ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA
O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

per giulio

lunedì 27 agosto 2012

In fondo alla Sardegna

Nel video le immagini degli scontri a Cagliari con la polizia.

http://www.youtube.com/watch?v=aUsq_wtIAaM

A seguire articolo La Nuova Sardegna sulla lotta dei minatori (http://lanuovasardegna.gelocal.it/)


NURAXI FIGUS (CARBONIA-IGLESIAS). Precipita la situazione della miniera di carbone di Nuraxi Figus. Circa ottanta minatori della Carbosulcis presidiano da ieri sera alle 22.30 la miniera di Nuraxi Figus, nel territorio di Gonnesa, nel Sulcis-Iglesiente. Alcuni di loro sono a meno 400 metri mentre altri sono all’esterno. I lavoratori, che hanno fatto scattare il blitz alla fine dell’ultimo turno di ieri, mantengono gli impianti in sicurezza e custodiscono circa 400 chili di esplosivo. I minatori chiedono certezze sul progetto integrato per lo sfruttamento della miniera per la produzione di energia. «Attendiamo una risposta dalla riunione de 31 agosto al Mise», afferma Sandro Mereu della Rsu dei minatori.
Nel frattempo l’occupazione prosegue a oltranza. «Non possiamo attendere oltre», spiega Mereu, «la riunione di venerdì per noi e decisiva perche da troppo tempo riceviamo solo promesse»
Prima l’incontro con i delegati della Rsu nella sala riunioni, poi la discesa nel sottosuolo e la permanenza con i lavoratori in lotta. Il deputato sardo del Pdl, Mauro Pili, questa mattina ha incontrato i lavoratori e i sindacati della Carbosulcis. Dopo aver indossato la tuta bianca, caschetto e lampada, il parlamentare originario di Iglesias ha deciso di raggiungere il gruppo di lavoratori asserragliati a 373 metri di profondità. Una protesta in sostegno della vertenza dei lavoratori sino a quando, ha fatto sapere «non sarà convocata la Camera per affrontare l’argomento». Per le 15, intanto, è prevista un’assemblea con tutti i lavoratori nel piazzale antistante la lampisteria, alla quale prenderanno parte anche i sindaci del territorio.

RIPARTIRE DA ST. IMIER 2012 , note finali della conferenza internazionale anarchica

da Silia libertaria , mensile degli anarchici siciliani

clicca sul titolo del post per accedere al sito del mesile libertario

http://www.sicilialibertaria.it/2012/08/21/saint-imier-incontro-internazionale-dellanarchismo-8-12-agosto-2012/

Ilva: capitolazione dell'antagonismo e futuri possibili.

Ciò che sta accadendo all’Ilva di Taranto in questi giorni concentra una serie di questioni irrisolte che, esplodendo all’unisono, sospingono alla confusione delle priorità, delle cause e degli effetti, delle soluzioni, e, di queste, del loro orizzonte immediato e a lunga scadenza. Lungi da voler fornire un’analisi complessiva e complessa della vicenda, si vuole qui affrontare alcuni elementi critici e, possibilmente, contribuire a una riflessione più generale.


La vicenda dell’Ilva è, da un certo punto di vista paradigmatica. Il Capitale distrugge. Non c’è giustificazione. Il Capitale nel suo incedere, elementare o complesso che sia, mostra la sua attitudine naturale alla devastazione biologica (vita e ambiente) che tende a uscire dai cancelli della fabbrica stessa e a investire la vita di tutta una comunità e non solo di chi in fabbrica vi lavora. È la dimensione naturalmente totalitaria del Capitale stesso, che non accetta (non potrebbe) una soluzione differente a quella del raggiungimento del massimo profitto. Nulla di nuovo.


Per i cittadini e gli operai di Taranto, l’Ilva rappresenta un nemico chiaro e riconoscibile, con complici evidenti che, nonostante ultimi tentativi di smarcamento come quelli operati dalla magistratura e dalle burocrazie sindacali, non è più possibile dissimulare. Ma dalla vicenda tarantina emergono anche altri elementi che hanno a che fare, con l’incontro di due debolezze che, se pure contrapposte (al momento non lo sono), rappresentano i termini della confusione, ma anche le possibilità di un’analisi che esca dal contingente e, soprattutto, dal recinto in cui il ricatto lavoro/salute ci sta costringendo. Oltre questo ricatto, vecchio tanto è vecchio lo sfruttamento capitalista, la borghesia nel suo complesso (Stato-padronato-burocrazie sindacali) mostra elementi di irrisolutezza e indeterminazione e brancola nel buio. Una magistratura tardiva agisce fuori contesto, ponendo problemi e non soluzioni, come d’altra parte il governo non riesce a immaginare una via d’uscita neanche contingente e si limita a un blando ricorso legale che, pure andasse in porto, riporterebbe i giochi al loro inizio. Il padronato, invece, trema di fronte alla possibile chiusura e, anch’esso, oltre agli assetti attuali, non sembra intenzionato a risolvere, anche solo parzialmente la questione. Le burocrazie sindacali, dietro una retorica lavorista, nascondono responsabilità decennali e complicità concrete (quanti soldi hanno preso CGIL-CISL-UIL dall’Ilva?). La debolezza è evidente, tanto quanto è evidente che questi attori non abbiano le carte in regola per poter avanzare proposte né possibili soluzioni.


La seconda debolezza si evidenza, invece, in una soggettività sociale che con difficoltà riesce a riconoscersi nei suoi interessi precipui. Cedere al ricatto salute/lavoro-reddito/vivibilità ne è chiaro esempio. È chiaro, d’altronde, che l’Ilva non può sic et simpliciter chiudere e mandare alla miseria decine di migliaia di persone e tutto un territorio; come è altrettanto chiaro che l’Ilva non può continuare a produrre in queste condizioni, ammazzando la gente e devastando un territorio, di per sé meraviglioso.


Francamente convincono poco alcune soluzioni ultrastataliste proposte da ciò che rimane della cosiddetta estrema sinistra italiana. Ferrando del Partito Comunista dei Lavoratori a ogni sollecitazione propone sempre la stessa identica solfa, falsamente taumaturgica, della nazionalizzazione, che si risolverebbe in una statalizzazione, ovvero nel riconsegnare allo Stato il sito industriale, riportando il problema alle sue origini. D’altra parte, non ci sembra che si stiano formando Consigli operai e popolari capaci di gestire una siffatta proposta che, quindi, solo un apparato statale potrebbe dirigere.


