ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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lunedì 24 marzo 2014

Sul XVII Congresso CGIL

Fano, 16 marzo 2014 presso il Centro di Documentazione Franco Salomone Il 17° congresso CGIL ha subito - con la firma dell'accordo del 10 gennaio 2014, a congresso avviato - una radicale modifica. La firma posta dalla segreteria a quell'accordo, la sua ratifica da parte del CDN del 17 gennaio si possono definire un colpo di mano (ovvio che come tutti i colpi di mano c'è un elemento di fondo: la slealtà politica) che scombina e supera le pur diverse posizioni congressuali di partenza. La CGIL entra così a pieno titolo nella dimensione sindacale che accompagna la ristrutturazione in atto del capitale assieme alle altre confederazioni che già anche in modo formale avevano tagliato questo traguardo. La trasformazione quindi da sindacato confederale-generale a sindacato aziendalista-corporativo di mercato. Il metodo utilizzato mette in evidenza e fa entrare nel congresso 3 punti: la democrazia nel rapporto con i lavoratori la democrazia di organizzazione e ruolo dei lavoratori nell'organizzazione la confederalità. La lotta politica che si concentra sui contenuti dell'accordo e sulla democrazia, assume livelli di scontro elevati tra chi (FIOM e alcuni territori nonché delegati di altre categorie) resiste a questo passaggio - tra l'altro mai discusso a nessun livello - e la segreteria confederale. Ne risulta la fine del ruolo della rappresentanza nei luoghi di lavoro come espressione diretta dei lavoratori e quindi il loro diritto ad averla come espressione di autonomia/coalizione. Per costruire un sindacato aziendalista il referente-controllore degli accordi deve essere esterno: si costruisce quindi una forma organizzata elitaria. Questo rimanda o meglio ha punti di contatto con la modifica in atto della democrazia liberale. Tutto questo riporta alla confederalità. La struttura organizzativa della CGIL è sì una piramide, ma molto allargata alla base: infatti combina assieme il livello territoriale, le camere del lavoro, il livello regionale e nazionale. Ne discendono 2 riferimenti: i centri decisionali sono estesi anche a livello territoriale, Comitati Direttivi delle categorie e i Comitati Direttivi delle camere del lavoro, questi ultimi come momento di sintesi e di discussione e quindi di generalizzazione dei contenuti approvati a livello territoriale. In tutte e tre le istanze è presente una alta percentuale di delegati. Senza quindi una partecipazione diretta della rappresentanza dai luoghi di lavoro, il tutto implode, o meglio, viene sostituito da qualcos'altro che cambia la natura dell'organizzazione CGIL. Lo schema si ripete a livello categoriali, regionale e nazionale. Il ruolo nazionale del CDN confederale risulta: di sintesi, di generalizzazione dei contenuti e di unificazione/estensione delle lotte. Ovviamente il livello nazionale ha già assunto un ruolo sempre più decisionista e accentratore negli ultimi anni, in netto contrasto con la sua funzione: per questo si parla di crisi della confederalità, sempre negata dalle varie segreterie nazionali che si sono avvicendate negli ultimi 12 anni. Questo ha trascinato con sé il resto, riducendo il ruolo e la funzione delle categorie stesse: nel caso FIOM tutti i tentativi di normalizzazione hanno questo scopo. A differenza di confederazioni di sindacati anche esteri, oltre alla CISL, ad esempio AFL-CIO, DGB, TU, ecc., la CGIL risulta una confederazione con varie istanze che non esistono se non hanno la partecipazione a livello territoriale dei lavoratori. L'operazione in atto taglia questo punto, verticalizza e chiude, mentre -data la scomposizione della classe- occorrerebbe il contrario: aprirsi sul territorio e diventare punto di riferimento avviando un processo di riunificazione della classe. Due elementi emergono: la necessità di assumere anche come sfida l'analisi sulla composizione di classe: l'azione del capitale "riplasma" il corpo di classe. Ci troviamo di fronte ad una complessa articolazione difficile da ridurre a soggetto unitario, né esistono scorciatoie per farlo, siano esse le moltitudini, ideologismi identitari, gerarchie di spezzoni di classe, ecc. E' per non cadere in questo che parliamo di ricostruzione di una "rappresentanza sociale" che ci permetta di cogliere in contesti sempre variabili le lotte o meglio le pratiche delle lotte. Il congresso CGIL in corso delinea una risposta del gruppo dirigente alla crisi/declino del sindacato che rinuncia all'autonomia dei lavoratori nel conflitto capitale lavoro. Non crediamo vi siano soluzioni sostitutive: i congressi CGIL sono complessi, per la composizione, l'estensione e i numeri (iscritti) dell'organizzazione. Rimaniamo convinti che una parte della riflessione e della pratica sul futuro del sindacato esca anche da "pezzi" di CGIL, dove siamo presenti. Consiglio dei Delegati Federazione dei Comunisti Anarchici 16 marzo 2014

