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lunedì 27 aprile 2020

Per una teoria libertaria del potere - parte 1

Ibáñez ed il potere politico libertario

"Per una teoria libertaria del potere" raccoglie una serie di recensioni su libri ed articoli scritti da autori di area libertaria che vertono sulla questione del potere. Il suo obiettivo è quello di presentare la letteratura contemporanea sul tema in questione per offrire elementi utili alla elaborazione di una teoria libertaria del potere, che possa quindi contribuire alla elaborazione di un metodo di analisi della realtà e di una strategia su basi libertarie, affinché possa essere utilizzato da individualità ed organizzazioni. E' stato pubblicato in origine in portoghese su Estratégia e Análise







di Felipe Corrêa







 In questo primo articolo della serie propongo alla discussione l'articolo "Per un potere politico libertario" ("Por um Poder Político Libertário"), di Tomás Ibáñez [*]. In questo breve articolo, l'autore si pone criticamente in relazione all'approccio libertario sul tema. L'articolo di Ibáñez è stato scritto inzialmente per un seminario su "Il Potere e la sua negazione", promosso dal CIRA (Centre International de Recherches sur l'Anarchisme, ndt) e dal Centro Studi Libertari Pinelli, nel luglio 1983. In quell'occasione, l'autore propose una lettura dell'anarchismo come "ancorato ad una rigidità concettuale e propositiva maturata per la maggior parte nei secoli XVIII e XIX". Per lui, poter discutere in profondità della questione del potere avrebbe avuto il significato di un rilevante rinnovamento della teoria dell'anarchismo.


Il problema semantico nel dibattito sul potere

All'epoca Ibáñez sottolineava come "la polisemia del termine 'potere' e l'ampio spettro di significati possibili portasse ad un dialogo tra sordi". Per lui, nel dibattito sul potere, i discorsi tendevano a sovrapporsi senza articolarsi l'un l'altro. E questo succedeva perché "venivano affrontati in profondità oggetti differenti, all'interno della confusione indotta dal ricorso ad un altro termine comune: "forza". E quindi occorreva "una nostra definizione del termine "potere", prima di dare inizio a qualsiasi discussione". Nonostante tali sforzi, l'autore non riteneva possibile giungere ad una definizione "asettica" della parola "potere", dal momento che essa è pregna di significati, analizzabili da un preciso punto di vista, e quindi irriducibile ad una definizione "neutra".

Il potere in tripla definizione

Il primo elemento per iniziare un dibattito sulla definizione di "potere" è quello, all'interno di una prospettiva libertaria, per cui esso non può essere considerato solo in una accezione negativa: "in termini di negazione/diniego, esclusione, rifiuto, opposizione, contraddizione". Per Ibáñez, il potere può essere definito a partire da 3 interpretazioni: 1) in quanto capacità, 2) in quanto asimmetria nelle relazioni personali, e 3) in quanto strutture e meccanismi di regolazione e controllo. Seguiamo lo stesso Ibáñez nella definizione di potere in base a questi 3 significati. 1. Potere in quanto capacità
"In uno dei suoi sensi e probabilmente quello più generale e diacronicamente primo, il termine "potere" agisce come equivalente dell'espressione 'capacità di', vale a dire come sinonimo di tutti gli effetti di cui è causa diretta o indiretta un agente dato, animato o inanimato. E' interessante che, fin dall'inizio, il potere viene definito in termini relazionali, fino al punto che perchè un elemento possa produrre od inibire un effetto, è necessario stabilire una interazione."
Pensato in questo senso, il potere potrebbe essere concepito come 'avere il potere di' oppure 'avere il potere per', la capacità di realizzazione di una forza potenziale che potrebbe applicarsi in una relazione sociale. In questo modo le relazioni sociali vengono poste come premessa alla definizione di potere. Cioè, interazione tra agenti sociali.
2. Potere come asimmetria nella relazioni di potere
"In un secondo senso il termine 'potere' si riferisce ad un certo tipo di relazione tra agenti sociali, ed è quello che ora viene usato per caratterizzarsi quale capacità asimmetrica o disuguale attribuita agli agenti nel loro causare effetti nella polarità di una relazione data."
Benché ancora legato al significato di potere in quanto capacità, questo ulteriore significato ci permette di pensare alle asimmetrie delle differenti forze sociali che si incontrano in una particolare relazione sociale. Queste forze, sempre asimmetriche e disuguali, una volta poste in condizione di interazione/relazione, forgiano gli effetti su uno o molteplici poli, dal momento che ognuna di esse possiede una forza distinta e, perciò, una distinta capacità. Di nuovo, si afferma il potere come relazione sociale tra agenti sociali, ognuno dei quali ha una capacità distinta di causare effetti sugli altri.
3. Potere come strutture e meccanismi di regolazione e controllo
"In un terzo significato, il termine 'potere' si riferisce alle macro-strutture sociali ed ai macro-meccanismi di regolazione e di controllo sociale. In questo senso, si parla di "strumenti" o di "dispositivi' del potere, di 'centri' o di 'strutture' del potere, ecc."
Concepito in questo modo il potere andrebbe a costituire il "sistema" di una società data, per quanto concerne le sue strutture ed i suoi meccanismi di regolazione e controllo. Sarebbe il corpo delle regole di una società data, che comprende tanto il processo decisionale per il suo assetto e per definirne il controllo, quanto l'applicazione fattuale di tale controllo. Una strutturazione della società che rende necessarie le funzioni deliberative ed esecutive.

Quali sono le possibilità per una società senza potere?

A partire da queste tre interpretazioni, si può affermare che "parlare di una società 'senza potere' costituisce un'aberrazione, se ci si pone dal punto di vista del potere/capacità (chi vorrebbe una società che non potrebbe fare niente?), o se ci si pone al livello delle relazioni asimettriche (come pensare ad interazioni sociali senza effetti asimmetrici?), o ancora ponendoci dal punto di vista del potere in quanto meccanismi e strutture di regolazione macro-sociale (che sistema sarebbe quello i cui elementi non siano 'forzati" dal corpo delle relazioni che definiscono esattamente il sistema stesso?)". Non c'è nessuna società senza agenti sociali con capacità, e non c'è nessuna società in cui tutte le relazioni sociali siano simmetriche - cioè una società in cui tutti gli agenti sociali abbiano la stessa capacità di causare effetti sugli altri, in tutte le relazioni sociali - oppure una società senza strutture e meccanismi di controllo e regolazione. Tutto questo ci trova d'accordo con Ibáñez in relazione all'assurdo che ne deriva, tenendo conto delle definizioni presentate dall'autore, da espressioni quali società senza potere, lottare contro il potere, oppure mettere fine o distruggere il potere.
Ibáñez crede che "le relazioni di potere siano intimamente collegate al fatto sociale in sé, ne sono inerenti, lo impregnano, lo contengono, nello stesso istante in cui provengono da esso". Quando ci occupiamo di qualsiasi aspetto del cosiddetto contesto sociale, si può affermare che in esso esistono interazioni tra diversi elementi che costituiscono un sistema dato. Per l'autore, oltre a ciò, "ci sono inevitabilmente certi effetti del potere del sistema sui suoi elementi, esattamente come ci sono anche effetti del potere tra gli elementi del sistema". Cioè, il potere permea tanto le relazioni tra gli elementi quanto le relazioni tra il sistema ed i suoi elementi.
Concepire una società senza potere significa, per l'autore, credere alla possibilità dell'esistenza di una "società senza relazioni sociali, senza regole sociali e senza processi decisionali sociali". Cioè, sarebbe come concepire "l'impensabile".