Ma se Ferrando e il suo partito ripropongono uno schema trito e utile solo alla fare un po’ di propaganda pro domo sua, particolarmente pericolosa ci sembra la presa di posizione di alcuni centri sociali italiani (Acrobax, Ska, Rialzo, Cdq Taranto, Villa Roth, Officina 99, Asilo 45) e il loro documento Il pettine, l’apecar, la frattura e noi rintracciabile in rete.


La logica événementiel che sottende il documento produce un’attitudine culturale e conflittuale tutta interna alle logiche stataliste e capitaliste. Innanzitutto, cede e s’arrende al ricatto banale volto a contrapporre salute e lavoro. Sposare l’uno o l’altro dei due termini significa cadere mani e piedi nella trappola voluta in primo luogo dalla direzione aziendale sulla quale tutti (magistratura, burocrazie sindacali e apparati locali dello Stato) si sono accodati, quantomeno per prendere tempo.


Sono due gli assi intorno a cui il documento suddetto si dipana: la contestazione in piazza del 2 agosto e la proposta del reddito. Elementi debolissimi.


In primo luogo, la contestazione, per quanto mediaticamente efficace e più che degna e legittima del 2 agosto (quando un corteo di qualche centinaio di operai e cittadini e “compagni” fece irruzione al comizio di CGIL-CISL-UIL) non rappresenta alcuna «frattura». Non rompe nessun «paradigma» e non sembra fornire alcuna via per la ricomposizione di una soggettività in qualche modo antagonista. Una blanda contestazione alle dirigenze burocratiche (di questo si è trattato, tanto più in una situazione tanto drammatica in cui si contano i morti) non rappresenta una rottura con le logiche esistenti, anzi assomiglia terribilmente a un elemento scontato, accettabile e, tutto sommato, riassorbibile. Siamo assolutamente solidali con chi per questo è vittima della repressione statale, ma non possiamo non dire che qualche denuncia per aver spostato qualche transenna, in sé, non rende l’atto particolarmente “rivoluzionario”. Siamo ben lontani dai Consigli di fabbrica autoconvocati e dai “bullonatori” di recente memoria.


L’elemento del reddito quale soluzione anch’essa taumaturgica rappresenta il compimento della resa. Nel concreto significa non far pagare un cent a padron Riva e riversare la questione sul pubblico intervento, pagato dalle tasse di altri lavoratori. Nulla di male se fosse una necessità contingente (quella di sostenere collettivamente dei lavoratori in difficoltà), ma quando diventa, come proposto, la soluzione permanente, si trasforma in un’altra cosa. Ovvero, un parassitismo sociale basato e sostenuto dallo Stato. Ricordiamo che lo Stato è uno strumento di dominio di classe, non certo un agente neutro e disinteressato. Avanzare che, all’interno degli attuali rapporti sociali, lo Stato borghese possa essere strumento di redistribuzione delle ricchezze, come asserito nel documento in questione, assomiglia alle proposte picciste degli anni ’50 o al tardo pensiero bertinottiano, ovvero un atto di conservazione dell’esistente. Per quanto sia sembrata “arrabbiata”, e non abbiamo motivo di pensare che non lo fosse, la protesta del 2 agosto, non ci sembra appunto un elemento di tale rottura capace di costringere il governo Monti-Casini-Alfano-Bersani (o qualsiasi altro esecutivo) a cedere sulla redistribuzione delle ricchezze. Perché mai dovrebbero farlo? Perché qualche cittadino, operaio e ragazzo impegnato strilla un po’ troppo forte? Siamo seri. Il potere, anche quello economico, non verrà mai ceduto da chi lo detiene. Non ci sembra responsabile asserire che una protesta “arrabbiata” possa costringere uno Stato del G8 a concedere alcunché in questo senso.


D’altronde, il documento esplicita una volontà di de-industrializzante che minerebbe proprio ciò che lo stesso documento propone. Se si riduce al lumicino la capacità produttiva di un Paese (l’Ilva non è una cooperativuncola di servizi ma la più grande fabbrica d’acciaio d’Europa ), alla fine non rimarranno neanche risorse da redistribuire, a meno che non si presupponga di andarsi a prendere tali risorse, con la forza, da qualche altra parte. Lo diciamo chiaramente: la proposta del reddito generalizzato, oltre a essere una proposta vecchia, che deriva dai tardi anni settanta del Novecento (lavoro o non lavoro salario garantito, si diceva all’epoca, più di 40 anni fa), è pensabile solo all’interno di un ricco Stato imperialista. Facciamoci i conti per favore.


Torneremo in un altro momento sulla questione del reddito, come torneremo anche sul tanto sbandierato well-fare che, in un paese imperialista, si coniuga necessariamente e concretamente con il war-fare. Ricordiamo soltanto che stiamo parlando di ammortizzatori sociali, ovvero di un elemento essenziale nella contingenza della necessità, ma che se generalizzato significherebbe la resa di ogni ipotesi alternativa, figuriamoci antagonista o rivoluzionaria. Ammortizzare il conflitto sociale non ci sembra una grande prospettiva in questo senso, anche perché coincide con la ristrutturazione statal-capitalista cui la Crisi finanziaria ed economica sta conducendo l’Occidente. La borghesia europea, difatti, non ha mai smesso di porsi il problema di contenere il conflitto sociale e di classe. E proprio la questione del reddito è parte della strategia propugnata dalla BCE. Ricordate la lettera della BCE dell’estate scorsa? Quel documento rappresenta il proposito programmatico di cui si fornita la borghesia finanziaria europea per attraversare la Crisi economica in corso. Tra gli elementi qualificanti, segnati in punti, v’era appunto la revisione degli ammortizzatori sociali, tutta indirizzato all’introduzione del reddito. Una coincidenza pericolosa.