Scuola: con i precari contro il precariato e contro la disoccupazione

Fano, 16 marzo 2014 presso il Centro di Documentazione Franco Salomone Sulle macerie della scuola pubblica provocate nel recente passato dai tagli di €8,5 miliardi e di 150.000 posti voluti dal governo Berlusconi/Gelmini, si aggirano nuovi ministri e improbabili sottosegretari a promettere nuove risorse per un progetto culturale e formativo, le cui concrete politiche scolastiche appaiono chiaramente finalizzate alla accelerazione del processo di riconversione della scuola in una fucina di manodopera addestrata a rispondere ai bisogni di un mercato volatile che impone - grazie alla crisi - più aggressive pretese in quanto a "selezione", meritocrazia e finanziamenti a questa finalizzati. Tale processo che si sta svolgendo con grave pregiudizio per la libertà d'insegnamento, per il livello di preparazione degli studenti e per il confronto democratico, necessita di una gerarchia di poteri senza alcun contrappeso che ha nei Dirigenti e in strutture extra-contrattuali i centri realmente decisionali, in barba agli organismi collegiali, ormai costretti a meri luoghi di ratificazione di decisioni prese altrove, ed in dispregio delle rappresentanze sindacali di scuola, private ormai di reali poteri di contrattazione e di controllo sull'operato della controparte in materia di organico e di gestione dei fondi contrattuali. Il blocco della contrattazione fino al 2014, il definanziamento delle risorse per il reddito (pagamento delle anzianità con il fondo per l'ampliamento dell'offerta formativa), per l'edilizia e per l'assistenza hanno profondamente prostrato i lavoratori del settore, sempre più intimiditi dall'offensiva ministeriale e dalla insufficienza di risposta sindacale. Ora ci sono alcuni segnali di reazione: lo sciopero delle ore aggiuntive indetto nel mese di marzo, ma soprattutto le iniziative di lotta delle/gli insegnanti precari/e previste per il 21 marzo e per l'11 aprile. Come in ogni azienda, i lavoratori e le lavoratrici precari/e garantiscono da anni, a prezzo di immensi sacrifici, la tenuta strutturale del sistema scolastico. Su di loro incombe un futuro pieno di insidie, tra cui annoverare l'ultima cosiddetta "sperimentazione", a Milano e a Napoli, di cicli di scuola superiore della durata di soli 4 anni, preludio a ulteriori tagli. Nella giornata del 21 marzo, i precari chiederanno in massa le ferie (a loro non concesse e non pagate) e organizzeranno, in simultanea, iniziative di protesta a livello locale. Per l'11 aprile, poi, è stato indetto uno sciopero dei precari della Scuola Pubblica, con manifestazione nazionale. E' auspicabile la convergenza sulla data dell'11 aprile dei sindacati del settore e delle associazioni di categoria, per una mobilitazione generale di tutti i lavoratori della scuola, coinvolgendo anche le associazioni dei genitori e degli studenti. Si tratta di riprendere con determinazione una battaglia unitaria per l'assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari della scuola, docenti e ATA, attraverso il rifinanziamento della scuola pubblica ed il ritiro dei tagli Gelmini; attraverso un sistema di reclutamento unitario e lo sblocco del turn-over; rifiutando la chiamata diretta da parte dei dirigenti, foriero di clientelismi e di "normalizzazione" ideologica; il pagamento regolare degli stipendi, delle ferie non godute e degli scatti al personale precario e di ruolo; il ritiro delle confuse direttive sui Bisogni Educativi Speciali, volte a tagliare posti di sostegno, a detrimento del diritto allo studio dei disabili e dell'integrazione degli immigrati; la soppressione dei quiz INVALSI, che calpestano l'autonomia di valutazione dei docenti e costringono a rimodellare la didattica su esigenze esterne agli apprendimenti, pur di accedere a finanziamenti legati alla meritocrazia; il blocco del finanziamento alla scuola privata e "paritaria"; lo stanziamento di fondi per la messa in sicurezza delle scuole. Unità. Consiglio dei Delegati Federazione dei Comunisti Anarchici 16 marzo 2014

martedì 18 marzo 2014

l miracolo del bookmaker

Il governo Renzi raccoglie le scommesse sul 27 maggio, giorno della distribuzione dei pani e dei pesci. L'annuncio di un miracolo da 10 mld di euro si colloca in un percorso di continuità di azione governativa: non c’è nessun intervento di spostamento e redistribuzione della ricchezza e questo tranquillizza tanto la BCE quanto gli imprenditori italiani ed i detentori di patrimoni milionari. I 10 mld sono il segnale di mobilità di risorse sul mercato interno che la UE attendeva da tempo. Se quello che accadrà alla fine di maggio sarà quanto annunciato dal capo del governo, siamo di fronte ad una lucida operazione di dirigismo e di paternalismo che usa risorse accumulate con l'effimero calo dello spread, con la spending review, con i tagli lineari precedenti, col blocco ormai quinquennale dei contratti nel Pubblico Impiego. In gran parte soldi di lavoratori e lavoratrici, estorti dai governi che hanno gestito questi anni di ristrutturazione capitalistica. Quanto verrebbe messo in più in busta-paga per i redditi fino a 25.000 euro troverebbe la sua fonte soprattutto nei tagli già operati con la spending review: vale a dire tagli ai servizi sociali, privatizzazioni, vendita del patrimonio pubblico, mobilità massiccia nel pubblico impiego con chiusura di uffici e servizi, tagli ai trasporti, all'assistenza, alla tutela dell'ambiente. Nulla ritornerebbe a categorie come i pensionati, gli incapienti, i disoccupati, tutto il precariato. Anzi, se le aziende riceveranno solo uno sconto del 10% sull'IRAP, potranno altresì giovarsi di assumere manodopera allungando fino a 3 anni il periodo di prova (quindi evitando l'art.18 ed allungando fino a 36 mesi l'uso della a-causalità che consente di non dichiarare perchè si assume a tempo determinato anzichè a tempo indeterminato). Si inasprisce così l'uso di lavoro precario e flessibile, contemporaneamente al tramonto della CIG in deroga ed alla non efficacia della CIG ordinaria e speciale nel caso di cessazione dell'attività. Quasi irrilevante l'allineamento a livelli europei delle imposte sulle transazioni finanziarie. Altrettanto dicasi per il piano-casa del ministro Lupi a fronte dell'emergenza alloggi in tutto il paese per l'insufficienza di reddito familiare a coprire spese per affitti, mutui e utenze. L'iniezione di liquidità nei salari di 10 milioni di lavoratori dipendenti, intervenendo sulla sola leva fiscale, sembra sancire una situazione di fatto da un lato e dare un netto segnale per il futuro: non sarà più la contrattazione nazionale di categoria o decentrata nei luoghi di lavoro a produrre incrementi nelle buste-paga, quanto l'azione dirigista e paternalista del governo Renzi, che può ben più della lotta sindacale e della negoziazione. A questa è lasciata ormai la definizione del welfare d'azienda tramite gli enti bilaterali. Al governo l'occuparsi del cuneo fiscale e prendersi immeritati onori per una redistribuzione fittizia del maltolto. Se è fondata la regola economica che in tempi di bassi salari, ogni risorsa aggiuntiva nel bilancio familiare viene re-immesso nel mercato in consumi anzichè in risparmio gestito, allora si tratta di un bella manovra d'ossigeno per il sostegno alla domanda aggregata, ma senza creazione di nuovi posti di lavoro, come del resto prevede l'ultimo rapporto ILO, pur con ripresa del PIL. Nessuna strategia di uscita dunque, ma solo una manovra di galleggiamento in un panorama in cui nessuno, neo-keynesiani o post-monetaristi, ha la benchè minima idea di come far ripartire l’economia nei paesi avanzati, come imporre uno sviluppo con occupazione, come regolamentare o intervenire sul corso degli eventi, se e come introdurre degli elementi di svolta nel funzionamento del sistema Ora è la volta del renzismo, passerà pure l'attivismo a sinistra per liste europee anti-UE, città e regioni avranno nuove amministrazioni magari di centro-sinistra, ma resta l'esigenza e l'urgenza di un movimento che sappia federare e mettere insieme in maniera non episodica tutta la capacità di lotta possibile. E dove se ne vede qualche traccia, i comunisti-anarchici ne sono protagonisti e sostenitori. Perciò solo un conflitto sociale diffuso e reticolare, sistematico e costante, in grado di esprimere crescente radicalità dal basso, indirizzata verso la riappropriazione e l'autogestione di risorse comuni, patrimoniali e ambientali, culturali ed economiche, può proporsi come elemento esogeno di rottura democratica e libertaria di netto segno anticapitalista, nei territori e nel paese. Cdd FdCA Marzo 2014

