Nell’ultimo
decennio si è fatta strada una critica generalizzata alla civiltà da
parte di alcuni autori statunitensi. Alcuni di loro hanno scelto di
dichiararsi anarchici, sebbene essi si percepiscano più in generale come
primitivisti. La tesi complessiva che viene avanzata sostiene che la
“civiltà” in sé sia il problema prodotto dalla nostra incapacità di
vivere nel rispetto della vita. La lotta per il cambiamento diviene così
una lotta contro la civiltà e lotta per un pianeta Terra in cui non vi
sia più posto per la tecnologia.
Si tratta di una questione interessante che stimola un certo
esercizio intellettuale. Sta di fatto, però, che alcuni dei sostenitori
di questa tesi hanno usato il primitivismo come una sorta di base da cui
criticare tutte le altre proposte finalizzate ad un cambiamento della
società. Nell’affrontare tale sfida, gli anarchici hanno bisogno di
valutare innanzi tutto cosa ha da offrire il primitivismo per una
realistica alternativa al mondo così come lo conosciamo.
Il nostro ragionamento parte dalla constatazione che spesso
all’espressione “com’è dura questa vita”, viene risposto che comunque
questa vita “è sempre meglio dell’alternativa”. Risposta che diviene una
sorta di test generale per tutte le visioni critiche del mondo così
come esso si presenta, non esclusa la visione anarchica. Cosa significa
chiedersi se sia possibile un’alternativa migliore?
Anche se non possiamo indicare la “alternativa migliore”, non perdono
certo valore intellettuale le critiche al mondo così com’è. Ma dopo i
disastri del XX secolo, quando le cosiddette alternative come il
leninismo non avevano fatto altro che creare dittature durature e
responsabili della morte di milioni di persone, oggi la domanda “la
vostra alternativa è veramente migliore rispetto all’esistente?” si
impone a chiunque si ponga l’obiettivo del cambiamento.
La critica del primitivismo all’anarchismo si basa sulla tesi che
sostiene esserci contraddizione tra libertà e società di massa. In altre
parole, si sostiene che sia impossibile rinvenire una libera società
laddove vi siano società composte da gruppi di esseri umani che vanno
oltre la dimensione di un villaggio. Se fosse vera questa tesi, sarebbe
impossibile la proposta anarchica di un mondo fatto di “città, paesi e
campagne liberamente federati”. Va da sé, infatti, che questi centri
abitati costituiscono ovviamente una forma di società e di civiltà.
Ma, fin dal suo sorgere, il movimento anarchico ha sempre dato una
risposta a questa cosiddetta contraddizione. Se guardiamo al XIX secolo,
troviamo i liberali difensori dello stato che utilizzavano tale
contraddizione per giustificare la necessità del governo di alcuni
uomini su altri. Mikhail Bakunin così rispondeva nel 1871 nel suo saggio
su “La Comune di Parigi e l’idea di stato” (1).
“Si dice che nella società l’armonia e la solidarietà universale tra
gli individui non sono in pratica realizzabili a causa dell’esistenza di
interessi antagonisti e quindi inconciliabili. A tale obiezione si può
rispondere che se tali interessi non sono mai e finora giunti ad un
mutuo accordo, lo si deve allo Stato che ha sacrificato gli interessi
della maggioranza a vantaggio degli interessi di una minoranza di
privilegiati. Ecco perché questa famosa incompatibilità, questo
conflitto tra interessi personali ed interessi della società, non è
altro che un imbroglio, una menzogna politica, nata dalla menzogna
teologica che ha inventato la dottrina del peccato originale al fine di
disonorare l’umanità e distruggere il rispetto per se stessi…Noi siamo
convinti che tutta la ricchezza dello sviluppo intellettuale, morale e
materiale dell’umanità, come pure la sua apparente indipendenza, non
siano che il prodotto della vita sociale. Al di fuori della società, non
solo l’essere umano non sarebbe libero, ma non sarebbe nemmeno
genuinamente umano, cosciente di sé, l’unico essere in grado di pensare e
parlare. Solo il combinarsi di intelligenza e lavoro collettivo ha
permesso all’essere umano di uscire dallo stato di brutalità selvaggia
che costituiva la sua origine naturale, o quanto meno il punto iniziale
del suo ulteriore sviluppo. Noi siamo profondamente convinti che
l’intera vita degli esseri umani -i loro interessi, le loro tendenze, i
loro bisogni, le loro illusioni, persino le loro stupidaggini- non
rappresentino altro che la risultante di inevitabili forze sociali. Gli
esseri umani non possono respingere l’idea della mutua indipendenza, né
possono negare l’influenza reciproca e l’uniformità che mostrano le
manifestazioni della natura esterna”
Quale livello di tecnologia
Si tratta di una questione a cui la maggior parte dei primitivisti si
sottrae sostenendo che essi non vogliono tornare a nessun livello
precedente di tecnologia perché invece vogliono andare avanti. Posizione
che può essere riassunta ragionevolmente, dicendo che certe tecnologie
sono accettabili nell’ambito di un contesto sociale di piccolo villaggio
di cacciatori e raccoglitori. I problemi, secondo i primitivisti,
cominciano con lo sviluppo dell’agricoltura della società di massa.
Ovviamente, civiltà è un termine alquanto generico, così come lo è
tecnologia. Alcuni primitivisti hanno portato questo ragionamento alle
sue logiche conclusioni. Uno di questi è John Zerzan, il quale
identifica la radice del problema nell’evoluzione del linguaggio e del
pensiero astratto. Siamo così giunti al logico punto conclusivo del
rifiuto della società di massa da parte del primitivismo.
