del TG3 avevo letto una
frase sfuggente, veloce, che mi aveva fatto venire i
brividi: “Un altro suicidio in carcere”. Avevo pensato:
“Non sarà mai il mio Giampy, speriamo che non lo
sia...” (...) Mi diedero il permesso d’uscita per gravi
motivi familiari con la scorta. Non mi tolsero neanche
le manette dai polsi. Non ero mai entrata in un obitorio.
Erano dei mostri. Aprirono uno di quei cazzo di orribili
cassettoni frigoriferi davanti a me. Me lo portarono
davanti agli occhi ancora chiuso nel sacco nero. Non
l’avevano neanche vestito. Aprirono il sacco: era nudo,
con i punti dell’autopsia sul torace fino al ventre, che
deturpavano il suo bellissimo tatuaggio tribale. Non mi
tolsero le manette. Ho dovuto accarezzarlo con i ferri ai
polsi. Non mi hanno neanche concesso la pietà di
salutarlo come avrei voluto. Il suo collo era pieno di
lividi. Odiai Dio. Odiai la vita. Odiai me stessa. Odiai
la morte. 

 


 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                Odiai tutto l’universo. Lo baciai sulle labbra.
E gli dissi: “Perdonami. Ti amo.” Poi me ne andai.”
“Mi ha chiamato Nicola, il compagno che ha tentato
d’impiccarsi lo scorso mese, e l’ho un po’ consolato.
Lo stanno imbottendo di farmaci, io invece credo che
più di psicofarmaci abbia bisogno di speranza e io gli
ho dato proprio quella, promettendogli che gli farò una
istanza di permesso.”
“All’ultimo giorno utile per fare l'esame, mi hanno
portato a Firenze. A parte i soliti disagi del viaggio, ho
dovuto farmi Roma/Firenze con il furgone blindato
senza la possibilità di urinare e di mangiare un
panino... Sono arrivato a Sollicciano alle 17.00 ma mi
hanno fatto salire alla sezione del transito alle 22.00 e
non sono riuscito a trovare nulla da mangiare... Nel
muro della cella, scritto con il sangue, ho letto: “Non
t’impiccare, resisti, non devi avere paura dalla galera, è
lei che deve avere paura di te”. Che cazzate! Mi sono
addormentato subito dalla stanchezza."
“Oggi ho scritto un reclamo ad un compagno per un
fatto che mi ha emotivamente colpito: per aver fatto
una carezza alla moglie in gravidanza, per sentire il
bambino/a muoversi, è stato sottoposto al 14 bis e dalla
Sicilia l’hanno trasferito in Sardegna.”
“Oggi un uomo ombra, che credevo fosse un duro,
commentando il suicidio di un nostro comune amico
ergastolano, mi ha confidato: Io non mi ucciderò mai,
ma sento spesso il desiderio di farlo. Io ho pensato che
sono proprio quelli che dicono che non lo faranno mai
che sono più a rischio, ma non gliel’ho detto.”
“Ho ricevuto questa lettera da una detenuta: Sono stata
condannata ad anni quattro e mesi otto di reclusione.
La cosa che mi preoccupa più di tutto è perdere il
lavoro perché, credimi, l’unico mezzo di sostentamento
per me e per mia figlia era proprio il mio lavoro. Ti
parlo con il cuore in mano, sono molto giù. E ho paura
che psicologicamente stia crollando. Sono una persona
molto semplice, che ha sbagliato, ma erano dieci anni
che non entravo più in carcere. Mi ero sistemata.
Adesso mi sento di aver perso tutto. E non ho più
voglia di vivere. Sono giorni che piango da sola. Penso
al suicidio. Non so Carmelo, può la giustizia far
perdere tutto ad una donna di 45 anni che con fatica e
impegno era riuscita a trovare un posto di lavoro fisso e
una casa popolare? Il mio avvocato continua a chiedere
soldi, ma io non so dove prenderli.”
“Ho letto di un altro suicidio in carcere. Ho perso il
conto, nel giro di una settimana si sono tolti la vita 4
detenuti, a pochi giorni l’uno dall’altro. D’estate i
suicidi in carcere aumentano. Sembra che i funzionari
dell’Amministrazione penitenziaria abbiano diramato