venerdì 7 marzo 2014

Ucraina dopo Yanukovich . 50 sfumature di bruno

Il rovesciamento del regime autoritario non significa in nessun senso per noi la fine della nostra lotta. Nuovi dittatori sono pronti a prendere il posto del Partito delle Regioni. Essi non si faranno scrupolo nell'impiegare non solo le indebolite forze di sicurezza, ma anche i militanti di estrema destra. Il regime di polizia e di arbitrarietà giudiziaria ha meritato senza dubbio di essere rovesciato, ma adesso potrebbe essere giunto il tempo per un nuovo terrore che giustificherà ideologicamente la propria legittimità. Al momento, il potere centrale è concentrato nelle mani del partito dell'opposizione “Batkivshchyna” (Patria), che ha tentato di riunire una parte sostanziale della classe dirigente. Il suo leader, rilasciato recentemente di prigione, Yulia Tymoshenko, ha ovvie ambizioni presidenziali. Va ricordato tuttavia, che quando è stata pronunciata la sentenza contro Yulia Tymoshenko, la manifestazione in suo sostegno a Kiev ha riunito non più di cinquemila persone, e in tutte le manifestazioni di massa organizzate da questo partio le piazze sono state riempite pagando persone esterne al partito stesso. “Batkivshchyna”, come anche il Partito delle Regioni, non ha, nella pratica, alcun serio supporto nella società né una base di attivisti, ma ha risorse materiali abbastanza vaste. Al fine di restare al potere, la squadra di Yulia Tymoshenko dovrà placare gli estremisti di destra, in particolare il “Pravy Sektor” (Settore di Destra). Due di questi tentativi sono già stati fatti – i fascisti che erano incarcerati per casi non legati ai fatti di Maidan erano stati rilasciati dopo il varo della relativa legge in Parlamento. Il nuovo Ministro dell'Interno Arsen Avakov ha promesso di inserire rappresentanti del “Pravy Sektor” nel suo ministero. Ora potremo chiamare gli sbirri “nazisti” con buona ragione. Ma “Batkivshchyna” è chiaramente terrorizzato dalla presenza nelle strutture di potere di un tale elemento fanatico e incontrollabile. Essi tenteranno allora di tenere l'estrema destra sotto controllo, non solo comprandoli ma anche compromettendoli in fatti di sangue. Infatti “Pravy Sektor” sogna di regolare vecchi conti con gli antifascisti e la loro sottocultura, per questo sono stati attentamente riforniti di fascicoli del Servizio di Sicurezza e della polizia contenenti dati personali. Probabilmente nel prossimo futuro le autorità chiuderanno i propri occhi di fronte alla violenza contro la sinistra o agli attacchi razzisti, ma se ne ricorderanno un paio di mesi dopo, quando avranno bisogno di una scusa per tenere in riga gli alleati scomodi. “Pravy Sektor” fa il proprio gioco, e lo ha fatto abbastanza a lungo. Oggi il suo leader Dmitry Jarosh reclama un posto nei più alti livelli del potere, come vice primo ministro per le agenzie di pubblica sicurezza. Allo stesso tempo, come è stato riportato dal giornalista Mustafa Nayem, in base alle registrazioni trovate nella Amministrazione Presidenziale, Yarosh era in comunicazione con Yanukovich o con i suoi rappresentanti in 20 Febbraio. Anche prima di allora, il 28 gennaio le negoziazioni tra “Pravy Sektor” ed il Servizio di Sicurezza / Ministero degli Affari Interni era stato annunciato ufficialmente. Un giorno dopo i rappresentanti della destra si lasciarono sfuggire questo fatto, dichiarando “il desiderio di prendere parte al processo di negoziazione”. Probabilmente tali negoziazioni hanno in realtà avuto luogo già da molto prima, specialmente quando si considera il background di tutte quelle organizzazioni che erano parte di “Paravy Sektor”: “Tryzub” (Tridente), come anche SNA, e come “Bely Molot” (Martello Bianco) hanno in varie forme interagito attivamente con politici appartenenti ad entrambe le parti del sistema, e con le forze di sicurezza si dagli anni '90/2000. Il Partito “Svoboda” (Libertà) è allo stesso modo in concorrenza sia con “Batkivshchyna” che con “Pravy Sektor”. Quest'ultimo interverrà direttamente sull'elettorato di “Svoboda” e con il tempo delle elezioni la tensione tra queste due forze politiche aumenterà. Adesso svoboda ha una presidenza nell'ufficio della pubblica accusa. È simbolica, perché la polizia ed il pubblico ministero lavorano sempre a stretto contatto ed allo stesso tempo si odiano l'un l'altro; i loro interessi sono molto simili, ma di tanto in tanto entrano in conflitto. Questo è il tipo di rapporto che esiste tra “Svoboda” e “Pravy Sektor”. Il Servizio di Sicurezza è guidato da Nalivaychenko, che già deteneva il posto sotto il Presidente Yushenko. L'ufficiale capo della sicurezza del paese è famoso non solo per il procedimento postumo contro Joseph Stalin (che sembrava uno scherzo particolarmente macabro) per l'Holodomor, il genocidio ucraino, ma anche per la lotta contro “l'organizzazione terrorista Antifa finanziata dal Cremlino”. Dopo aver perso il proprio posto di lavoro, Nalivaychenko ha lavorato con l'estrema destra (incluso Eugene Karas, che sarebbe poi diventato attivista di “Svoboda”, conosciuto con lo pseudonimo “Vortex”), cercando di creare un movimento “Otpor”, ma questo progetto non ha avuto successo. Allo stesso tempo, le regioni che non sono ancora sottomesse al nuovo governo, ma che rifiutano Yanukovych, stanno maturando propri sentimenti fascisti. I rappresentanti del Partito delle Regioni, che hanno fallito nel tentativo di unirsi alla maggioranza parlamentare, hanno fatto blocco con estremisti di destra pro-Russia e stalinisti. Imperialisti e stalinisti, Cosacchi e fanatici ortodossi - tutti insieme combattono contro dei Banderoviti (soldati di Stepan Bandera, capo militare e politico collaborazionista durante l'occupazione nazista) spesso immaginari, mentre reprimono giornalisti e attivisti per i diritti umani. Il centro bruno si trova a confrontarsi con regioni quantomeno altrettanto brune. La sola differenza è la tradizione storica a cui si richiamano. Tutti questi si concentrano sul proprio “combattere per i valori tradizionali”, facendo appello alla solidarietà sociale e allo stesso tempo tagliando drasticamente la spesa sociale. Noi non prendiamo parte nel conflitto tra i nazionalisti Ucraini e i nazionalisti Russi. Ma molti che avevano manifestato contro il potere di Yanukovich resteranno insoddisfatti sia dalle politiche rapaci di “Batkivshchyna”, che colpirà le tasche dei lavoratori, e la “rivoluzione nazionale” del “Pravy Sektor” e di “Svoboda”, che cercheranno di eliminare quel che resta di diritti umani e libertà. Queste persone che sono indifferenti all'ultra destra e critiche nei confronti del sistema dell'opposizione, i “membri delusi di Maidan”, che possono presto riempire le file della sinistra e degli anarchici. AST-Kiev, 24.02.2014 Автономна Спілка Трудящих / Unione Autonoma dei Lavoratori Link esterno: http://avtonomia.net/