Per gli scopi che ci si pone in questo articolo, si assumerà come
punto di partenza che la forma di società futura indicata dai
primitivisti sarebbe grosso modo simile in termini tecnologici al tipo
di società che è esistita sulla Terra circa 12.000 anni fa, poco prima
della rivoluzione agricola. Con ciò non si intende dire che i
primitivisti intendano “tornare indietro”, cosa del resto impossibile.
Piuttosto si intende dire che se si punta a liberarsi da tutta la
tecnologia della rivoluzione agricola ed oltre, si deve ipotizzare uno
scenario che somiglia abbastanza alle società pre-agricole del 10.000
a.c. Dal momento che tali società sono il solo esempio di società
operanti che abbiamo, ci sembra ragionevole partire da esse per
comprendere e valutare le tesi primitiviste.
Una questione di numeri
I cacciatori-raccoglitori vengono chiamati così perché vivevano del
cibo che riuscivano a catturare o a raccogliere. Gli animali venivano
cacciati o presi in trappola, mentre frutta, noci, erbe e radici
venivano semplicemente raccolte. Prima di 12.000 anni fa, ogni essere
umano viveva così. Oggi solo un piccolo numero di esseri umani vive in
questo modo in regioni remote ed isolate del pianeta, nei deserti, nella
giungla e nella tundra artica. Alcuni di questi gruppi come gli Acre
sono entrati in contatto col resto del mondo solo negli ultimi decenni
(2), altri come gli Inuit (3) lo sono da lungo tempo ed hanno adottato
alcune tecnologie oltre a quelle che avevano sviluppato da sé. Questi
gruppi fanno ormai parte della civiltà globale ed hanno contribuito allo
sviluppo di nuove tecnologie in questa civiltà.
Negli ecosistemi marginali la caccia/raccolta rappresenta spesso
l’unico modo possibile per produrre cibo. Il deserto è troppo secco per
svilupparvi l’agricoltura e l’artico è invece troppo freddo. L’unica
alternativa è la pastorizia, poter contare su animali semi-addomesticati
come fonte di cibo. Ad esempio, nella Scandinavia artica i Sami
controllano i movimenti delle mandrie di renne per procurarsi una
regolare fonte di cibo.
I raccoglitori/cacciatori sopravvivono quindi col cibo che riescono a
cacciare e a raccogliere. Il che comporta che ci sia una densità di
popolazione molto bassa, in quanto una crescita della popolazione è di
fatto limitata dalla necessità di evitare un eccesso di caccia.
Parimenti un raccolta copiosa di piante da cibo può anche comportare la
riduzione del numero di piante disponibili in futuro. Questo è il
problema centrale nella visione primitivista di un intero pianeta che
viva di caccia e raccolta: e cioè che non ci sia cibo sufficiente che
gli ecosistemi naturali possano produrre neanche per una frazione
dell’attuale popolazione mondiale che voglia passare alla
caccia/raccolta.
Dovrebbe risultare ovvio che la quantità di calorie disponibili per
gli esseri umani in un acro di foresta di querce sarà alquanto inferiore
alla quantità di calorie disponibile in un acro coltivato a grano.
L’agricoltura consente di poter contare su una quantità utile di calorie
per acro superiore a quella disponibile in un acro utilizzato per
caccia e raccolta. Ecco perché ci sono voluti 12.000 anni per
selezionare le piante e migliorare le tecniche agricole al fine di
mettere a dimora per acro una quantità di piante la cui energia servisse
a produrre parti di piante commestibili piuttosto che parti di piante
non commestibili. Basta confrontare ogni vegetale coltivato col suo
parente selvatico per capire: la specie da coltivazione darà raccolti
più grossi e al tempo stesso più fusto e fogliame. Noi abbiamo
selezionato piante che producessero un’alta percentuale di biomassa
commestibile.
In altri termini un pino può avere una buona o migliore capacità di
catturare l’energia solare rispetto alla lattuga. Ma nel caso della
lattuga un’alta percentuale dell’energia catturata diventa cibo (circa
il 75%), cosa che non avviene nel caso del pino. Si confronti la
quantità di cibo rinvenibile in un vicino terreno boschivo con la
quantità di cibo che si può coltivare in un orto grande solo un paio di
metri quadrati e persino con una bassa incidenza organica di energia e
si capirà perché l’agricoltura è indispensabile per la popolazione del
pianeta.
Un acro coltivato a patate con tecniche biologiche può produrre 6.800
kg di cibo (5). Un appezzamento che misuri 65 metri in larghezza e 65
in lunghezza è poco più di un acro.
Si stima che la popolazione umana esistente sulla terra prima
dell’avvento dell’agricoltura (10.000 a.c.) variava intorno a poco meno
di 250.000 individui (6). Altre stime sul numero di individui dediti
alla caccia-raccolta prima dell’agricoltura risultano molto più generose
indicando numeri dai 6 ai 10 milioni di esseri umani (7). La
popolazione attuale sulla Terra è di circa 6 miliardi di persone.