delle Circolari (che come al solito rimarranno carta
straccia) per affrontare il problema. Eppure basterebbe
poco per evitare alcune morti: un trasferimento in un
carcere vicino a casa, una telefonata o un colloquio in
più con i propri cari, una vivibilità migliore, un
semplice ventilatore in cella o anche qualche ora d’aria
in più nei cortili dei passeggi. E, soprattutto, un po’ di
speranza e amore sociale. Spesso molti mi chiedono
perché alcuni prigionieri si tolgono la vita. Non è facile
rispondere a questa domanda, penso che purtroppo per
alcuni detenuti non ci sia poi così tanta differenza tra
trovarsi sepolti sottoterra o murati vivi in una cella."

Per richieste zannablumusumeci@libero.it

Alta Murgia: contraddizioni e volontà di riscatto di un'area interna del Sud.

 di Piero Castoro (Centro Studi Torre di Nebbia)

 

Una curiosa definizione indica la Puglia come la
meno italiana tra le terre italiane, in quanto è
collegata all’Appennino senza possedere vere
montagne. La Piattaforma Apula, infatti, è sostenuta
da tre grandi blocchi di rocce carbonatiche formatesi
circa 130 milioni di anni fa, durante il
Cretaceo.Oltre al Gargano e al Salento, l’altro banco
di rocce calcaree della Puglia è costituito da un
altopiano che non supera i 700 metri sul livello del
mare e che si estende per più di centomila ettari
nell’area interna della provincia di Bari, lungo il
confine con la Lucania che da Matera sale verso
Venosa. Questo territorio, circondato da tredici
Comuni, è l’Alta Murgia.
È in questo territorio che, a partire dalla metà degli
anni Ottanta del secolo scorso, il Centro Studi Torre
di Nebbia, insieme alla rete territoriale dei CAM
(Comitati Alta Murgia), ha dato vita ad una difficile
e, per certi versi, straordinaria esperienza che si è
concentrata principalmente sul rapporto tra
tendenze e trasformazioni in atto, perseguiti senza il
supporto di una coerente politica di
programmazione complessiva inerente un territorio
"marginale" come l'Alta Murgia, e l’identificazione
di un nuovo centro di gravità intorno al quale far
ruotare idee, tensioni e progetti in grado di fornire
risposte durevoli e concrete ai problemi di
quest’area interna del meridione d’Italia.
Questa dialettica ha animato il dibattito e l’impegno
di un vasto ed eterogeneo schieramento di forze che
ha saputo resistere ai tranelli sclerotici della politica
e, geloso della propria autonomia, ha saputo pian
piano non solo acquisire una più profonda

consapevolezza della
dimensione dei processi che
coinvolgono il territorio
dell’Alta Murgia, ma ha
elaborato e proposto un
progetto di grande rilievo
politico e culturale che ha
avuto come esito, importante
anche se provvisorio,
l'istituzione del primo Parco
rurale d'Italia (2004).
Il percorso non è stato facile,
in quanto abbiamo dovuto
fare i conti con un opposto
schieramento di forze
politiche e sociali intente a
difendere interessi ambigui e
contraddittori con il rischio di
compromettere i delicati
equilibri storici e ambientali dell'Alta Murgia