Comunicato dell'AST-Kiev sull'intervento russo

Il 27 Febbraio 2014, gli sciovinisti pro-Russi di Crimea, supportati dalla polizia antisommossa Berkut e dalla Flotta Russa del Mar Nero, hanno messo a segno un colpo di stato militare in Crimea. Fin da ora è ovvio che il governo del movimento “Unità Russa” guidato da Aksionov non è niente di più che una marionetta del regime del Cremlino. Non ci riguarda l'integrità territoriale dell'Ucraina e l'iviolabilità dei suoi confini come valore, noi siamo contro la violenta “pacificazione” della Crimea, ma pensiamo che lo status della Crimea debba essere definito tenendo conto dell'opinione della minoranza Tatara di Crimea. Gli ultimi eventi mostrano che Putin non si limiterà all'annessione della Crimea. L'obiettivo del regime imperialista del Cremlino è estendere le pratiche russe a tutto il territorio dell'Ucraina. In questo modo il regime Russo dà prova di essere la principale minaccia agli interessi del proletariato nell'area post-sovietica. Noi siamo oppositori della guerra e del militarismo. Ma pensiamo che in questa situazione i proletari coscienti non possono contare su nessuno, se non su loro stessi. Non è neanche in discussione aspettare il “soccorso” della NATO. I politici nazionalisti ucraini possono solo organizzare la difesa di una parte di territorio al massimo. La guerra potrà essere evitata solo se i proletari di tutti i paesi, primi e innanzitutto Ucraini e Russi, insieme fanno fronte contro il regime criminale di Putin. L'azione unita del proletariato Ucraino e Russo e di tutte le forze democratiche che metteranno fine al regime di Putin, significherà anche la fine dell'attuale regime neoliberista e nazionalista in Ucraina. Mentre per la sinistra e gli anarchici occidentali è venuto davvero il momento di tagliare i legami con il cosiddetto “anti-imperialismo” che arriva a supportare il regime di Putin contro gli Stati Uniti. Nessuna guerra tra le nazioni, nessuna pace tra le classi! Автономна Спілка Трудящих - ACT / Unione Autonoma dei Lavoratori, Kiev

