ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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mercoledì 27 luglio 2016

Biologico, collettivo, solidale: Dalla filiera agricola alle azioni mutualistiche, il modello partecipativo della Cooperativa Iris

Per costruire una società di liberi e libere ed uguali occorre identificare tutti i momenti in cui si confrontano in modo partecipato ed orizzontale gli attori sociali nei loro ambiti naturali, siano essi esclusivamente contesti culturali, vertenze territoriali siano essi collegati a lavoro e produzione. Occorre vedere in essi il potenziale esercitato dalla relazione e dalla co-progettazione nel tracciare in modo inclusivo i fili di bisogni ed obiettivi comuni. La maglia che ne deriva è il tentativo di ricostruire un tessuto sociale ormai reciso e sfibrato dagli attacchi onnivori del capitalismo contro tutti i prodotti della collettività.
Una rete di reti che sperimentano quotidianamente tecniche di resistenza e consapevolezza ognuna incentrata sulle proprie emergenze, ma di fatto costituendo degli elementi utili per la ricomposizione, su matrice esperienziale e non identitaria, di una nuova classe quale soggetto anticapitalista e libertario, quale esito di chi si auto-organizza e sviluppa vertenze che trasformano gli interessi in comune in veri e propri beni comuni da tutelare ed autogestire, che riducono nel tempo e nello spazio la distanza tra gli interessi immediati ed gli interessi storici degli sfruttati.
Per questo, quelli che sono stati spesso considerati fronti secondari, apparentemente interclassisti, che elaborano il conflitto sociale giocando principalmente sul piano culturale oltre che produttivo, in realtà assumono importanza centrale in termini di ricomposizione.
Perché vanno a riposizionarsi sui fronti storici lasciati sguarniti dalla sconfitta della classe del proletariato, facendosi carico delle contraddizioni (vecchie e nuove) di un potere popolare che acquista coscienza di sé sulla base delle piccole rivendicazioni quotidiane finalizzate ad emancipare se stesso dal giogo dello sfruttamento e del profitto capitalista nelle sue varie forme.
Che difende le proprie conquiste ed utilizza gli strumenti assembleari in cui praticare democrazia diretta del federalismo libertario per costruire alternative.
Il progetto di Iris porta con sé anche tutto questo.
Un’esperienza la cui vita si è intrecciata nel tempo con tanti di noi comunisti libertari: nella partecipazione diretta per alcuni, nel dovere tenere conto -per altri- di forme di costruzione di alternativa diverse (ma complementari) da quelle classicamente intese in un orizzonte di classe declinato prevalentemente, se non esclusivamente, in chiave sindacale e rivendicativo.
Un riferimento importante di relazioni e di consigli, un parametro su cui costruire percorsi di cooperazione e condivisione produttiva in altri territori, diversi per storia e per caratteristiche sociali, per altri ancora. E per questo, oltre che per il comune patrimonio ideale, la storia di IRIS è un po’ anche una nostra storia.
Abbiamo visto Iris in tante situazioni portare, sempre sottovoce, il proprio contributo e il proprio sostegno, in progetti produttivi e sociali anche molto diversi da sé, contribuendo a tessere una rete di tante realtà in cui tante sperimentazioni, nelle loro differenze, possono crescere.
E se nel panorama dell’economia solidale Iris è una riconosciuta colonna portante, in molti altri ambiti, Iris è stata il primo contatto con il biologico.
Con i suoi prodotti, ha costruito nel tempo una alternativa alla “facile” scelta del sottoprezzo da supermercato per le cene dei centri sociali o di autofinanziamento, prima che concetti come l’autodeterminazione alimentare e la filiera corta assurgessero a patrimonio condiviso. E prima ancora che anche sul versante della produzione l’idea di una nuova contadinità in lotta per l’autodeterminazione si affacciasse in maniera consistente come sta succedendo negli ultimi anni.
L’agroindustria capitalistica ha prodotto solo mostri da un punto di vista ambientale. Ha servilizzato un mondo bracciantile difficilmente sindacalizzabile, brutalizzato e frammentato. Ma proprio dal settore produttivo più bistrattato, riemergono – a cominciare dalla difesa della terra e dei suoi lavoratori- soggetti collettivi che a partire dai bisogni primari lavorano con successo alla trasformazione della società, alla difesa dei beni comuni, alla riconquista di forme di lavoro qualificanti in un quadro che non è eccessivo definire autogestionario oltre che solidale.
E anche su questo Iris ha parlato ai coltivatori.
Si è rivolta ai coltivatori, e ha parlato di loro, in termini di produzione e non di accumulazione, in termini di collaborazione e di cooperativismo e non di rapporto di dipendenza. Ha proposto una prassi di comunanza oltre la visione univoca della proprietà privata, costruendo cooperazioni virtuose, riportando il reddito dell’azienda agricola non alla legge della domanda e dell’offerta ma al lavoro e al fabbisogno produttivo di un territorio e di una filiera.
Il passo successivo è la definizione un rapporto organico tra i produttori ed il territorio, tra la cooperativa e la sua filiera in un progetto di biocomunità, caratterizzate entrambi da una struttura organizzativa orizzontale e antiautoritaria, capaci di respirare in modo sincrono. Passando dalle retrovie in prima linea: sperimentando autogestione. Così la cultura ambientalista, le bandiere del biologico e dell’economia solidale approdano a quell’irriducibilità che permette loro di sfuggire alle spire del marketing del sistema capitalistico, con nuove gemmazioni nell’ambito della produzione.
In questo ambizioso, ma necessario, scenario in costruzione, Iris svolge un rilevante ruolo di cerniera, capace di vincere le diffidenze di chi ancora ha paura di fare scelte coraggiose in agricoltura.
Intersecando agricoltura biologica e trasformazione industriale ecologica -senza estrazione di plusvalore- redistribuendo in modo capillare prodotti e proventi delle proprie azioni mutualistiche, IRIS coltiva e trasforma il sentimento di giustizia in una proposta di uguaglianza sociale; rimette al centro la mutualità; diventa possibile motore di trasformazione anticapitalista all’interno di un movimento composito e plurale.
La Cooperativa e le sue sperimentazioni, per altro spesso riuscite, così come emerge da questo saggio di Monia Andreani, mostrano un modo di affrontare il problema della produzione agricola in un’ ottica anticapitalista. di transizione.
In una realistica e fertile strategia di transizione verso una società comunista e libertaria, che noi auspichiamo e per la quale lavoriamo, Diviene trascurabile oggi inseguire il sogno di fare secessione rispetto all’economia capitalistica, tanto meno auto-accontentarsi di essere fenomeno residuale risparmiato dalle contraddizioni del sistema. Occorre -piuttosto- costruire e sperimentare su base territoriale metodi replicabili, ma non unici, per produrre e distribuire prodotti agricoli che siano ancorati a criteri etici ed economici in grado di sopravvivere alle leggi del capitale contrastando le tare che lo caratterizzano, trovare modalità di accesso alla terra per incentivare forme di lavoro cooperativistico e non gerarchico.
Per progettare l’agricoltura del futuro, è indispensabile ripartire dalla piccola scala e dalle comunità territoriali di supporto reciproco e cogestione che permettano l’esistenza e la diffusione di realtà virtuose che, collettivizzando i terreni, se ne occupino in prima persona con la tecnologia delle nuove generazioni e la cura delle vecchie generazioni.
Questo crea sussidiarietà orizzontale e solidale attraverso lo scambio di beni e servizi, in modo da collegare una parte sempre crescente di beni ed accogliere il maggior numero possibile di settori della produzione creando anche occupazione all’interno di circuiti virtuosi con regole condivise.
La filiera va completata con i suoi pezzi successivi, con una trasformazione che può, deve poter uscire dall’ambito dell’autoproduzione e da quello artigianale per dimostrare che è possibile realizzare economie di scala che restino però ancorate ai principi del mutualismo e della sostenibilità, e coltivino sempre la diffidenza verso le sirene del capitalismo.
In questo ambito si parla di mutualismo inteso come forma di resistenza ad un modello di società neoliberista e predatorio, che azzera il welfare, affama interi popoli, distrugge progressivamente i diritti umani, colpevolizza la povertà, monetizza i diritti civili e le libertà. La resistenza e la trasformazione, oggi come alle origini del movimento operaio, si configurano come un’esigenza collettiva di difesa e di promozione di diritti economici e sociali.
Mutualismo, quindi, è inteso nei termini di interdipendenza e reciprocità di esseri umani che si prendono cura, che si impegnano per cambiare le relazioni fondamentali con la terra, con l’ambiente, con il mondo, e per questo esce e si libera dalla concezione lineare, di progresso tipica del capitalismo e della sua logica mercantilistica ed individualistica.
Il mutualismo rimanda alla giustizia sociale, la costruisce e la presuppone non in termini astratti, ma attraverso la costruzione di una società alternativa che può essere solo radicalmente anticapitalista.
Per pensare ad un domani di giustizia sociale occorre sperimentare qui ed ora, partendo da come facciamo giustizia sociale quotidianamente, avendo nel cuore e nella mente una sana diffidenza verso gli strumenti che il capitalismo impone.
Più di ogni altra cosa, verso il debito come presupposto di crescita economica, quel debito che mira ad incatenare ogni progettualità produttiva.
Le reti di sostegno economico -a partire dallo scambio materiale dei prodotti fino a strumenti ben più raffinati come le azioni mutualistiche inventate da IRIS- non si pongono come emuli infantili e primitivi del mercato, ma offrono alternative e possibilità di autonomia a modelli di crescita e di vita che puntano a riorganizzare la società su basi differenti.
La pratica costruita in questi trent’anni da Iris dimostra longevità e preveggenza e offre strumenti e patrimonio di relazioni e conoscenza che devono essere socializzati per favorire lo sviluppo e il radicarsi di nuove forme di organizzazione territoriale e sociale che ci sono necessarie.
Questo è quello che passa normalmente con l’accezione di “economia alternativa” non perché costituisca effettivamente un’alternativa all’economia del capitale, bensì perché si pone come laboratorio di sperimentazione di strategie di resistenza e progettazione delle strutture e del substrato per la rivoluzione sociale, in un processo di liquidazione territoriale dello stato.
La cifra che contraddistingue Iris è la battaglia, la ricerca, la conquista e lo sviluppo di pratiche e progetti per la proprietà collettiva.
Iris si ricollega così alla storica battaglia della classe degli sfruttati e degli oppressi: la conquista e la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Questo fine costante, nella lunga storia delle lotte popolari, porta in grembo ed alimenta ancora oggi l’unità di classe dei vari soggetti che hanno come interesse l’unica alternativa possibile: la costruzione di una società comunista e libertaria.
 

