ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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giovedì 25 giugno 2015

UNA PASSEGGIATA PER LA SALVAGUARDIA DELLA SALUTE PUBBLICA E DELLE SUE STRUTTURE IN CITTA' (PORDENONE)

PER UNA PASSEGGIATA “guidata” a PORDENONE Giovedì 25 GIUGNO 2015 TROVIAMOCI alle ore 18:30 in piazza CAVOUR per arrivare alla ex Caserma Martelli in Via Montereale PER OPPORCI AL CONSUMO DI SUOLO CON LA COSTRUZIONE DELLA “CITTADELLA DELLA SALUTE” NELLA EX CASERMA MARTELLI PER RECUPERARE E RIUTILIZZARE I PADIGLIONI “A” E “B” CHE RIMARRANNO VUOTI DOPO LA COSTRUZIONE DEL NUOVO OSPEDALE DESTINANDOLI A SEDE DELLA “CITTADELLA DELLA SALUTE” E ALTRE STRUTTURE SOCIALI CHIEDIAMO CHE SI FACCIA UNA PROGETTAZIONE COMPLESSIVA DELL’AREA, DEI VOLUMI, DELLA VIABILITA’ E CHE SI INIZI FINALMENTE UN PERCORSO DI UNA REALE PARTECIPAZIONE DELLA CITTADINANZA. COMITATO SALUTE PUBBLICA BENE COMUNE, LEGAMBIENTE, TERRAE’ Per info: referendumospedale@gmail.com; tel: 3332626906 Pino Sottoscrivi l’appello online alla Regione FVG e alla Direzione AAS5 per fermare il progetto di edificazione della Cittadella della Salute e riutilizzo padiglioni “A” e “B” Vai sul sito: comitatosalute.wordpress.com INVITO A TUTTI QUELLI CHE HANNO A CUORE LA CITTA

ANTIFASCISMO OGGI/ Torviscosa, speriamo che la questione sia chiusa

Intervento di Paolo De Toni San Giorgio di Nogaro su info-action.net Come se non avessi nient'altro da fare, personalmente ho dovuto dedicare molte ore al giorno per 5 giorni consecutivi, da venerdì a martedì, ad un problema che ritengo da un lato gravissimo, ma allo stesso tempo demenziale, se peraltro penso che si è trattato del cosiddetto "fuoco amico". Va detto che il Comune di Torviscosa ha veramente una storia particolare che non starò qui a raccontare (rimando al sito del comune), talmente particolare che alla fine questo Comune si è trovato, in seguito alla lotta vincente della popolazione contro il cementificio (2007) ad avere, dopo 60 anni di amministrazioni asservite alla dittatura della fabbrica post-fascista ma fascista di fatto, una Giunta comunale "alternativa" . Nell'odierna amministrazione c'è anche il compagno Settimo (cognome) Mareno (nome). Un compagno, si intende in senso generico, ma sicuramemnte antifascista e ambientalista, che capeggiava una lista di opposizione, fino alle elezioni post cementificio vinte dall'alleanza di due liste civiche (in carica fino al 2016). Settimo non ha voluto fare il Sindaco e neanche l'Assessore all'Ambiente, ma si è preso l'assessorato alla Cultura, dimostrando in questo modo di volersene stare fuori dai problemi più scottanti dell'area, dopo che per anni se ne era occupato, stando all'opposizione. Era anche noto il suo interesse per la Storia di Torviscosa che pare abbia ricostruito con dovizia e da qui nasce il pasticcio: è andato a risollevare anche TROPPO questa Storia, senz'altro molto di più di quanto gliene importi al cittadino medio ed inoltre, senza accorgersene, è andato anche contro la stessa storia recente di questo Paese. Infatti sulla questione principale cioè di riportare la Piazza fascista, di un cittadina costruita ex novo dal fascio, secondo il suo schema architettonico autoritario e gerarchico, agli antichi "splendori", ha cozzato contro modifiche involontariamente trasfiguranti, come un pozzo finto nel centro della Piazza (anni cinquanta), e tre, ora enormi cedri, (anni ottanta) che "oscurano" le visuali; modifiche promosse da amministrazioni precedenti e totalmente asservite al potere della fabbrica. Semmai, per continuare, ora volontariamente, sulla strada dell'attenuazione dell'archittettura fascista si poteva piantare, per ragioni di simmetria, anche il cedro mancante e render il pozzo vero anzichè finto, in onore della vera caratteristica della bassa friulana che è l'acqua. Invece l'Architetto Settimo Mareno ha partorito una e più idee da far rabbrividire; che sia in buona fede o meno, politicamente ha nessuna importanza, un amministratore fascista tout court non avrebbe saputo fare una proposta più fascista di quella della Giunta torviscosina. Per il momento non mi dilungo, ne ha parlato molto la stampa locale, spero che alla fine il risultato sia quello riportato nell'articolo odierno (11 giugno) del Messaggero Veneto, ma nutro ancora dei dubbi in merito. Altre cose si potrebbero aggiungere sui voltafaccia della Giunta torviscosina (per esempio oggi il referente regionale del Sindaco Fasan è nientemeno che Piero Paviotti!) per cui, per concludere, voglio solo nuovamente riflettere e far riflettere, sul fatto che entrare nel gioco del potere anche se piccolo e locale, porta, per un motivo o per l'altro, ma con certezza, fuori strada.

A fianco dei profughi . Pordenone

«Abbiamo riempito Pordenone di sagome nere, che simbolicamente vogliono rappresentare la tragedia di tutti quei migranti morti in mare mentre inseguivano la speranza di una vita migliore. Ultimamente si parla dei profughi e dei richiedenti asilo, come di invasori che vogliono saccheggiare il nostro Paese, senza analizzare le cause di questo flusso. I paesi dai quali scappano sono spesso e volentieri gli stessi nei quali il cosiddetto “Occidente civilizzato” ha dettato legge e saccheggiato risorse, spesso finanziando guerre, creando così morte, povertà e naturalmente la fuga di milioni di persone costrette ad abbandonare le proprie terre nella speranza di salvarsi la vita.» da www.info-action.net

PORDENONE: solidarietà ai lavoratori della Nuova Infa

Nuove Compagnie, vecchi copioni Non è una novità legger la notizia che una fabbrica, vedi Nuova Infa di Aviano del Gruppo Sassoli, ceda un ramo di azienda per formare una nuova compagnia, la Sigma Re. Come non è nuovo che in queste fusioni una parte dei lavoratori siano dichiarati in esubero. Probabilmente suona anche familiare che si costringano i 40 lavoratori in esubero a firmare la rinuncia all'impugnazione del licenziamento, pena il non mantenimento del resto degli occupati, ovvero 52 tra operai e impiegati. Tutto nella normalità, del resto dal 2006 i posti di lavoro persi sono 150. Per rilanciare l'azienda l'unica soluzione trovata in mesi di trattativa è quella di buttarne fuori altri 40, perché di piano industriale e di reali progetti non se ne parla, almeno non ora. Per il momento l'unico obbiettivo è quello di mettere i lavoratori stessi, e le loro famiglie, in lotta gli uni contro gli altri. Noi questo non lo accettiamo, l'unica lotta che noi riconosciamo è quella dei lavoratori contro i padroni, che costringono ad elemosinare un lavoro a scapito di diritti, tutele e, ormai troppe volte, di dignità. Solidarietà ai lavoratori ed alle lavoratrici della Nuova Infa. Iniziativa libertaria - Pordenone

Lunga vita a RiMaflow

Trezzano sul Naviglio ( Milano ) Il 22 giugno vi è stato il consiglio comunale aperto a Trezzano sul Naviglio, per discutere del futuro della fabbrica recuperata RiMaflow dopo una situazione di blocco delle trattative tra Unicredit Leasing, proprietaria dello stabile, cooperativa RiMaflow e un Comune che, come ci è stato raccontato durante l’incontro organizzato nei nostri spazi, mancava della consapevolezza della crisi e della difficoltà dei lavoratori licenziati dalla precedente proprietà. Dopo un periodo lungo di attesa è stata raggiunta la firma praticamente unanime delle rappresentanze istituzionali (PD, FI, LN, M5S) per chiedere alla Magistratura l’archiviazione delle denunce penali e al sindaco di ritirare le sanzioni amministrative che avevano colpito, in modo fin troppo razionale e molto poco umanità, i lavoratori, non esistendo più le ragioni che le avevano prodotte. Ai lavoratori era stato chiesto di porre fine a tutto ciò che era commerciale e che portava un reddito alle famiglie dei lavoratori (per esempio il mercatino dell’usato). Dal Consiglio comunale i lavoratori sono riusciti a offende il permesso di utilizzare parcheggi comunali per il Mercatino, dunque potranno vedere il futuro un po’ più roseo. Adesso manca solo la firma di Unicredit Leasing per un comodato d’uso gratuito in 12 + 6 mesi dalla firma del protocollo. Noi ci auguriamo che RiMaflow possa continuare a vivere con le proprie gambe e in autogestione ma vogliamo consigliare i lavoratori a stare sempre attenti alle scelte da fare in futuro perchè non vengano utilizzati da partiti, singoli politici, sindacati per campagne elettorali o per ripulirsi un abito fin troppo compromesso. La difesa del proprio futuro dipende da noi stessi e non possiamo permettere ad altri di lucrarci sopra. Spazio Libero Utopia http://utopiagenova.noblogs.org/post/2015/06/25/lunga-vita-a-rimaflow/