Tra l'incudine russa e il martello occidentale

La crisi in Ucraina assomiglia troppo a quella che negli anni novanta devastò la Jugoslavia. In Jugoslavia l'ultimo atto della guerra venne rappresentato dall'"operazione tempesta" nella Krajina croata e vide l'espulsione in massa della popolazione serba che abitava quelle regioni da secoli. Analogia nel nome, questione etimologica si, ma che cela la sostanza delle vicende comuni ad una zona appunto di frontiera, Ucraina come Krajina hanno lo stesso significato, terra di confine, frontiera. Da sempre terre e popoli facili preda di nazionalismi e di una etnicizzazione dirompente nei rapporti sociali, paradosso di una storia che in Europa come negli USA si vorrebbe passata. La visuale eurocentrica non aiuta a comprendere quanto accade e quanto è accaduto in passato nelle terre di confine. Qualche nostalgico neofascista ha voluto farci credere che l'abbattimento delle statue di Lenin o in Croazia di Tito aprissero al mondo strade nuove e felici ai popoli coinvolti, ma così non è stato, mai. La crisi Ucraina nasce in un paese che non è mai stato uno Stato-nazione, da sempre attraversato da lingue, culture e popoli diversi, ed ora attraversato letteralmente da oleodotti e metanodotti che portano nella EU gli idrocarburi russi. Contrariamente a quanto vogliono far credere i seguaci del "complottismo", sempre pronti a cercare le cause delle rivolte sociali nelle influenze esterne, l'esplosione di rivolte a cui partecipano ampie fette di popolazione hanno sempre delle cause interne di varia natura economica, sociale e politica, su cui inoltre si innescano rivendicazioni etniche e/o religiose. Su queste poi cercano di far leva gli interessi politici ed economici delle classi borghesi nazionali e gli interessi economici e strategico-politici degli Stati imperialisti, che cercano di utilizzare gli eventi a loro favore. In Ucraina si scontrano le differenze economiche ed etniche di due settori geo-politici: quello occidentale e centrale a prevalenza etnica ucraina, caratterizzato da una bassa industrializzazione e da un enorme bacino agricolo sotto sfruttato, storicamente più legato alle Nazioni che confinano ad occidente (e quindi più tendenzialmente all'Europa), e quello orientale e meridionale, a prevalenza etnica russa, caratterizzato da una più forte, anche se obsoleta, industrializzazione, storicamente ed economicamente più legato alla grande madre Russia. La rivolta esplode nel settore centro occidentale ed assume, per le peculiarità sopra esposte, caratteristiche anti-Russe. Ha origini politiche, prevalentemente nelle classi medie e negli studenti che si ribellano contro la corruzione dell'apparato statale del filo russo Yanukovich, e origini socio-economiche in seguito alle illusioni delle classi lavoratrici, tradite dalle oligarchie dirigenti susseguitesi dopo la caduta del muro di Berlino e tradite dagli effetti dell'ultima crisi capitalista. In questo scenario si inseriscono, come spesso accade a queste longitudini, i tentativi delle organizzazioni di estrema destra e fasciste di aumentare la loro influenza attraverso l'acquisizione di fette di potere politico; è la strada che stanno percorrendo organizzazioni del settore centro-occidentale, fasciste e nazionaliste, come i partiti Svoboda, Batkivshchyna e Pravy Sektor, spesso in concorrenza tra loro. Ma le organizzazioni fasciste sono proprie anche del blocco antagonista filo-russo, dove estremisti di destra, stalinisti, Cosacchi e fanatici ortodossi, combattono tutti insieme contro i Banderoviti (soldati di Stepan Bandera, capo militare e politico collaborazionista durante l'occupazione nazista). La sola differenza è la tradizione storica a cui si richiamano. Ed in questo scenario si innescano anche le mire politico-economiche dei potentati oligarchici locali, in concorrenza tra loro, come quelli rappresentati dalla famiglia Yanukovich o da Yulia Tymoshenko, personaggio falsamente descritto dalla propaganda mediatica occidentale come un'eroina della libertà, quando in realtà è una sorta di Berlusconi ucraina, immischiata in diverse faccende finanziarie. Ed in questo scenario, e non poteva essere altrimenti, si inseriscono gli interessi degli Stati imperialisti. Interessi che sono strategici, addirittura vitali, come quelli russi che in Crimea hanno una loro fondamentale base militare; politici come quelli nord-americani, che cercano di sfruttare il conflitto per far perdere terreno alla Russia o perlomeno di ostacolare un probabile avvicinamento di interessi tra questa e la UE. Ci sono gli interessi politici ed energetici dell'Europa, visto che l'Ucraina è, come dicevamo sopra, terra di attraversamento di importanti corridoi energetici che trasportano gli idrocarburi russi in territorio europeo. Ed infine ci sono gli interessi economici cinesi, indifferenti alla forma politica dello Stato ucraino, ma profondamente interessati alle potenzialità agricole dello stesso. Che il conflitto, o la spartizione del paese per evitarlo, sia quindi inevitabile è quasi un dato di fatto: da un lato nazisti galiziani e nazionalisti confusi appoggiati dalla Unione Europea a caccia di mercati e di manodopera a basso costo, con a fianco l'amico/rivale Stati Uniti desideroso di spostare ad Est il fronte NATO, dall'altro la Russia che non è disposta ad essere spodestata dalla propria influenza su territori vitali. Tutto questo impone una riflessione su quanto sta avvenendo. È fondamentale, a partire dagli strumenti analitici in possesso della prassi antiautoritaria e antimperialista, fare il possibile affinché la classe lavoratrice non sia preda dell'influenza nefasta dell'uno o dell'altro potentato interno e dell'uno o dell'altro polo imperialista. Perché troppo spesso si assiste a fatidici antimperialisti che si schierano con Putin e la Russia, oppure a parte della sinistra "per bene" che si trova a fianco dell'imperialismo americano ed europeo, a rappresentanze politiche che stanno zitte o balbettano confuse, ai seguaci della caduta tendenziale del tasso di profitto e della "comunistizzazione" subito che si perdono in analisi tanto fantasmagoriche quanto inutili. È importante innanzitutto fare chiarezza sul fatto che il proletariato ucraino non ha governi amici, che siano di colore bruno o arancione, e che il proletariato internazionale non ha Stati amici, che siano borghesi o presunti operai. E che non esistono scorciatoie nazionaliste: l'unica strada percorribile, a corto e a lungo termine, è l'autonomia e l'autodeterminazione delle classi sfruttate a tutte le latitudini e le longitudini. Fare chiarezza su questo aspetto, in questo periodo di grande confusione, è il primo obiettivo, senza il quale non sarà possibile costruire, così come auspichiamo, una ricomposizione del fronte di classe internazionalista. L'assenza di guerra non è pace, ma ora come ora che per evitare che il maggior numero di proletari rimangano coinvolti in una guerra fratricida, che almeno la ridisegnazione dei confini e degli assetti avvenga senza ulteriori spargimenti di sangue. Segreteria Nazionale Federazione dei Comunisti Anarchici 5 marzo 2014 Link esterno: http://www.fdca.it