E’ l’agricoltura che fa da sostentamento a quasi tutti i 6 miliardi
di abitanti della Terra. Non potremmo sopravvivere solo con la
caccia-raccolta e va aggiunto che persino i 10 milioni di cacciatori
raccoglitori che possono essere esistiti prima dell’agricoltura potrebbe
non essere un numero sostenibile. Ne sono prova le stragi del
Pleistocene (8), dal 12.000 al 10.000 a.c., quando oltre 200 specie di
grandi mammiferi si estinsero. Che ciò si sia verificato per un eccesso
di caccia resta una un’ipotesi controversa. Se fosse corretta, allora
l’avvento dell’agricoltura (e della civiltà) può anche essere dovuta
all’assenza di prede che avrebbe costretto i cacciatori-raccoglitori a
diventare “sedentari” e a cercare altri modi per procurarsi il cibo.
Di sicuro è accertato storicamente che il medesimo eccesso di caccia è
stato dimostrato con l’arrivo dell’uomo sulle isole della Polinesia. Un
eccesso di caccia causò l’estinzione del Dodo in Mauretania e del Moa
in Nuova Zelanda, per non parlare di molte altre specie meno note.
Vivere nelle paludi in inverno
Per evidenziare un altro aspetto dell’incapacità del primitivismo nel
sostenere la popolazione del pianeta, userò come esempio l’Irlanda (il
paese in cui vivo). Se fosse lasciata a se stessa, la campagna irlandese
si presenterebbe composta da foreste di querce adulte con qualche
boscaglia di nocciuoli e paludi. Provate ad entrare in una foresta di
querce per vedere quanto cibo riuscite a procurarvi – se sapete il fatto
vostro riuscirete a raccogliere delle ghiande, frutti o more nelle
radure, dell’aglio selvatico, fragole, funghi commestibili, miele
selvatico, ed a procurarvi della carne cacciando animali come il cervo,
lo scoiattolo, capre selvatiche e piccioni. Ma tutto ciò significa
moltissime calorie in meno rispetto a quelle che darebbe la stessa area
se fosse coltivata a frumento o a patate. L’Irlanda, perciò, non
riuscirebbe a nutrire i suoi attuali 5 milioni di abitanti, se fossero
tutti cacciatori-raccoglitori.
La densità di popolazione dei cacciatori-raccoglitori era di 1 su 10
km quadrati. L’attuale densità di popolazione in Irlanda è di 500
individui per 10 km quadrati, e cioè 500 volte di più. Estendendo questi
calcoli standard a tutto il pianeta, il numero di individui che
potrebbe essere sostenibile in Irlanda sarebbe meno di 70.000, ma anche
meno dal momento che solo il 20% del suolo irlandese è arabile. Le
brughiere di torba o le estese carsiche del Burren possono dare ben poco
cibo adatto per gli umani. In inverno ci sarebbe pochissimo da
raccogliere (forse gherigli di noce nascosti dagli scoiattoli ed un po’
di miele selvatico) ed anche se quei 70.000 sopravvivessero grazie alla
caccia, distruggerebbero rapidamente i grandi mammiferi come i cervi e
le capre selvatiche. Le aree costiere ed i fiumi più grandi così come i
laghi sarebbero l’unica fonte di caccia e di raccolta di crostacei ed
alghe commestibili.
Ma pur volendo essere generosi ed assumere che l’Irlanda potrebbe
sostenere 70.000 cacciatori-raccoglitori, scopriamo che dovremmo
“ridurre” la popolazione a 4.930 individui; il 98,6% in meno. Infatti
l’archeologia contemporanea stima intorno ai 7.000 individui la
popolazione vivente in Irlanda prima dell’arrivo dell’agricoltura.
L’idea che una certa quantità di terra può sostenere una certa
quantità di popolazione in base a come è (o non è) coltivata viene messa
in riferimento alla sua “capacità di portata”. Ed è possibile stimarla
per l’intero pianeta. Calcoli recenti sui cacciatori raccoglitori danno
100 milioni come cifra massima, ma quanto sia massima questa stima
diviene chiaro quando ci si accorge che usando questi metodi di calcolo
si giunge a 30 miliardi quale cifra massima (10), cioè 6 volte l’attuale
popolazione mondiale!
Ma prendiamo per buona la cifra di 100 milioni massimo invece dei 10
milioni che ci dà la storiografia. Si tratta di una stima generosa, ben
al di sopra di quella avanzata dai primitivisti che si sono confrontati
con questo tema. Ad esempio, Ann Thropy scrive sulla rivista americana
Earth First che “Ecotopia sarebbe un pianeta con circa 50 milioni di
abitanti che per sopravvivere si dedicano alla caccia e alla raccolta”.
(11)
La popolazione mondiale attuale è di circa 6 miliardi. Un ritorno ad
una terra “primitiva” comporterebbe quindi la scomparsa di 5 miliardi e
900mila individui. Deve perciò capitare qualcosa al 98% della
popolazione mondiale affinché i 100 milioni di sopravvissuti abbiano
anche solo un’esilissima speranza di realizzare un’utopia primitiva.
Gioco sporco?