La poesia del mare

(ai maiali ingordidi “orwelliana” memoriache governano il mondo) I bambini sono diventati pesci colorati, le mamme stelle marine,... i papà delfini. Per loro non c’era posto sulla terra, così hanno preferito la via delle acque... “siate marinai”-cantava Cohen-” finché il mare non vi libererà”... Per loro non c’era posto sulla terra, Sulla sponda sbagliata di quel mare si fa la fame, si muore di fame, sulla sponda sbagliata di quel mare, si vive l’inferno, si muore d’inferno. Sulla sponda giusta di quello stesso mare, padre nostro che non sei nei cieli, si producono rifiuti che chiamano clandestini, negri, straccioni, pezzenti, ma che noi, pesci come loro (forse ancora vivi), chiamiamo fratelli e sorelle. Nel dolore cupo che in quest’ora si leva le Sirene hanno giurato vendetta... come un’onda che risvegli l’aria: “trionfi la giustizia proletaria”. La comunità autonoma spartachista riunitasi nell’isola di Lampedusa, il 23 aprile 2015.

La sconfitta strategica di Recep Tayyip Erdogan

Così finalmente, nonostante tutti i meandri, le vie laterali e le deviazioni della storia, la logica delle lotte sociali ha finalmente impresso la sua impronta sulla politica della Turchia. La clamorosa sconfitta di Recep Tayyip Erdogan e del suo Akp alle urne nelle elezioni generali del 7 giugno in Turchia, mette allo scoperto una perdita di peso politico da parte di Erdogan a seguito dei successivi rovesci che ha subito negli ultimi due anni da parte delle masse e, in parte, dai suoi alleati di un tempo Due anni fa quasi lo stesso giorno, le masse scesero per le strade in tutta la Turchia per chiedere le dimissioni del governo Erdogan, che era allora primo ministro, protestando non solo contro il progetto di demolizione del Parco Gezi nel centro di Istanbul per costruirvi un centro commerciale, ma ancora di più per protestare contro la generalizzata soppressione delle libertà e contro la politica settaria e guerrafondaia della Turchia in Siria. La ribellione popolare che ne seguì durò da giugno a settembre, venne ferocemente repressa dalla polizia sotto la spinta esplicita del primo ministro stesso, ma ha lasciato Erdogan in un mare di guai e col fiato corto. A seguito della rivolta e delle tattiche brutali adottate per reprimerla, Erdogan ha perso di credibilità presso i suoi ex-alleati e partners, indebolendosi nel suo ruolo di garante della stabilità economica e politica per il capitalismo turco. Serhildan, l'intifada kurda Solo un anno dopo la rivolta popolare scatenatasi a Gezi, nel mese di ottobre 2014, è stata la volta dei curdi a sollevarsi in quello che viene chiamato col termine serhildan in kurdo, che corrisponde a intifada. Il fattore scatenante questa volta erano i fatti della Rojava, il Kurdistan siriano o occidentale, che aveva guadagnato l'autonomia nel 2012 dal regime Baath. Kobane, uno dei suoi tre cantoni, è stato attaccato dall'ISIS, l'organizzazione che ha dichiarato l'improvvisato Stato Islamico in zone della Siria e dell'Iraq, sotto l'auto-nominatosi califfo al Baghdadi. A causa della sua settaria lotta sunnita contro quello che considera un regime alevita, Erdogan ha perseguito una velenosa ostilità contro il regime siriano, sostenendo tutti i tipi di movimenti fondamentalisti, tra cui il ISIS. E quando l'ISIS stava attaccando Kobane, ha fatto l'immenso errore di lanciare una sfida ai curdi, dicendo: "Kobane è sul punto di cadere." Quella stessa notte milioni di curdi erano fuori per le strade delle città curde della Turchia. La tranquillità venne ristabilita nella regione solo dopo una settimana e solo per volere del movimento curdo, accompagnata da un appello rapidamente preparato da Abdullah Ocalan, il leader del PKK in carcere. Due ribellioni popolari all'interno di un intervallo di un anno dovrebbero essere un motivo sufficiente di preoccupazione per qualsiasi leader politico. Tuttavia, la storia ha tenuto in serbo per Erdogan una sorta di sovrappiù. Il soggetto che era mancato in tutto questo finora era la classe operaia. Le componenti di questa classe erano state fortemente rappresentate a Gezi, ma non senza portare avanti rivendicazioni di classe con i metodi propri del proletariato. Gezi era dunque un movimento popolare interclassista che non aveva un'impronta proletaria. Tra Gezi e lo serhildan di Kobane, c'è stata nel maggio 2014 la tragedia Soma, un massacro spacciato per "incidente sul lavoro" in una zona mineraria nella regione dell'Egeo, in cui 301 lavoratori hanno perso la vita. Questa tragedia aveva portato con forza la questione di classe all'ordine del giorno. Il modo insensibile in cui Erdogan e il suo governo hanno gestito tutta la vicenda ha alimentato la rabbia popolare. Ma ancora più importante è la lotta in corso nell'industria metallurgica. Il governo aveva vietato lo sciopero legale di 15 mila lavoratori metalmeccanici nel gennaio di quest'anno, con il ridicolo pretesto di pericoli per la 'sicurezza nazionale'. Tuttavia, i metalmeccanici si sono vendicati, mettendo in atto questa volta uno sciopero selvaggio che ha portato decine di migliaia di lavoratori in lotta da metà maggio in poi, proprio alla vigilia delle elezioni. Questo movimento non era contro il governo di per sé, ma piuttosto era contro un sindacato giallo fatto di gangsters e sostenuto da tutti i governi dai tempi del regime militare del 1980 e contro l'organizzazione degli imprenditori della metallurgia. Questo sciopero che aveva inasprito l'atmosfera di disagio nel Paese potrebbe aver certamente influenzato i risultati delle elezioni. Più importante sarà l'impatto a lungo termine, qualora la lotta di classe si intensificasse non solo nel settore metallurgico, ma in tutta l'industria. E ' a questa concatenazione di eventi, che avevano già eroso la credibilità e il prestigio di Erdogan, che si deve la debacle sofferta dal Presidente nelle elezioni 7 giugno. Ciò è confermato dal fatto che è stata la vittoria elettorale del HDP, il Partito della Democrazia Popolare, che ha segnato il destino di Erdogan. HDP è una sorta di avatar del movimento legale curdo che ora comprende una varietà di partiti socialisti turchi e altri gruppi. I partiti curdi di tradizione socialista erano riusciti, nel corso degli anni, a raccogliere solo il 6 % del voto popolare, ben al di sotto di quell' incredibilmente alto 10% quale soglia necessaria per inviare rappresentanti in parlamento, una norma palesemente anti-democratica imposta dal governo militare dei primi anni '80 per mantenere i partiti socialisti e curdi fuori del parlamento. Questa volta il nuovo partito ha ricevuto un pieno 13% del voto popolare, vicino ai 6 milioni di voti in cifre assolute, una valanga vera e propria. Ciò ha comportato una perdita di almeno 50 seggi per l'AKP. Dietro a questi risultati ci sono due fattori principali. Uno è l'alienazione delle simpatie di ampie fasce della popolazione curda che erano solite votare in passato per l'AKP, questa alienazione è il risultato della insensibilità di Erdogan nei confronti della situazione a Kobane e le sue tergiversazioni per quanto riguarda il cosiddetto 'processo di soluzione', vale a dire i negoziati con il Pkk e Ocalan. L'altro fattore è il fatto senza precedenti che molti turchi della moderna piccola-borghesia o di strati superiori del proletariato, impiegati e dipendenti pubblici, ad esempio, hanno votato per il partito curdo. Questa sezione della popolazione turca è tradizionalmente legata quasi ossessivamente al kemalismo, al laicismo ed alla repubblica ed è, quindi, ostile non solo all'islamismo, ma anche al movimento curdo, che considera essere contro gli interessi di quella che viene ritenuta l 'unità indivisibile' del Paese. Sono state queste persone che hanno fatto crescere i voti per HDP fino ad un livello di oltre il 10 per cento in città come Istanbul e Smirne. Se le sezioni principali di questi strati hanno votato per un partito a maggioranza curda, era perché i partecipanti della rivolta Gezi avevano sperimentato una sorta di epifania, provando su di sè quella repressione crudele a cui il popolo curdo era stato sottoposto per decenni. Così è stato, in termini molto concreti, a seguito della ribellione a Gezi e dello serhildan a Kobane che ha portato al raddoppio dei voti del HDP e la