Le collettività – Gaston Leval

“(…)
1. Il principio giuridico delle Collettività era completamente “nuovo”. Non erano né il “sindacato” né il “municipio”, nel senso tradizionale del termine, e neppure il municipio del medioevo. Tuttavia, erano più prossime allo spirito comunale che allo spirito sindacale.
Le Collettività, spesso, avrebbero potuto chiamarsi egualmente Comunità, come nel caso di quelle di Binefar e costituivano veramente un tutto in cui i gruppi professionali e corporativi, i servizi pubblici, gli interscambi, le funzioni municipali restavano subordinati, dipendenti dall’insieme nella loro struttura, nel loro funzionamento interno, nell’applicazione dei loro compiti particolari.
2. Malgrado la loro denominazione, le Collettività erano praticamente organizzazioni libertarie comuniste, che applicavano la regola “da ciascuno secondo le proprie forze ed a ciascuno secondo i suoi bisogni”; sia per la quantità di risorse materiali assicurata a ciascuno dove il denaro era abolito, sia per mezzo del salario familiare dove il denaro è stato mantenuto. Il metodo tecnico differiva, ma il principio morale e i risultati pratici erano i medesimi.
Questa pratica era in effetti senza eccezioni nelle Collettività agrarie; poco frequente invece nelle collettivizzazioni e socializzazioni industriali, per essere la vita delle città più complessa e meno profondo il sentimento di sociabilità.
3. La solidarietà portata al grado estremo era la norma generale delle collettività agrarie. Non solo vi era assicurato il diritto di tutti alla vita, ma nelle federazioni comarcali si stabiliva sempre più il principio dell’appoggio mutuo, con l’ammasso comune, di cui si giovano i paesi meno favoriti dalla natura.
Nella Castiglia, si stabilirono a questo scopo le Casse di Compensazione. Nel campo industriale questa pratica pare sia stata iniziata in Hospitalet, nelle ferrovie catalane e più tardi si applicò in Alcoy. Sarebbe stata più generale, se il compromesso con gli altri partiti non avesse impedito di socializzare apertamente sin dai primi giorni.
4. Una conquista di enorme portata era stata raggiunta: il diritto della donna alla vita, qualunque fossero le sue funzioni sociali. Nella metà circa delle collettività agrarie, il salario che le si attribuiva era inferiore a quello dell’uomo, nell’altra metà equivalente; differenze queste che si spiegano tenendo conto che raramente la donna nubile veniva isolata.
5. Anche il bambino ha visto il riconoscimento del suo diritto alla vita: non come elemosina accordata dallo Stato, bensì come l’esercizio di un diritto che nessuno pensava a negare. Al medesimo tempo le scuole gli sono state aperte fino ai 14 o 15 anni: solo modo per evitare che i genitori lo mandassero a lavorare prima del tempo, e per rendere l’istruzione realmente generale.
6. In tutte le Collettività agrarie dell’Aragona, Catalogna, Levante, Castiglia, Andalusia ed Estremadura, è stata norma spontanea costruire dei gruppi di lavoratori, quasi sempre distribuiti in zone precise che si dividevano le colture e le terre. Egualmente spontanea è stata la riunione dei delegati eletti da questi gruppi, insieme al delegato locale d’agricoltura, allo scopo di orientare il lavoro generale.
7. Oltre a tali riunioni ed altre analoghe dei gruppi specializzati, avevano luogo in forme anch’esse spontanee le riunioni dell’intera Collettività: un’assemblea settimanale, o quindicinale o mensile. Si pronunciava sull’attività dei consiglieri da essa nominati, sui casi speciali e le difficoltà impreviste. Tutti gli abitanti, uomini e donne, fossero o no produttori di beni di consumo, intervenivano e determinavano gli accordi presi. Spesso, anche gli stessi “individualisti” potevano pronunciarsi e votare.
8. Nella coltivazione della terra le modifiche più importanti sono state: l’aumento rapido del macchinario impiegato e dell’irrigazione, l’estensione della pollicoltura, la piantagione di alberi di ogni specie. Nell’allevamento del bestiame: la selezione e la moltiplicazione delle specie, l’adattamento di esse alle condizioni dell’ambiente, del clima, dell’alimentazione, ecc. e la costruzione, su vasta scala, di stalle, porcili ed ovili collettivi.
9. Si estendeva continuamente l’armonia nella produzione e ella coordinazione degli scambi, così come l’unità nel sistema di ripartizione. L’unificazione comarcale si completava con l’unificazione regionale. La federazione nazionale era sorta. Alla base la “comarca” organizzava l’interscambio. Eccezionalmente lo praticava il Comune isolato, ma su autorizzazione della federazione comarcale, che prendeva nota degli scambi e poteva interromperli se pregiudizievoli all’economia generale. Così accadeva per esempio nella Collettività isolata della Castiglia, che non vendeva grano per suo conto ma, invece, mandava il cliente all’ufficio del grano in Madrid. In Aragona, la Federazione delle Collettività, fondata nel gennaio del 1937 e la cui sede centrale si trovava a Caspe, incominciò a coordinare gli scambi fra tutti i Comuni della regione, così come la pratica dell’appoggio mutuo.
La tendenza all’unità si era creata con l’adozione di una tessera di “produttore” unica e di una tessera di “consumatore” ugualmente unica che implicavano la soppressione di tutte le monete, locali o no, secondo la risoluzione presa nel congresso costitutivo del febbraio 1937.
Riguardo agli scambi con le altre regioni e alla vendita all’estero, la coordinazione migliorava sempre più. Nel caso di utili per differenze di cambio, o per l’ottenimento di prezzi superiori ai prezzi base già eccedenti, la Federazione Regionale li impiegava per aiutare le collettività più povere. La solidarietà oltrepassava l’ambito comarcale.
10. La concentrazione industriale tendeva a generalizzarsi in tutti i Comuni, in tutte le città. Le piccole officine, le fabbriche antieconomiche sparivano. Il lavoro si razionalizzava con un obiettivo e una forma altamente sociali, tanto nelle industrie di Alcoy come in quelle di Hospitalet, nei trasporti urbani di Barcellona, come nelle collettività di Aragona.