Un altro elemento di debolezza del documento è la sua chiusura interna a un orizzonte tutto tricolore. I punti di riferimento da cui prende le mosse sono la protesta del 2 agosto (profondo sud-est) e la più vigorosa lotta No-Tav (profondo nord-ovest). Se si volge lo sguardo un po’ più a sud e un po’ più a nord dei confini nazionali, magari ci rende conto che possiamo anche assumere (se la prospettiva internazionalista è la nostra bussola di orientamento e non una battuta da bar) un punto di vista un poco più radicale e possibilmente più concreto. Tra una contraddittoria ma potente primavera araba e i conflitti degli operai greci, spagnoli e francesi (ricordate i sequestri di manager, le fabbriche minate con la dinamite, le occupazioni delle stesse ecc di 3-4 anni fa?), per non parlare delle violente fiammate di lotta di classe in Cina, si potrebbe anelare una proposta differente, magari solo un immaginario o un linguaggio davvero comune e “globale”. Nessuno è così sciocco da pensare di riprodurre tali lotte anche qui. Ma una riflessione di maggiore respiro sarebbe interessante e di certo proficua.


Il problema non è il lavoro in sé, ovvero la capacità umana di trasformare l’esistente che, dalla rivoluzione neolitica ci ha permesso, in parte, di emanciparci dalla legge di natura, quella in cui il più forte sopravvive. Né lo è la questione della redistribuzione delle ricchezze. A nostro avviso c’è un problema vecchio circa 5.000 anni che è quello della proprietà privata dei mezzi utili alla produzione, che finché saranno privati alla collettività e detenuti da singoli e associazioni di singoli il problema sarà lì, sornione e mordace.


Quando smetteremo di fare i bravi, anche se arrabbiati, cittadini occidentali, questuanti e piagnoni, e ci riconosceremo in un interesse collettivo radicalmente alternativo e futuribile, forse anche le prospettive cambieranno e si eviterà di avanzare sciocche proposte, volte a legarsi mani e piedi a uno Stato borghese e proporre l’auto-ricatto del reddito. Sì, ricatto: il reddito, come viene concesso viene ritirato e chi lo concede detta tutte le condizioni. È una burla atroce.


Un sano e robusto sindacalismo d’azione diretta, autorganizzato ed espropriatore, come la tradizione del movimento operaio internazionale insegna, sarebbe un’opportunità da cogliere. Troppo utopistico? Bene! Di certo maggiormente dignitoso che, piattino alla mano, mendicare qualche spicciolo (reddito) al governo del proprio Paese.



LaMalatesta. Pagine di cultura e critica anarchica.

Contro i governi dei banksters di Giorgio Cremaschi

Non sono passati che pochi mesi dalle elezioni che l'hanno visto vincere
contro Sarkozy appoggiato da Merkel. E già Hollande delude profondamente tutte
le speranze interne ed esterne che si erano a lui rivolte e si allinea al primo
ministro della Germania. Anche per il presidente francese la Grecia deve pagare
il suo debito infinito con un nuovo giro di massacro sociale, senza dilazioni.
E' questa la dimostrazione definitiva che questa Europa delle banche, del
fiscal compact, dell'austerità è il primo avversario dei diritti del lavoro e
dello stato sociale, e che essa non è riformabile, ma deve esere rovesciata.
Come al solito il teatrino d'agosto della politica italiana, pur nella rissa
continua, ha ignorato la realtà.
La politica economica del governo Monti ha accentuatato e aggravato la crisi
economica e sociale, perchè segue i dettati della politica conservatrice
tedesca e della finanza internazionale.
Monti , Napolitano e Draghi seguono un disegno che pensa di far uscire il
continente dalla crisi copiando il modello economico americano. E lo fanno,
paradossalmente, mettendo l'Italia di fronte al professore tedesco e chiedendo
a lui se i compiti sono stati ben eseguiti.
A questo si aggiungono le solite chiacchiere sulla crescita che dovrebbe
essere realizzata con svendite di patrimonio pubblico e libero mercato del
lavoro.
Mentre si litiga sulla riforma elettorale e sul fascismo mediatico,la verità è
che la politica italiana troverà di nuovo una sua dignità solo quando verranno
alla luce in essa schieramenti che corrispondano alle scelte e alle alternative
vere.
Cioè se saranno in campo da in lato il partito dell'Europa delle banche ovvero
lo schieramento bipartisan che sostiene Monti, e dall'altro una alleanza, da
costuire,che dica no a fiscal compact, austerità e regole europee nel nome
dell'eguaglianza sociale e della democrazia. A questo bisogna cominciare a
lavorare da subito superando i vecchi schieramenti che non significano più
niente.
E se proprio vogliamo usare i riferimenti classici, allora dobbiamo dire che
chi sta con l'austerità è di destra, chi vuole rovesciarla in nome del
pubblico, dei diritti sociali e dell'ambiente è di sinistra. L'insospettabile
Financial Times ha coniato il termine banksters... Contro la politica che li
salva e sostiene dobbiamo organizzarci in Italia ed in Europa.

Lettera aperta alle opposizioni al governo Monti

Il no alle politiche di austerità in Italia e in Europa e al governo Monti
come discrimine. Una manifestazione nazionale in autunno. Il 4 settembre
un primo incontro per discuterne. Il Comitato No Debito guarda già da ora
all’autunno.
Ci rivolgiamo a tutte le organizzazioni, movimenti, persone che in questi
mesi hanno maturato o hanno confermato un’opposizione di fondo al
governo Monti e alle controriforme da esso fatte, in atto o annunciate. A
chi si oppone a tutta la politica di austerità europea che ispira il governo e
rifiuta il pareggio di bilancio nella Costituzione, il fiscal compact, i patti di
stabilità che distruggono lo stato sociale.
Ci rivolgiamo a chi sinora ha lottato e lotta contro le terribili conseguenze
sociali e civili della politica del governo.
Ci rivolgiamo a chi rifiuta l’idea di una democrazia sospesa e in via di
esaurimento e quella di un governo sottoposto al voto dello spread e dei
mercati, invece che a quello dei cittadini
La nostra proposta è di incontrarci per costruire in autunno una grande
manifestazione nazionale che abbia lo scopo di mostrare in Italia ed in
Europa che l’opposizione al governo Monti esiste e che, senza
sottovalutare la portata e l’effetto dei colpi subiti, non intende rinunciare
alla lotta, ma anzi vuole ripartire. Oramai è chiaro che la politica del
governo è destinata a continuare. Il Presidente della Repubblica, verso il
quale fortissima è la nostra critica, ha già affermato che chiunque vinca le
prossime elezioni, il programma di austerità che produce il massacro
sociale dovrà continuare e nessuna delle forze politiche che sostengono il
governo ha detto cose diverse. Lo stesso pretendono la Bce, il governo
tedesco, la finanza e il grande capitale multinazionale.
Per questo non si può pensare che ci sia solo da aspettare che finisca la
nottata: senza la ripresa di un movimento sociale e politico di opposizione
essa non finirà, mentre oggi la mobilitazione in Italia contro la politica
unica europea è tra le più basse del continente e della nostra storia.
Per questo proponiamo un incontro che abbia come discriminante netta il
no alle politiche di austerità in Italia e in Europa e al governo Monti e
dunque l’indipendenza e l’opposizione rispetto a tutte le forze politiche
che lo sostengono. Questo in unità con tutti coloro che, a partire dalla
Grecia e dalla Spagna, le combattono e in collegamento con l’assemblea
dei movimenti prevista a Madrid per settembre.
Sappiamo che il 15 ottobre del 2011 ha prodotto divaricazioni e rotture
ancora non ricomposte ed è evidente che per superarle ed evitare che si
ripetano occorrerà un confronto leale e con garanzie reciproche che
nessuno eserciterà primogeniture, egemonie, forzature.
Conosciamo e viviamo le difficoltà, ma chiediamo di provarci.
In pochi mesi il governo Monti ha distrutto il sistema pensionistico
pubblico, ha cancellato l’articolo 18, ha messo in liquidazione sanità e
scuola pubblica, si prepara alla vendita all’incanto dei beni comuni, mentre
disoccupazione, precarietà, supersfruttamento dilagano nel lavoro privato
come in quello pubblico. Il sostegno della maggioranza di unità nazionale
e della grande informazione, la passività e la subalternità di Cgil, Cisl e Uil
lasciano il campo libero ai poteri forti mentre cresce un vuoto terribile nel
quale sempre più persone vivono isolamento e frustrazione.
Dobbiamo reagire assieme per pesare e per farlo dobbiamo incontrarci per
provare assieme a decidere.