Venezuela al bivio

Articolo originariamente scritto in spagnolo per l'ultimo numero del giornale anarchico cileno "Solidaridad". I fatti recenti che hanno scosso il Venezuela dimostrano non sono il livello di interferenza degli USA nella regione o la pervasiva tendenza a minacciare colpi di stato all'interno della elite venezuelana la quale ben conosce il manuale cileno per una stratega dei colpi di stato. Si evince soprattutto come ci siano tensioni latenti all'interno del modello venezuelano, il quale dovrebbe iniziare a funzionare dal basso, tramite la lotta. Oggi più che mai ai rivoluzionari sono necessari gli strumenti della critica, piuttosto che l'attitudine alla passiva approvazione di qualsiasi cosa decida di fare la dirigenza bolivariana. I fatti recenti che hanno scosso il Venezuela dimostrano non sono il livello di interferenza degli USA nella regione o la pervasiva tendenza a minacciare colpi di stato all'interno della elite venezuelana la quale ben conosce il manuale cileno per una stratega dei colpi di stato. Si evince soprattutto come ci siano tensioni latenti all'interno del modello venezuelano, il quale dovrebbe iniziare a funzionare dal basso, tramite la lotta. Oggi più che mai ai rivoluzionari sono necessari gli strumenti della critica, piuttosto che l'attitudine alla passiva approvazione di qualsiasi cosa decida di fare la dirigenza bolivariana. La genesi del bolivarismo Un evento che ha segnato la storia recente del Venezuela è stato il Caracazo, quel gigantesco, spontaneo moto popolare contro le misure di ristrutturazione decretate dal governo social-democratico di Carlos Andrés Pérez nel 1989, che finì con un bagno di sangue per la morte di un numero di venezuelani tra i 500 ed i 2000. E' sorprendente notare che a tutt'oggi non ci siano cifre certe sul numero dei morti, quasi a dimostrare che fossero dei signor "nessuno", dei "marginali", degli "usa e getta". Dopo essersi fatto una reputazione per il suo tentativo di colpo di stato nel 1992 - in diretta risposta ad un governo ampiamente ritenuto come illegittimo dalle classi popolari - l'ufficiale in pensione Hugo Chávez Frías si presentò alle elezioni del 1999, un outsider nella cerchia dei potenti, i quali durante il cosiddetto periodo del Punto Fijo, si dividevano le quote di potere tra due partiti. I suoi discorsi populisti e diretti, la sua denuncia di uno status quo esasperato dalla crisi del petrolio che erodeva la corrotta rete del clientelismo, fecero colpo immediatamente sulla maggioranza, esclusa dal sistema politico-economico. Sebbene le sue prime misure redistributive fossero alquanto timide, Chávez si trovò immediatamente contro l'elite dei potenti perchè per la prima volta nella storia della repubblica costoro erano fuori dai circoli del potere. Questo brusco cambiamento venne ratificato nel 1999 con l'assemblea costituente, dove i vecchi partiti non c'erano più. La nuova Costituzione, a cui si rifà oggi persino la Destra guidata da Capriles, aveva stabilito certe garanzie sociali e certi diritti di cui erano beneficiari settori precedentemente esclusi dall'accesso all'istruzione o alla salute, in controtendenza con il neoliberismo dominante a livello mondiale. Erano previsti principi di forme di partecipazione democratica da sperimentare con l'istituzionalizzazione del Poder Ciudadano. Dal punto di vista delle garanzie, questa Costituzione rimane un caso unico per quanto riguarda il riconoscimento del diritto alla disobbedienza civile nei casi in cui il governo si trovi a violare la Costituzione. Gli anni seguenti furono anni di cambiamento all'interno della svolta a sinistra portata dal progetto politico chavista; ad ogni tentativo di farlo cadere, le masse alla base del progetto bolivariano rispondevano con richieste sempre più grandi. Tra questi tentativi bisogna citare il colpo di stato dell'aprile 2002 e poi la serrata dei padroni dal dicembre 2002 al febbraio 2003, entrambi nettamente sconfitti dalla mobilitazione popolare e dal sostegno dell'esercito al processo bolivariano. La serrata padronale, incentrata sul blocco della produzione di petrolio, vide i lavoratori autogestire l'industria petrolifera consentendeo all'economia di non arrestarsi. Da questo processo, la classe capitalista dei rentier ne uscì sfinita ed importanti settori di essa vennero spodestati dal potere quando Chávez licenziò 19.000 persone tra tecnici, direttori e quadri. Il progetto bolivariano prendeva così il controllo della produzione del petrolio e dava inizio ad una serie di programmi sociali chiamati "missions", con cui i diritti sociali appena conquistati venivano estesi alle aree più emarginate del paese. Ma anche in questo processo, l'esperienza dell'autogestione non proseguì e sebbene sotto nuove forme si fece ritorno alle stesse dinamiche lavorative precedenti. Ma fu solo dopo la vittoria al referendum di conferma del 2004 e dopo la sua schiacchiante vittoria nelle elezioni presidenziali del dicembre 2006 che Chavez osò pubblicamente parlare del suo progetto in termini di "Socialismo del 21° secolo". Socialismo del 21° Secolo Chávez così intendeva i 5 motori della costruzione del socialismo: nazionalizzazione delle telecomunicazioni e dell'elettricità; controllo del 60% delle operazioni petrolifere sui mercati multinazionali della Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA, compagnia di stato del petrolio e del gas); riforma costituzionale per fare del Venezuela una Repubblica Bolivariana Socialista; formazione politica e lotta idelogica al predominante pregiudizio capitalista; un nuovo sistema di amministrazione territoriale del paese in linea con i bisogni del popolo; e lo sviluppo di organismi di potere nel territorio. Era inteso che queste misure dovessero portare dallo sviluppismo al poder popular. Inizialmente le prime misure per lanciare il potere popolare, come i comitati cittadini e della terra, giunsero invariabilmente dall'alto, mentre proseguiva l'enfasi sulla redistribuzione attraverso le missions, che erano abilmente create by-passando