A questo punto alcuni autori primitivisti come John Moore gridano
allo scandalo ed attaccano chi sostiene “che il livello di popolazione
ipotizzato dagli anarco-primitivisti verrebbe raggiunto tramite decessi
di massa o campi di sterminio in stile nazista. Sono solo tattiche
viscide. L’impegno degli anarco-primitivisti nell’abolizione delle
relazioni di potere, compreso lo Stato con tutto il suo apparato
amministrativo e militare, ed ogni tipo di partito o di organizzazione,
significa che una simile ed orchestrata carneficina non solo è
impossibile ma è una cosa totalmente orrenda” (12)
Ma John Moore sembra dimenticare che queste “viscide tattiche” sono
basate non solo sulle logiche esigenze di un mondo primitivista ma sono
anche esplicitamente riconosciute da altri primitivisti. Abbiamo già
citato la cifra di 50 milioni di cui scrive Ann Thropy. In un’altra FAQ
primitivista si legge “Ci sarà una drastica riduzione della popolazione,
sia che la si faccia volontariamente o no. Sarebbe meglio, per ovvie
ragioni fare tutto ciò gradualmente e volontariamente, ma anche se non
lo facciamo la popolazione umana è destinata comunque ad essere
decimata” (13).
La Coalition Against Civilization [Coalizione Contro la Civiltà, ndt]
scrive:”Dobbiamo essere realisti su cosa potrebbe accadere una volta
entrati in un mondo post-civilizzato. Una cosa certa è che molte persone
moriranno in seguito al collasso della civiltà. Benché sia una cosa
dura da sostenere sul piano morale, non dovremmo fingere che non sarà
così” (14)
Più recentemente, Derrick Jansen in un’intervista sul n°6 di The “A”
Word Magazine ha dichiarato che la civiltà “ha bisogno di essere
attivamente combattuta, ma io non penso che la si possa abbattere. Ciò
che possiamo fare è aiutare la natura nel buttarla giù…Voglio che la
civiltà crolli e voglio che accada ora”. Abbiamo già visto prima quali
sono le conseguenze del “crollo” della civiltà.
Per farla breve non mancano i primitivisti pronti a riconoscere che
il mondo primitivo da essi agognato prevede “morti di massa”. Non ho
trovato nessuno che parla di “campi di sterminio in stile nazista”, ma
forse John Moore l’ha tirato fuori per intorbidire le acque.
Primitivisti come John Moore possono così rifiutare di confrontarsi con
la questione delle morti di massa senza vedere le carte ed accusando
quelli che indicano la necessità delle morti di massa di tirar fuori
“viscide tattiche”. Tocca a lui dimostrare come nutrire 6 miliardi di
persone oppure ammettere che il primitivismo non è altro che un gioco
intellettuale.
Mi aspetto che chiunque si confronti con questa esigenza delle morti
di massa, concluda che il “primitivismo” non offre nulla per cui valga
la pena lottare. Solo pochissimi, come i sopravvissuti a confronto con
la minaccia nucleare degli anni ’80, potrebbero concludere che tutto ciò
è inevitabile ed iniziare a pianificare come i loro amati
sopravvivranno quando altri moriranno. Ma quest’ultimo gruppo è andato
di gran lunga molto al di là dell’anarchismo come io lo intendo. Per cui
il prefisso “anarco” di cui fanno uso certi primitivisti è da
respingere senza mezzi termini.
La maggior parte dei primitivisti rifugge dall’idea della necessità
delle morti di massa. I più abbottonati dicono che il primitivismo non è
un programma per gestire il mondo in modo diverso. Piuttosto esso si
pone come critica della civiltà e non come un’alternativa ad essa. Il
che sembra abbastanza corretto e vi è senz’altro un valore nel
ri-esaminare i presupposti di base della civiltà. Ma in questo caso
allora, il primitivismo non si pone come sostituto dell’anarchismo nella
lotta per una liberazione che comporta l’uso della tecnologia per i
nostri bisogni e non il farne a meno. Il problema è che i primitivisti
amano attaccare i vari metodi di organizzazione di massa che si rendono
necessari per rovesciare il capitalismo. Il che può apparire anche
ragionevole se si crede di avere un’alternativa all’anarchismo, ma
piuttosto dannoso se si tratta solo di un approccio critico!
Altri primitivisti si mettono a fare le Cassandre, dicendo che essi
sono solo profeti di un destino ineluttabile. Non desiderano affatto che
scompaiano 5 miliardi e 900mila esseri umani; si limitano solo a dire
che non si potrà evitarlo. Si tratta di posizioni che vale la pena
esaminare in modo più approfondito per la loro capacità demoralizzante. A
cosa serve infatti lottare per una società più giusta oggi se domani o
dopodomani il 98% di noi sarà morto ed ogni cosa che abbiamo costruito
ridotta in polvere?
Sarà il nostro destino?
I primitivisti non sono i soli ad usare la retorica del catastrofismo
per suscitare il panico ed indurre la gente ad accettare le loro
proposte politiche. Ci sono riformisti come George Monbiot che usano
simili argomenti “da predestinati” per cercare di disorientare la gente
ed indurli a sostenere il riformismo ed il governo mondiale. Negli
ultimi decenni è entrata a far parte della cultura dominante l’idea che
il mondo sia in qualche modo predestinato, prima con la guerra fredda e
poi con annunciati disastri ambientali. George Bush e Tony Blair hanno
creato il panico con le armi di distruzione di massa per giustificare
l’invasione dell’Iraq. E’ evidente la necessità di esaminare e
smantellare l’ideologia del panico.
La forma più convincente di panico da “fine della civiltà” nasce
dall’idea di una annunciata crisi delle risorse che renderà impossibile
la vita per come la conosciamo. E qual è la risorsa privilegiata per
agitare queste tesi? Ovviamente il petrolio. Tutto quello che
produciamo, compreso il cibo, dipende da massicci impieghi di energia ed
il 40% dell’energia mondiale che si usa nel mondo è generata dal
petrolio.