Una concezione libertaria del potere

Tali argomentazioni consentono di poter affermare che "può esistere una concezione libertaria del potere ed è falso che tale concezione debba fondarsi sulla negazione/diniego del potere". Negare questo fatto implicherebbe necessariamente una difficoltà sia in termini di analisi della realtà, sia in termini di elaborazione di una strategia. "Finché questo non sarà pienamente assunto dal pensiero libertario,", sottolinea Ibáñez, "questo non avrà la capacità di dare inizio all'analisi ed alle azioni che gli consentono di avere forza nella realtà sociale". Ciò che egli sostiene ha senso se noi guardiamo alla storia dell'anarchismo o anche a quella che è stata chiamata "area libertaria". Andando oltre le asserzioni semantiche - che molto spesso hanno dato e ancora danno alla parola 'potere' il significato di Stato - appare chiaro che il "pensiero libertario" non ha mai negato né la capacità degli agenti sociali, né le asimmetrie nelle relazioni di potere e nemmeno le strutture ed i meccanismi di regolazione e controllo.
Ecco un esempio che è significativamente comune nella tradizione libertaria. Considerando le relazioni asimmetriche di classe nella società capitalista e, basandosi sull'idea delle capacità della classe lavoratrice, i libertari cercano di promuovere una rivoluzione sociale in cui si abbatte la forza della classe dominante e si costituisce un sistema di regolazione e controllo fondato sull'autogestione e sul federalismo. Anche in questo generico esempio, si può affermare che la classe dominante viene rimossa dalla sua condizione di dominio per aprire la strada ad una struttura libertaria, anche nella futura società. questa relazione di potere tra la classe dominante separata dal dominio e la classe lavoratrice va a costituire una relazione asimmetrica.
In questo senso è possibile assumere che nei fatti, storicamente, c'è una concezione libertaria del potere la quale -benchè non sia stata dibattuta con sufficiente profondità e sia stata complicata da una serie di fattori- contiene elementi rilevanti per questo dibattito che ora si va ad aprire.

Dominazione come tipo di potere

Quando i libertari affrontano il discorso contro il potere, dice Ibáñez, essi usano il "termine 'potere' per riferirsi nei fatti ad un 'certo tipo di relazione di potere', cioè, molto concretamente, a quel tipo di potere che si rileva nelle 'relazioni di dominazione', nelle 'strutture del dominio', nei 'dispositivi del dominio', o negli 'strumenti della dominazione' ecc. (siano queste relazioni di natura coercitiva, manipolativa o di altra natura)." Perciò, per lui, la dominazione è un tipo di relazioni di potere, ma non si può definire la dominazione come potere, dal momento che si tratta di categoria distinte. Per l'autore, non si possono comprendere all'interno delle relazioni di dominio "le relazioni che collegano la libertà dell'individuo a quella dei gruppi". Cioè, non si possono incorporare le relazioni libertarie nella categoria di dominio. Ma questo appare alquanto ovvio. Ciò che invece non è ovvio, infatti, è che quando si fanno equivalere potere e dominio, si assume il potere come termine opposto alla libertà. Un'affermazione che l'autore non condivide. "La libertà ed il potere non si trovano realmente in una situazione di relazione tra semplici opposti." E: "il potere e la libertà si ritrovano così in una inestricabile e complessa relazione di antagonismo/possibilità". Così concepito, il potere potrebbe essere in contraddizione con la libertà, ma potrebbe anche potenziarne la sua realizzazione. Sarebbe, infatti, il tipo di potere che determinerebbe questa relazione con la libertà. Così, Ibáñez ritiene che "i libertari si collochino, in realtà, contro i sistemi sociali basati sulle relazioni di dominio (nel senso stretto).' Abbasso il potere!' è uno slogan che dovrebbe scomparire dal lessico libertario per essere sostituita con 'Abbasso le relazioni di dominazione'. Ma su questo punto è necessario cercare di definire le condizioni che rendono possibile una società siffatta".

Contro la dominazione e per un potere politico libertario

Si può dire, sulla base di queste argomentazioni strutturale, che "i libertari non sono contro il potere, ma contro un certo tipo di potere", e nella loro strategia cercano di porsi come "costruttori di una varietà del potere, che sia utile (ed appropriato) per noi definire ora come 'potere libertario', o, più precisamente come: 'potere politico libertario'". Questo comporterebbe che i libertari difendano un modello (libertario) di lavoro fatto di strumenti, dispositivi e relazioni di potere.
* Tomás Ibáñez. "Per un potere politico libertario: considerazioni epistemologiche e strategiche". Articolo originariamente pubblicato nel 1983 nella rivista italiana Volontà. Per le citazioni ho usato una traduzioni dal portoghese di Miguel Serras Pereira, per una pubblicazione portoghese degli anni '80. L'articolo si trova anche nella raccolta nota come Actualidad del Anarquismo, pubblicata da Aarres Books, Buenos Aires nel 2007. [note del traduttore inglese: le citazioni sono di conseguenza tradotte dal portoghese all'inglese e non dall'italiano, cosa che potrebbe dare luogo a qualche leggera discrepanza].
Traduzione in inglese: Jonathan Payn (ZACF)
Traduzione in italiano a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.

Nota dei redattori del sito Estratégia e Análise
Felipe Corrêa è un lavoratore intellettuale nel vero senso del termine. Egli infatti lavora come redattore ed è un militante, studia a livello professionale e dedica la sua vita alla diffusione ed al radicamento di idee che conducano la maggioranza ad ampliare ed a garantire i propri diritti nella pienezza della loro realizzazione. Questo sito ha ricevuto il testo di Felipe con grande piacere ed incommensurabile soddisfazione, perché capiamo la rilevanza di queste parole che incontrano la nostra vocazione alla diffusione scientifica e contribuiscono alla scienze umane prodotte allo scopo di liberarci dai mali oscuri della dominazione mondiale che usurpano e inibiscono il potenziale della nostra liberazione. In questo modo ritorniamo ad uno dei nostri scopi permanenti, quello della diffusione popolare di dibattiti di alto livello politico nati dalla matrice del pensiero libertario.