Il Coordinamento nazionale del Comitato No Debito
23 Agosto 2012

giovedì 9 agosto 2012

Pussy Riot, libere e basta!


Pussy Riot, libere e basta!
sottoscrivi la richiesta dell'Associazione Nazionale del libero Pensiero "Giordano Bruno"


Pussy Riot, le femministe anti Putin rischiano adesso di restare in carcere per almeno altri 3 anni.

E' quanto ha chiesto il procuratore.

Noi vogliamo invece che siano liberate, perchè non può essere reato la libertà di pensiero e di manifestazione artistica.

Partecipa alla nostra petizione, inviando una mail a liberopensiero.giordanobruno@fastwebnet.it

con la dicitura: Pussy Riot, libere e basta!


Leggi articolo sulla vicenda clicca sul titolo di questo post

mercoledì 8 agosto 2012

sgombero giustiniani - genova

comunicato fdca genovese riceviamo e pubblichiamo

Stamattina alle ore 8,30 e' iniziato il vergognoso sgombero di casa Giustiniani a Genova. Le chiavi sono state sottratte ad un compagno, poi trattenuto. Una compagna e' stata picchiata dalla polizia in un tafferuglio e presenta una vistosa contusione nella zona frontale.

Casa Giustiniani, occupata dall’ottobre 2011, si e' adoperata, sin dal principio, per offrire servizi gratuiti alla popolazione del quartiere e non. Laboratori, palestre, doposcuola, servizi agli anziani, cinema tutto totalmente gratuito. Raccolta di indumenti per le persone piu' indigenti, per i terremotati dell'Emilia, cene sociali a sostegno delle lotte dei compagni NO TAV, delle popolazioni in guerra e tanto altro, fra cui dibattiti e momenti culturali e di informazione libera. Stamattina un gruppo di un centinaio di persone ha protestato contro lo sgombero e contro la saldatura degli ingressi, la popolazione del quartiere e' schierata a fianco del centro che ha fornito agli stessi piu' di un momento di aggregazione soprattutto per i bambini.

Non finira' qui, ci riapproprieremo quanto prima di spazi che, vuoti e dismessi da tempo, erano diventati e saranno nuovamente un prezioso servizio per tutto il quartiere!

La Federazione dei Comunisti Anarchici esprime la propria solidarieta' e vicinanza ai compagni coinvolti in questo ennesimo esproprio da parte del potere a danno della comunità.

Federazione dei Comunisti Anarchici - Sezione Nino Malara - Genova

lunedì 6 agosto 2012

Sindacati alle cozze e classe operaia in «u tre rote»

agosto 4, 2012 @ connessioniprecarie →

di DAVIDE COBBE e DEVI SACCHETTO

Quando Maurizio Landini, il segretario generale della Fiom, prende la parola
di fronte ai circa 2500-3000 operai dell’Ilva che affollano piazza della
Vittoria a Taranto, 2-300 persone riunite nello spezzone dei «Cittadini e
lavoratori liberi e pensanti» fanno il loro ingresso rumoroso. La loro moto-ape
a tre ruote – dotata di una forza paragonabile a quella dei grandi mostri
cingolati degli eserciti, ma attrezzata solo con casse e microfono – ospita a
bordo cinque operai assai arrabbiati, e si sistema a non più di venti metri dal
palco, continuando a gridare slogan contro il padronato, ma soprattutto contro
sindacalisti e autorità appollaiate in tribuna. Non sventolano bandiere, solo
uno striscione alle loro spalle: «Sì ai diritti, no ai ricatti: salute,
ambiente, reddito occupazione». Nessuno li contrasta, nessuno ne chiede l’
espulsione dalla piazza, e intanto gridano slogan: la gran parte degli operai è
attenta a che cosa hanno da dire, riconoscendoli come compagni di lavoro. Non c’
è rottura operaia, come titolano felici i quotidiani l’indomani. Uova e
transenne che volano rimangono nella testa solo di qualche giornalista
prezzolato. È una contestazione a viso aperto, di una parte di operai e
studenti che in questa piazza riscuote consenso. La tensione nella piazza
operaia inizia a salire solo quando poliziotti e carabinieri in assetto anti-
sommossa si muovono rinforzando la protezione al palco. Gli operai irruenti e
incazzati rimangono fermi lì nel bel mezzo della piazza, gridando i loro slogan
e pretendendo di poter parlare dal palco. Non una grande richiesta. Nessuna
concessione, però, ma solo mute risposte come quella data il giorno prima dai
dirigenti sindacali al gruppo di operai che, con un fax, chiedeva di poter
intervenire dal palco. Per una buona mezzora l’impasse è generale: Cgil-Cisl-
Uil prima dichiarano chiusa la manifestazione, quindi invitano tutti gli operai
a spostarsi nella piazza a lato, ma nessuno si muove. A quel punto gli irruenti
decidono di tenere il loro breve comizio da sopra «u tre rote». Essi
rivendicano sostanzialmente di non esser più costretti a scegliere tra il
diritto alla salute e il diritto al lavoro, come hanno fatto negli ultimi
cinquant’anni. Accusano i sindacati confederali di averli lasciati nella
solitudine e nell’isolamento e di aver contrastato le poche forme di auto-
organizzazione che sono cresciute nel corso di questi anni dentro all’Ilva.