le strutture della burocrazia amministrativa dello Stato, con un mix di mobilitazione sociale e di partecipazione dell'esercito. Questi organismi portarono forse ai più spettacolari passi avanti del progetto bolivariano, come ad esempio la eliminazione effettiva dell'analfabetismo. Altre iniziative ebbero risultati più alterni a causa delle distorsioni provocate dall'economia di rendita del petrolio e dal Male Olandese (relazione tra sfruttamento delle risorse naturali e declino del settore manifatturiero, ndt) , insieme con la persistenza di un abnorme Stato clientelare. La riforma agricola ne è un buon esempio. Il Venezuela importa il 70% del suo fabbisogno di cibo, il 12% della sua popolazione è rurale ed il 5% dei latifondisti nel 1997 controllava l'80% delle terre. Fin dal 2005, diversi contadini hanno avuto dei terreni ed è stata incentivata la migrazione dalle aree urbane verso la campagna; tuttavia, non fu facile raggiungere l'obiettivo della sovranità alimentare poichè le distorsioni provocate dall'economia del petrolio rende la produzione di cibo più dispendiosa di quella dei paesi confinanti col Venezuela. Paradossalmente, Mercal, i magazzini sussidiati, vendono la maggior parte del cibo importato grazie ai prezzi molto bassi. E alla lenta espansione della produzione del cibo (più bassa della domanda), si deve aggiungere il problema del sabotaggio e dello stoccaggio. Lo stesso controllo operaio risulta contraddittorio. I primi espropri fatti da Chávez risalgono al 2005 quando alcune compagnie passarono sotto il controllo dei lavoratori, da soli o insieme allo Stato. Ma i lavoratori più radicalizzati che chiedevano di abbandonare i vecchi modelli gestionali, di tener conto non solo del profitto ma anche dei bisogni e della sostenibilità quali criteri di produzione, di mettere fine alla divisione tra lavoro manuale ed intellettuale, si ritrovarono quale peggior nemico proprio lo stesso Ministro del Lavoro, mentre Chávez prendeva le distanze dai più radicali fino a quando nel 2009 il suo interesse verso di loro ritrovò slancio per la campagna contro la "corruzione". Molte compagnie erano state lasciate da sole in quella sorta di truffa che fu il "socialismo in una sola fabbrica", mentre settori della sinistra denunciavano questo avventurismo, optando per modelli puramente statalisti. Ma oltre le industrie esistenti, il sogno della diversificazione economica rimase elusivo: l'economia continuava ad essere dominata dai profitti del petrolio e la creazione di iniziative come le cooperative finivano in un circolo vizioso - il tasso di scambio distorto dall'economia parassitaria non aiutava la competitività sul mercato in base alle leggi capitaliste in forza in Venezuela e nella regione, mentre i sussidi ed il sostegno a queste iniziative di diversificazione dipendevano dai profitti petroliferi, che finivano col rafforzare la debolezza strutturale dell'economia di produzione. Uno Stato della comunità? Un importante aspetto di come il progetto bolivariano intendeva il potere popolare è lo sviluppo dei consigli di quartiere, che dovevano essere le basi di quella che Chavez chiamava la transizione dallo Stato Borghese allo Stato della Comunità. Ispirati dalla esperienza partecipativa di Porto Alegre, questi consigli sono strumenti della comunità per lo sviluppo e l'implementazione di progetti della comunità. Ma dovettero fare i conti con l'opposizione locale dei caciques (boss politici), delle agenzie statali e persino del sistema bancario che si pensava dovesse finanziare questi progetti. Le strutture clientelari della politica tradizionale e della burocrazia erano diffidenti verso queste esperienze di comunità che erano diventate troppo indipendenti. Nonostante la riduzione della povertà e l'avvenuto sradicamento dell'analfabetismo e della malnutrizione, la questione del potere continua ad essere l'aspetto dirimente da cui dipende non solo il futuro del "processo" ma anche il mantenimento di ciò che è stato raggiunto in questo decennio di sperimentazione sociale. Nonostante l'interazione di iniziative dal basso con quelle dall'alto, le contraddizioni tra lo Stato e le comunità restano come elemento chiave delle dinamiche politiche del processo. In particolare perchè lo Stato, a partire dalla rimozione dal potere dei vecchi Punto-Fijistas, è diventato la nicchia della tradizionale classe al governo, mentre coloro che sono i nuovi arrivati nei circuiti statali hanno rapidamente acquisito quelle pratiche clientelari corrotte e gerarchiche che esistono da decenni. Da questa nicchia costoro boicottano il cambiamento e diventano ricchi, continuando a indossare le loro magliette rosse. Per la maggior parte delle volte, il Chavismo ha garantito privilegi per i burocrati obbedienti, per quanto corrotti, ed ha chiuso un occhio sulle tangenti che prendevano. Tutte cose che rafforzano la Destra, anche se dovesse significare mettere a tacere quei settori popolari che ne fanno denuncia. La peggior cosa di una cricca è non farne parte. Così recita un noto detto in Colombia e Venezuela. L'assenza di una dirigenza collettiva, il caudillismo ed il verticismo, rappresentati nella logica dello Stato, sono stati i principali nemici di questo processo di cambiamento sociale. Tutto questo è diventato evidente alla morte del "comandante" nel marzo 2013. E ora: andare avanti o mettere fine al "processo"? Dopo le elezioni locali di dicembre, che la Destra parassitaria ha usato come una sorta di referendum e da cui i Chavisti ne sono usciti a pieni voti, la recentissima svalutazione ha dato un'opportunità a quei settori per ritornare nelle strade dopo un decennio in cui non si erano visti. Quelli che hanno approfittato della fuga di capitali attraverso la trasformazione dei milionari profitti petroliferi in depositi privati all'estero grazie alla Commissione per l'Amministrazione del cambio di valuta(CADIVI) hanno suonato la carica con l'annuncio che questo sistema deve essere sostituito con uno nuovo (Centro Nazionale per il Commercio Estero - CENCOEX), hanno urlato