Link esterno: http://www.estrategiaeanalise.com.br

#1 Sanità: la solidarietà non ha prezzo
















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In questo ultimo decennio, i sostenitori del neo-liberismo ci hanno riempito la testa sul “senso benefico” delle politiche di privatizzazione dei servizi sociali pubblici essenziali. In questa direzione sono andati tutti i tagli dei finanziamenti nei settori della sanità, della ricerca e della scuola, a favore di quelli privati, messi a bilancio dai diversi governi di centro-destra e centro-sinistra, tutti allineati ai diktat dello sviluppo neo-liberista.
L'emergenza, che la diffusione del virus Covid-19 ci ha imposto, mette a nudo i disastri del neo-liberismo, in particolare nel settore sanitario che è entrato, in questi tragici giorni, visibilmente in sofferenza. Lo stesso Noam Chomsky in una recente intervista al Manifesto dichiara che: «L’assalto neoliberista ha lasciato gli ospedali impreparati. Un esempio per tutti: sono stati tagliati i posti letto in nome dell’efficienza».
Non è un caso che tra gli obiettivi di contenimento del numero dei contagi ci sia stato quello di evitare un collasso del sistema sanitario nazionale (SSN) che ha visibilmente manifestato molte criticità (numero insufficienti di posti letto in terapia intensiva, mancanza di respiratori polmonari, ecc.).
Ma vediamo di fare il punto dello stato di “salute” del nostro complesso sanitario, settore strategico per garantire la sicurezza sociale, attraverso alcuni dati a noi disponibili.
Secondo il rapporto dell'Osservatorio GIMBE n.7/2019 sul de-finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, “nel decennio 2010-2019 tra tagli e de-finanziamenti al SSN sono stati sottratti circa € 37 miliardi”. Il Def 2019 ha ridotto progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022. Secondo i dati OCSE aggiornati al luglio 2019, l’Italia si posiziona sotto la media Ocse, sia per la spesa sanitaria totale pro capite ($3.428 vs $ 3.980), sia per quella pubblica pro-capite ($ 2.545 vs $3.038). Nel periodo 2009-2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica si è attestato al 10%, rispetto a una media OCSE del 37%.
Tra i paesi del G7 le differenze assolute sulla spesa pubblica sono ormai incolmabili: ad esempio, se nel 2009 la Germania investiva pro capite $ 1.167 (+50,6%) in più dell’Italia, nel 2018 la differenza è di $ 2.511 (+97,7%). Secondo lo studio Anao-Assomed del 4 febbraio 2020, il numero degli istituti di cura è passato da 1.165 (2010) ai 1.000 del 2017 (-14%) e il numero dei posti letto da 245.000 (2010) ai circa 210.000 del 2017. L’ISTAT ha stimato che il gap occupazionale con l’UE ammonta a quasi 1,5 milioni di addetti nel settore della sanità e dell’assistenza sociale.
Al calo del finanziamento pubblico è corrisposto un aumento del sostegno alla spesa sanitaria privata, soprattutto nelle regioni del Nord. In Lombardia su un totale di spesa sanitaria complessiva di 22,5 miliardi di euro, ben 7 miliardi vanno alla sanità privata (31,1%). I posti letto dei nosocomi privati rappresentano circa il 22% del totale. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca l’Emilia-Romagna.
Come abbiamo potuto riscontare in questa fase acuta della diffusione del virus, gli esiti nefasti del processo di delocalizzazione che ha interessato anche l’industria biomedicale hanno prodotto scarsità e difficoltà nel reperimento di alcuni strumenti di fondamentale importanza come i respiratori polmonari e le mascherine, solo per citarne alcuni.
Questi dati ci danno la misura della riduzione delle risorse pubbliche che sono l'effetto delle politiche di austerità imposte con la crisi del 2008, ma che sono anche la conseguenza delle spinte alla privatizzazione e alla mercificazione della salute, dell'istruzione, della ricerca, della cultura e dell'ambiente, affermatesi a partire dagli anni ottanta e conosciute come “rivoluzione neoliberista”.
La storia del nostro SSN, che viene istituito con la legge n. 833 del 23 dicembre 1978, si amalgama con la trama delle lotte che presero avvio negli anni sessanta e che continuarono per tutti gli anni settanta. Una sinergia politica e culturale, tra conquiste operaie, rivendicazioni e mobilitazioni dei movimenti studentesco e femminista, che si affermò, attraverso una forte pressione dal basso e pratiche partecipative inedite, con lo scopo di riformulare in termini universalistici l'accesso ai servizi pubblici.
In questo momento tragico, segnato dalla diffusione della pandemia di Covid-19, ciò a cui assistiamo è l'emergere di due mondi separati e contrapposti: da una parte l'avidità di chi specula sulla pelle dei lavoratori e delle fasce sociali meno protette, di cui le attuali difficoltà del nostro sistema sanitario sono figlie; dall'altra la solidarietà diffusa, dove il ruolo di primi attori, ancora una volta, ce l'hanno tutti quei lavoratori, da quelli sanitari a quelli che garantiscono il primo approvvigionamento, che hanno messo in gioco la propria vita per garantire quella degli altri. A questa seconda metà vanno poi inserite la figura del medico di base, che responsabile della cura della persona, rappresenta il primo passo dell’accesso del cittadino al sistema sanitario e tutti quegli operatori del mondo della cooperazione sociale, del volontariato e dell’assistenza domiciliare che oggi sono lasciati nella totale solitudine ad affrontare questa emergenza sanitaria.
I tentativi di distruggere il nostro sistema sanitario nazionale non si manifesta solo con i tagli dei finanziamenti o mettendo a disposizione del settore privato pezzi di questo, significa distruggere quel senso di solidarietà che sta alla base di quel progetto di trasformazione sociale che ha preso avvio da quando l'ingiustizia e le diseguaglianze sono diventate i fondamenti del nostro vivere comune.
Fermare tutto questo dipenderà solo da noi, dalle nostre scelte politiche e sociali, dalla nostra capacità di re-immaginare i nessi tra libertà ed eguaglianza in ogni spazio quotidiano.
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Iniziativa Libertaria - Pordenone