11. La socializzazione cominciava spesso con la ripartizione (comarca di Segorbe, di Granollera, vari villaggi di Aragona). In certi casi i nostri compagni strappavano ai municipi riforme immediate (municipalizzazione dei fitti e della medicina in Elda, Benicarlò, Castiglione, Alcagniz, Caspe, ecc.).
12. L’insegnamento progrediva con una rapidità prima d’allora sconosciuta. L’immensa maggioranza delle Collettività e dei municipi più o meno socializzati ha costruito una o varie scuole. Ciascuna delle Collettività della Federazione del Levante aveva la sua scuola al principio del 1938.
13. Il numero delle collettivizzazioni aumentava continuamente. Il movimento nato con più slancio in Aragona aveva guadagnato nella campagne parte della Catalogna, acquistando uno slancio straordinario, soprattutto nel Levante, e quindi nella Castiglia, le cui realizzazioni sono state, secondo testimoni responsabili, forse superiori a quelle di Levante e di Aragona. L’Estremadura e la parte dell’Andalusia che i fascisti tardarono a conquistare – specialmente la provincia di Jean – hanno avuto anche le loro collettività, ciascuna regione con le caratteristiche proprie nella sua agricoltura e della sua organizzazione locale.
14. Nelle mie investigazioni ho incontrato soltanto sue insuccessi: quello di Boltena e quello di Ainsa, nel nord di Aragona. Lo sviluppo del movimento e le adesioni che accoglieva si possono esprimere con questi dati: nel febbraio del 1937 la comarca di Angues aveva 36 collettività (cifra comunicata al congresso di Caspe). Ne aveva 57 nel giugno del medesimo anno. Manchiamo di cifre esatte sul numero delle collettività create in tutta la Spagna. Basandoci sulle statistiche incomplete del congresso di febbraio in Aragona e sui dati raccolti durante il mio soggiorno prolungato in questa regione, posso affermare che erano almeno 400. Quelle di Levante erano 500 nel 1938. devono aggiungersi a quelle delle altre regioni.
15. Le collettività si sono complementate in altri luoghi con altre forme di socializzazione. Il commercio si socializzò dopo il mio passaggio a Carcagente; Alcoy vide sorgere cooperative di consumo che completavano l’organizzazione sindacale della produzione. Altre collettività si ampliarono: Tamarite, Alcolea, Rubielas de Mora, Calanda, Pina, ecc.
16. Le collettività non sono state opera esclusiva del movimento libertario. Quantunque applicassero principi giuridici nettamente anarchici, erano spesso creazione spontanea di persone lontane da questo movimento (“libertarie” senza saperlo). La maggior parte delle Collettività d Castiglia ed Estremadura sono state opera di contadini cattolici e socialisti ispirati o no dalla propaganda di militanti anarchici isolati. Malgrado l’opposizione ufficiale delle loro organizzazioni, molti membri dell’UGT sono entrati nelle collettività o le hanno organizzate; e così pure i repubblicani sinceramente desiderosi di realizzare la libertà e la giustizia.
17. I piccoli proprietari erano rispettati. Le tessere di consumatori fatte anche per loro, il conto corrente che era loro aperto, le risoluzioni che venivano prese a loro riguardo, lo attestano. Soltanto s’impediva loro di avere più terra di quella che potessero coltivare e di esercitare il commercio individuale. L’adesione alle collettività era volontaria: gli “individualisti” vi aderivano solo se e quando venivano persuasi dai migliori risultati del lavoro in comune.
18. I principali ostacoli alle Collettività erano:
  1. la coesistenza di strati conservatori, dei partiti e delle organizzazioni che li rappresentavano: repubblicani di tutte le tendenze, socialisti di destra e di sinistra (Largo Caballero e Prieto), comunisti staliniani, sovente poumisti (prima di venire espulso dal Governo della Generalitat, il POUM non fu realmente un partito rivoluzionario; lo divenne quando si trovò costretto all’opposizione. Ancora nel giugno 1937 un manifesto distribuito dalla sezione di Aragona del POUM attaccava le Collettività). LA UGT (Unione Generale dei Lavoratori) costituiva lo strumento principale utilizzato da codesti vari politicanti;
  2. l’opposizione di certi piccoli proprietari (contadini dei Pirenei e catalani);
  3. il timore manifestato anche da alcuni membri delle Collettività che, terminata la guerra, il governo distruggesse queste organizzazioni. Tale timore fece vacillare anche molti che non erano realmente reazionari e molti piccoli proprietari che senza di esso si sarebbero decisi ad entrare nelle Collettività;
  4. la lotta attiva contro le collettività: con ciò non s’intende l’ovvia azione distruttiva delle truppe di Franco dove potevano arrivare; questa lotta contro le collettività è stata condotta a mano armata in Castiglia dalle truppe comuniste. Nella regione valenziana, si ebbero dei veri combattimenti dei quali intervennero perfino carri d’assalto. Nella provincia di Huesca, la brigata Carlo Marx ha perseguitato le Collettività. La brigata Macia-Companys ha fatto lo stesso nella provincia di Teruel (ma ambedue hanno sempre sfuggito il combattimento contro i fascisti. La prima è sempre stata inattiva, mentre le nostre truppe lottavano per prendere Huesca o posizioni importanti. Le truppe marxiste si riservavano per la retroguardia. La seconda abbandonò senza lotta Vivel del Rio ed altri comuni della regione carbonifera di Utriglios. I soldati, che fuggirono in camicia davanti a un piccolo attacco che altre forze contennero senza difficoltà, furono poi combattenti intrepidi contro i contadini disarmati delle Collettività).
19. Nell’opera di creazione, di trasformazione e socializzazione che è stata, il contadino ha dimostrato una coscienza sociale superiore a quella dell’operaio della città.

testo già in  http://www.fdca.it/ciclostile/oap-spagna/7.htm
Su Leval vedi anche https://it.wikipedia.org/wiki/Gaston_Leval 