Diversamente da come viene rappresentata, questa giornata tarantina è un
momento liberatorio. Un sindacato che nel suo complesso viene delegittimato e
costretto alla resa, ma che da domani inizierà di nuovo a lavorare, in larga
parte, per la continuazione della produzione, finendo così per sostenere,
direttamente o indirettamente, le ragioni del padronato, qui rappresentato da
uno degli ultimi padroni delle ferriere, Emilio Riva. Una produzione che si
vorrebbe eco-compatible, come scrive la Confcommercio sui manifesti appiccicati
alle vetrine dei negozi del centro cittadino e come dichiarano in un sol coro i
tre segretari confederali. Cataldo Ranieri, uno di questi irruenti operai,
afferma invece: «Noi non possiamo far vedere che abbiamo paura che chiudano lo
stabilimento, non abbiamo più paura perché abbiamo conosciuto la morte». La
contrapposizione tra lavoro e salute qui sembra posta più dalla sinistra
produttivista che dalla destra: «prima il lavoro e poi la salute». Qualche
giornalista di Rai 3, forse forte del cognome che porta, aveva già provato
qualche giorno fa a mettere all’angolo questi operai chiedendo loro se vogliono
che l’Ilva chiuda o che rimanga aperta, cioè – come essi stessi riassumono – se
vogliono morire di fame o di cancro. Allora come adesso, essi rispondono
candidamente di essere solo operai, di voler vivere e guadagnarsi il pane senza
mettere in pericolo la salute: «non sono un politico e non mi occupo di
politica», dice senza paura di contraddirsi uno di loro.

Piuttosto, si occupano della loro esistenza operaia: «E ora metteteci anche il
tumore nella busta paga» grida Cataldo Ranieri. Quarantadue anni, quattordici
di Ilva, otto di tessera Fiom, ora alla Fim da due settimane per ottenere l’
assistenza legale per le contestazioni disciplinari. Due figli e una moglie
precaria in un call center della città. È lui che i giornalisti identificano
come il leader, e che circondano appena scende dal pericoloso strumento
squadrista «u tre rote». Il rifiuto degli operai di occuparsi dell’interesse
generale, o peggio degli affari del padrone, svela l’ideologia di cui si
riveste ampia parte della sinistra in Italia. Mentre, dal palco, Susanna
Camusso chiude questa giornata, con gli ormai pochi operai rimasti in piazza,
ripetendo il ritornello tanto caro a questi sindacati, oltre che al padronato:
il risanamento si dovrà fare con gli impianti in marcia. Un sindacato che si
sente in dovere di suggerire al padronato come fare il suo mestiere ha già
perso la battaglia culturale, oltre che politica. Intanto, nella stessa
giornata, gli impianti, al solito, funzionano come sempre e la banchina del
porto i riempiva di laminati.

Su questi operai irruenti la sinistra di questo paese, centrali sindacali
comprese, ha già emesso la sentenza: Cobas, estremisti, centri sociali, no-
global. Un intellettuale di sinistra sulle pagine locali di un quotidiano
nazionale li bolla addirittura come squadristi e utili idioti che non sanno far
altro che sfasciare, perché privi di un vocabolario della politica, pieni di
incultura. Ohibò! Squadristi organizzati in «u tre rote» affittato per 100 euro
da «Antonio u’ siciliano – Traslochi», che lo guida e che nel frattempo si fa
un po’ di pubblicità: fa più sorridere che paura. Forse sarebbe il caso di
morire di tumore in silenzio per 1.200 euro al mese, lasciando al sindacato la
contrattazione. E questi non sono neppure lavoratori migranti sindacalmente
‘ingenui’ che cercano di auto-organizzarsi, come l’anno scorso a Nardò, cento
chilometri più a sud. Nelle poche grandi fabbriche del sud, i migranti non sono
mai entrati perché il padronato sceglie sempre la sua forza lavoro.

Nell’incapacità di comprendere le trasformazioni che stanno avvenendo non solo
a Taranto, ma in tutto il paese, sembra che sia necessario ricorrere a formule
facili. Propaganda. Ma questi operai con «u tre rote» entrano nelle
contraddizioni profonde delle varie sinistre di questo paese. Chissà cosa avrà
pensato Maurizio Landini, che accusa questi lavoratori di voler vivere solo di
sussidi statali invece di difendere il proprio posto di lavoro, delle
dichiarazioni dei centri sociali del nord-est che plaudono alle iniziative
degli operai e cittadini. In molti, sembra di capire, rimangono smemorati. Da
queste parti il lavoro rimane ‘a fatia – la fatica –, come davanti a un
giornalista si lascia scappare uno di questi irruenti, salvo subito
correggersi. No, non è il bene comune, anche se con una disoccupazione che
tocca il 30% ognuno cerca di farsi sfruttare, magari senza dover crepare
faticando. Fa specie leggere come i leader sindacali ritengano che gli irruenti
operai e cittadini avrebbero dovuto organizzarsi una loro manifestazione, quasi
che gli operai siano un corpo staccato. Stefano Sibilla, un altro di questi
operai, ha le idee piuttosto chiare: «Qua non c’è un’idea di lavoratori divisi.
L’idea di lavoratori divisi è solo grazie ai sindacati. Quando un segretario
[quello della Fim locale] esordisce a un’assemblea [il giorno prima dello
sciopero] di quattromila persone, dicendo che occorre portare solidarietà agli
otto arrestati [dirigenti dell’Ilva], che sono quelli che ci hanno sottomesso,
che ci hanno minacciato, che ci hanno avvelenato, è un sindacato che o non
capisce che il cuore dei suoi lavoratori sta per esplodere o è troppo attaccato
al padrone per tradirlo. Non serve che io mi arrabbi: i sindacati di Taranto
non funzionano». Che un pezzo di sindacato, così come capi e capetti, sia
strettamente connesso al padronato non è certo una novità. Qui forse però
bisognerebbe capire le varie responsabilità in tutta questa storia di silenzi e
insabbiamenti, su cui i giornalisti come troppo spesso accade in questo paese o
sono distratti o sono collusi.