conseguente sconfitta di Erdogan. La tregua C'è solo una domanda ancora senza risposta: perché questa sconfitta è giunta dopo così tanto tempo, tanto da permettere ad Erdogan di salire alla presidenza della repubblica lo scorso agosto? La risposta a questa domanda si trova in tre diversi fattori. Uno ha a che fare con la politica delle forze dominanti. Come abbiamo in precedenza sottolineato, la ribellione a Gezi ha distrutto il prestigio di Erdogan presso i governi, sia quelli nazionali che internazionali. Gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno iniziato a considerarlo come un fattore di instabilità per essere un preziosissimo alleato della NATO. I liberali, di destra e di sinistra, che erano stati il cardine di Erdogan nel sostenerlo all'interno delle componenti laiche della società, sono stati obbligati a prendere le distanze, non avendo lo stomaco per digerire i suoi metodi brutali nel trattare con le folle che protestavano. La Fratellanza Gulen, un potente impero nel campo dell'istruzione, i media, la polizia e la magistratura e un partner della informale coalizione dell'AKP per un intero decennio, lo hanno tradito, aprendo un dossier per corruzione nel dicembre 2013. Eppure, nonostante questo Erdogan era sopravvissuto ed alla fine era stato anche eletto presidente. Questo perché erano stati proprio i suoi nemici di un tempo a salvarlo dalla caduta. Le forze dominanti tradizionali temevano che la prospettiva di una caduta immediata di Erdogan avrebbe portato sia ad una grave crisi economica che ad una nuova sollevazione delle masse (o entrambi), per cui sono rimaste unite per tenerlo al potere. Queste forze provengono da due ambienti diversi. In primo luogo, ci sono figure di vertice che erano state gettate in prigione e messe sotto processo per aver sobillato un colpo di stato contro il governo dell'AKP in due casi denominati come "Ergenekon" e "Sledgehammer". Spinto in un angolo, il governo dell'AKP aveva raggiunto un accordo con queste forze, che si sarebbero astenute dal manovrare per farlo cadere in cambio del rilascio e dell'assoluzione totale per costoro. L'accordo si era chiuso, però, solo grazie all'intervento di mediazione tra le parti del capo del gruppo capitalista più potente in Turchia, la Koç Holding Company, partner di Ford, di Fiat e di molte altre multinazionali in Turchia. Ora, la famiglia Koç è essa stessa al di là dello spartiacque all'interno della borghesia turca aperto da Erdogan: sono il gruppo più forte dell'ala laico-occidentale della borghesia impegnata in una lotta di potere con la crescente ala islamista, la quale è senza ambiguità favorita da Erdogan. Fu questa alleanza contro natura a dare una tregua temporanea ad Erdogan dopo il terremoto del Gezi. Il secondo fattore ha a che fare con il fatto che egli ha stabilito un rapporto molto personalistico e carismatico con un settore consistente della popolazione, un settore che è stato generalmente disprezzato dai settori colti e ricchi. Questa impresa non è solo farina del suo sacco. Queste masse hanno ritenuto che il loro stile di vita e la religione fossero stati repressi da una repubblica tenacemente laica ed hanno aggiunto un'avversione culturale ad un'ostilità istintiva di classe nei confronti dello strato superiore della società, tradizionalmente dominante ed occidentalizzato, rappresentato dalla borghesia e dai suoi politici. Erdogan, di origini più umili, gli sembrava fosse uno loro. La Sinistra Il terzo fattore sta negli errori del movimento curdo e della sinistra. Per loro diverse ragioni, queste forze non avevano approfittato dell'indebolimento radicale di Erdogan a seguito della rivolta a Gezi. La sinistra socialista, avendo perso ogni fiducia nelle masse, come motore primo della storia, ha relegato la via della ribellione ad una poco credibile fase iniziale a favore invece di una strategia che può essere definita solo come cretinismo parlamentare allo stadio peggiore. Mentre Erdogan era in bilico sull'orlo del precipizio nel dicembre 2013 a seguito delle prove incontrovertibili presentate al pubblico per quanto riguarda la corruzione in cui non solo i suoi ministri, ma egli stesso era stato coinvolto fino al collo, la sinistra preparava grandi strategie per le elezioni locali di fine marzo! Non solo il momento era disastroso, ma si è trattato di un caso classico di affrontare il nemico, dove quest'ultimo è il più forte, cioè in ambito elettorale, per i motivi sopra esposti. E questo in un paese in cui c'era stata una rivolta popolare solo tre mesi prima. Per quanto riguarda il movimento curdo, ha evitato di unirsi alla ribellione popolare per paura che se Erdogan fosse caduto, il 'processo di soluzione' avrebbe subito una battuta d'arresto. Non si sono resi contro che se fossero diventati parte di una rivolta popolare così grande, sarebbero infatti diventati, come minimo, un attore molto più potente che semplicemente non poteva essere ignorato. La loro paura che l'ala nazionalista turca della ribellione a Gezi avrebbe potuto riportare l'esercito di nuovo al potere, ha mostrato la loro incomprensione totale del potere del popolo. La politica erronea della sinistra ha concesso ad Erdogan quell'attimo di respiro che gli ha dato la possibilità di salire alla presidenza. Ora l'AKP non può formare un governo da solo, ma è ancora Erdogan che tiene le redini del potere. Userà ogni metro dello spazio che ha conquistato per aggrapparsi al potere e per mantenerlo può anche ricorrere alla guerra contro i curdi o in Medio Oriente. In politica ogni errore ha un prezzo. Fortunatamente per tutti noi, questa non è l'unica realtà che la Turchia presenta. Per capire che tipo di periodo la Turchia sta attraversando, basta guardare i fatti: la ribellione di un popolo nella parte occidentale del paese nel 2013, la ribellione di un popolo nella metà orientale del paese nel 2014, un massiccio movimento di sciopero selvaggio dei metalmeccanici , ancora in corso, nel 2015. Cos'altro doveva portare la storia per rendere possibile una svolta che avrebbe condotto le masse operaie e gli oppressi al potere? Quando ciò accade, è il caso di guardarsi indietro e dire: "Ben scavato, vecchia talpa!". Sungur Savran - The Bullet (traduzione a cura di Alternativa Libertaria/fdca - Ufficio Relazioni Internazionali) Link esterno: http://www.socialistproject.ca/bullet/1127.php#continue

sabato 20 giugno 2015

Iniziative su Kurdistan e Turchia

A due anni dalla rivolta di Gezi Park a Istanbul e dopo la liberazione di Kobanê dall'assedio dell'IS da parte delle formazioni armate di autodifesa kurde, la situazione nella regione è tutt'altro che tranquilla e pacificata. Kobanê è ancora isolata: la chiusura dei confini imposta dallo stato turco rende estremamente difficile il passaggio degli aiuti umanitari, fino a bloccare del tutto il trasporto di medicinali; nel contempo, le milizie dell'IS continuano ad avanzare in altre zone della Siria. La situazione socio-politica della Turchia è sempre più esplosiva, con le forze di opposizione sociale sotto attacco sempre più violento da parte dello stato, affiancato dalle formazioni ultranazionaliste: continue aggressioni in piazza, restrizioni alla libertà di manifestare e alle libertà personali, arresti... Le morti, i ferimenti e gli attentati avvenuti durante la campagna elettorale ne sono una dimostrazione. Nonostante tutte le difficoltà, nei cantoni della Rojava continua l'esperimento del confederalismo democratico, basato sulla partecipazione diretta attraverso le assemblee popolari, sull'ecologismo e sul femminismo e in Turchia le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, fra cui gli anarchici, continuano a scendere in piazza contro il regime di Erdogan. Approfondiremo questi temi con Dario e Giacomo, due compagni che negli ultimi anni si sono recati più volte in quei territori. Verrà proiettato il video di Giacomo Sini "Her yer Kobanê, Her yer Direniş! Ovunque Kobanê, Ovunque Resistenza!" MERCOLEDI' 24 GIUGNO ALLE 20.30 al Prefabbrikato in via Pirandello 22 a Pordenone GIOVEDI’ 25 GIUGNO ALLE 20.30 IN VIA DIAZ 22 nella zona pedonale antistante la libreria In der Tat a Trieste (in caso di maltempo dentro la libreria) Iniziativa Libertaria - Pordenone Gruppo Anarchico Germinal-Trieste