#4 Contro i Virus del Capitalismo, per l'Ecologia Sociale
























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La situazione attuale caratterizzata da questa nuova pandemia mette definitivamente a nudo le responsabilità e l'insostenibilità del sistema dominante di produrre, consumare e governare la società umana e il pianeta: capitalismo consumistico e finanziario da una parte e democrazie e totalitarismi più o meno spinti dall'altra, in una stretta relazione che vede le seconde sempre più a servizio delle prime.
Cambiamenti climatici, distruzione degli ecosistemi per lasciare spazio a coltivazioni ed allevamenti intensivi, inquinamento di aria, acqua e suolo, desertificazione, consumo di risorse e produzione di rifiuti oltre la capacità di carico della terra, fame nei paesi poveri e malnutrizione nei paesi ricchi, sfruttamento, disoccupazione, impoverimento e diseguaglianze sociali che interessano fasce sempre più ampie di popolazione, sono la diretta conseguenze di un sistema economico orientato alla perenne ricerca di profitto, in una logica di crescita infinita dei consumi, e di azioni di governo che curano gli interessi di pochi capitalisti, spesso organizzati in società multinazionali a scapito dei cittadini e dell'ambiente in cui vivono.
Anche in riferimento alla pandemia che stiamo vivendo, è ormai da tempo dimostrata la stretta relazione tra la distruzione degli habitat naturali, dovuti all'indiscriminata espansione antropocentrica, per scopi agricoli, industriali ed urbani, e la diffusione di nuovi virus caratterizzati dal cosiddetto “spillover” o salto di specie, conseguenza di un contatto sempre più stretto con una fauna selvatica a cui sono stati tolti i propri spazi di sopravvivenza. L'epidemia di SARS del 2003 ne era già esempio.
La distruzione delle foreste pluviali, come quella Amazzonica, che da sola ospita il 10% delle specie animali esistenti e molte ancora sconosciute, per lasciare spazio alle monocolture di mais e soia, o la cattura e l'allevamento di animali selvatici da vendere vivi nei mercati in alcune zone della Cina, per soddisfare le credenze e il palato di un ceto benestante in forte espansione, sono solo due degli infiniti casi che recentemente hanno trovato l'attenzione dei media.
Inoltre, come dimostrano i report annuali di Lancet Countdown, un gruppo di ricerca interdisciplinare formato da oltre 120 ricercatori provenienti da tutti i continenti e il cui lavoro è coadiuvato da 35 tra università, enti di ricerca e agenzie delle Nazioni Unite, i cambiamenti climatici in atto, oltre alle note e gravi conseguenze ambientali e sociali condizioneranno pesantemente anche lo stato di salute degli esseri umani.
L'innalzamento della temperatura favorirà la diffusione di malattie infettive e microrganismi e aumenteranno i morti per esposizione a polveri sottili dovute all'inquinamento atmosferico, come riportato anche in uno studio redatto dall'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) che vede l’Italia, con 14.600 decessi, in prima posizione per morti precoci da biossido di azoto e seconda, con 58.000 decessi, per quelli causati dall’eccesso di particolato.
Queste non sono scoperte dell'ultimo minuto, e anche per il COVID-19, la comparsa di una nuova infezione su scala planetaria era già stata prevista da più studi scientifici a livello internazionale; già più di un anno fa alcuni scienziati cinesi lo ipotizzarono mettendo in rapporto le epidemie zoonotiche avvenute negli ultimi decenni e le cause da cui derivarono; nel 2018 un gruppo di ricerca dell'OMS avvisò dello sviluppo di una malattia X con le caratteristiche della pandemia in corso e il CSIS (Center for strategical and international studies) con sede a Washington, l'ottobre scorso, informò il governo statunitense del pericolo imminente, ricostruendone perfino una simulazione.
Ma, nonostante i ripetuti avvertimenti, i governi non hanno preso alcun provvedimento preventivo, men che meno in Italia, dove il sistema sanitario, smantellato dai tagli delle politiche neoliberiste, era già praticamente ridotto all'osso.
Eppure i piani pandemici erano stati redatti da tempo e prevedevano una lunga serie di interventi, tra i quali il monitoraggio delle strutture sanitarie a garanzia dell'accessibilità alle cure. Tuttavia le uniche misure adottate, in sostanza, hanno riguardato l'isolamento sociale (escluse le fabbriche del nord dove i lavoratori sono stati vergognosamente sacrificati al capitale con le conseguenze viste in Lombardia), e il conseguente stato di polizia, che rischia di fare da anticamera a derive autoritarie ed ad una gestione militarizzata della società, in un perpetuo stato di emergenza, vero o presunto che sia.
Comunque, i provvedimenti riguardanti la salute dei cittadini e la tutela dell'ambiente restano disattesi in ogni ambito. Sui luoghi di lavoro dove incidenti mortali, infortuni e malattie professionali continuano ad aumentare nonostante la normativa sulla sicurezza, che dopo decenni si dimostra un completo fallimento; nelle aree urbane ed industriali, abitate da più del 50% della popolazione mondiale, con picchi del 70-80% negli USA ed in Europa, condannata a vivere in un ambiente estremamente inquinato, contro il quale non viene presa alcuna misura che abbia un'efficacia strutturale e, tanto per restare in Italia, i drammatici rapporti annuali dell'ISPRA entrano i conflitto con gli accomodanti controlli effettuati dell'Arpa.