Le etichettature con cui si prova a isolare questa esperienza danno la misura
non solo del malessere, ma anche della veloce crescita di consapevolezza e di
protagonismo sia operaio sia di una parte importante della popolazione che si
nota in questa città. Una classe operaia che fino a pochi giorni fa, trascinata
da qualche sindacato complice e da qualcun altro forse troppo silenzioso,
sosteneva le ragioni del padrone, e che è sempre stata considerata un po’
«teppa», magari perché assunta tramite le raccomandazioni sindacali, in
particolare della Uil, oppure attraverso la parrocchia. Una classe operaia metà
contadina e metà sottoproletariato che va allo stadio, invece di frequentare i
salotti culturali e di mantenere l’ordine durante le manifestazioni. Una classe
operaia meridionale che ha cercato un lavoro in loco per non ripercorrere la
dura strada dell’emigrazione. Certo è una classe operaia che non sembra ancora
entrata nella post-modernità e non ha certo le stigmate della lotta di classe
della gloriosa Mirafiori. Forse c’è giunta con quarant’anni di ritardo, ma sta
ponendo ancora una volta la questione dell’irrisarcibilità della condizione
operaia provando a unire quanto è solitamente disunito, vale a dire le
questioni della produzione di beni e della riproduzione umana.

Il sistema di lavoro all’Ilva consuma a brano a brano la vita umana dei
lavoratori come degli abitanti. È su questa irrisarcibilità che sembrano
cercare di fare fronte comune questo pugno di studenti, operai e disoccupati
per costruire un proprio percorso politico autonomo. Capiscono cosa fanno,
capiscono cosa sono. Non sono «dipendenti asserviti al padrone», come sono
stati definiti con le migliori intenzioni. La frettolosa proposta di un reddito
di cittadinanza velocemente riemersa non risponde nemmeno lontanamente a quanto
sta succedendo, perché questi operai stanno già lottando contro il salario,
quale misura del loro lavoro e della loro vita. Non sono una «moltitudine
oscura e desiderosa di servitù volontaria» a spasso tra i secoli. Negli ultimi
giorni hanno fatto un gran salto rispetto solo a qualche giorno fa. Un salto di
classe.

venerdì 3 agosto 2012

A TARANTO VIA L'ILVA PER FAR LARGO ALLA NATO

PER CONOSCENZA , RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO


Di comidad (del 31/07/2012)

La Psychological War della NATO conosce i suoi polli, quindi era facilmente
prevedibile che il lanciare l'esca di un dibattito infinito sull'alternativa
tra salute e lavoro avrebbe stanato la legione dei filosofastri sempre in
agguato. Nel "dibattito" ovviamente non si è mai mancato di avallare
quell'ipocrisia ufficiale secondo la quale le industrie esisterebbero per dare
posti di lavoro, perciò, in definitiva la colpa dell'inquinamento è degli
operai.
Ciò non vuol dire che l'Ilva di Taranto non sia realmente inquinante; lo è,
eccome. Il punto è capire perché la situazione sia stata lasciata incancrenire
per anni, come se fossimo ancora nell'800, e non fossero già disponibili da
anni le tecnologie non solo per il disinquinamento, ma anche per il ricircolo
delle acque impiegate nella produzione siderurgica e per il recupero delle
scaglie. A chi fa comodo questa emergenza?
Nel febbraio del 2004 Peacelink rendeva noti documenti del Pentagono -
peraltro non segretati - da cui risultava che Taranto sarebbe divenuta sede di
un'altra base navale della NATO. La notizia era fino ad allora ignota al
Parlamento italiano, anche se era stata in qualche modo anticipata da
dichiarazioni di Francesco Cossiga.
La nuova base navale sarebbe stata collocata nel Porto di Taranto, nella nuova
megastruttura del Molo Polisettoriale. La base NATO dovrebbe ospitare un grande
centro di comunicazioni e spionaggio e servire da sito per i sommergibili
nucleari della USNavy. [1]
Dalla mappa del porto di Taranto risulta che il Molo Ovest (o 5° Sporgente),
in uso all'Ilva, ed il Molo Polisettoriale, destinato alla NATO, sono a ridosso
l'uno dell'altro, ed hanno anche un'insenatura in comune. La stessa insenatura
che dovrebbe essere usata dai sommergibili nucleari. [2]
Il caso, la coincidenza e le circostanze della vita hanno fatto sì che la NATO
avesse l'opportunità di liberarsi dell'ingombrante vicino grazie ad
un'iniziativa della Procura di Taranto. Toghe a stelle e strisce? Ma chi
oserebbe mai pensarlo. Perché mai tre basi militari nel Porto di Taranto
dovrebbero sottrarre lo spazio ad altre attività?
Gli esempi di altre città ci confortano in questa fiducia nella NATO.
Nonostante la nuova base NATO di Giugliano in Campania, e nonostante il
rafforzamento delle basi USA del Porto di Napoli e dell'Aeroporto di
Capodichino, nel quartiere napoletano di Bagnoli c'è tuttora una base NATO, di
cui da due decenni si annuncia vanamente la prossima chiusura. A Napoli la
militarizzazione del territorio non ha mai ceduto terreno, semmai lo ha tolto
ad altre attività, tanto che dal 1999 il Porto ha ceduto alla USNavy più del
50% delle banchine.
Negli anni '80 anche a Bagnoli c'era ancora uno stabilimento dell'Ilva, che
però, quello sì, fu veramente chiuso, anche se con motivazioni ufficiali
diverse da quelle oggi adoperate a Taranto. Anche quella di Bagnoli è stata
chiaramente una pura coincidenza.
Ovviamente il "cui prodest" non è mai un criterio valido per interpretare gli
avvenimenti. Bisogna invece convenire onestamente che la NATO è fortunata, o è
protetta da Dio. Anzi, diciamo pure che ormai la NATO è Dio, così si fa prima.