martedì 16 giugno 2015

Da Marghera, sulla lotta alla Fincantieri

Da Marghera, sulla lotta alla Fincantieri Care/i compagne/i, da alcuni mesi vi inviamo periodici aggiornamenti sulla lotta alla Fincantieri convinti che quello in corso non è una semplice vertenza aziendale, ma uno scontro di portata molto più ampia. I vertici di Fincantieri, infatti, si sono dati il compito di importare il "metodo Marchionne" nel campo delle imprese di stato o controllate dallo stato, e di aprire la strada all'attacco che Federmeccanica ha in programma di fare in autunno quando si dovrebbe rinnovare il contratto dei metalmeccanici. Quello che si profila, infatti, è o la secca pretesa padronale di avere 30 mesi di "moratoria", come a dire l'annullamento del contratto nazionale per un "giro", o una sfilza di richieste di "restituzione" da parte dei padroni, a cominciare da un taglio ai salari di almeno 60 euro in media (con il risibile pretesto che nel triennio 2013-2015 l'inflazione effettiva è stata più alta di quella programmata). Certi del significato politico di questa lotta, e coscienti di quanto sono limitate le nostre forze a fronte di quelle messe in campo da Fincantieri, abbiamo chiesto fin dall'inizio agli organismi, ai siti, ai singoli compagni e ai lavoratori impegnati nelle lotte un aiuto non solo e non tanto a diffondere i nostri testi, quanto a fare il possibile per ricostituire un collegamento tra gli operai dei diversi cantieri che è andato distrutto negli scorsi anni e per spezzare l'isolamento nel quale questa lotta si trova. Dal momento che stiamo entrando in un passaggio critico di essa e le difficoltà per gli operai stanno crescendo, anche per effetto dell'azione disfattista di Fim-Uilm e, in altre forme, della Fiom, rinnoviamo con forza questa richiesta. Queste nuove note di aggiornamento sono state stese prima degli incontri tra azienda e sindacati dei giorni 7 e 8 giugno, ma prima di diffonderle abbiamo preferito attendere che fosse noto l'esito degli incontri che hanno, una volta di più, confermato la ferma volontà di Fincantieri di portare a termine un attacco a 360 gradi ai propri lavoratori e ai lavoratori degli appalti. Dunque non c'è stato bisogno di modificare in nulla ciò che avevamo scritto. Dopo l'incontro Fim e Uilm hanno ulteriormente accentuato il loro servilismo verso la Fincantieri, facendo finta di vedere nel "piano industriale" presentato da Bono & C. un "importante passo in avanti nella discussione". A sua volta la dirigenza della Fiom ha scoperto, con un'altrettanto incredibile "ingenuità", che l'azienda "rilancia gran parte dei concetti pregiudizievoli a un accordo e già giudicati irricevibili dai lavoratori", e risponde alla conferma dell'attacco padronale con... la predisposizione, forse, di "un'azione per comportamento antisindacale contro Fincantieri". Sai che paura per Bono e la sua banda! Ci piacerebbe raccontarvi che reagendo all'oltranzismo padronale gli operai, a partire da Marghera, da sempre il cantiere più combattivo del gruppo, hanno spazzato via una volta e per tutte questi bonzi dandosi un'autonoma organizzazione di lotta capace di fronteggiare l'aggressione padronale e di rivolgersi all'intera classe lavoratrice. Dobbiamo invece dirvi delle accresciute difficoltà, e anche degli arretramenti, che la lotta operaia sta al momento incontrando. Lo facciamo sia perché il nostro terreno non può essere altro che il terreno della realtà, ma soprattutto per discutere insieme il modo più efficace di intervenire in queste difficoltà, proprie all'intera classe operaia, e di continuare ad incitare i lavoratori alla lotta e spingerla comunque in avanti, con il bello e il cattivo tempo. Marghera, 11 giugno La Fincantieri intensifica l'attacco. Sta ai lavoratori intensificare la lotta, se vogliono respingere il padrone. Siamo entrati nel terzo mese della vertenza alla Fincantieri e continua ad esserci, purtroppo, uno scarto significativo tra l'alta intensità dell'attacco padronale e la risposta operaia che c'è (l'ultimo sciopero, riuscito, è stato giovedì 4 giugno ad Ancona), ma ha un carattere ancora scoordinato e, nonostante tutto, di modesta intensità. Fincantieri si sente forte, ci va giù duro, e provoca in serie. Sull'intensità e sulla determinazione dell'attacco padronale possono ormai avere dubbi, o far finta di averne, solo i bonzi sindacali, inclusi quelli della Fiom. Anche le più recenti affermazioni dell'a.d. Bono sono invece quanto mai esplicite: "Dobbiamo confrontarci con un mondo diverso dal passato (...); non possiamo restare con relazioni sindacali che sono state costruite negli anni '70"; "la produttività dei dipendenti diretti di Fincantieri è altamente insufficiente". Ancor più inequivocabili sono i fatti. Anzitutto il persistente rifiuto dell'azienda a discutere le due piattaforme presentate, separatamente, da Fim-Uilm e dalla Fiom, e l'imposizione a discutere (si fa per dire) solo la contro-piattaforma presentata dall'azienda. Che - ricordiamolo - contiene la pretesa di 104 ore annue di lavoro gratuite, la subordinazione integrale del premio di produzione ai livelli di profittabilità decisi da Fincantieri (non comunicati ai lavoratori, ma solo ai dirigenti sindacali), nuovi controlli personali sugli operai (un chip nelle scarpe o nel casco), la riduzione del costo della forza-lavoro negli appalti attraverso il ricorso sistematico alle agenzie interinali, dure sanzioni in caso di scioperi spontanei, etc. A seguire, poi, c'è una sfilza di fatti accaduti nelle ultime settimane: 1) una decina di trasferimenti punitivi di impiegati e tecnici, tutti iscritti alla Fiom; 2) il divieto opposto alla Fiom di tenere un'assemblea a Trieste nella sede centrale; 3) l'attacco, con minaccia di esposto alla magistratura, al consiglio comunale di Ancona per essersi permesso di chiedere all'azienda di fare nuove assunzioni nel cantiere di Ancona a fronte di un grosso incremento degli ordini di lavoro, assorbendo una parte almeno dei 106 operai e impiegati della Isa Yachts in crisi anziché ricorrere, come sta facendo, al gonfiamento degli appalti e dei sub-appalti (nel cantieri di Ancona il rapporto è arrivato alla soglia di 1 dipendente diretto Fincantieri fino a 6 operai delle ditte esterne); 4) l'attacco alla questura di Venezia, definita "forza del disordine", per non avere manganellato gli operai che picchettavano gli ingressi del cantiere di Marghera il 14 maggio; 5) l'annullamento dell'incontro con i dirigenti sindacali previsto a metà maggio come segno di spregio verso la trattativa e i sindacati; 6) il provvedimento disciplinare (con velata minaccia di licenziamento) contro 2 delegati e 1 operaio di Marghera per una "violenza" inesistente ai danni di un semi-dirigente; 7) la decisione di pagare alcuni milioni di euro di bonus ai dirigenti e ai quadri tecnici proprio mentre ha tagliato la busta paga degli operai di almeno 70 euro al mese (fino a 200, e oltre); 8) la forte pressione sugli organi di stampa perché diano la massima amplificazione alle prese di posizione aziendali e ai successi dell'azienda, e il minimo spazio possibile alle lotte - come sta avvenendo in effetti. Un altro test di questo atteggiamento aggressivo e provocatorio sono le dichiarazioni di Bono&C. in risposta alle deboli proteste dei dirigenti sindacali di Monfalcone contro la distribuzione dei premi ai dirigenti; dichiarazioni aggressive e provocatorie non solo e non tanto verso di loro, quanto verso i lavoratori e il loro diritto a scioperare contro i diktat padronali: "L'azienda vuole sapere quante navi hanno portato le Rsu in tutti questi anni e, soprattutto, si chiede, e chiede, chi sia a progettarle, pianificarne e seguirne la costruzione (...), e a consegnarle rispettando tempi e costi, nonostante ci sia chi faccia di tutto perché ciò non avvenga" ("Il piccolo", 29 maggio). In riunioni riservate tra la direzione centrale e le direzioni di stabilimento, tenutesi in tutti i cantieri, Bono&C. hanno espresso con una volgarità ancora più schifosa il loro disprezzo nei confronti degli operai. A stare a queste sanguisughe, la fortuna di Fincantieri sarebbe dovuta alle manovre finanziarie e alle sole attività di progettazione delle navi (neppure quella opera loro, peraltro) e di sorveglianza dei lavoratori; tutto il resto, l'enorme quantità di lavoro