L’Alta Murgia, dopo aver ospitato, tra il 1959 e il
1963, 30 missili con testate nucleari, dagli anni
Settanta è diventata teatro di esercitazioni militari,
con i suoi cinque Poligoni di tiro “occasionali”. Fu
questa la prima grande vertenza che si collegava
idealmente alla lotta contro i missili (Marcia di
Altamura- 13 gennaio 1963) ma anche, e sarà
questa una costante del movimento contro i poligoni
sulla Murgia, contro le guerre, a partire da quella
combattuta nel Vicino Oriente agli inizi degli anni
Ottanta.
Il territorio ha continuato a snaturarsi per l’effetto
polverizzante dell’attività di “spietramento”
(frantumazione meccanica delle rocce calcaree di
superficie), eufemisticamente definito “recupero
franco di coltivazione”, incoraggiato da una assurda
politica di finanziamenti pubblici, che ha interessato
più della metà dei 60 mila ettari di pascolo e nulla
ha lasciato e lascia dietro di sé, se non polvere di
calcare e terreni scarsamente produttivi. A questo
bisogna aggiungere lo sversamento di fanghi tossici
su vaste zone della Murgia (Vedi il caso “Murgia
Avvelenata- 2003), per non dire dei cosiddetti
“laghetti artificiali” costruiti lungo il Costone
murgiano (più di 100 miliardi di lire spesi per non
irrigare neppure un metro di terra); le cave - tante e
mai bonificate -; costruzioni di "villette" e
capannoni più o meno abusivi a 360°, poi i furti di
reperti architettonici e, non ultimo, il rischio, ancora
oggi incombente, che il territorio possa ospitare il
“Deposito unico nazionale di scorie nucleari”. Ecco



l’idea del parco rurale nasce al crocevia dei questi
di questi gravi problemi.
Nel mentre scriviamo queste righe, i CAM sono
impegnati, insieme alla rete di associazioni di base
della Lucania a contrastare l'ipotesi di costruzione
del deposito unico di scorie nucleari. Infatti nella
carta delle aree ritenute idonee per la costruzione
del deposito di scorie (CNAPI), ufficializzata il 5
gennaio scorso, tra le 67 aree individuate come
idonee, sette sono collocate tra Puglia e Basilicata
(vedi https://www.facebook.com/altramurgia).
Nonostante la mancanza di consumati topoi che
possano facilmente risvegliare la nostra
ammirazione, l'Alta Murgia rivela un fascino raro e
prezioso. La sua specificità consente una
molteplicità di prospettive che invitano a scrutare
curiosi un universo storico-ambientale del tutto
peculiare nel paesaggio italiano ed europeo. Un
paesaggio duro, ma anche delicato e puro che
estende i suoi colori e i suoi profumi su un'area che
rappresenta l’ultimo grande habitat di pseudo steppa
mediterranea della Penisola. L’ecosistema
ambientale dell’Alta Murgia, conta più di 1500
specie di piante spontanee che rappresentano il 25%
delle specie presenti in Italia.



                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      In quest'ampia
superficie si
riscontrano quasi
tutti i maggiori
fenomeni del
carsismo.
Questo ecosistema
permette la vita di
molte specie della
fauna superiore, di
anfibi – rettili -
uccelli e mammiferi.
Tale variabilità,
insieme a vaste
estensioni di
territorio poco antropizzate, fanno dell'Alta Murgia
una delle aree della regione più importante sotto
l'aspetto faunistico.
Tra altre rare specie l’Alta Murgia ospita la
popolazione più importante e più numerosa
d’Europa del Falco Naumanni, ovvero del Grillaio,
incluso tra le specie prioritarie per la conservazione
nell’Unione Europea,
Ma la natura dell’Alta Murgia non è mai isolata.
L’ambiente fisico e biologico infatti, si è intrecciato,
da tempo immemorabile, con la presenza attiva
dell’uomo che ha sapientemente modellato il
territorio e ha data vita, attraverso i secoli, ad uno
straordinario paesaggio agrario. Prima ancora però
che gruppi di pastori nomadi inaugurassero, a
partire dal III millennio a. C., le fasi del