conro l'inflazione e contro il deficit che essi stessi hanno in gran parte provocato. Non ci dimentichiamo che in questa guerra economica più di 50mila tonnellate di cibo base stoccato era stato requisito fin dai primi del 2013, mentre affaristi di ogni risma hanno speculato sui mercati internazionali, come nel caso degli elettrodomestici, con tassi di profitto del 1,000%. Il problema non è che stanno rialzando la testa - quanto che i i loro privilegi non sono stati toccati e dalle loro roccaforti hanno ancora risorse ed organizzazione per difendere i loro privilegi assoluti. Il problema è che i settori popolari che vogliono aumentare il loro potere, il loro controllo e la loro autonomia, vengono contenuti, persino repressi, mentre i soliti sospetti vedono i loro privilegi minacciati ma non toccati, in una situazione da cui si dovrà comunque uscire. Il problema è che il controllo della banca sul commercio estero è rimasto nelle mani del capitale finanziario, che non c'è nessun controllo popolare sul commercio, neppure sanzioni per il cartello che minaccia la gente con la fame. Il problema come dice Roland Denis, è questo: "un modello di capitalismo di stato parassitario e di rendita, che sotto le sue politiche di controllo, di concentrazione del potere e di sostituzione del controllo sociale con tecnocrati o con funzionari burocrati, non solo ha reso più ricchi i ricchi, in barba alla carità ed alle politiche di giustizia sociale, ma ha distrutto le forze produttive, i creatori di una società di lavoratori e di una società di piccoli produttori privati in cooperativa (...) Un modello che porta le classi medie produttive alla scomparsa, che fa impazzire una crescente domanda di consumi, che rende del tutto evidente l'incapacità di una risposta tramite un'economia di Stato (che importino o producano, le imprese di Stato sono in fallimento a causa della loro inutile mentalità che conduce alla distruzione della produttività sociale). Un modello che sta riattivando la curva di impoverimento attraverso l'inflazione e la disoccupazione crescente, a causa dell'economia improduttiva, facendo diminuire così il valore del lavoro giorno dopo gorno, incurante dei salari nominali"[1]. Ci sono solo due modi per affrontare l'attuale situazione: una è la repressione di coloro che si sono mobilitati mentre chiamavano al dialogo gli organizzatori della protesta. Questa è la strada che Maduro ha scelto tempo fa. L'altra è scatenare la forza del popolo e spingere le trasformazioni sociali verso una prospettiva socialista e libertaria per eliminare l'elite parassitaria che sta facendo sanguinare il paese e che non sarà felice finchè non vede svanire definitivamente quella minaccia più immaginaria che reale che punta all'abolizione del loro privilegio. A parte le misure immediate (quali l'armonizzazione del prezzo del petrolio, il contenimento della fuga di capitali, della speculazione e dei cartelli), è essenziale capire la reale natura delle contraddizioni sociali di fronte al "processo". Non è sufficiente riconoscere che nulla è perfetto e che sia naturale che ci siano delle contraddizioni. Questa contraddizioni devono essere identificate, discusse, criticate e corrette. Non possiamo solo circoscriverle, giustificarle ed ancor meno trarne virtù e intanto chiudere gli occhi di fronte alla impeccabile "leadership" dei dirigenti. Oggi il popolo non può essere un agente passivo e nemmeno truppe d'assalto del governo: le persone devono riprendere la loro capacità di azione politica, agire per se stessi, con il loro proprio programma, perchè il socialismo non sarà costruito dallo Stato. Decentramento, sviluppo autonomo degli organi del potere popolare e controllo sociale sono i compiti essenziali nel momento attuale. Ci deve essere un trasferimento di potere dall'apparato dello Stato ai movimenti popolari ed alle loro organizzazioni. Il vecchio potere di classe sopravvive all'interno dello Stato ed i nuovi burocrati stanno acquisendo le stesse pessime abitudini. Non è da loro che nascerà la società ugualitaria, dal momento che lo Stato per definizione riproduce attivamente disuguaglianze ed asimettrie nel potere. Come ha scritto il giornalista Iain Bruce, analizzando il processo Bolivariano: "e come la metti con l'apparato esistente, quando tu per primo sei giunto al potere grazie ad esso (…)? (…) sta diventando sempre più chiaro che un certo numero di quelli che si sono piazzati nel vecchio edificio (…) si rtrovano molto bene nelle loro nuove sedi e si sentono tranquillamente inclini a contrastare chiunque voglia buttare giù il vecchio edificio per sostituirlo con un tipo di costruzione completamente diversa"[2]. Oggi, la discussione non si può ridurre a come colpire le tendenze golpiste. C'è bisogno anche di colpire l'inerzia, il burocraticismo ed il culto dello Stato, che si rafforzano reciprocamente. Dobbiamo lottare per una alternativa socialista e libertaria, perchè le mezze vittorie non sono niente altro che totali sconfitte. José Antonio Gutiérrez D. 26 Febbraio 2014 Traduzione a cura di FdCA Ufficio Relazioni Internazionali. Note: 1. "Desactivar el Fascismo", 22 February 2014. 2. Iain Bruce, The Real Venezuela, 2008, p. 184

Luce Irigaray: amare la propria differenza sessuale per amare l’altro/a

Amare la propria differenza sessuale per amare l’altro/a: questo è il presupposto per la creazione di un mondo migliore, felice, mai neutro; perché solo il rispetto dei “primi altri”, gli altri “di genere", rappresenta la chiave per il rispetto di tutte le differenze (culturali, religiose, linguistiche, ecc.). ne discutiamo con: Grace Spinazzi, insegnante presso la Freie Waldorf SchuleMeran e Laura Candiotto, dottore di ricerca in filosofia Due studiose condivideranno parole, pensieri e punti salienti della filosofa francese Luce Irigaray, una delle più grandi figure femminili del ventesimo secolo. Sabato 8 marzo ore 17.30 all'Ateneo degli Imperfetti via Bottenigo, 209 - Marghera Venezia info@ateneoimperfetti

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)