produttivo necessario a confezionare queste merci, è niente, o è merda. I boss di Fincantieri si sentono forti. Oltre che dalle laute commesse arrivate dalla Carnival (con ordini di lavoro fino al 2019), Bono e la sua cricca sono stati ulteriormente rafforzati dalla decisione presa a inizio maggio dall'Occar (l'Organizzazione congiunta di cooperazione per gli armamenti) di assegnare a Finmeccanica e Fincantieri un ordine da 3.5 miliardi di euro per la produzione di 6 pattugliatori (più forse altri 4) e un'unità di supporto logistico nel quadro del programma pluriennale di rafforzamento della marina militare italiana. Il vertice di Fincantieri sta poi infittendo i suoi rapporti con la marina militare degli Stati Uniti (cfr. l'intervista del 18 maggio di Bono a "Defense News", Naval Work Booming at Fincantieri) e con la Camper & Nicholsons International, una impresa statunitense capofila nelle attività legate agli yacht e alla nautica di lusso, in vista anche di uno sbarco in Cina insieme a Carnival e China Cssc, finalizzato a produrre megayacht e navi da crociera per il mercato cinese. Ancora: pare imminente l'acquisizione dei Chantiers de l'Atlantique di Saint-Nazaire, più grandi del maggiore cantiere italiano, quello di Panzano-Monfalcone, dopo che il padronato francese ha fatto una chiara apertura al 'cavaliere bianco' italiano (v. "Les Echoes", giornale della Confindustria francese, del 2 marzo) che subentrerebbe alla coreana Stx in difficoltà finanziarie - al momento le sole perplessità o riserve vengono dal Front national della Le Pen, mentre il nuovo ministro dell'economia, Macron, è dato per favorevole. Insomma, nonostante le difficoltà che Fincantieri incontra per effetto della secca riduzione degli ordini alla Vard, la controllata specializzata nella produzione di navi per la ricerca sottomarina di petrolio e di gas, Bono & C. proseguono nella strategia di "consolidamento europeo" e globale del gruppo finalizzata anche a fronteggiare la concorrenza della tedesca Meyer Werft, che ha da poco incorporato il cantiere finlandese di Turku, l'unico in Europa in grado di produrre navi Cruise da oltre 200.000 tonnellate. E lo fanno sapendo, naturalmente, di poter contare sui fondi statali (come hanno fatto in passato in modo sistematico per pagare, cioè: far pagare a noi lavoratori, anni di cassa integrazione). Nel caso specifico dell'acquisizione dei Chantiers de l'Atlantique ad intervenire, forse in collaborazione con un omologo istituto francese, sarebbe la Cassa depositi e prestiti, che controlla Fincantieri al 72%. Gli operai rifiutano lo scambio diseguale. Ma per piegare Fincantieri serve una lotta molto più determinata e unitaria. Fincantieri sente di avere le spalle totalmente coperte dal governo Renzi che alle imprese, e in specie alla linea Marchionne, ha assicurato un appoggio incondizionato, tanto più se promettono di dare un minimo di corpo e di sostanza alla "ripresa". E Fincantieri è tra le non molte grandi imprese che possano farlo. Il suo punto di forza, infatti, è "offrire" ai propri dipendenti, operai e impiegati, in tempi di pesante disoccupazione e dilagante precarietà, il seguente scambio: lavoro garantito fino al 2020-2022 (o perfino al 2025) in cambio di un peggioramento generale della condizione operaia tanto in Fincantieri quanto negli appalti: più orario, più produttività e meno salario; più controlli e meno (o zero) conflitti. Si tratta di uno scambio diseguale in perfetto stile padronale. Gli scioperi di marzo, aprile e maggio provano che la grande maggioranza degli operai e dei lavoratori Fincantieri lo rifiuta. Il grosso problema, però, è che per respingere l'attacco padronale ben studiato e deciso, è necessaria una lotta molto più dura, determinata, unitaria di quella che c'è stata fino ad oggi, e una lotta capace di parlare all'insieme della classe lavoratrice, mentre per così come sono avvenuti finora, gli scioperi non sono riusciti a spostare Fincantieri dalla sua posizione di sfida frontale ai lavoratori e non sono riusciti ad uscire dai singoli cantieri. Vediamone le ragioni, per meglio identificare il nostro "che fare". 1) Pesa anzitutto sui lavoratori Fincantieri, che non sono certo un mondo a parte, lo stato generale della classe operaia dell'industria che è ad oggi sostanzialmente ferma, disorientata, impaurita dalla minaccia della disoccupazione e dall'aggressività di padroni e governo - l'ultima manifestazione operaia di una certa consistenza è stata quella organizzata dalla Fiom il 28 marzo a Roma, non a caso di sabato, e senza grandi prospettive, mentre la stessa agitazione a Melfi contro i bestiali 20 turni di recente introdotti sembra, almeno momentaneamente, rientrata. Sicché all'oggi gli operai Fincantieri si trovano ad essere tra i pochissimi operai di un medio-grande stabilimento industriale in lotta in Italia. E il discorso si può allargare all'Europa, dove - al momento - i conflitti sindacali più accesi, come in Italia del resto (con la logistica), si stanno manifestando fuori dall'industria: vedi i macchinisti delle ferrovie, i piloti, le/i maestri d'asilo o i postali in Germania, i dipendenti della Carrefour in Francia. 2) Pesa altrettanto, in negativo, il fatto che il padrone-Fincantieri ha gettato sul piatto cinque, o più, anni di lavoro "sicuro" in un contesto di quasi generalizzata precarietà, che tocca anche le famiglie dei dipendenti Fincantieri, tanto al Sud quanto, sempre più, anche al Nord. Così come cominciano a far sentire il loro effetto da un lato il taglio dei salari iniziato ad aprile (-70 euro circa per tutti) a cui si è aggiunto il mancato pagamento di una rata del vecchio premio di produzione (circa 300 euro in meno), e dall'altro i provvedimenti disciplinari. 3) Gran parte degli operai non ha compreso o, almeno, non ha compreso fino in fondo che Bono & Co. vogliono realizzare una svolta, ottenendo subito un secco peggioramento delle loro condizioni di lavoro, di salario e della agibilità politica e sindacale dei lavoratori, e pensa invece che in un modo o nell'altro, "come sempre", un punto d'intesa, a mezza strada o quasi, si troverà, e gli scioperi sono utili ("senza esasperare la situazione") perché spingono verso un nuovo compromesso. Questo atteggiamento convive, spesso negli stessi lavoratori, con una certa sfiducia sia nelle burocrazie sindacali ma anche nelle proprie forze, che si esprime nel concetto: "tanto è già stato deciso tutto". Il risultato complessivo di questi fattori è, finora, una conflittualità operaia ad intensità medio-bassa. Qualche esempio per i cantieri più grandi: a Monfalcone si fa il "blocco delle portinerie", come all'ultimo sciopero unitario del 21 maggio, ma chi vuole, entra; e allora: che blocco è? A Marghera, dove il picchetto, invece, è vero e lo sciopero è riuscito finora al 99%, poi si permette di lavorare fino a sera tardi in cantiere, e al sabato non si fa un'azione adeguata capace di impedire i recuperi, lasciando soli i pochissimi delegati e lavoratori impegnati sistematicamente nel picchetto. Per il numero limitato di lavoratori presenti ai picchetti, non si riesce a presidiare tutte le portinerie e, come è accaduto il 30 maggio, finisce che entrano una trentina di dipendenti Fincantieri e alcune centinaia di operai degli appalti, sotto l'occhio vigile di polizia, carabinieri e digos, sempre più numerosi via via che gli scioperi vanno avanti, e pronti ad intervenire dopo il richiamo all'ordine del padrone. 