popolamento stabile, l’Alta Murgia ha registrato
l’approdo dei più remoti antenati dell’uomo.
L’eccezionale scoperta, avvenuta nel 1993 presso il
Pulo di Altamura, del sepolcro millenario di uno dei
primi rappresentanti della nostra stirpe, conferma la
frequentazione umana del territorio già durante la
preistoria più antica. Si tratta dello scheletro di un
ominide – per la prima volta al mondo – trovato
intero e perfettamente conservato, appartenente ad
una specie arcaica di Homo, risalente a circa 150
mila anni fa.
Nello stesso decennio in cui la Murgia subiva le
ferite più grave ad opera dell’uomo, è venuta alla
luce un’altra testimonianza dei preziosi scrigni che
questo territorio custodisce.
Nel 1999 è stato rinvenuto, in una cava dismessa tra
Altamura e Santeramo un giacimento di orme di
dinosauri. Tale ritrovamento, che fa precipitare la
conoscenza fin qui acquisita in un nuovo e
meraviglioso fossato del tempo, consente anche di
ricostruire un ambiente naturale arcaico, inedito e
mai presupposto, della storia dell’Alta Murgia e
della Puglia, risalente a decine di milioni di anni fa.
Distribuite su un’area di circa 12.000 metri quadri
sono state rinvenute più di 30.000 impronte di
Dinosauri, molte delle
quali incredibilmente
intatte e nitide. L’alta
concentrazione di tracce
e di piste ne fa,
attualmente, il
giacimento più ricco al
mondo.
Ma al di là di questi e
altri preziosi
ritrovamenti, le fasi del
popolamento si sono via
via intrecciate al
passaggio di vari popoli
e civiltà: dai Peuceti ai
Greci, dai Romani ai Bizantini, agli Arabi, e poi i
Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi...
La complessa trama di vicende storiche ha
determinato l’alternarsi di forme economiche e
politiche che hanno sancito di volta in volta
equilibri o tensioni contraddittorie, tra agricoltura e
pastorizia, tra città e campagna, tra area interna e
costa adriatica.
Le attività prevalenti che l’uomo ha esercitato in
sintonia con la vocazione d’uso del territorio, quali
la pastorizia e l’agricoltura, hanno dato vita a forme
di organizzazione dello spazio estremamente ricche
e complesse, come le innumerevoli masserie da
campo, adibite in prevalenza alle attività agricole e
le masserie per pecore, i cosiddetti Jazzi, che
sorgono lungo gli antichi tratturi della transumanza.



                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Per la presenza di questo particolare sistema di
insediamenti storici, l’Alta Murgia rappresenta il
maggiore sito di archeologia rurale d’Italia.
A dominare i lati opposti dell’altopiano, lungo le
antiche arterie romane della via Appia e della via
Traiana, sono il Castello del Garagnone, costruito
dai normanni su di un banco di roccia del Costone
murgiano, e Castel del Monte.
Ecco: aver delineato, in maniera sintetica, i tratti
distintivi di questo territorio, così come delle forme
di degrado che lo hanno interessato negli ultimi
decenni, conferma se non altro l'efficacia e l'utilità
che la cura e la conoscenza hanno avuto nel
tentativo di modificare una percezione di questo
paesaggio, definito dai più e fino a poco tempo fa
una sterile "pietraia" e perciò condannato ad essere
non solo un complemento oscuro della città ma,
peggio, un'area di risulta.
L’Alta Murgia rappresenta, invece, un connubio
straordinario ed unico di valori paesaggistici,
naturalistici e storico-culturali che è necessario
sottrarre all'oblio e alla distruzione. Affrontare,
quindi, il problema nella sua globalità significa
trovare nuove regole di riproduzione del complesso
sistema territoriale. La scommessa su cui cimentarsi
diventa, allora, quella di mettere in moto nuovi
processi economici e culturali in grado di
valorizzare le risorse territoriali e garantirne la loro
riproducibilità, anche attraverso una loro
reinterpretazione funzionale.
Non senza emozione, perciò, quel variegato
movimento che aveva per anni speso ogni energia,
accolse la notizia che il lungo iter istitutivo del
Parco nazionale si era finalmente e positivamente
concluso nel 2004. Il parco era nato ma, appunto,
bisognava farlo crescere. Insomma quel movimento
mostrò, ancora una volta, il suo disincanto nella
convinzione che costruire il Parco significava
realizzare “pezzo per pezzo” un progetto politico di
grande portata per le sue implicazioni sociali,
economiche e culturali; che tale progetto, inoltre,
poteva realizzarsi solo come “costruzione
collettiva”, coinvolgendo cioè direttamente, dal
basso, le comunità locali e le forze produttive sane.
Occorre dire, tuttavia, che, a distanza di tre lustri
dalla sua costituzione, il Parco non ha prodotto i
risultati sperati. Tante sono le criticità rimaste, a
partire dalla presenza e dagli effetti delle
esercitazioni militari (in un'area in cui è vietata la
caccia), tante le opportunità lasciate a congelare.
Infine, come già accennato la minaccia nucleare.
Insomma l'Ente parco, a partire dal suo
insediamento, si è imposto quasi come un corpo
estraneo al territorio e, nell'esercizio delle sue
funzioni istituzionali, ha mostrato (almeno finora)
una scarsa capacità nell'affrontare i problemi reali di