80 anni fa la rivoluzione comunista libertaria in Spagna

 19 luglio 1936. Ottant’anni da quella data.
Ottant’anni che non hanno offuscato nel mondo il ricordo e la commozione per la vittoria dei lavoratori spagnoli nel 1936, nella maggior parte del paese, sul golpe dei militari e dei fascisti, e per il contemporaneo inizio della più grande rivoluzione sociale di massa dell’Europa occidentale.
Di straordinario vi fu – determinato dalla propaganda e dall’esempio di alcune generazioni di rivoluzionari comunisti anarchici radicatisi tra le masse lavoratrici spagnole fin dalla fine dell’800- uno sforzo corale per costruire un mondo nuovo, una libera società senza Stato che abolisse lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo dato dal lavoro salariato, che organizzasse la società dal basso, mediante un’effettiva democrazia diretta, e socializzasse tanto la produzione quanto i consumi, attraverso le collettività.
Nel segno del comunismo libertario
La rivoluzione spagnola fu di segno comunista anarchico perché ad opera del popolo spagnolo e delle sue radicate organizzazioni di massa, e non già calata dall’alto.
Ad animare quell’esplosione di energia popolare fu il sogno di arrivare a costruire una realtà incentrata sul rispetto dell’individuo, dei suoi diritti e delle sue esigenze come valore massimo. Questo sogno i lavoratori e lavoratrici spagnoli lo hanno costruito autogestendo e collettivizzando trasporti, fabbriche, milizie, fattorie, scuole, che hanno funzionato, unica esperienza finora nella storia, al servizio del popolo e non a sue spese.
Straordinaria, in quei momenti difficili, fu la liberazione delle coscienze e dell’intelligenza popolare, che si espresse contro tutti i pregiudizi e le catene autoritarie inculcate da preti, nobili e padroni. E questo sogno lo hanno difeso fino allo stremo i tanti compagni e tante compagne che, da tutto il mondo, accorsero generosamente e donarono la loro giovinezza e la loro vita lottando contro quanto di più retrogrado e liberticida costituiva la España negra e ne fondava l’oppressione politica, sociale ed economica, non riuscendo a vincere questo cancro che già si stava espandendo in tutta Europa e avrebbe contagiato il mondo.
Il progetto comunista libertario propugnato dall’anarchismo spagnolo si inverò soprattutto nello sforzo corale dei proletari spagnoli ed internazionali che realizzarono la più grande rivoluzione sociale e libertaria, del XX secolo.
Le ragioni della sconfitta
E se alcune delle cause della sconfitta sono fisiologicamente presenti in qualsiasi rivoluzione sociale, e quindi vanno date per scontate in anticipo, come per esempio l’intervento controrivoluzionario di forze straniere (l’Italia fascista e la Germania nazista), o il crearsi, all’interno di un composito fronte antifascista, di alleanze controrivoluzionarie, al fine di ottenere con la fine della guerra civile il ristabilimento dello “status quo” precedente, occorre anche ricordare come le organizzazioni rivoluzionarie si siano poste nei confronti di questi fattori.
Nella CNT (la Confederación Nacional del Trabajo) e nella FAI (Federación Anarquista Iberica) emerse drammaticamente una difficoltà: la carenza di una strategia e tattica e della consapevolezza del compito politico dei libertari in una situazione – obiettivamente proficua – di collasso totale delle strutture statali e di ampia mobilitazione proletaria, seppur in un contesto internazionale di dolorose sconfitte del movimento operaio. Nel momento cruciale i dirigenti di CNT e FAI si ritrovarono ad essere titubanti sulle decisioni da prendere per l’avvento del comunismo libertario, compiendo scelte che andavano in una direzione non coerente con la sperimentazione rivoluzionaria popolare in atto.
Ma è anche doveroso ricordare la Agrupación Los Amigos di Durruti che cercarono di opporsi all’insipienza di FAI e CNT e di contrastare quella violenza stalinista che preferì combattere gli anarchici, i marxisti del POUM  e la rivoluzione popolare prima ancora che combattere i fascisti e la borghesia.
Occorre ricordare le donne militanti e combattenti di Mujeres Libres che stavano facendo nascere, con le loro intelligenze e i loro corpi, la nuova Spagna che non arrivò a vedere la luce che molto dopo, dimostrando che la libertà si costruisce giorno per giorno, tutte e tutti insieme.
Gli insegnamenti
E da quella grande rivoluzione tanto c’è da imparare: per esempio la necessità che nelle organizzazioni vi siano militanti che (come avvenne in Spagna) acquisiscano un’adeguata preparazione economica (soprattutto in rapporto a un contesto globalizzato) e studino i meccanismi di funzionamento della produzione e distribuzione capitalista al duplice scopo sia di saper fornire le opportune risposte ai problemi che esse creano, sia di mettere a disposizione, in un auspicabile domani, le conoscenze per far sì che il passaggio dalla gestione capitalista dell’economia a quella rivoluzionaria avvenga senza interruzioni eccessive.
E nel frattempo misurarsi con gli orizzonti e le pratiche della proprietà collettiva, della sperimentazione di reti autogestite e solidali in agricoltura, artigianato, servizi, piccola industria, con le collettivizzazioni spagnole nel cuore.
La rivoluzione non è affatto dietro l’angolo, ma non per questo si deve ragionare come se non venisse mai più.
Perché ogni rivoluzione cresce sugli errori e le conquiste della precedente. Anche la prossima.
 
Alternativa Libertaria/fdca
19 luglio 2016

 