Stesso discorso per le aree rurali, con una agricoltura ad alto uso di concimi e pesticidi che, oltre ad inquinare le falde acquifere e desertificare il suolo, opera sempre più a ridosso delle aree abitate, vedi l'esempio del prosecco nel Veneto o delle mele in Trentino; anche nell'ambito agroalimentare, in mano a poche e potenti multinazionali, il cibo è trattato alla stregua di una merce, soggetta a logiche produttivistiche, consumistiche e speculative, a scapito della qualità e salubrità degli alimenti e in assenza di alcun programma di educazione alimentare. Per cui ciò che dovrebbe essere un diritto universale è trasformato in una delle maggiori fonti di profitto per pochi, con la complicità delle istituzioni. Come nel caso dell'EFSA, l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, che per le sue valutazioni utilizza i dati forniti dalle multinazionali stesse.
In merito alle periodiche Conferenze sul clima, le cosiddette COP n°, dal Protocollo di Kyoto del 1997 in poi sono risultate una serie di costosi, ipocriti ed inconcludenti congressi, come dimostra l'ultimo fallimento della COP25 di Madrid, in cui, sotto la pressione delle lobbies economiche, gli Stati non hanno trovato gli accordi sul mercato del carbonio.
Ma le gravi conseguenze ambientali dell'attuale modello di sviluppo, sono ormai innegabili e da tempo viene sostenuta da più parti la necessità di una conversione ecologica dell'economia. Le associazioni ambientaliste “istituzionali” (Legambiente, WWF, ecc.) lo propongono da decenni e il problema è stato riconosciuto ufficialmente a livello internazionale con la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, nel giugno 2012. 
Tuttavia, dagli indirizzi che governi e istituzioni hanno impartito alla cosiddetta “green economy,” risulta chiaro che non si tratta di una soluzione, ma di un intervento di politica neoliberale, interno al capitalismo, come risposta alla crisi finanziaria, con la generazione di nuovi mercati, che andrà a beneficio degli stessi che hanno generato il problema. 
Infatti lo sviluppo di tale economia è assegnato alle istituzioni finanziarie e al capitale privato che, in un ottica di mercificazione del capitale naturale e spartizione delle quote del carbonio, lascia in mano al mercato globalizzato il compito di realizzare la neorivoluzione verde. Questo, con la complicità di governi più o meno democratici e più o meno corrotti, incrementerà la privatizzazione di beni comuni come terra, acqua, cibo, risorse energetiche ed ambientali, seppellendo definitivamente i diritti umani ed ambientali dei popoli. 
La ”green economy” non può essere una soluzione perché non mette in discussione il modello economico dominante basato su un’irrazionale produzione di merci, conseguenza dell'idolatrata crescita economica infinita del capitalismo, assunta a dogma unico da ogni governo sulla terra.
Siamo tornati, dunque al punto di partenza.
Ora come non mai, è evidente che le crisi ambientali, economiche, sociali e politiche che imperversano sull'intero pianeta, sono in strettissima relazione tra loro e hanno un bisogno urgente di essere risolte. Ma non possiamo più fidarci di chi ha generato il problema, sarebbe come chiedere alla volpe di proteggere il pollaio.
Non possiamo chiederlo alle istituzioni ipocritamente democratiche o più o meno totalitarie che fanno gli interessi di un capitalismo sempre più predatorio di risorse ambientali ed umane. 
Non possiamo delegarlo ai sindacati di Stato, che da decenni perseguono istanze concertative del tutto favorevoli agli interessi dei padroni capitalisti, a scapito dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, delle condizioni di vita sui luoghi di lavoro e della tutela dell'ambiente.
Non possiamo nemmeno fidarci dell'ambientalismo istituzionale, incline da tempo a mediare le proprie istanze al fine di ottenere delle corsie preferenziali di finanziamento pubblico e delle poltrone negli apparati politico/istituzionali, non mettendo in discussione il sistema capitalista ma promuovendo una green economy ipocrita ed irrealizzabile.
Ora, in merito all'attuale crisi sanitaria globale dilaga il motto che “andrà tutto bene e tutto tornerà come prima”. Ebbene questa è l'ennesima balla che ci stanno raccontando per predisporci ad accettare le inevitabili conseguenze sociali ed economiche che peseranno ancora una volta su noi tutte e tutti, sulle classi più deboli e sullo sfruttamento dell'ambiente che dovrà essere sacrificato all'altare della ripresa economica.
Come nulla sarà come prima, diverse dovranno essere anche le nostre risposte, con lotte e rivendicazioni ancora più incisive e capillari, in ogni quartiere, su ogni territorio e nei luoghi di lavoro.
Dovranno essere diverse anche nelle modalità, organizzandole dal basso, rifiutando il verticismo gerarchico e la delega, in forme autogestite, con la creazione di reti di mutuo appoggio.
Diverse anche nei principi, riconoscendo una volta per tutte che la difesa dell'ambiente non si può disgiungere dalla lotta per una società equa e solidale e viceversa. 
L'ambientalismo è lotta di classe, degli e delle sfruttat* contro gli sfruttatori e le sfruttatrici. L'Ecologia Sociale dovrà essere il nostro principio ispiratore, contro il capitalismo e la falsa democrazia, per un mondo in cui dovrà sparire ogni forma di dominio: dell'uomo sull'uomo, dell’uomo sulla donna e dell'uomo/donna sulla natura.
Iniziativa Libertaria - Pordenone