La versione primitivista suona più o meno così: “tutti sanno che nel
giro di X anni il petrolio si esaurirà, questo porterà alla fine della
civiltà ed alla morte di moltissime persone. Per cui potremmo far nostro
l’inevitabile”. L’esaurimento del petrolio viene usato dai
primitivisti, così come i marxisti ortodossi usavano la “crisi economica
finale che avrà come esito il rovesciamento del capitalismo”. E, al
pari dei marxisti ortodossi, i primitivisti non fanno altro che ripetere
che la crisi finale è dietro l’angolo.
Se vengono analizzate con cura, queste argomentazioni evaporano e ciò
che resta chiaro è che né il capitalismo né la civiltà sono di fronte
ad una crisi finale a causa dell’esaurimento del petrolio. Il che non
vuol dire che le scorte di petrolio siano inesauribili, dal momento che
pare si sia raggiunto il picco di produzione petrolifera nel 1994. In
realtà, invece di fine del capitalismo e della civiltà, la limitatezza
della risorsa petrolifera costituisce un’opportunità per fare profitti e
ristrutturazioni. Il capitalismo, sebbene con riluttanza, si sta
indirizzando a trarre profitti anche dallo sviluppo delle fonti
alternative di energia, continuando ad avere accesso pieno ma sempre più
dissipatorio all’estrazione di combustibile fossile. Peggiori sembrano
apparire di conseguenza il riscaldamento globale del pianeta ed altre
forme di inquinamento, ma non sembrano aver fermato la classe dei
capitalisti di tutto il mondo.
Non sono certo stati i primitivisti ad ipotizzare la crisi del
petrolio come crisi finale; ma in sintesi, mentre il petrolio costa
sempre di più, col passare dei decenni ha fatto passi avanti lo sviluppo
di energie sostitutive. La Danimarca, ad esempio, intende produrre il
50% dell’energia necessaria usando l’eolico entro il 2030 e le compagnie
danesi che producono le turbine per l’eolico sono aziende leader nel
settore e fanno notevoli profitti. La fine del petrolio sembra così
essere più un’opportunità di profitti per il capitalismo che non la sua
crisi finale. Ci può ben essere una crisi energetica se il costo del
petrolio continua a crescere e se le tecnologie alternative non sono
ancora in grado di garantire quel 40% di energia oggi erogato dal
petrolio. Ulteriori aumenti del prezzo del petrolio comportano rialzi
dei prezzi dell’energia, ma una crisi danneggia i poveri del mondo e non
certo i ricchi, che invece ne traggono profitto a iosa. Una severa
crisi energetica potrebbe innescare una crisi economica globale, ma
ancora una volta in questi casi sono i lavoratori del mondo ad esserne
le vittime. E’ senz’altro un valido argomento quello che sostiene che
l’elite mondiale si sta già preparando ad un simile scenario, per cui
molte delle recenti guerre americane acquistano senso in termini di
assicurarsi scorte di petrolio per le corporations degli Stati Uniti.
Il capitalismo è perfettamente in grado di sopravvivere ad una crisi
molto distruttiva. Durante la 2GM molte delle maggiori città europee
furono distrutte e la maggior parte dei centri industriali dell’Europa
Centrale pesantemente colpiti (dai bombardamenti, dalla guerra, dalla
ritirata germanica e poi recuperati e spediti ad est dall’avanzata
russa). Milioni di lavoratori europei sono morti in seguito sia durante
gli anni di guerra che in quelli successivi. Ma il capitalismo non solo è
sopravvissuto, è rifiorito grazie alla miseria che permetteva salari da
fame e profitti in crescita.
E se?
Tuttavia vale la pena discettare su quest’idea dell’esaurimento del
petrolio. Se non ci fosse davvero nessuna alternativa, cosa potrebbe
accadere? Si affermerebbe l’utopia primitivista anche all’amaro prezzo
di 5 miliardi e 900mila morti?
No. I primitivisti tendono a dimenticare che noi viviamo in una
società di classe. La popolazione della terra è divisa tra pochi che
hanno immense risorse e immenso potere ed il resto di noi. Non ci sarà
nessun accesso equo alle risorse, quanto piuttosto un accesso ancora più
incredibilmente iniquo. Tra coloro che cadrebbero vittime delle morti
di massa non ci sarebbero Robert Murdoch, Bill Gates o George Bush,
perché costoro hanno i soldi ed il potere di monopolizzare le scorte
rimaste per se stessi.
Invece i primi a morire in grande quantità sarebbero i più poveri
della megalopoli del pianeta. Il Cairo ed Alessandria d’Egitto hanno
insieme una popolazione di circa 20 milioni di persone. L’Egitto dipende
dalle importazioni di derrate alimentari e dalle coltivazioni intensive
della valle del Nilo e delle oasi. Fatta eccezione per la piccola elite
di ricchi, quei 20 milioni di persone non saprebbero dove andare e non
ci sarebbe più terra da coltivare. Gli attuali raccolti favorevoli sono
in parte dovuti ad alte immissioni di energia a basso costo.
Le morti di massa di milioni di persone non sono qualcosa che riesce a
distruggere il capitalismo. Anzi in certi periodi sono state viste come
un fatto naturale positivo e desiderabile per la modernizzazione del
capitale. La carestia di patate del 1840 che ridusse la popolazione
irlandese del 30% venne vista favorevolmente dai difensori del libero
commercio (16). Lo stesso fu per la carestia che colpì il Bengala
colonia britannica nel 1943-44, quando morirono 4 milioni di persone
(17). Queste morti di massa, specialmente nelle colonie, sono sempre
state per la classe capitalista un’opportunità per ristrutturare
l’economia senza trovare alcuna resistenza.