[1] http://www.peacelink.it/disarmo/a/3030.html
http://www.zonanucleare.com/dossier_italia/taranto_nucleare.htm
http://www.peacelink.it/editoriale/docs/185.pdf
[2] http://www.tarantoporto.com/logistica/polisett.htm

RETE28Aprile-Cgil Sezione speciale TUTTO SU ILVA TARANTO [articoli, dichiarazioni, ...]

3.8.2012 - Ilva: le contestazioni, un segnale per il sindacato - dichiarazione di Sergio Bellavita, segretario. Nazionale Fiom
Le contestazioni di ieri al comizio di Cgil Cisl e Uil sono un segnale del profondo malessere dei lavoratori e delle lavoratrici. Un segnale che il sindacato non può banalizzare o ridurre a improbabili complotti o peggio confinare alla cosiddetta area antagonista, di cui in realtà il sindacalismo non complice dovrebbe essere parte.
Sono davvero dispiaciuto che anche la Fiom, Landini sia stato oggetto di contestazioni. Tuttavia non sono d'accordo con quanto Maurizio Landini afferma oggi in una sua intervista su Repubblica. Da lavoratore del sud emigrato posso raccontare la rabbia di chi i diritti non li hai mai conosciuti. I lavoratori chiedono un lavoro che non faccia morire ne' loro ne' i loro figli. Lottare per il diritto alla salute contro il padron Riva e' un dovere e non può essere scambiato per assistenzialismo. C'e' un ulteriore aspetto delle contestazioni su cui riflettere. La sfiducia. Quando un sindacato non riesce a intervenire sulla condizione concreta degli uomini e delle donne che rappresenta la sfiducia, la rassegnazione rischia di prevalere. I lavoratori sono stanchi dei riti sindacali, delle liturgie consuete e desuete. Dobbiamo indagare, approfondire questa rabbia e questa sfiducia. E dobbiamo dargli voce e forza. Taranto rischia di essere uno dei primi potenti segnali al sindacato.
Sergio Bellavita - Segretario. Nazionale Fiom

3.8.2012 - A volte si cambia
Landini: le contestazioni a Taranto dai centri sociali e da operai che vogliono il reddito e l'Ilva chiusa, la Fiom sta da un'altra parte.
Ma non diceva che la Fiom doveva aprirsi a quelle posizioni?

2.8.2012 - Taranto... i segretari Cgil Cisl e Uil parlano ad una piazza vuota - La manifestazione degli operai dell'Ilva è stata la rappresentazione della crisi sindacale. Il comizio sindacale interrotto da Cobas e comitati di lotta che svolgono da un veicolo un proprio comizio, con un forte consenso della piazza. Dopo, la piazza si svuota e i segretari generali parlano alle poche persone rimaste.

1.8.2012 - Espropriare l'Ilva (di Giorgio Cremaschi) - "A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale" - Articolo 43 della Costituzione

Innanzitutto bisogna dire che hanno ragione i giudici. Ad essi casomai si può solo rimproverare il ritardo nelle decisioni, non le decisioni.
Quando la nocività produce morti su morti, fuori e dentro la fabbrica, e i bambini di dieci anni del quartiere Tamburi hanno nei polmoni l'equivalente di quaranta sigarette al giorno, la magistratura deve intervenire per fermare il massacro.
Certo se a Taranto non ci fosse stato in campo il colossale fallimento di una politica sindacale egemonizzata da Cisl e Uil. Se le istituzioni locali, tutte, non avessero avuto un atteggiamento acquiescente e consociativo con l'azienda. Se i governi avessero fatto il loro dovere invece che piegarsi a Riva, il governo Berlusconi concedendo le deroghe sugli adempimenti prescritti dalla legge e il governo Monti, con il suo ridicolo Ministro dell'ambiente, confermandole.Se l'arroganza di Riva avesse trovato quei contrappesi che sono previsti in un paese realmente democratico, la situazione non sarebbe giunta a questo punto e gli operai non sarebbero di fronte alla scelta se morire di cancro o di fame.Gli operai dell'Ilva non sono quella plebe ottusa a difesa del padrone che ha presentato la grande informazione. Quella stessa informazione che si è innamorata del ricatto permanente di Marchionne contro chi vuol sperare di lavorare nelle sue fabbriche e che ha scambiato il medioevo per progresso.Gli operai dell'Ilva han lottato duramente per la salute. Ed è bene ricordare che ognuno dei tanti scioperi a difesa della la vita è stato penalizzato dall'azienda con il taglio del premio, oltre che delle ore perdute. La rappresaglia per chi fa valere i suoi diritti è sempre stata una costante di padron Riva. Dai reparti confino, al regime delle punizioni di massa e dei licenziamenti. Solo pochi anni fa gli operai dell'acciaieria si fermarono per gravi rischi di esplosione nel reparto. Due delegati allora in Fiom, furono licenziati in tronco. La fabbrica si ribellò e anche allora i giovani operai occuparono il ponte girevole della città. Fu la magistratura a riammettere con l'articolo 18 i due delegati, difesi da Massimiliano Del Vecchio che oggi difende l'operato dei giudici.E anche oggi, solo una stampa ancora innamorata della marcia dei 40000 può confondere le acque in modo così scandaloso. Quando in una delle ultime manifestazioni si sono presentati lavoratori con uno striscione contro i giudici, un gruppo di operai l'ha strappato e buttato giù dal ponte. Erano capetti e dirigenti quelli che hanno impedito alle telecamere di riprendere il gruppo dirigente aziendale tradotto in tribunale. Nelle assemblee i dirigenti Cisl e Uil che hanno proposto la solidarietà al padrone contro la magistratura sono stati sonoramente fischiati. In fabbrica ci sono tanti lavoratori che non vogliono subire il ricatto che contrappone lavoro a salute e diritti. Ma sta al sindacato e alla politica dare ad essi una risposta, invece che crogiolarsi nella propria subalterna impotenza.Bisogna garantire lavoro e salario agli operai dell' Ilva e procedere subito al risanamento ambientale . Questo significa che Riva ci deve mettere tutti i soldi che ha. Che sono tanti visto che in un solo anno di profitti si è ripagato il piccolo costo di aver ricevuto l'azienda dallo stato e visto che recentemente ha trovato anche danaro da spendere in Alitalia. Riva deve pagare tutto. E se continua a menare il can per l'aia come ha fatto in tutti questi anni, allora da un lato ci deve essere, come c'è, la magistratura: Dall'altro il governo dovrebbe applicare la Costituzione. L'articolo 43 prevede l'esproprio di una azienda proprio per casi come questo. La politica, compresa quella di sinistra, non faccia come al solito la parte di chi parla d'altro. O Riva paga, o viene espropriato, il resto è quello che ci ha portato al disastro attuale.