#6 FILANTROPIA CAPITALISTA E BENEFICENZA GOVERNATIVA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

















Fare Del Bene Per Nascondere Il Male

Tra i fenomeni a cui stiamo assistendo in questi mesi di emergenza pandemica c’è anche un ricco parterre di “donazioni” di paesi “amici”, una sorta di gara a chi arriva prima nel dimostrare solidarietà con forniture mediche e paramediche, o di stanziamento di fondi di maggiore o minore entità. A volte sono governi altre volte imprese, più propriamente multinazionali, e, cercando di vederci meglio, più spesso è un misto mare con passaggi di mano dove privati, con il supporto di fondazioni o banche fanno passare le donazioni tramite canali istituzionali.
Un esempio lo abbiamo a inizio emergenza quando, in ritardo di un mese, il governo italiano decide di istituire la prima crisi epidemica con tanto di primo DPCM, e subito arrivano le prime donazioni da parte del governo cinese. Agenzie come ANSA, Adnkronos e varie testate giornalistiche, praticamente quasi tutti i quotidiani, ne danno notizia in modo semplicistico: un carico consistente di mascherine e di attrezzatura medica è stato donato dalla Cina con tanto di equipe medica in supporto ai nostri sanitari.
A raccontare con maggiore chiarezza di cosa si tratta ci pensa però Milano Finanza, spiegando come è stato in realtà Class Editori (che edita tra gli altri proprio Mf e Italia Oggi) a far scattare l’operazione facendo da collante tra “Farnesina, Protezione Civile, Intesa Sanpaolo, il professor Ricciardi e l’ambasciata a Pechino che ha cercato subito fornitori per acquistare 1.000 macchine per la respirazione artificiale perché era noto che c’erano stock disponibili nel Paese asiatico. Un numero comunque inferiore a quanto previsto dal gruppo bancario che ha stanziato fondi per almeno 2.500 ventilatori polmonari”.
L’unica altra testata che si occupa di rilanciare la notizia è Il Foglio di Giuliano Ferrara, e lo fa rimarcando altri aspetti tra cui un’altra donazione e cioè quella che scatta dopo “pochi giorni dalla sottoscrizione del “Patto di amicizia” tra Como e la città di Liyang”, dove “il sindaco Xu Huaqin ha inviato all’omologo italiano Mario Landriscina e ai cittadini di Como un primo stock di duemila mascherine protettive uguali a quelle usate a Wuhan”. 
Dopo questo primo “regalo”, vanno però aggiunte 30mila tute, 100mila mascherine e 50mila tamponi che rientrano nell’accordo siglato da Di Maio e da Wang Yi, ovvero l’anticipo di un grande acquisto da parte dell’Italia di materiale inutilizzato da Pechino per gestire l’emergenza coronavirus. Il ministro degli Esteri cinese assicura che il suo governo ha chiesto alle aziende di esportare in totale nel nostro Paese 2 milioni di mascherine mediche ordinarie. Pagando s’intende.
Appare evidente che si tratta di marketing, per quanto umanitario, per le successive commesse e su cui la Cina ad oggi investirà per prima creando tra i più grossi business in tempo di coronavirus.
Queste donazioni poi si sono diversificate, alcune effettivamente come aiuti diretti del governo cinese, altre come donazioni da parte di ricchi imprenditori cinesi di famosi brand asiatici. Tra questi il miliardario cinese e la Fondazione Alibaba hanno donato 1 milione di mascherine e 100mila tamponi per contrastare l’emergenza sanitaria Covid-19 già a fine marzo, ma lo stesso han fatto per Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti, Spagna e Belgio. 
Per portare il materiale in Europa Jack Ma ha sfruttato l'hub Alibaba nell'aeroporto di Liegi. Il Belgio è stato infatti il primo Paese del Continente ad aderire alla Electronic World Trade Platform (eWTP), la piattaforma e-commerce globale lanciata nel 2016 in occasione del G20 ospitato dalla Cina, così nell'ambito dell'accordo con Bruxelles Alibaba ha preso in concessione un'area di 220 mila metri quadri nell'aeroporto di Liegi, con un investimento iniziale di 75 milioni di euro.
Oggi la Cina è la seconda economia per Pil e ricchezza (ben 12 trilioni di dollari) dopo gli Stati Uniti; nel 1979 Pechino promulgò la prima legge sulle joint venture sino-straniere, emanando per la prima volta articoli di diritto societario. Si daranno incentivi ai contadini per produrre di più svincolandosi dai prodotti statali e dalla separazione tra gestione e proprietà delle aziende di Stato. 
Per la prima volta e già da alcuni anni il numero di miliardari cinesi diventa più importante di quello americano (568 vs 535) e Pechino supera New York per numero di miliardari residenti.
Se prima si poteva azzardare, comunque in modo scorretto, a chiamarla secondo la definizione che fu di Lenin un paese a "capitalismo di stato", oggi si tratta di capitalismo di mercato in un regime di fatto. Su cosa significhi “regime” oggi invitiamo a leggere l’articolo di Byung-Chul Han, filosofo sud-coreano, “L’emergenza virale e il mondo di domani*”, in cui viene descritto il livello ormai distopico raggiunto attraverso una forma di totalitarismo tecnologico sugli individui.
Il fatto che grandi imprese e governo cinese siano spesso una sorta di doppia faccia della stessa medaglia non può stupire, il turbocapitalismo cinese è ormai un consolidato esempio di come il capitalismo non solo non disdegni regimi autoritari ma semmai possa goderne maggiormente, alla faccia dei teorici del connubio democrazia/capitalismo come vincolo indissolubile. D’altra parte a raccontarcelo c’hanno pensato da almeno 70 anni gli USA, i cosiddetti paladini del liberalismo, “esportatori di libertà e democrazia nel mondo”.
Migliaia di atti desecretati dallo stesso governo Stelle & Strisce hanno confermato il coinvolgimento americano come finanziatore, spesso occulto a volte palese, di golpe militari, guerre sotto traccia per destabilizzare aree e stati, guerre unilaterali con motivazioni false e strumentali per scopi geopolitici ed economici, sostegno a regimi e dittatori o democrature che garantissero agli States agevolazioni o immunità in politica estera.
Il Cile di Pinochet, col suo portato di omicidi e sparizioni di massa per tenere in pugno il paese e allo stesso tempo l’avvio di politiche liberiste sul piano economico, con tanto di sostegno diretto degli USA, è uno dei tanti esempi di come capitalismo e regime autoritario possano convivere amabilmente.
Marketing governativo tra ricatti e riposizionamenti globali
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Un altro esempio di questa filantropia governativa da Covid-19 l’abbiamo avuta dal Venezuela, dagli Emirati Arabi, dagli stessi USA, da Cuba, persino dall’Albania, dalla Germania ecc.
Certamente non è possibile equiparare gli aiuti di alcuni governi con altri, sia per ragioni politiche sia per entità degli stessi.
Fa però specie constatare come molti di questi Stati siano pienamente in linea con la politica della doppia faccia, mentre internamente inaspriscono le misure neoliberiste e autoritarie, peggiorando in molti casi le già gravi carenze sanitarie e sociali dei propri paesi, si mettano poi in gara con queste forme di pelosa solidarietà. 
Si pensi al disastro economico e sociale che la “finanza creativa” prima di Chavez e poi di Maduro hanno arrecato alle proprie popolazioni in Venezuela, favorendo multinazionali cinesi e russe, giocando con le royalties del petrolio e facendo venire la bava alla bocca al governo statunitense per la possibilità di rimettere al comando i propri “amici”.
O agli Emirati Arabi Uniti, considerati uno dei maggiori paradisi fiscali, monarchia assoluta dove Dubai “la disneyland” del deserto rappresenta un vero e proprio ecocidio!
Situata nel deserto e senz'acqua, ne consuma in maniera spropositata. L’acqua a Dubai costa più del petrolio, viene presa dal mare, desalinizzata con un enorme uso di energia e di emissioni di C02 e utilizzata non solo per bere ma per innaffiare il deserto, per alimentare uno dei campi da golf più grandi al mondo, il Tiger Woods Gold Course, che ha bisogno di circa 16 milioni di litri di acqua al giorno. E mentre il livello di oppressione civile è piuttosto alto ambasciatori degli Emirati non si sottraggono a partecipare ai primati in questa gara umanitaria pandemica, si leggono infatti dichiarazioni quali: “Gli Emirati si basano sui concetti di fratellanza, solidarietà e coesione umana senza condizioni e limiti” [...] “Ad esempio, gli Emirati Arabi Uniti sono il primo paese al mondo nelle donazioni umanitarie rispetto al prodotto interno lordo (Pil)”.
Le politiche di governi, come l’Italia, generosa anch’essa verso altri Stati colpiti dall’epidemia, che siano inseriti nell’Occidente liberale o nel novero dei neo socialismi nazionali, che caldeggino ambizioni sovraniste o iper liberiste, mostrano chiaramente la discrepanza tra le contraddizioni interne (privatizzazioni della sanità, smantellamento del welfare, controllo poliziesco e accanimento verso minoranze e dissidenti) e l'ipocrita generosità internazionale. Una diplomazia caritatevole a cui non dovremmo abboccare.