L’esito reale di una “fine dell’energia” vedrebbe i nostri governanti
stoccare ciò che rimane delle fonti energetiche per far andare gli
elicotteri armati che userebbero contro quelli di noi abbastanza
fortunati da essere selezionati per faticare nei campi di
biocombustibile. La sfortunata maggioranza verrebbe tenuta lì dove si
trova, libera di morire. Uno scenario più da Matrix che da utopia.
Un altro punto che va detto è che le distruzioni rigenerano il
capitalismo. Che piaccia o no, le distruzioni su vasta scala permettono
al capitalismo di fare un sacco di soldi. Si pensi alla guerra in Iraq.
La distruzione delle infrastrutture irachene è un disastro per la
popolazione irachena, ma è un affare da grandi profitti per la
Halliburton & co. (18). Non è una coincidenza che la guerra in Iraq
stia aiutando gli USA, dove del resto hanno sede le più grandi
corporations, ad acquisire il controllo su parti del pianeta in cui si
trova la produzione attuale e futura di petrolio.
Possiamo far fare ancora un giro al nostro giuoco intellettuale.
Fingiamo che alcuni anarchici vengano magicamente trasportati dalla
Terra su un altro pianeta Terra altrove. E ci si trovi lì senza alcuna
tecnologia. I pochi primitivisti fra di noi potrebbero dannarsi ad
inseguire i cervi, ma una buona percentuale si organizzerebbe per
costruire una civiltà anarchica. Molte della abilità che abbiamo non
sarebbero utili (saper programmare senza un computer è di poca utilità),
ma tra di noi avremmo buone conoscenze di base dell’agricoltura,
dell’ingegneria, dell’idraulica e della fisica. Al loro ritorno dopo
aver vagabondato in giro, i primitivisti troverebbero che l’area in cui
ci siamo insediati è diventata un paesaggio di fattorie e dighe. Avremmo
almeno carri con le ruote e possibilmente animali da tiro, se ci
fossero specie allo stato brado idonee all’addomesticamento. Manderemmo
squadre alla ricerca di giacimenti di carbone e ferro e qualora li
trovassimo faremmo delle miniere e trasporteremmo il minerale.
Altrimenti bruceremmo legname per farne carbone o estrarremmo ferro e
rame da ciò che si può trovare. Ci sarebbero anche una fornace ed una
fonderia in quel paesaggio. Abbiamo certe conoscenze mediche, fra cui la
conoscenza dei germi e dell’igiene medica, così da poter purificare
l’acqua ed organizzare i sistemi di scarico delle acque reflue.
Consapevoli dell’importanza della conoscenza avremmo un sistema
educativo per i nostri figli e almeno le basi di una bagaglio di
conoscenze a lungo termine (libri). Troveremmo probabilmente gli
elementi abbastanza comuni per fare la polvere da sparo che ci darebbe
la tecnologia esplosiva necessaria per aprire miniere e fare
costruzioni. Se fosse disponibile del marmo potremmo fare del
calcestruzzo, che è materiale da costruzione migliore del legno o del
fango.
La tecnologia non è un dono degli dei. Non proviene all’umanità da
una misteriosa forza esterna. E’ invece qualcosa che abbiamo sviluppato e
che continuiamo a sviluppare. Anche se si riportasse l’orologio
indietro, sentiremmo subito il tic tac che lo rimanda avanti. John
Zerzan sembra essere il solo primitivista ad aver compreso tutto ciò ed
ha ritirato le sue posizioni che vedevano nel linguaggio e nel pensiero
astratto l’origine dei problemi. Egli è nel giusto, ma anche
tragicomico. La sua visione dell’utopia richiede non solo le morti di
massa nella popolazione mondiale ma anche una lobotomia da ingegneria
genetica per i sopravvissuti e per la loro progenie. Ovviamente non si
tratta di cose che egli sostiene, ma sono il logico punto finale del suo
argomentare.
Perchè prendersela tanto a cuore?
Ebbene, perché impegnarsi nella demolizione di una ideologia così
fragile come il primitivismo? Una ragione è questa imbarazzante
connessione con l’anarchismo che certi primitivisti rivendicano. Poi è
importante denunciare che il primitivismo, per le implicazioni che
comporta e per le sue tesi, vuole che i suoi seguaci rigettino il
razionalismo a favore del misticismo e della unione con la natura. Non è
certo il primo movimento irrazionalista ed ecologico a fare così, un
buon terzo del partito nazista tedesco veniva dal culto del sangue nei
boschi e dai movimenti del suolo che sorsero in Germania dopo la 1GM.
Non si tratta di un pericolo vuoto. All’interno del primitivismo si è
fatta strada un’ala autoproclamatasi irrazionale, la quale se non
dichiara di voler fare “campi di sterminio in stile nazista”, ha però
apertamente celebrato la morte e l’omicidio di grandi numeri di persone
come una sorta di primo passo.
Nel dicembre 1997, la pubblicazione statunitense Earth First scriveva
che “l’epidemia di AIDS non è un flagello, ma è uno sviluppo benvenuto
nell’inevitabile processo di riduzione della popolazione umana” (19).