4) Pesa, poi, la divisione tra i cantieri. Con gli scioperi degli ultimi 3 mesi qualche piccolo passo in direzione dell'unità è stato fatto, ma gli 8 cantieri italiani (9 se si considera la direzione centrale di Trieste con 200 impiegati, dove pure si è scioperato) restano tuttora divisi, senza un coordinamento tra loro. Divisi nei fatti, perché non si è mai potuto scioperare tutti i cantieri nello stesso giorno, con le stesse modalità - la nostra proposta di uno sciopero generale unitario di tutti i cantieri e di una manifestazione nazionale unitaria è stata sistematicamente bocciata come impraticabile anzitutto dai dirigenti sindacali ma pure da qualche delegato Rsu. Divisi anche in senso "psicologico", perché a Castellammare di Stabia (almeno finché è stata "assegnata" al cantiere la portaelicotteri Landing Helicopter Dock) e a Palermo continua a essere forte la preoccupazione di restare senza commesse, preoccupazione che, invece, è ormai quasi svanita nei cantieri del Nord. Oggi i cantieri sono meno in concorrenza tra loro di ieri quando, nel punto più acuto della crisi della cantieristica, anche all'interno della Fiom si prospettò di costituire il coordinamento dei cantieri adriatici (Monfalcone, Marghera, Ancona) in opposizione con quello dei cantieri liguri (Sestri, Muggiano, Riva Trigoso) - spettacolare esempio di una politica di classe, sia da parte dei promotori liguri, quelli di Lotta comunista (!?) in prima fila, sia di quelli adriatici! In questi mesi i diversi cantieri si sono un po' avvicinati tra loro, ma non hanno ancora ripreso un'azione comune, e non sono neppure vicini a riprenderla. Perché, come in altri settori, in questi ultimi decenni è avvenuta la federalizzazione di fatto della classe operaia, la penetrazione di una distruttiva logica aziendalista e localista, su cui continuano ad agire con una certa facilità le direzioni aziendali, utilizzando la reale diversità della struttura dei diversi cantieri (per grandezza, tipo di attività prevalente, livello di obsolescenza o rinnovamento degli impianti, etc.) allo scopo di mantenerli divisi. 5) Un altro fattore che impedisce alla lotta di prendere il necessario vigore è la perdurante divisione tra i lavoratori Fincantieri e i lavoratori degli appalti e sub-appalti. Intendiamoci: in questi mesi non c'è stata alcuna contrapposizione (salvo, forse, un rischio del genere ad Ancona). Gli operai degli appalti si fermano quasi sempre ai picchetti dei dipendenti diretti Fincantieri (non solo a Marghera), ma non c'è una convinta mobilitazione attiva degli operai degli appalti congiunta con quella degli operai Fincantieri: c'è un'oggettiva diversità di condizioni tra i dipendenti Fincantieri e i lavoratori degli appalti - basta pensare che il premio di produzione è pagato esclusivamente ai dipendenti diretti di Fincantieri, sebbene più della metà del lavoro di costruzione e allestimento delle navi è opera degli operai degli appalti. Nelle piattaforme sindacali non c'è nulla che riguardi davvero gli operai degli appalti. Le parti delle piattaforme di Fim, Uilm e Fiom relative agli operai degli appalti, per quando differenti tra loro, hanno questo in comune: che sono state scritte tanto per scrivere. Il solo cantiere in cui c'è stato un intervento rivolto direttamente a loro (e in alcune delle loro lingue madri) è stato purtroppo quello di Marghera, per iniziativa del nostro Comitato, che ha posto con chiarezza il tema dell'eguaglianza effettiva di trattamento tra lavoratori autoctoni e lavoratori immigrati (ci sono stati, qui, anche un paio di volantini Fiom, ma di contenuto quanto mai generico e fatti senza alcuna convinzione). C'è da dire poi che negli scorsi anni, a Marghera e altrove, è avvenuta una vera e propria polverizzazione delle ditte degli appalti che ha prodotto un crollo della sindacalizzazione tra gli operai degli appalti. L'azione disfattista delle direzioni sindacali L'ultimo fattore, strettamente collegato agli altri e influente su tutti gli altri, che ha impedito che la lotta prendesse (finora) la necessaria forza e unitarietà, è stata ed è l'azione delle direzioni sindacali. Fim e Uilm, con un'azione particolarmente attiva della Uilm, si sono mosse fin dall'inizio perché - nonostante l'attacco padronale - ci fosse un conflitto a bassissima intensità. A Marghera ad esempio, hanno insistito perché gli scioperi si facessero sempre a fine turno (sono i più indolori) e da un certo momento in poi si sono totalmente smarcati dagli scioperi. La loro posizione, ora, è: sospendiamo ogni azione fino ai prossimi incontri con l'azienda che dovrebbero esserci, sempre che l'azienda non li disdica, l'8-9 giugno. Si è segnalato per la sua particolare aggressività filo-padronale il segretario Uilm di Genova, Apa, più aziendalista - se possibile - degli stessi vertici aziendali nel decantare il ruolo di Fincantieri nel mercato mondiale, la sicurezza dell'impiego in tutti i cantieri, la correttezza di Bono e della sua banda ("l'azienda si muove nell'ambito delle leggi vigenti e delle norme contrattuali"); più violento delle veline della questura nel tentativo di intimidire gli operai che a Genova lo hanno contestato il 29 aprile ("un manipolo di faziosi e facinorosi"); più esagerato dei giornali di destra nell'imputare alla Fiom e a Landini la volontà - inesistente! - di "fare di Fincantieri un laboratorio di scontro politico come è successo con la Fiat dal 2010 in poi" e di "rappresentare scenari nefasti per spaventare i lavoratori". Per costui l'azienda sta chiedendo soltanto di "realizzare nuove e più avanzate relazioni sindacali", più "avanzate" nel senso del servilismo verso le necessità del capitale. Del resto più si è accentuato lo stallo della finta trattativa, più Fim e Uilm si sono dissociate in diversi cantieri dagli scioperi, lasciando sola la Fiom a indirli. Ai Cantieri navali di Palermo il 6 maggio Fim e Uilm hanno svolto un boicottaggio attivo, e non a caso questo è stato lo sciopero meno riuscito degli ultimi mesi. Non bastasse il sabotaggio di Fim e Uilm, a Palermo di traverso alle lotte si è messa anche la magistratura che alla metà di marzo, con tempismo alquanto sospetto, ha avviato il processo contro 40 operai (38 dei quali iscritti Fiom, rischiano fino a 5 anni di carcere) per i "danneggiamenti" prodotti nel corso della forte protesta operaia del 18 luglio 2011 contro la chiusura del cantiere. Nessuna sorpresa, poi, se le condizioni di lavoro nel cantiere siciliano sono tali da rendere possibili e ripetuti incidenti sul lavoro come quello che il 25 maggio scorso ha ferito in modo serio due operai degli appalti della ditta Picchiettini, mentre appena venti giorni prima era morto a Genova Luciano Stiffi, un operaio di 43 anni del cantiere di Muggiano (un feudo Uilm), con la scatola cranica fratturata da un tubo. Piccoli danni collaterali che le "relazioni sindacali più avanzate", diverse da "quelle degli anni settanta", moltiplicheranno... Tra i lavoratori Fim e Uilm hanno sempre parlato di aspettare il momento buono per dare la spallata alla Fincantieri nel passaggio-chiave della trattativa. Fatto sta, però, che Fincantieri non ha aperto alcuna trattativa e, dopo anni di accordi separati con Fim e Uilm, sembra poco interessata a farne un altro. Punta più in alto, visto il crescente allontanamento della Fiom dalla stessa idea di sindacato conflittuale e l'isolamento in cui la lotta alla Fincantieri è. Punta ad imporre a tutti i sindacati, a tutte le Rsu, e ai lavoratori, la sua piattaforma magari limando un po' le singole pretese, ma con una vittoria inequivocabile sul punto essenziale: bisogna lavorare di più e in modo più intenso per un salario inferiore. Da parte sua la Fiom continua ad indire azioni di sciopero, rigorosamente scoordinate tra i diversi cantieri, ma in quale prospettiva? Lo ha chiarito il coordinatore nazionale Fiom per la Fincantieri, Papignani, nella conferenza stampa del 15 maggio a Trieste. Per Papignani "l'azienda ha sbagliato l'impostazione della trattativa" (!!!) ed è "priva di fantasia" (!!!) perché continua a "ripetere come in pratica quando vi sono nuove commesse, si debba lavorare di più e prendere di meno". Ragione per cui Papignani e la Fiom hanno avuto l'idea veramente geniale e fantasiosa non di intensificare e centralizzare la lotta, non sia mai!, ma di andare fino a Trieste per farsi ascoltare da Bono&Co., alla disperata ricerca di "un pertugio", di una minima apertura del padrone-Fincantieri nella quale potersi infilare. In questa pietosa messa in scena tuttavia, ad aprire un primo pertugio è stata proprio la Fiom che ha ventilato una monetizzazione del 6x6 con la maggiorazione del salario al sabato. E nei giorni successivi ha diffuso tra i lavoratori e i delegati l'idea che si debba chiudere la vertenza, in un qualche modo, entro giugno. C'è perfino, tra i dirigenti Fiom, chi dice in modo esplicito che è scontato che l'azienda non prenderà neppure in considerazione la piattaforma della Fiom, e bisogna accettarlo... Come c'è, d'altra parte, tra i delegati Rsu e ai livelli provinciali, chi invece riconosce che per respingere gli attacchi sempre più provocatori di