La carità dei padroni: come cancellare l’orizzonte oltre il capitalismo!
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Se per i governi il gioco riguarda crediti e interessi tra diplomazia e possibili nuove alleanze sul piano delle relazioni globali e consenso sul piano interno per le contese elettoralistiche o di condiscendenza da parte dei propri cittadini, diversa è la storia e il ruolo che le grandi imprese giocano in questo ruolo di filantropia stucchevole.
Va precisato però, e qui si rimanda alla prima parte, che tra le società, comprese quelle italiane, che sfruttano il sistema fiscale per eludere le tasse, come quello olandese, ci sono anche aziende controllate dallo Stato.
Si è calcolato che le norme europee che aiutano le politiche pro-elusione di Cipro, Malta, Olanda, Lussemburgo e Irlanda arrechino un danno da 35 miliardi l’anno alle quattro maggiori economie Ue, la sola Italia ne perde 6,5 miliardi all’anno. Una cifra che se reinvestita nel bilancio sanitario, avrebbe potuto portare a una riduzione fino al 18% della spesa medica pagata di tasca propria delle famiglie italiane al netto delle detrazioni.
Perché l’industria nazionale di elusione fiscale se ne intende; sì, proprio quella grande industria quotata in Borsa che fa la felicità degli azionisti (meno tasse, più utili, più dividendi). 
Perché tra le 15mila società più o meno di comodo create in terra olandese ci sono ad esempio la Exor, la finanziaria di casa Agnelli, la Fiat Chrysler Automobiles N.V. o più semplicemente FCA per restare in “famiglia”, la Ferrari già scorporata da FCA e dal 2015 quotata a Wall Street, l’Eni International B.V., una delle più importanti consociate della multinazionale italiana controllata dallo Stato tramite ministero dell’Economia e della Cassa Depositi e Prestiti, la SAIPEM la società di servizi petroliferi controllata al 30% dal cane a sei zampe, l’Enel Finance International N.V. (EFI), la sussidiaria di Enel S.p.A. che gestisce i servizi finanziari del gruppo, la CEMENTIR il colosso del costruttore ed editore romano Francesco Gaetano Caltagirone con una presenza diffusa in 18 Paesi, oltre 13 milioni di tonnellate di cemento prodotte ogni anno che si aggiungono a 10 milioni di tonnellate di aggregati e 5 milioni di metri cubi di calcestruzzo e poi Campari, Mediaset e la STMicroelectronics, il gigante italo-francese dei semiconduttori partecipata in parti uguali da Bpifrance Participations (organo di gestione delle partecipazioni statali francesi) e dal Ministero dell’Economia italiano.
I soldi sottratti al fisco italiano ammontano a tanti miliardi di euro impossibili persino da calcolare. Per le casse pubbliche italiane si traducono però in meno servizi sociali, meno pensioni, meno welfare state e ovviamente una maggiore imposizione fiscale. 
Per restare in tema pandemia vuol dire meno posti letto in ospedale, meno strutture di terapia intensiva, meno tamponi, meno medici, meno mascherine, meno reagenti chimici, meno soldi per la ricerca.
Ed ecco che queste stesse aziende poi annunciano milioni in donazioni, cioè sostanzialmente spiccioli paragonati a quelli che di fatto ci rubano ogni anno e alle conseguenze di tagli e peggioramento delle condizioni in cui viviamo.
L’Olanda e i vari paesi con vocazione da “paradiso” non consentono solo di risparmiare tasse alle società ma consentono anche un diritto societario snello e norme favorevoli agli azionisti di lungo periodo. 
“Libero mercato, libero mercato!” senti strillare gli strateghi della finanza liberista; peccato che poi grazie proprio a quelle opzioni societarie si consenta di esercitare un controllo totale sull’azienda anche con una quota di minoranza, mettendosi così al riparo dalle scalate, ovvero dal quel mercato che è libero sì, ma solo quando fa loro comodo.
Nel mondo di oggi sono poche le grandi aziende che non utilizzino qualche tipo di sussidiaria, holding o altra società controllata in modo da frazionare profitti e quindi ridurre la pressione fiscale.
Ma la filantropia in regime capitalista non ha nulla a che fare con la giustizia sociale.
Non per niente, infatti, il paese dove è più diffusa la filantropia, gli USA, è anche il paese dove la sperequazione sociale raggiunge livelli tra i più alti del mondo.
Sputare nel piatto in cui mangiamo? No, neppure grazie ed è ancora troppo poco!
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“I migliori tra i poveri non sono mai riconoscenti [ai benefattori]. Sono scontenti, ingrati, disobbedienti e ribelli, e hanno ragione di esserlo. […] Perché dovrebbero essere grati delle briciole che cadono dalla mensa del ricco? Dovrebbero esser seduti intorno al tavolo con gli altri commensali condividendo la festa!”
Oscar Wilde
La filantropia non viene esercitata secondo i bisogni e le necessità dell’uguaglianza, ciò che dovrebbe essere un diritto di tutti al di là di cultura, fede, geografia, ma solo secondo la “bontà” o più propriamente gli “interessi” dei padroni.
Il denaro è il loro, loro decidono quanto, come e a chi!
Lo spirito è proprio quello della carità: quando sei in stato di bisogno, soprattutto nell’assoluta povertà o in piena emergenza sanitaria, una calamità naturale, un disastro ambientale, di certo non hai alcuna possibilità che accettare tutto ciò che ti viene dato, indipendentemente da chi e perché, non hai neanche la possibilità di pensare se quell’aiuto avrà delle conseguenze.
Quando sei in uno stato di disparità di potere sei di fatto in uno stato di ricatto, esattamente come quando per sopravvivere o dare da mangiare alla tua famiglia decidi di lavorare in nero, accettare condizioni di sfruttamento al limite o peggio lavorare a rischio della tua stessa vita. Pensiamo all’eterno ricatto tra lavoro e salute (ILVA docet!).
Tutto l’armamentario del filantrocapitalismo si basa su questo ricatto, travestito da benevolenza umanitaria, con l’unico scopo di ribadire, riaffermare e sentenziare che oltre al capitalismo non c’è nessun orizzonte possibile.
Il capitalismo può arrecare danni, diseguaglianze e tuttavia secondo i sostenitori del profitto ci penserà lo stesso capitalismo a risolvere le sue imperfezioni, grazie alla magnanimità dei padroni del vapore, alla lungimiranza dei ricchi miliardari, all'umanità delle loro innumerevoli fondazioni!
Baudelaire, in uno dei suoi racconti brevi, “La moneta falsa” si chiedeva giustamente: chi trae più vantaggio dagli aiuti di carità, il donatore o il destinatario?
Noi non abbiamo alcun dubbio, d'altra parte il numero delle fondazioni filantropiche negli USA si è duplicato nell’arco degli ultimi 15 anni, peccato che, secondo un rapporto dell’Università di Michigan, nello stesso periodo la povertà estrema si è ulteriormente aggravata.
Incredibile come proprio nel periodo storico in cui si registra un aumento della carità con donazioni multimilionarie senza precedenti si assiste anche all’aggravarsi di fatto delle disuguaglianze, in una crisi generalizzata del lavoro dove peggiorano le condizioni salariali e viene sempre meno il diritto a sindacalizzarsi, con una criminalizzazione generalizzata verso il sindacalismo conflittuale.
Noi sappiamo che il piatto dove mangiamo è frutto delle nostre fatiche e che corrisponde a nulla se paragonato al profitto che grazie agli sfruttati i padroni intascano, che buona parte di quello che c’è sul piatto ci viene sottratto; sappiamo che le briciole che spacciano per filantropia e che oggi viene declinata in “altruismo efficiente” cioè capace di coniugare benevolenza e profitto altro non è che un modo per continuare a giustificare un sistema iniquo, devastatore ed energivoro; sappiamo che ciò di cui abbiamo bisogno è riprenderci la ricchezza che produciamo, ridistribuendola secondo bisogni e possibilità, espropriando definitivamente i padroni che da troppo tempo hanno ridotto l'umanità in merce e la terra in una discarica.