Nello stesso periodo in Gran Bretagna, Steve Booth, uno degli editori
della rivista Green Anarchy, scriveva che:
“I bombaroli dell’Oklahoma avevano avuto l’idea giusta. Peccato che
non fecero esplodere più gli uffici governativi. Anche così, avevano
fatto quello che potevano ed ora ci sono almeno 200 automi del governo
che non sono più in grado di opprimere.
Il culto sarin di Tokyo aveva avuto l’idea giusta. Peccato che
nell’aver testato il gas un anno prima dell’attacco, si tradirono. Non
erano un gruppo abbastanza segreto. Avevano la tecnologia per produrre
il gas, ma il metodo di erogazione era inefficace. Un giorno i gruppi
saranno totalmente segreti ed i loro metodi di gassificazione saranno
completamente efficaci” (20).
Ecco dove si finisce quando si celebra la superiorità della
spiritualità sulla razionalità, quando la speranza di “correre coi
cervi” surclassa il bisogno di confrontarsi con il problema di fare la
rivoluzione in un pianeta di 6 miliardi di persone. Le idee che abbiamo
visto non possono che avere conclusioni reazionarie. La loro logica è
elitaria e gerarchica, poco più di una versione semi-secolare di
prescelti dagli dei in cerca di adepti. Certamente non hanno niente in
comune con l’anarchismo.
Ci serve più e non meno tecnologia
Il che ci riporta al principio. La civiltà comporta molti problemi,
ma è meglio dell’alternativa. La sfida per gli anarchici è trasformare
la civiltà in una forma senza gerarchia, o bilanciata nei poteri e nella
ricchezza. Non c’è una nuova sfida, è sempre stata la stessa sfida
dell’anarchismo, come detto con la citazione di Bakunin all’inizio.
Per far ciò abbiamo bisogno della tecnologia moderna per pulire le
acque, smaltire e riciclare i rifiuti, vaccinare e curare la gente
contro le malattie delle aree densamente abitate. Se fossimo 10 milioni
di persone sulla terra, uno può anche defecare nei boschi e continuare a
muoversi. Ma siamo 6 miliardi e quelli che defecano nei boschi stanno
defecando nelle acque che loro e quelli attorno a loro dovranno bere.
Secondo l’ONU “ogni anno, più di 2,2 milioni di persone muoiono per
malattie contratte attraverso l’acqua, molti di loro sono bambini”.
Quasi un miliardo di persone che vivono in centri urbani non ha accesso
all’igiene sanitaria. In “43 città dell’Africa…l’83% della popolazione
non ha bagni collegati alla rete fognaria”. (21)
La sfida allora non è semplicemente la costruzione di una civiltà che
mantenga gli attuali livelli. La sfida è migliorare gli standard di
vita di ciascuno in un modo che sia ragionevolmente sostenibile. Solo un
ulteriore sviluppo della tecnologia connesso ad una rivoluzione può
eliminare la disuguaglianza in tutto in pianeta.
E’ una sfortuna che alcuni anarchici che vivono nelle nazioni più
sviluppate, più ricche e più tecnologizzate, preferiscano gingillarsi
con il primitivismo anziché impegnarsi a pensare come possiamo cambiare
veramente il mondo. La trasformazione globale che si renderà necessaria
renderà insignificanti tutte le rivoluzioni precedenti.
Il maggior problema non è semplicemente che il capitalismo gode nel
lasciare una quantità enorme di popolazione mondiale in uno stato di
povertà. Il problema è anche che lo sviluppo viene indirizzato a creare
dei consumatori dei futuri prodotti piuttosto che a soddisfare i bisogni
delle persone.
I trasporti ne sono un eclatante esempio. Esiste una varietà di
trasporti di massa che possono spostare grandi numeri di persone da un
posto ad un altro a grande velocità. Eppure nell’ultimo decennio il
capitalismo si è concentrato su forme di trasporto che usano più risorse
pro-capite sia in termini di mobilità che di efficienza. E’
l’automobile individuale. Lo sviluppo urbanistico è a misura
dell’automobile individuale e questa è mezzo obbligatorio per spostarsi
in città come Los Angeles.
Questa forma di trasporto non è una soluzione per la maggior parte
della popolazione mondiale. E non solo perché la maggior parte delle
persone non può permettersi un’automobile. Le risorse utilizzate nella
costruzione di 3 miliardi di automobili per ogni adulto abitante sul
globo semplicemente non sono disponibili. Né ci sono le risorse
(petrolio) per far funzionare tutte queste automobili.
Ma prendere atto delle tecnologie esistenti e di quelle che verranno
non significa affatto continuare con la produzione capitalistica o con i
suoi metodi, magari sotto la bandiera rosso&nera. Così come sarà
compito della futura società anarchica abolire un’organizzazione
alienante della produzione basata sulla catena di montaggio, ugualmente
sarà necessario cambiare radicalmente la natura dei prodotti. Restando a
livello dei trasporti, per fare un facile esempio, occorrerà ridurre la
produzione di auto per incrementare invece quella di biciclette,
motorini, treni, autobus, camion e pulmini.
Dal momento che non sono né un esperto di trasporti, né un lavoratore
dell’industria dei trasporti, mi sono limitato semplicemente ad
ipotizzare quali potrebbero essere i cambiamenti nel settore. Dovremmo
essere altresì consapevoli che al di fuori dell’occidente la necessità
dei trasporti viene risolta in modi molto meno individualistici. Solo i
ricchi possono permettersi un’auto, ma la grandissima parte della
popolazione spesso si può muovere abbastanza velocemente da un posto
all’altro usando non solo le corriere o i treni ma anche un diffuso
sistema di taxi collettivi o di pulmini che collegano le città e sono
sempre affollati.