Breve sguardo sul Brasile alla vigilia delle Olimpiadi

Il 30 giugno l’Istituto di Sicurezza Pubblica ha divulgato i dati degli omicidi commessi dalle forze di polizia e possiamo constatare l’allarmante risultato di crescita di questi crimini alla vigilia delle olimpiadi. Se prendiamo maggio come esempio abbiamo a Rio de Janeiro nel 2015 17 persone uccise dalla polizia, mentre nel 2016 sono 40!
Questo aumento del 137% di casi di violenza poliziesca non è un caso e possiamo connetterlo direttamente all’arrivo dei giochi olimpici, in una dinamica a cui abbiamo già assistito nel 2014 con l’arrivo dei Mondiali.
Una situazione percettibile anche a chi a Rio ci vive in questo momento e che mentre la torcia olimpica sfila per il paese (non senza incidenti quale quello in cui un ragazzo ha provato a spegnerla lanciano acqua da un secchio a metà giugno) deve confrontarsi con incursioni delle squadre di polizia e contrattacchi del traffico di droghe che rialza la testa sempre di più, malgrado l’operazione in corso dal 2010 di occupazione da parte della Polizia Militare dei quartieri di periferia detti “favelas”.
Anche che il processo per l’omicidio di 5 ragazzi che erano in una macchina e hanno ricevuto 33 spari dalla polizia sia finito nel nulla assoluto, senza nessuna condanna, è un indicatore del clima che il Governo dello Stato di Rio de Janeiro vuole instaurare. Oppure dal mantenimento in carcere di Rafael Braga Vieira, condannato a 4 anni di carcere per porto di esplosivi in un corteo dove lui non era neanche presente (una bottiglia di plastica contenente detersivo) che esprime tutto il razzismo di questa guerra ai poveri che miete in alcuni casi tragici anche la vita di bambini, ma che si maschera per guerra al narcotraffico.
Complicata la situazione quella del governatore sostituto di uno stato fallito che ha dichiarato la bancarotta mentre proclamava lo “stato di calamità pubblica” (delegando alle forze dell’ordine la gestione della sicurezza pubblica visto che lo stato non ha soldi per fare niente) e che non paga più i salari dei funzionari pubblici con il risultato diretto di chiusura di università e sciopero dell’istruzione.
E se consideriamo che nei mesi precedenti il sindaco di Rio assieme al segretario dei trasporti hanno annunciato il taglio di centinaia di linee d’autobus dopo un altro vergognoso aumento del biglietto a cui ora si aggiungono probabili tagli alle agevolazioni resta ancora più chiara l’intenzione di isolare le periferie sempre di più e controllare ogni velleità rivendicativa tramite la politica del terrore.
Questo il lascito delle Olimpiadi e di tutti i grandi eventi. Una città che si dimostra in gran parte vetrina per turisti, totalmente diversa da quella reale. Come quando venne il Papa nel 2013 e per due giorni la metro è rimasta in funzionamento soltanto per i pellegrini in possesso della tessera speciale, escludendo tutti i cittadini che ancora non erano stati esclusi dai prezzi esorbitanti dei biglietti.
Alzando lo sguardo alla politica nazionale, il quadro non migliora e il progetto di paese che il Brasile è diventa sempre più chiaro: il nuovo governo, punta di lancia del colpo di stato appena consumato, sta accelerando riforme che il governo anteriore aveva dato mostra di volerle realizzare. Precarizzazione del lavoro, alzamento dell’età pensionabile ai 70 anni, fine della demarcazione delle terre indigene e contadine… Per non parlare delle proposte che girano in parlamento da parte dei settori più reazionari (rappresentanti di latifondisti, banchieri, produttori di armi, clero neo-pentecostale) come il “scuola senza partito” che proibisce agli insegnanti di esprimere qualsiasi opinione politica (ovviamente di sinistra) e chiude definitivamente le lezioni già scarse di sociologia e filosofia.
Il 2013 ha segnato un momento molto importante per il Brasile, quando a giugno milioni di persone scesero in piazza rispondendo all’appello del Movimento Passe Livre per impedire l’alzamento dei biglietti d’autobus. Non solo giornate di protesta che non si vedevano da anni e che hanno lasciato polizia, giornalisti e politici impalliditi e incapaci di reagire ma che sono riuscite ad arrivare alla vittoria nel giro di tre settimane.
Se non è stato un fulmine a ciel sereno come molto si è detto in giro tra sociologi e giornalisti internazionali, di sicuro è stato un incredibile alzamento del conflitto, merito dei movimenti popolari che si organizzano e lottano da quasi 30 anni. Merito di chi si sta dedicando alla vera ricostruzione democratica del paese, dopo i 21 anni di dittatura finiti nel 1985.
Davanti a tale pericolo di un salto di qualità della classe nel portare avanti le proprie lotte, la borghesia si è vista a dover ammettere che il governo di “patto di classe” del Partito dei Lavoratori (PT) aveva funzionato nel 2003, ma ormai dopo più di 10 anni non funziona più. Per questo la scelta del colpo di stato “bianco”, di rovesciare sulla presidentessa Dilma Roussef il malcontento dei ceti medi e alti che dopo le politiche di assistenza del Governo verso i più poveri si sentivano minacciati nei propri privilegi e che con paura hanno sempre visto il montare delle mobilitazioni. E in tale contesto è passata quasi sotto silenzio la legge che ha introdotto il reato di terrorismo nel codice penale, una delle ultime misure del governo Dilma, quella di lasciare ancora più margine alla repressione dei movimenti popolari e alla criminalizzazione della protesta.
Purtroppo dal 2013 poco si è imparato, e la maggior parte delle organizzazioni politiche hanno pensato di poter capitalizzare l’evento per i propri scopi sia istituzionali o insurrezionali. Una strategia che si è dimostrata disastrosa all’inizio del 2014, per concretizzarsi e diventare evidente durante i mondiali.
Per fortuna possiamo contare su chi invece ha preferito (e da prima del 2013) investire nella costruzione del sociale, spazi e movimenti popolari in grado di aggregare diversi settori sfruttati con l’intento di diventare essi stessi protagonisti, indipendenti da qualsiasi avanguardia.
E abbiamo visto che il lascito del 2013 ha potuto andare anche molto oltre il 2014 (un l’ondata di scioperi) e a fine 2015 fino ad esso centinaia di scuole in diverse regioni del paese sono state occupate dagli studenti di 13-18 anni che denunciavano le condizioni assurde della scuola pubblica. Significativo il fatto che i tentativi dei sindacati studenteschi gialli di cooptare le occupazioni e negoziare col governo siano sempre caduti a vuoto, screditando ancora una volta gli organi della sinistra istituzionale della conciliazione.
Una nuova generazione che si è dimostrata capace di gestire una lotta intensa e complicata e di uscirne vittoriosa nelle richieste ottenuta e rafforzata con il costituirsi di tante realtà che puntano alla costruzione di sindacati studenteschi autonomi e autogestiti.
In Brasile si avvicinano le elezioni, e possiamo constatare felicemente che si stiano muovendo in alcune città quegli spazi che già da molti anni si strutturano sotto l’insegna dell’Altra Campagna, aggregazioni di lotte e movimenti che rifiutano di partecipare al gioco elettorale e costruiscono dal basso e sul loro territorio discussioni e delineando strategie di cambiamento tramite il potere popolare, molto al di la delle retoriche. Significativi per questo processo organizzazioni sociali come la Resistenza Popolare e il Movimento di Organizzazione di Base che si fanno sentire nei quartiere di periferia, nell’educazione popolare di giovani e bambini.
Per concludere possiamo constatare che il fallimento della politica istituzionale e insurrezionalista (quest’ultima in pezzi dopo il 2014) non vuol dire il fallimento delle istanze politiche e ideologiche, lo vediamo con la crescita lenta ma costante della Coordinazione Anarchica Brasiliana, che da 4 anni in qua si sta aprendo la propria strada e che ormai conta con 12 organizzazioni in 12 stati del paese, e centinaia di militanti.
Una crescita che non è isolata dal resto del Sud America, dove l’anarchismo di matrice specifista (che in Europa chiamiamo comunismo anarchico) diventa sempre più riconoscibile nella sua inserzione sociale, tra le lotte e l’organizzazione della classe.
Di questo si tratta, sin dal 1500, costruire un alternativa di paese, un altra storia, un altro potere. Le Olimpiadi passeranno, e lasceranno dietro di sé una scia di sangue e abusi percettibili nelle nuove opere e riorganizzazione dello spazio urbano. Ma la ruspa delle classi dominanti che ha rimosso interi quartieri e intere vite, non è ancora riuscita a passare sopra l’indignazione organizzata, e ci auguriamo che non passerà mai, dando tutta la nostra solidarietà a chi tutti i giorni combatte il razzismo, il terrore, il sessismo e lo sfruttamento.
Un brasiliano residente in Italia e militante di Alternativa Libertaria

venerdì 15 luglio 2016

1986-2016: trent'anni fa fondata a Fano la Associazione per lo sbattezzo

Esce in questi giorni il numero estivo (409) di A rivista contenente l’articolo “Trent’anni di diserzioni”, breve storia della fondazione dell’ Associazione per lo sbattezzo, nata a Fano nel 1986.
Si è trattato della prima forma associativa nel mondo contro il “cattolicesimo obbligatorio”, costituita il 15 agosto 1986 a Fano (Terzo meeting anticlericale), durante una nutrita assemblea con provenienze da tutt’Italia e rappresentanze delle maggiori associazioni laiche del Paese.

L’originalità dell’Associazione è consistita nell’ aver dato forma collettiva al dissenso già analizzato negli anni Cinquanta dal filosofo non violento Aldo Capitini, in anni in cui il papato di Wojtyla promuoveva una pesante ingerenza nella politica internazionale.
Scriveva l’Associazione nella Millelire edita da Stampa alternativa: “E’ bene innanzitutto chiarire che l’Associazione per lo Sbattezzo non amministra lo sbattezzo. Se lo facesse si porrebbe al pari di una Chiesa! L’Associazione invece nasce dalla consapevolezza che ogni essere umano è padrone di se stesso e che è quindi in suo potere rigettare qualsiasi atto di incorporazione ad una qualsivoglia fede o religione che cerchi di vincolarlo”.
In questi ultimi due decenni, l’occasione della tutela dei dati personali per intervenire sui Registri parrocchiali ha aumentato in Italia il ricorso allo sbattezzo con picchi di oltre 45mila moduli all’anno scaricati dal sito web di UAAR.

Nel mondo è dopo i fatti narrati nel film “Spotlight” sui casi di pedofilia venuti alla luce a Boston e in tutti gli Stati Uniti dal 2002, e dopo i casi di pedofilia nel clero in Irlanda resi noti dalla stampa tra il 1994 e il 2006 che lo sbattezzo diventa di massa, con oltre cinquecentomila richieste in Irlanda. Tanto che il Pontificio Consiglio deve emanare, il 13 marzo 2006, una Lettera nella quale si davano precise indicazioni sulla trascrizione nei registri parrocchiali della “uscita dal gregge”, trascrizione resa obbligatoria in Italia da una sentenza del Garante per la privacy istituito nel 1996 (sentenza su ricorso presentato da Uaar e accolto nel 1999).