Fincantieri, sarebbe necessario organizzare una risposta di lotta più forte e unitaria, ma poi non sostiene questa posizione con la determinazione necessaria nelle sedi locali o davanti alle istanze superiori. Che, a cominciare da quelle nazionali, continuano a guardare da tutt'altra parte, verso le istituzioni statali, salvo restare sistematicamente con un pugno di mosche in mano. L'appello al parlamento è finito con un'audizione davanti alla Commissione Lavoro della Camera (il 29 aprile) che si è limitata ad una distratta presa d'atto. L'appello a Renzi perché si dia da fare per far cambiare atteggiamento ai vertici di Fincantieri non avrà neppure questo tipo di risposta, sarà ignorato e basta. Così pure, se dovesse esserci, il ricorso alla magistratura contro la mancata proroga del contratto integrativo e il conseguente taglio dei salari. Coinvolgere i candidati alle elezioni regionali e locali, poi, è servito solo a gettare un altro po' di sedativo sulla lotta. Solo ad Ancona c'è stato un attimo di attrito tra l'azienda e le istituzioni locali, ma il "conflitto" si è risolto in gloria (per i vertici aziendali) con un incontro a Roma alla fine del quale il sindaco di Ancona V. Mancinelli si è abbandonata a dichiarazioni trionfalistiche sia sul futuro del cantiere che sull'azienda-Fincantieri in quanto tale. Anche gli incontri (con pochissimi operai) con i candidati alle elezioni comunali o regionali sono stati niente altro che fuffa - a meno che non si voglia considerare qualcosa di serio l'invito che la Paita ha rivolto a Bono, Mangoni, Sorrentino & C. a "riconsiderare" le misure disciplinari prese contro alcuni lavoratori dei cantieri liguri, salvo invitare tutti, e dunque anzitutto i lavoratori sotto attacco, a fare "fronte comune" con il padrone contro la concorrenza. L'azione del nostro Comitato In questa situazione l'obiettivo del nostro intervento (portato avanti con forze molto limitate) è stato quello di mettere a fuoco la svolta decisa dalla Fincantieri e il suo piano di attacco generale ai lavoratori, incitando alla lotta contro di esso, svincolandosi dalla tutela di Fim, Uilm e Fiom, e a contrapporre alle provocazioni padronali le necessità operaie di maggiore occupazione, aumenti salariali, parità di trattamento tra operai diretti e operai dei cantieri, difesa degli spazi di organizzazione operaia nei cantieri. Abbiamo proposto in modo ripetuto, sistematico, alcuni passi concreti da fare per rafforzare, unificare, ed estendere la lotta al di fuori dei cantieri, e abbiamo chiesto aiuto e collaborazione agli organismi e ai compagni che si sentono solidali con questa lotta e con il nostro intervento. Non ci sembra il caso, qui, di riproporre in modo analitico i temi della nostra attività di agitazione; chi non dispone dei nostri volantini e dei precedenti aggiornamenti può richiederli all'indirizzo del comitato (comitatosostegno@gmail.com) oppure consultare in rete il blog https://pungolorosso.wordpress.com Quali i risultati del nostro intervento? Tutto ciò che possiamo dire, ad oggi, è di avere conquistato un serio ascolto tra i lavoratori più attivi in un paio di cantieri del gruppo e di avere avviato per la prima volta l'intervento a Monfalcone. Non sono risultati esaltanti, ma bisogna tener conto del dato di realtà che il settore di classe coinvolto, per l'esperienza di relativa stabilità del posto di lavoro accumulata nel tempo, ha "qualcosa da perdere" e si muove perciò, anche in questa lotta, con prudenza. Anche perché stenta a realizzare che è cambiata un'epoca, e che non si può respingere un attacco frontale come è quello messo in atto dal padrone-Fincantieri come se si trattasse di una semplice, 'normale' vertenza sindacale di trent'anni fa. Gli scioperi sono quasi sempre ben riusciti - siamo ormai a diverse decine di ore di sciopero in ogni cantiere, il che significa alcune centinaia di euro in meno in busta paga, che si aggiungono a quelle sottratte da Fincantieri con la mancata proroga del vecchio integrativo -, ma un misto di attesa per le ipotetiche aperture aziendali, di sfiducia nelle proprie forze, e di paura per le rappresaglie del padrone, ha finora impedito alla lotta di diventare energica e unitaria come l'affondo padronale richiederebbe. La situazione è molto diversa, oggettivamente e soggettivamente diversa, da quella che si vive, per esempio, nella logistica. Lo è anche per la diversa attitudine dei diretti protagonisti che deriva da un contesto internazionale in cui lo stato d'animo dei proletari dei paesi imperialisti e quello dei proletari del "Sud" del mondo sono, al momento, molto differenti. I facchini immigrati della logistica organizzati con il SI-Cobas si sentono (e sono) parte di una sezione del proletariato mondiale, quella del "Sud" del mondo, che ascende, in tutti i sensi; gli operai e i lavoratori della Fincantieri si sentono (e sono) parte di una sezione del proletariato mondiale, quella del "Nord" del mondo, che invece discende da una precedente condizione di relativo "privilegio" all'interno dell'universo della schiavitù salariata. I primi sono più gagliardi e decisi nell'esprimere con i fatti la volontà di non essere più trattati da paria; i secondi sono più esitanti e disorientati perché temono di poter perdere qualcosa o più di qualcosa, e nello stesso tempo perché sperano che attraverso dei piccoli cedimenti si possa però salvare il salvabile. Ma la rinascita del movimento di classe ha assoluto bisogno della forza congiunta di entrambe queste sezioni ad oggi molto spaiate della classe lavoratrice a livello mondiale, così come nel territorio nazionale. Per questo il nostro Comitato, da quando è nato (nel giugno 2013), si sta impegnando nell'azione di sostegno alle lotte della logistica non meno che nell'intervento tra i lavoratori navalmeccanici, sia qui a Marghera e in altri cantieri del gruppo, sia a livello più ampio - con i primi contatti stabiliti a livello internazionale con i Chantiers de l'Atlantique di Saint-Nazaire, che sono alle prese da anni con problemi simili a quelli dei cantieri italiani (e con la complicazione in più di un intervento strutturato, e ascoltato, del Front national lepenista) e con la raccolta di una prima documentazione sul cantiere di Tulcea in Romania, "un vero e proprio inferno per chi ci lavora" (come afferma su un blog un giovane operaio rumeno). Per quanto ci riguarda, quindi, insistiamo nella nostra agitazione contro il piano anti-operaio di Fincantieri e contro la funzione smobilitante svolta da Fim-Uilm da un lato, dalla Fiom dall'altro, ferreamente convinti che: 1) per i proletari di Fincantieri e degli appalti Fincantieri, come per tutti, l'esperienza insegna, e la lotta è in ogni caso la migliore "scuola"; 2) in un contesto di crisi globale irrisolta, l'intensificazione dello sfruttamento in tutti i luoghi di lavoro, la precarizzazione dilagante in specie tra i giovani (fino al passaggio dal lavoro saltuario al lavoro gratuito, di cui l'Expo è l'emblema) e la polarizzazione sociale sempre più esasperata stanno gettando le basi per l'inversione della tendenza all'arretramento dei lavoratori che ha segnato gli ultimi decenni - si avvicina il momento in cui si dovrà manifestare una forte risposta di massa al padronato e al governo; 3) questi stessi processi stanno erodendo con crescente velocità gli spazi di manovra dei sindacati collaborazionisti, sempre più incapaci di ottenere per i salariati e i precari vantaggi tangibili di un qualsiasi tipo, come pure dei sindacatini opportunisti, e stanno aprendo grandi spazi per un intervento politico di segno anticapitalista, classista - quali che siano all'immediato i risultati che si riesce a portare a casa; 4) si vanno creando, per ora a livello molecolare, le condizioni per una maggiore autonomia dei lavoratori Fincantieri dalla "propria" azienda e dalle politiche collaborazioniste/disfattiste di Fim, Uilm e Fiom, e, in prospettiva, per la nascita in diversi settori del mondo del lavoro salariato di nuovi organismi capaci di esprimere la necessità di una politica di classe, di una difensiva di classe che prepari finalmente il terreno a un'offensiva di classe. giugno 2015 Comitato di sostegno ai lavoratori della Fincantieri Piazzale Radaelli, 3 - Marghera comitatosostegno@gmail.com https://pungolorosso.wordpress.com