27.7.2012 - "Ilva. Il dilemma tarantino tra lavoro e morti d'amianto" (articolo di Massimiliano Del Vecchio (pubblicato su Il Manifesto del 26.7.2012) - La realtà industriale tarantina è stata quanto mai vessata da plurime morti sul lavoro, per infortuni o malattie professionali. Vi insistono, difatti, da cinquanta anni, a ridosso della città, uno dei più grandi stabilimenti siderurgici di Europa, una importante raffineria di idrocarburi e un cementificio, dai cui impianti si sprigionano notevoli quantità di agenti patogeni.
In quasi venti anni di contenzioso legale i lavoratori hanno visto riconoscere da un lato, nei confronti delle imprese, cospicui risarcimenti del danno differenziale a favore delle vittime del lavoro e dall'altro, nei confronti dell'Inail, centinaia di malattie professionali, tra le quali segnaliamo, sul fronte delle neoplasie: mesoteliomi, carcinomi polmonari, della laringe e asbestosi; carcinomi renale, dello stomaco, della vescica, dell'intestino, della prostata; leucemie e linfomi.
Gli ambienti di lavoro e tutta la città di Taranto, come si è avuto modo di appurare ufficialmente nei recenti accertamenti probatori disposti dalla procura, sono difatti pregni di fibre di amianto, idrocarburi policiclici aromatici, diossina, ammine aromatiche, cadmio, metalli pesanti e veleni di ogni genere che costituiscono fattori di rischio specifico per l'insorgenza di tumori.
Già con la ordinanza del Gup di Taranto dell'11/5/2009, R. Gip 6392/08, sono stati rinviati a giudizio i più importanti manager della siderurgia pubblica nazionale e i direttori dello stabilimento siderurgico di Taranto che si sono succeduti dalla fine degli anni '60 alla prima metà degli anni '90, in quanto ritenuti responsabili del decesso di sedici lavoratori a cagione delle più varie neoplasie ascrivibili al mix di sostanze cancerogene che si sprigionano dagli impianti di Taranto - la prossima udienza si terrà il 23/11/2012.
Il secondo processo «tumori» che concerne quindici decessi solo per mesoteliomi e carcinomi polmonari per esposizione al rischio da amianto, si terrà in sede dibattimentale il 3/10/2012. Il capo di imputazione confermato dal decreto del Gup n. 3390/10 R. Gip è circoscritto al singolo rischio cancerogeno e è stato assistito da una efficace e tempestiva indagine, che perviene sino alla gestione privata dello stabilimento Ilva .
L'amianto, in effetti, è ancora presente in enormi quantità nello stabilimento siderurgico di Taranto e non è un materiale volatile del quale sia difficile indicarne la provenienza, per cui, diversamente rispetto al primo grande processo di cui si è detto, ove gli oneri probatori sono più complessi, nessuno può contestare che detta esposizione vi sia stata; l'eziologia dei tumori ricollegabili e denunciati, del resto, è ormai scientificamente acclarata.
In questo rovente clima giudiziario si inserisce l'incidente probatorio conclusosi il 30 marzo 2012 con il quale si è accertata l'esistenza di un disastro ambientale provocato dallo Stabilimento siderurgico Jonico e la ascrivibilità di centinaia di decessi tra la cittadinanza all'inquinamento industriale.
Gli atti di questa indagine sono confluiti, su conforme richiesta della procura e dei difensori delle parti civili, nei due grandi processi che hanno ad oggetto l'imputazione di plurimi omicidi colposi.
Si determina così una situazione veramente complessa nell'ottica di un bilanciamento di interessi apparentemente contrapposti: quelli occupazionali, da un lato e quelli di tutela della salute, dall'altro, giacchè potrebbe essere emessa una ordinanza cautelare di sequestro dello Stabilimento o di una sua parte al fine di impedire la protrazione delle emissioni inquinanti e del reato.
Probabilmente una revisione della autorizzazione ambientale dello stabilimento, la adozione immediata di rimedi come la copertura dei parchi minerali, delle linee di trasporto dei minerali ed un'accurata vigilanza sul funzionamento e sulla efficacia dei filtri delle ciminiere e del sistema di deflusso dei fanghi di acciaieria consentirebbe invero se non di soddisfarle entrambe, quantomeno di contemperare tutte le esigenze in attesa che sia studiata e approntata una concreta alternativa economica alla produzione siderurgica, i cui impianti oggi invero nessuno stato civile consentirebbe di installare nelle adiacenze delle città

Bellavita : ILVA , le contestazioni , un segnale per il sindacato

dichiarazione di Sergio Bellavita - Segretario nazionale Fiom
Le contestazioni di ieri al comizio di Cgil Cisl e Uil sono un segnale del
profondo malessere dei lavoratori e delle lavoratrici. Un segnale che il
sindacato non può banalizzare o ridurre a improbabili complotti o peggio
confinare alla cosiddetta area antagonista, di cui in realtà il sindacalismo
non complice dovrebbe essere parte.
Sono davvero dispiaciuto che anche la Fiom, Landini sia stato oggetto di
contestazioni. Tuttavia non sono d'accordo con quanto Maurizio Landini afferma
oggi in una sua intervista su Repubblica. Da lavoratore del sud emigrato posso
raccontare la rabbia di chi i diritti non li hai mai conosciuti. I lavoratori
chiedono un lavoro che non faccia morire ne' loro ne' i loro figli. Lottare per
il diritto alla salute contro il padron Riva e' un dovere e non può essere
scambiato per assistenzialismo. C'e' un ulteriore aspetto delle contestazioni
su cui riflettere. La sfiducia. Quando un sindacato non riesce a intervenire
sulla condizione concreta degli uomini e delle donne che rappresenta la
sfiducia, la rassegnazione rischia di prevalere. I lavoratori sono stanchi dei
riti sindacali, delle liturgie consuete e desuete. Dobbiamo indagare,
approfondire questa rabbia e questa sfiducia. E dobbiamo dargli voce e forza.
Taranto rischia di essere uno dei primi potenti segnali al sindacato.

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IX Congresso Nazionale della FdCA

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