L’Associazione per lo Sbattezzo ha costituito negli anni Ottanta e Novanta un richiamo fondamentale alla tutela della libertà personale basata sui principi di libertà individuale e si è anche dedicata a una massiccia campagna di informazione sul meccanismo dell’Otto per mille Irpef, istituito in seguito al Nuovo Concordato (1984).
Denunciava nel 1991 il bollettino dell’Associazione: “Chi non esprimerà la scelta vedrà ripartita la propria quota in proporzione al numero delle scelte espresse. Per essere più chiari, ipotizzando che su 100 contribuenti 20 rispondano e che di questi 15 optino per una della Chiesa e 5 a favore dello Stato, l'ammontare verrebbe ripartito ratificando il democraticissimo criterio con il quale il 15% dei soggetti determina il 75% del risultato.”
Ciò accade tutt’ora, basti vedere i dati del gettito 2011, del quale sappiamo che su un 45,81 per cento di scelte espresse il 36,75 per cento degli aventi diritto ha scelto la Chiesa cattolica per il suo otto per mille, poco più di quindici milioni di persone, col risultato di destinare quasi l’80 per cento dell’otto per mille Irpef nazionale, consistente in 1 miliardo e 13 milioni di euro, alla Chiesa cattolica.
Meccanismo fiscale che già quindi prefigurava un “premio di maggioranza” che ora minaccia di essere di nuovo collaudato anche nel meccanismo elettorale, col risultato di sottrarre sempre più libertà di scelta ai cittadini.
Francesca Palazzi Arduini.
 

martedì 12 luglio 2016

Palestina-Israele, la lotta unitaria è viva anche se meno intensa



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La lotta unitaria non armata degli israeliani di Anarchici Contro il Muro insieme agli attivisti 
locali condotta contro le forze di Stato israeliane fu all'inizio un caso unico che attirò 
ad essa anche attivisti israeliani meno radicalizzati. Nel corso degli anni ci sono stati tentativi di unificare le lotte locali e 
di far crescere il livello di attivismo, ma sia le autorità israeliane che quelle palestinesi lo hanno impedito. 
Progetti alternativi sorti nell'ambito dei circoli israeliani meno radicalizzati hanno ridotto il bacino a cui attingeva l'iniziativa di
Anarchici Contro Il Muro. Sul versante palestinese alcuni successi ottenuti ed una attività di repressione più blanda da parte 
israeliana hanno contribuito alle defezioni dalla lotta unitaria. Il 
cambiamento più radicale nella repressione si è avuto nelle manifestazioni del venerdì a Bil'in - soprattutto con la scomparsa del ricorso all'uso di 
proiettili e lacrimogeni, mentre il Ramadan ha influito anche sugli attivisti più tenaci. 
Ma, l'etica della persistenza (tsumud) è stata ritrovata nella grande manifestazione dell'8 luglio.

Bil'in

10-6-16  "per la terza settimana di fila la quiete regna sovrana sulle manifestazioni settimanali di protesta contro  
l'occupazione! Eravamo solo in 25 a Bil'in questa settimana ma ci siamo fatti vedere! E così pure i 50 
soldati israeliani! Abbiamo fatto sentire il nostro messaggio in pace! Lo sappiamo che  
l'esercito occupante vuole dirci che siamo solo degli ospiti sulle nostre terre e che siamo loro prigionieri ma 
non capiamo perchè devono schierare 50 soldati in tenuta da combattimento! Non vi è alcuna minaccia che 
possa arrivare dai nostri villaggi agricoli!"
https://www.facebook.com/anatllanat/posts/896066527169244
https://www.facebook.com/mohamed.b.yaseen/posts/945887375510595
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=945886688843997
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/videos/10208429461587075/
17-6
https://www.facebook.com/anatllanat/posts/899916890117541
https://www.facebook.com/village.bilin/posts/1713218752277067
https://www.facebook.com/mohamed.b.yaseen/posts/949707511795248
24-6-16 Manifestazione del venerdì n°590. Bil'in persiste e non cederà mai!!! 10 Israeliani 
con gli Anarchici Contro il Muro e mezza dozzina di internazionali si sono uniti ai  
residenti di Bil'nell'ininterrotta catena di manifestazioni del venerdì. Nonostante le minacce di arresti da parte 
delle forze di stato, abbiamo quasi raggiunto la strada dove passava il muro della separazione poi smantellato 
fino al monumento alla memoria di Bassem (phil).
Dopo un lungo "scambio di vedute" con i soldati siamo tornati al villaggio.
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/videos/10208537290002718/
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/videos/10208593557089360/
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/posts/10208539384575081
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/posts/10208536828711186
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/videos/10208550948944183/

1.7 La manifestazione del venerdì ci ha dato una piccola vittoria. Circa 8 anarchici israeliani e pochi 
internazionali si sono uniti ad una dozzina di residenti nell'ultima manifestazione del venerdì durante il ramadan. Il tema della 
manifestazione era la commemorazione del secondo anniversario dell'uccisione di Mohammad Abu Khdeir, 
il bambino palestinese di Gerusalemme Est occupata che era stato rapito da fanatici israeliani, 
poi da loro torturato e bruciato. E' stata la quarta manifestazione senza spari da parte delle 
forze di stato. Di manifestazione in manifestazione la distanza tra noi ed i soldati si riduce. Questo venerdì siamo arrivati a 
"litigare" con loro a solo 20 metri di distanza. Dopo un po' di tempo,  
ci hanno costretto a ritirarci di altri 20 metri minacciando arresti, ed erano così soddisfatti che  
la maggior parte di loro se ne è andata lasciando solo pochi soldati per impedirci di andare al memoriale di Bassem. Ci siamo ritrovati 
un po' più indietro all'ombra di un ulivo per discutere delle prossime manifestazioni mentre in 
parallelo pochi ragazzini attaccavano i soldati rimasti con lancio di pietre. I soldati hanno preferito 
andarsene e noi ne abbiamo approfittato per convergere sul memoriale di Bassem dove di solito 
i soldati parcheggiano i loro mezzi.
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/posts/10208590990985209
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=907880885987808
https://www.facebook.com/anatllanat/posts/907881195987777
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/videos/10208591267832130/
8-7-16 Venerdì 6 Israeliani con gli Anarchici Contro il Muro, e 
circa 20 attivisti internazionali di diversi paesi si sono uniti ad almeno 20 
residenti. Come da rituale dell'ultimo mese, le forze di stato israeliane si sono posizionate vicino alla 
strada del muro della separazione smantellato e ci hanno "permesso" di avanzare fino a pochi metri dalle loro 
posizioni - bloccandoci la strada verso il nuovo muro della separazione che si trova ad 1 km ad ovest. I 
soldati hanno dichiarato l'area zona militare chiusa a noi interdetta....ed hanno persino esibito agli 
attivisti che ne facevano richiesta l'ordinanza firmata dal generale comandante della regione.
Dopo una lunga discussione con  gli attivisti più baldanzosi, i soldati hanno minacciato di procedere all' 
arresto di quelli troppo vicini a loro, così noi ci siamo ritirati di alcuni metri per metterci in sicurezza. 
Alcuni ragazzi hanno lanciato dei sassi per provocare i soldati... che però non erano dell'umore di 
usare la sassaiola quale pretesto per spararci addosso.
Gradualmente abbiamo fatto ritorno al villaggio dato che i soldati non se andavano via 
e non ci permettevano -diversamente dalla settimana scorsa - di farci una foto di gruppo al memoriale di Bassem abu Rahme 
che si trova lungo la vecchia strada del muro.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=911927792249784
https://www.facebook.com/anatllanat/posts/911927818916448
https://www.facebook.com/rani.fatah/posts/10209811348103542
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=901917373252077
https://www.facebook.com/Mohammed.Yasin.photography/posts/721451854660846
https://www.facebook.com/mohamed.b.yaseen/posts/961773420588657
https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/videos/vb.1022320161/10208646564894522/?type=3

Ni'ilin

israelpnm  https://www.youtube.com/watch?v=e5u80gLIhk8
25-6 israelpnm https://www.youtube.com/watch?v=ggQYVH0g4Zw
1 luglio israelpnm https://www.youtube.com/watch?v=kg-Mk97n6UU
David Reeb https://youtu.be/4XrAXCnzKiM


Qaddum

1.7 https://www.youtube.com/watch?v=4k_C7uc9j2w


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Non dite che non lo sapevamo n°506

I coloni dell'avanposto di Ahiya e di Esh Kodesh non smettono di dare fastidio ai contadini 
palestinesi di Jalud, che hanno le loro terre vicino a quegli avanposti.