martedì 9 giugno 2015

Fincantieri continua ad attaccare e provocare.

Fincantieri continua ad attaccare e provocare. I dirigenti sindacali fanno finta di non capire. Sta ai lavoratori dare a Bono & Co. la risposta che meritano. Lavoratori e lavoratrici di Marghera e di Monfalcone, l'azienda continua a provocare, e alla grande. Prima taglia i salari a operai e impiegati di 70 euro (e più) al mese, poi distribuisce milioni di euro di premi ai dirigenti. A Marghera manda un tizio a spintonare i lavoratori al picchetto, poi spedisce contestazioni disciplinari a tre lavoratori con una velata minaccia di licenziamento. Da mesi è una catena di aggressioni e di provocazioni. 104 ore l'anno di lavoro in più gratis. Taglio o azzeramento del premio di produzione. Chip nelle scarpe o nel casco degli operai. Riduzione dei costi (cioè dei salari e delle misure di sicurezza) per gli operai degli appalti. Taglio delle indennità dei trasfertisti. Punizioni speciali per gli scioperi spontanei. Trasferimenti punitivi per 10 impiegati e tecnici. Esplicita richiesta alla polizia di spezzare i picchetti. Violenta pressione sui capi per spingerli a intimidire gli operai e scoraggiare la partecipazione agli scioperi. Davanti a questo attacco a tutto campo i dirigenti sindacali fanno finta di non capire. "Così non si va da nessuna parte", dice Turus della Fim di Trieste. Ma è chiarissimo, invece, dove vuole arrivare Fincantieri: a un peggioramento radicale della condizione operaia, degli operai Fincantieri e degli operai degli appalti (ma ce n'è anche per gli impiegati esecutivi). "Si tratta di schermaglie che non servono", dice Apa della Uilm di Genova. Ma quali schermaglie, queste sono legnate! Ora ci rivolgeremo al governo "che deve riceverci e ascoltarci", dice il coordinatore della Fiom Papignani. Il governo Renzi!? Ma è proprio quello che, con il Jobs Act e con cento altre misure anti-operaie, sta spingendo i padroni ad andare all'assalto dei lavoratori! È quello che abbraccia Marchionne, e vuole un sindacato unico al totale servizio delle imprese! I dirigenti sindacali fanno finta di non capire perché non vogliono prendere atto che Fincantieri intende passare come uno schiacciasassi sui salari, i bisogni, la salute, i diritti dei lavoratori. Perché non vogliono dare al padrone-Fincantieri la sola risposta che può fermarlo e costringerlo ad arretrare: passare da una lotta spezzettata e disarticolata cantiere per cantiere e morbida, che non fa paura alla direzione, ad una lotta dura, unitaria tra tutti i cantieri, unitaria tra lavoratori Fincantieri e lavoratori degli appalti. Una lotta rivolta a tutti gli altri lavoratori e ai giovani fuori dai cantieri, dicendo loro: «È vero, Fincantieri ha ricevuto ordini di lavoro per anni; li ha ricevuti per effetto del nostro lavoro, della nostra fatica, del nostro sudore, dei tanti infortuni e morti sul lavoro nei propri cantieri. E ora non solo nega il valore del nostro lavoro, ma vuole imporci di lavorare di più, di essere pagati di meno e controllati come carcerati, vuole peggiorare ulteriormente la condizione di lavoro e di sicurezza degli operai degli appalti, e vietare ogni vera attività sindacale nei cantieri. Invece noi vogliamo consolidare e aumentare i nostri salari per noi e per le nostre famiglie, aumentare l'occupazione con nuove assunzioni (e non gli orari di lavoro), migliorare la condizione di lavoro e di sicurezza degli operai degli appalti, facendo rispettare i contratti nazionali, stroncando il lavoro nero, i sottosalari, le presenze mafiose; noi difendiamo il diritto all'auto-organizzazione operaia nei cantieri. Non lo facciamo solo per noi, lo facciamo per tutti quelli che sono anche più precari e schiacciati di noi, per i licenziati, per i disoccupati, perché è venuto il momento per l'intera classe lavoratrice di dire basta! Basta ingoiare veleno! Basta indietreggiare! Basta accettare ogni tipo di sacrificio, mentre banche, grandi imprese e loro manager scoppiano di profitti e di bonus milionari! Basta con il super-sfruttamento e l'impoverimento dei lavoratori! Basta con lo strapotere padronale nei luoghi di lavoro! Basta con la precarietà del lavoro e della vita! Uniamoci in un fronte di lotta compatto contro i padroni e il governo, e niente potrà fermarci!». Nulla di tutto ciò sarà fatto dai dirigenti sindacali compromessi con il padronato, o incoerenti. Ora è agli operai e ai lavoratori più combattivi e coscienti degli interessi di classe che spetta prendere l'iniziativa! 3 giugno 2015 (cicl. in prop.) Comitato di sostegno ai lavoratori Fincantieri Piazzale Radaelli 3, Marghera – comitatosostegno@gmail.com https://pungolorosso.wordpress.com

mercoledì 3 giugno 2015

TERZA FESTA GAP: SABATO 13 GIUGNO 2015 PORDENONE

Buongiorno, siamo lieti di invitarvi alla Terza Festa Gap - e dell'ecologia sociale e mutualismo - che si terrà il 13 giugno a Cordenons, località Sparesera (lato cimitero, via Mulin Brusà dopo il ponte del Valer). La festa, organizzata insieme al gruppo del Mutuo Soccorso di Cordenons, avrà inizio alle h. 16 con l'apertura dei mercatini delle autoproduzioni, alimentari e di scambio. All'interno della festa ci sarà anche un ‪#‎WORKSHOP‬ di presentazione e spiegazione per le autoproduzioni di microrganismi efficaci (detersivi, lavaggi ecc.) http://microrganismi-efficaci.it/produzione_ema Alle h. 18 si terrà un FORUM in cui discuteremo con voi di importanti tematiche legate all'ambiente e all'alimentazione: approfondiremo cos'è il TTIP, il trattato transatlantico per il libero commercio e la libertà degli investimenti, e quali potrebbero essere le conseguenze se venisse approvato. Poi affronteremo il tema dell'autodeterminazione alimentare e delle resistenze nei territori. Alle h. 21 ci divertiremo insieme con la musica ska/reggae/latino dei Pharmakos in concerto! Durante tutto l'evento sarà attivo un fornito chiosco autogestito e come consuetudine sará possibile prenotare la cena Sociale che verrá servita verso le h 20,00 nel giardino annesso. Il ricavato verrá utilizzato per coprire i costi e finanziare le prossime iniziative Gap. vi ricordiamo che sabato 13 Giugno dalle 16.00 incomincia la festa GAP e dell'ecologia sociale a Cordenons, località Sparesera (lato cimitero, via Mulin Brusà dopo il ponte del Valer). inoltre per la cena sociale bisogna prenotare entro e non oltre mercoledi 10 giugno e comprende: 1°Pasta fredda 2°Frittate con asparagi,formaggi o cipolle 3°Contorni di stagione Pane vino acqua compresi. Il costo è di 10 euro Per info e prenotazioni gapprenotazionipn@gmail.com o chiamare il 3425622991 Michele Nell'allegato trovate il programma della festa e le indicazioni per arrivare alla festa Vi aspettiamo numerosi per una giornata di festa e condivisione!

IX Congresso Nazionale della FdCA

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1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)