quest'area, a partire dalle sue priorità (riconversione
produttiva, filiere corte, sostegno agli allevatori,
bonifica e restauro ambientale, organizzazione di
forme di turismo sostenibili, ecc). Al contrario, fin
dal principio, ha imposto una visione miope,
burocratica e autoreferenziale, con il risultato di
frenare, tra l'altro, anche l'entusiasmo e la volontà di
collaborazione delle tante realtà di base (CAM) che
hanno sostenuto con grande impegno il progetto del
parco a fronte delle diverse forme di degrado
ambientale e culturale.
Ciò che oggi dovrebbe essere in discussione,
quando si parla di istituzioni, non è se esse debbano
esistere, ma quale forma dovrebbero avere: se
libertarie o autoritarie. Le istituzioni libertarie sono
istituzioni popolate, ovvero strutturate attorno a
relazioni dirette, faccia-a-faccia, e non attorno a
relazioni meccaniche, anonime, meramente
rappresentative. Anche un'istituzione, come quello
di un Ente parco, perciò, dovrebbe essere basata
sulla partecipazione, sul coinvolgimento e su un
senso di cittadinanza che stimola l’azione, non sulla
delega del potere e mera gestione dell'ordinario. Il
pericolo di consegnare le decisioni politiche ad un
corpo amministrativo che è normalmente un corpo
delegato e, spesso, quando va bene, limitatamente
specializzato, è quello dell’elitismo e
dell’usurpazione del potere pubblico.
È necessario, perciò, che la mobilitazione di base
continui a disseminare il suo impegno anche alle
giovani generazioni, a fungere da stimolo per la
tutele e la conoscenza di un'area circoscritta ma, al
tempo stesso, cifra attraverso cui guardare i
problemi globali contemporanei.
Il progetto di costruzione del parco rurale e, quindi
di una rinnovata territorialità, può solo a queste
condizioni, attingere alla memoria di una sapienza
ambientale in parte compromessa ma non scomparsa
definitivamente; può, a partire da questo immenso
patrimonio che la storia ci ha tramandato, accettare
la sfida di costruire dal basso una alternativa
possibile al degrado ambientale e civile in atto al
fine di garantire uno sviluppo durevole dei territori
in cui viviamo.
Non solo per noi, contemporanei, ma anche per le
generazioni che verranno.


Bibliografia:
Piero Castoro, Cronache murgiane, Torre di Nebbia
edizioni, Matera, 2002.
Piero Castoro, Aldo Creanza. Nino Perrone, Luciano
Montemurro, Natura e Storia.Guida al primo parco
rurale d'Italia, Torre di Nebbia edizioni, Matera, 2005.
Piero Castoro, la Murgia nella guerra fredda. Dai
missili atomici agli itinerari di Iupiter, Altamura, 2008.

Didattica a distanza e studenti universitari

 


 

 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                di Simone Drogo tratto dal "il Cantiere" n°4 gennaio 2021