Domenica 5 giugno, dopo aver preso accordi con l'esercito, i contadini di Jalud sono andati a lavorare 
la terra nei campi tra i due avanposti. I coloni hanno cercato di impediglierlo. 
Questa volta, la polizia israeliana ha tenuto a bada i coloni, permettendo ai contadini di completare 
il raccolto (256 dunums).

Va detto che un colono aveva occupato la terra di un contadino di Jalud – una violazione 
ritenuta illegale dal tribunale.  Ma quel colono dovrà andar via dalla terra occupata  
solo all'inizio del prossimo anno.  Infatti ha ottenuto una proroga dal tribunale - quello stesso tribunale che aveva 
sentenziato come illegale la sua violazione -  per cui la sua rimozione è stata posticipata.

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Giovedì 9 giugno 2016, rappresentanti del governo scortati dalla polizia sono giunti al villaggio di 
El-Araqib per demolirlo ancora una volta.

Non dite che non lo sapevamo n°507

Recentemente, Mekorot (l'acquedotto israeliano) ha ridotto la quantità di acqua che fornisce 
alle aree palestinesi nella Cisgiordania settentrionale.  Il villaggio di Salem (a est di Nablus), ad esempio, 
riceve l'acqua nelle case solo una volta alla settimana. I residenti sono stati 
informati che da giovedì 9 giugno 2016, Mekorot dimezzerà ulteriormente la fornitura di acqua.

A Umm Jamal, nel nord della Valle del Giordano, c'è una fonte usata dai pastori per le loro 
greggi.  La terra appartiene alla chiesa.  Martedì 14 giugno 2016, l'esercito ha fatto sapere  
ai pastori, con un avviso affisso sul sito, che devono comparire davanti al tribunale dell'insediamento di Beit 
El entro 3 giorni pena il ritiro del permesso per accedere alla fonte.

Il 14 giugno 2016, i soldati hanno confiscato un trattore ed un serbatoio di acqua ad un palestinese 
residente a Samara nel nord della Valle del Giordano.

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Non dite che non lo sapevamo n°508

    Sentiamo spesso dire sui media dei problemi per la fornitura dell'acqua nei Territori 
Occupati. Ecco qui un'altra testimonianza delle vessazioni contro i contadini palestinesi:

    Giovedì 23 giugno 2016, operai di Mekorot (l'acquedotto di Israele), 
insieme a rappresentanti della Amministrazione Civile sono giunti nel villaggio palestinese 
di Baq'a (a est di Hebron), scortati da soldati ed hanno distrutto gli impianti di  
irrigazione agricola ed i containers di fertilizzanti.  Che servivano per la coltivazione dei pomodori in un'area 
di quasi 10 dunums (dunum=1000 mq).

    Va detto che ogni tentativo da parte dei contadini di negoziare con le autorità la fornitura  
di acqua non ha avuto alcun successo.


Questions & queries: amosg@shefayim.org.il

Non dite che non lo sapevamo n°509

Gli allevatori nella Valle del Giordano in Cisgiordania denunciano la drastiche riduzioni nelle forniture dell'acqua.

Un palestinese di Hadidiyya (vicino all'insediamento di Roee) ha messo un funzione una tubatura di 8 km per portare l'acqua dal villaggio di Tamun 
al suo villaggio che soffre per la mancanza di acqua. La 
amministrazione civile israeliana ha interrotto la tubatura a 200 metri dal villaggio. Tutti i tentativi 
dei Palestinesi per riattivare la tubatura sono stati bloccati dall'esercito.