Questa è la sfida per l’anarchismo. Non solo abbattere l’attuale
ordine mondiale capitalistico, ma anche lavorare per la nascita di un
nuovo mondo. Un mondo che sia almeno capace di garantire accesso uguale
ai beni, ai trasporti, alla salute ed all’istruzione, cose che oggi
risultano accessibili alla “classe media” nei paesi scandinavi.
Sarà questa nuova società che deciderà quali nuove tecnologie saranno
necessarie e quali di quelle esistenti dovranno essere mantenute per
affrontare la sfida di un mondo nuovo. E’ probabile che alcune
tecnologie, se non verranno scartate, diverranno comunque obsolete. E’
difficile pensare che si possa felicemente decidere di costruire ad
esempio nuove centrali nucleari. Gli alimenti OGM, una volta eliminata
la possibilità di grandi profitti per le grandi corporations
dell’agro-biotech, dovranno dimostrare di portare più benefici che
pericoli. Finché il capitalismo esisterà, continuerà il disastro
ambientale finalizzato ai suoi profitti. E risponderà efficacemente alla
crisi energetica solo quando essa sarà fonte di profitti, dal momento
che finché si prevedono molti anni prima che il petrolio possa essere
sostituito, non ci sarà altro che un aumento della povertà e dei morti
tra le popolazioni più diseredate nel mondo. Ma noi non possiamo
circoscrivere questi problemi sognando una sorta di età dell’oro in cui
la popolazione umana sia abbastanza contenuta da potersi dedicare alla
caccia e raccolta. Possiamo invece uscire da questa situazione solo
costruendo quei movimenti di massa che non solo rovesceranno il
capitalismo ma che apriranno la strada alla società libertaria. E nel
mentre abbiamo bisogno di trovare le modalità per fermare e persino
rendere reversibili alcune delle peggiori minacce ambientali che il
capitalismo ha generato.
Il primitivismo è un’illusione – esso non dice nulla su come
proseguire nella lotta per una società libera. Spesso i suoi sostenitori
finiscono per minare questa stessa lotta attaccando quegli aspetti
imprescindibili, come l’organizzazione di massa, necessari per poter
vincere. E tra i primitivisti, quelli più seri rispetto alla necessità
di cambiare il mondo, è bene che rivedano per cosa stanno lottando.
Andrew Flood
11 giugno 2004
Traduzione a cura di
FdCA – Ufficio Relazioni Internazionali
l’articolo originale su http://www.anarkismo.net/newswire.php?story_id=1451,
L’autore è un militante del Workers Solidarity Movement, organizzazione comunista anarchica dell’Irlanda
http://www.struggle.ws/wsm
NOTE:
1
http://flag.blackened.net/daver/anarchism/bakunin/paris.html
2
http://www.guardian.co.uk/Columnists/Column/0,5673,234225,00.html
3
http://www.heritage.nf.ca/aboriginal/inuit.html
4
http://www.yukoncollege.yk.ca/~agraham/nost202/norwaysami.htm
5
http://www.gardensofeden.org/04%20Crop%20Yield%20Verification.htm
6
http://biology.queensu.ca/~bio111/pdf%20files/lect9-human-demography-1.PDF
7
http://qrc.depaul.edu/lheneghan/ENV102/env102Lecture8.htm
8
http://geography.berkeley.edu
9
http://qrc.depaul.edu/lheneghan/ENV102/env102Lecture8.htm
10
http://www.google.ie/search?q=cache:SC6WTwBCazUJ:library.thinkquest.org/
C003763/index.php%3Fpage%3Dterraform03+maximum+hunter+gather+population&hl=en&ie=UTF-8
(spiacente per il lunghissimo URL ma la pagina non è direttamente accessibile)
11 “Miss Ann Thropy,” Earth First! Dic. 22, 1987, citato in
http://www.processedworld.com/Issues/issue22/primitive_thought.htm
12
http://www.eco-action.org/dt/primer.html A Primitivist Primer, di John Moore
13
http///www.eco-action.org/spellbreaker/faq.html
14 The Practical Anarcho-Primitivist: attualizzare le implicazioni di
una critica -Coalition Against Civilization, in internet alla pagina
http://www.coalitionagainstcivilization.org/speciestraitor/pap.html
15 Numero 6 di The ‘A’ Word Magazine, testo dell’intervista anche online in
http://www.infoshop.org/inews/stories.php?story=04/02/11/5876278
16
http://struggle.ws/ws95/famine45.html
17
http://www.abc.net.au/rn/science/ockham/stories/s19040.htm
18 Per una critica ragionata del collassismo secondo la prospettiva di Green Anarchist vedi
http://pub47.ezboard.com/fanarchykkafrm1.showPrevMessage?topicID=372.topic
19 Earth First!, Dic. 22, 1987, citato in
http://www.processedworld.com/Issues/issue22/primitive_thought.htm
20 Green Anarchist, numero 51, pag. 11, una difesa di questi rilievi
pubblicata nel Numero 52. L’ autore Steve Booth era un editore di Green
Anarchist (e pure tesoriere) all’epoca
21
http://www.unhabitat.org/global_water.asp