Se tra gli studenti delle superiori la Didattica a
Distanza ha trovato un giusta e pressoché unanime
condanna tra quelli universitari invece si è instaurato
un dibattito sui possibili risvolti positivi che le
lezioni a distanza hanno portato. Infatti tra gli
studenti universitari ci sono diverse categorie che
durante i tempi ordinari della didattica si trovavano
impossibilitate a frequentare le lezioni in presenza
(studenti lavoratori, studenti con figli, pendolari,
diversamente abili ecc) o che hanno trovato
beneficio nella possibilità di rivedere le lezioni
registrate basti pensare agli studenti stranieri o con
disturbi specifici dell’apprendimento.
Vengono sempre riconosciute le carenze
pedagogiche e formative di una lezione a distanza
ma si ritiene che essa possa essere utile per colmare
l’impossibilità alla partecipazione in presenza, da
qui la rivendicazione nata da alcuni studenti di
registrare le lezioni in presenza, quando torneranno,
e renderle disponibili per una successiva visione.
A prima vista sembrerebbe una proposta che metta
d’accordo tutti, sia quelli che possono seguire le
lezioni a in presenza sia quelli che sono costretti a
seguirle a distanza, inoltre la possibilità di rivedere
le lezioni è uno strumento didattico che può essere
utile per tutti gli studenti in generale. Tuttavia c’è il
rischio che si trasformi in un’arma a doppio taglio se
questa rivendicazione non viene accompagnata da
altre di cambiamento strutturale, bisogna dunque
interrogarsi sul perché le persone si trovano
impossibilitate alla fruizione della didattica in
presenza.
Ad esempio chi è costretto a lavorare e studiare
contemporaneamente evidentemente non ha avuto
accesso a sostegni economici adeguati come le borse
di studio, rimane quindi impellente il tema del
rifinanziamento di quest’ultime ma non solo. È
evidente come il welfare italiano a impostazione
familistica non dia sostegno concreto
all’emancipazione del nucleo familiare dei giovani
costretti a lavorare per poter essere indipendenti,
quindi torna anche per questo motivo la necessità di
un reddito di base o quantomeno di studio. Le
carenza di strutture per l’infanzia adeguate utili per
gli studenti con figli, trasporti inefficienti e
dispendiosi, barriere architettoniche, assenza di vera
didattica per studenti DSA. Questi sono solo alcune
tra le tantissime problematiche che incidono sulla
presenza (o assenza) degli studenti negli atenei.
Problematiche che come abbiamo visto sono
strutturali e di risoluzione non immediata ma che
sono indispensabili da considerare per avere una
visione complessiva della situazione.

Per avere un quadro generale vanno anche
considerate le obiezioni nate da parte del corpo
docente riguardo al fatto che una diffusione delle
lezioni registrate possa ledere il loro diritto alla
privacy e alla libertà di insegnamento, è evidente che
sarà necessaria una interlocuzione franca e
approfondita tra studenti e docenti su questa
tematica, al di là di schemi corporativi e con
obiettivo comune di tutti i soggetti il fatto che venga
erogata didattica di migliore qualità sia dal punto di
vista studentesco che del corpo accademico.
Dunque possiamo dire che la richiesta delle lezioni
registrate sia una rivendicazione che risolve
parzialmente diverse problematiche di molti
studenti e comunque uno strumento in più per la
didattica in generale. Richiesta quindi che non è da
avversare ma che non deve diventare strumento delle
università e delle istituzioni a vario livello per non
garantire il diritto alla presenza degli studenti e
scaricare le loro responsabilità. L’obiettivo deve
sempre essere quello di poter permettere a chiunque
di partecipare in presenza. Reddito, trasporti, alloggi
e spazi devono rimanere rivendicazioni prioritarie se
si vuole un’Università veramente accessibile a tutti e
permettere agli studenti una effettiva libertà di scelta
tra lezioni in presenza e lezioni registrate.

sabato 6 febbraio 2021

CANALE TELEGRAM DI ALTERNATIVA LIBERTARIA

 E' nato il canale Telegram della federazione di Alternativa Libertaria 

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venerdì 5 febbraio 2021

Numero di gennaio de “il Cantiere” raccolta di materiali di intervento dei comunisti anarchici nella lotta di classe


In questo numero si parla

Anno passato

-Un appello da respingere

Gruppo Stellantis

-Scuola

-Dad e università

Elezioni USA

-Alta Murgia

-Carceri

-Romania e Lotte (post) pandemiche

-Le nostre radici: il Comunismo Libertario

PER SCARICARLO


IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)