Giovedì 30 giugno 2016, degli attivisti israeliani hanno tentato di riattivare la tubatura ma sono 
stati fermati dai soldati.

~~~~~

Mercoledì 29 giugno 2016, rappresentanti del governo, scortati dalla polizia, sono giunti  
ad El-Araqib per demolirlo ancora una volta.  La centesima!

E' la seconda volta che rappresentanti del governo demoliscono il villaggio durante il Ramadan in corso.

Questions & queries: amosg@shefayim.org.il

=================================
*Ilan Shalif

http://ilanisagainstwalls.blogspot.com/



Anarchici Contro Il Muro

http://www.awalls.org



Blog di Ahdut (Unità - organizzazione comunista anarchica israeliana): http://unityispa.wordpress.com/



(traduzione a cura di ALternativa Libertaria/fdca - Ufficio Relazioni Internazionali)


mercoledì 6 luglio 2016

LA VITTORIA DELLA DESTRA NEL REFERENDUM INGLESE E IL RIMBECILLIMENTO DELLA SINISTRA ANTIEUROPEA

LA VITTORIA DELLA DESTRA NEL REFERENDUM INGLESE E IL RIMBECILLIMENTO DELLA SINISTRA ANTIEUROPEA
di Michele Nobile


Al primo impatto ho trovato assai divertente l'idea per cui la decisione degli elettori britannici di uscire dall'Unione europea sarebbe un fatto «di sinistra». Pensandoci meglio, è semplicemente «tragica». Brevissime considerazioni.
1) Innanzitutto, è stata la xenofobia a determinare il successo del leave, del voto per lasciare l'Unione europea, per un margine non grande. La linea anti-migrazione, diretta non soltanto contro gli extracomunitari ma anche verso i cittadini europei, è stata condita, è vero, dalla demagogia antiplutocratica di destra e liberista nei confronti dei burocrati di Bruxelles e delle «banche». Non a caso si tratta di un successo elettorale che fa esultare la destra-destra e l'estrema destra europea, dal Front National alla Lega Nord ad Alba Dorata. Insomma, sul piano concreto e dei grandi numeri, la mobilitazione (elettorale) contro l'Ue si esprime con una forte connotazione nazionalista xenofoba, spesso ultraneoliberista.


2) Che si trattasse della tory Thatcher o del laburista Blair, in fatto di neoliberismo i governi britannici sono sempre stati più realisti del re: hanno considerato diverse normative europee troppo «di sinistra», facendo pressione per orientarle in senso più liberista. Il caso più chiaro è dato dal cosiddetto opting-out, cioè il diritto di non applicare decisioni dell'Unione, in particolare per quanto riguarda il «protocollo sociale» (per alcuni anni) e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Nel negoziato tra Cameron e la Commissione europea, l'unico punto di sostanza ottenuto dal primo era la limitazione per quattro anni dei benefici per gli immigrati europei. E dunque, se proprio si vuol essere nazionalisti «di sinistra», la ragione per felicitarsi dell'uscita del Regno Unito dalla Ue è esattamente opposta a quella dominante su questo lato. Bisognerebbe dire, cioè, non che si tratta di un passo necessario per una politica sociale ed economica «popolare» e antiliberista ma che, così, ci si è finalmente liberati di uno Stato che da quasi quarant'anni si è sempre collocato sulla destra del panorama istituzionale dell'Unione, quale che fosse il partito di maggioranza.


3) I dati maggiori del referendum sono la vittoria non ampia del leave the Eu (per poco più di 1,2 milioni di votanti) e la chiarissima spaccatura geografica del voto. In Scozia il voto to remain ha raggiunto il 62%, vincente in tutte le circoscrizioni; in Irlanda del Nord il 56%. Il che obiettivamente crea una situazione imbarazzante per i nazionalisti «di sinistra», perché queste sono le due aree in cui l'aspirazione all'indipendenza dal Regno Unito è da sempre diffusa e intensa, specialmente in Irlanda del Nord dove, per decenni, si è espressa anche al livello della lotta armata. Eppure, il governo scozzese ha annunciato un secondo referendum per l'indipendenza, ma per restare nell'Unione europea; e il Sinn Féin, storico partito nazionalista irlandese e volto legale dell'Irish Republican Army, ha pure annunciato di voler lanciare un referendum per l'unificazione con l'Irlanda, implicitamente rientrando nella Ue. Nei distretti che hanno eletto deputati del Sinn Féin, il voto per restare nell'Unione ha raggiunto il 74% a Belfast West e il 60% in Mid Ulster. La conclusione paradossale è che in Scozia e in Irlanda del Nord l'essere membri dell'Ue è percepito come garanzia dei diritti nazionali, non il contrario. Si profila l'aggravarsi del conflitto fra nazionalismi dentro il Regno Unito.


4) Il leave the Eu ha vinto massicciamente nell'Inghilterra propriamente detta (60%) e in Galles (55,5%). Tuttavia ha perso, e non di poco, in tutte le maggiori città inglesi e gallesi: il voto per restare nell'Ue ha raggiunto il 60% nell'area metropolitana di Londra, a Manchester, Cardiff, Bristol; il 58% a Liverpool, Reading, York; ha pareggiato a Leeds e perso a Birmingham, ma col 49,6% dei voti validi. Mi è difficile pensare che l'elettorato politicamente meno cosciente si concentri proprio nella grandi città.


5) L'argomento spesso portato a supporto per l'uscita dall'Ue, e cioè che questa coincida con l'uscita dall'eurozona, non vale assolutamente nei confronti del Regno Unito, che ha mantenuto intatta la propria sovranità monetaria e che ospita la City, centro finanziario di rilevanza mondiale. I problemi sociali ed economici del Regno Unito non hanno dunque nulla a che fare con l'eurosistema; il Regno Unito non subisce alcuna imposizione da parte dei creditori internazionali, non è la Grecia. In effetti, mantenendo il ragionamento su un piano strettamente economico (e quindi abbastanza astratto), non ritengo che, oltre la bufera finanziaria di questi giorni, l'uscita dalla Ue comporti effetti catastrofici per l'economia britannica. Ma è vero che l'eventuale uscita dalla Ue, tanto più se gestita dalle forze politiche che hanno egemonizzato la campagna to leave, non potrebbe che aggravarli. Il Regno Unito attrae investimenti diretti dall'estero e investimenti in titoli di Stato e azioni, ha un saldo attivo nell'esportazione di servizi ma ha un ampio deficit nel commercio di beni materiali. In altri termini, l'industria britannica è poco competitiva. La svalutazione della sterlina, già in atto, potrebbe forse alleviare il deficit commerciale nel breve termine, ma certamente non risolvere il problema strutturale dell'industria britannica.
In termini più concreti, bisognerà vedere come evolvono il quadro politico britannico e l'economia mondiale. Le prospettive di quest'ultima nei prossimi mesi non sono proprio rosee. Questa vittoria del leave potrebbe cadere durante una nuova recessione internazionale e, forse, vedremo, potrebbe essere anche uno dei suoi detonatori. In tal caso, tutto il negoziato per l'uscita dall'Ue potrebbe risentirne e, ovviamente, se il Regno Unito dovesse entrare in recessione, cosa possibile a prescindere dai risultati del referendum, sarebbe l'occasione buona per scaricarne la responsabilità sui sostenitori del leave e rompergli politicamente le ossa.


6) Tutti gli argomenti precedenti sono secondari rispetto al fatto che la campagna per uscire dall'Ue sposta l'orientamento politico della sinistra dalla lotta sociale contro i nemici interni alla battaglia contro le istituzioni europee, come se fossero queste il fattore determinante e originario dei problemi sociali. Non è così: l'Ue e la politica della Banca centrale europea esprimono tendenze già ampiamente affermatesi sul piano nazionale. Questo è vero per tutti i paesi europei ed è, se possibile, ancor più vero per il Regno Unito, lo Stato che nella persona di Margaret Thatcher è stato la punta avanzata del sedicente neoliberismo. Specialmente nel Regno Unito, non solo la linea del leave si rivolge contro i bersagli sbagliati, ma è dannosa perché divide gravemente gli stessi lavoratori e la gente comune del Regno Unito fra nazionalismi interni: gran parte (non tutti!) degli inglesi e dei gallesi contro la schiacciante maggioranza di scozzesi e irlandesi del Nord.
Con la vittoria del leave la prospettiva di un'opposizione ampia nel Regno Unito ha fatto almeno due passi indietro a favore della xenofobia, della demagogia antiplutocratica di destra e della divisione dei cittadini britannici secondo linee regionali.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com


lunedì 4 luglio 2016

Gli Enragés nella Rivoluzione francese

Chi erano gli Enragés, chi faceva parte del movimento e quali obiettivi si proponevano di realizzare? Mio obiettivo è di fare una breve descrizione del loro pensiero politico lasciando volutamente senza risposta la domanda che da decenni gli storici si pongono: il movimento degli Enragés può essere considerato un predecessore della corrente anarchica?

Gli Enragés nella Rivoluzione francese



“ […] consisteva in leggi non tradotte in effetto, autorità prive di forza e disprezzate, il delitto impunito, la proprietà minacciata, la sicurezza dell’individuo violata, la moralità del popolo corrotta, nessuna costituzione, nessun governo, nessuna giustizia: queste le caratteristiche dell’anarchia
La frase sopra riportata è una citazione di Brissot rivolta agli oppositori dei Girondini, tra cui gli Enragés, accusati di essere contro ogni forma di autorità.
Ma chi erano questi Enragés, chi faceva parte del movimento e quali obiettivi si proponevano di realizzare? Mio obiettivo è di fare una breve descrizione del loro pensiero politico lasciando volutamente senza risposta la domanda che da decenni gli storici si pongono: il movimento degli Enragés può essere considerato un predecessore della corrente anarchica? La tesi è stata divisa in quattro capitoli. Nel primo vi è una breve descrizione della Rivoluzione francese in quanto mi è sembrato opportuno ricordare come essa sia nata e terminata, e sottolineare le differenze presenti in essa e tra i rivoluzionari, in modo da potervi collocare più facilmente il movimento degli Enragés. Nel secondo vi è una presentazione dal punto di vista storico e del pensiero politico del movimento preso nel suo insieme, cercherò di analizzare quindi i testi degli esponenti più importanti del movimento, quali Jacques Roux, Varlet e Leclerc, senza dimenticare però che molto legata a questi fu la Società delle Repubblicane rivoluzionarie, soprattutto nelle figure di Claire Lacombe e Pauline Léon (oggetto del terzo capitolo). Nel quarto e ultimo capitolo, che ho volutamente chiamato “Conclusione” riprenderò in mano la domanda posta nell'introduzione, ossia se gli Enragés possono essere avvicinati più al movimento anarchico/libertario o a quello comunista, utilizzando pensatori che si sono già pronunciati su questo problema.

Indice

  1. Introduzione
  2. Il movimento degli Enragés
  3. La società delle cittadine repubblicane rivoluzionarie
  4. Conclusioni
  5. Bibliografia
  6. Webgrafia
"Gli Enragés nella Rivoluzione francese" può essere scaricato in formato PDF qui oppure letto online qui.

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)