Iniziativa Libertaria - Pordenone

Fare Pulizia


















La piramide va rovesciata, prima di tutto nella considerazione delle persone: prima viene il lavoro di pulizia, con lo scopo di lavorare in luoghi di cura puliti, sanificati, poi viene la cura sanitaria. E’ vero, più che mai che il lavoro in sanità è un lavoro di squadra. Invece, è tutto rovesciato: il lavoro di pulizia è appaltato a cooperative in cui le condizioni di lavoro e di vita sono difficili e incerte. Manca il rispetto per le persone e per il loro lavoro, mentre tutti sono importanti. C’è una carica di violenza verbale, psicologica spaventosa. Tralascio quella fisica, ma non tralascio che è proprio questo clima di paura che rende impossibile organizzarsi in un sindacato vero, si rischierebbe il posto di lavoro probabilmente o di avere guai in aggiunta. I fatti di quotidiana violenza da raccontare sarebbero tanti, ma mi concentro su un episodio (piccolo?) che dice molto, secondo me. Un collega, uno dei rari uomini in cooperativa, sta pulendo e lavando un corridoio di ospedale. C’è su il cartello “Attenzione pavimento bagnato”. Passa il tipico “sbadatone” e lascia pedate nere dove c’era pulito. Il collega cortesemente gli fa notare che non va bene. Segue un breve dialogo in cui lo “sbadatone” rincara la dose, arriva a dire “sono io a comandare qui, meglio che te ne stai zitto”. Chi era? Un pezzo grosso. Dalla cooperativa consigliano di lasciar perdere, tanto così va il mondo. Un pezzo grosso che non tiene alla pulizia dell’ospedale in cui fa il medico, però; che non ha rispetto del lavoro degli altri; che fa saltare una regola elementare come quella di lasciar asciugare i pavimenti bagnati durante la fase della pulizia. Se il pezzo grosso passa e lascia le sue pedate nere, come si fa a chiedere alle altre persone di non passare sul pavimento mentre asciuga? E tra tanti episodi quotidiani metto “amichevoli” pacche sul sedere, palpate di seno, inviti poco piacevoli, stare zitti quando parlano i superiori, che hanno sempre ragione. Così capita a chi sta sotto nella scala gerarchica. Non tutti sono così duri, ci sono anche persone gentili, ogni tanto. Gentili davvero, non ipocrite come per la festa della donna: girano mazzetti di mimosa, ma il rispetto della donna, della persona, del suo lavoro dov’è durante l’anno? Ci dovrà pur esser qualche modo di reagire. Attivare i controlli su igiene e sicurezza, è uno; preparare dei questionari anonimi tra chi lavora nelle ditte di pulizie, o comunque sentire la loro voce. Grazie dell’attenzione. Non mi firmo perché temo per il mio posto di lavoro.

Testimonianza raccolta da UsiCit Lucca
qui


il Venerdì Libertario - Primo Maggio Internazionalista (Dentro le nostre radici)



















Venerdì 1 maggio 2020 ore 18,30 - Primo Maggio Internazionalista (Dentro le nostre radici)


Con Totò Caggese, Piero Castoro, Tonino D'Ambrosio, Nicola Ratano ed altri

Niente di più solenne: il Primo Maggio è ormai una data e non come il 14 luglio per la Francia il 20 settembre per l’Italia o altre date per altre nazioni.
E’ data universale.
Il fatto è nuovo e ritrae l’universalità del moto e del pensiero sociale. Quando all’anno avete aggiunto questa festa del mondo, che non è segnata nei calendari della chiesa e dello stato, non è segnata nelle memorie storiche di nessuna nazione, di nessun ateneo, di nessun istituto autorevole e antico, voi vi troverete in cospetto di un’Idea che si è sostituita ai vecchi poteri.
Voi potete scomunicarla con nome non suo, potete insidiarla e combatterla: ma essa è giunta a fissarsi in una data universale, è fissa come il destino.
Di primo maggio in primo maggio vi farà più pensosi: aumenterà proseliti; farà i conti ora per ora sulla classe dirigente; si gioverà delle scoperte, degli errori altrui, dei dolori propri; e, ragionando e ruggendo, salirà verso i tempi nuovi.
Giovanni Bovio, 1911.



il Venerdì Libertario


EVENTI - INIZIATIVE DELLA FEDERAZIONE

                                                   

 

Venerdì Libertario - Storie d'antifascismo popolare mantovano














Mercoledì 29 aprile 2020 ore 18,30 -
Storie d'antifascismo popolare mantovano


Il Centro di Documentazione Franco Salomone in collaborazione con Alternativa LIbertaria, Movimento 13 gennaio,  Circolo Libertario Mantovano  organizza un webinar-incontro mercoledì 29 Aprile (dalle ore 18,30 alle ore 19,30 circa) di presentazione del volume  “Storie di antifascismo popolare mantovano: dalle giornate rosse alla guerra civile spagnola” (F.Angeli ed.) del prof. Giovanni Cattini - Università di Barcellona.

Molti italiani e tra essi decine di mantovan, negli anni dal 1936 al 1939, decisero di lasciare le famiglie per accorrere alla difesa della Repubblica Spagnola contro il Generale Francisco Franco e contro l’espansione nazi-fascista in Europa. Si è trattato di una anticipazione della resistenza partigiana europea portata avanti da socialisti, anarchici-libertari, comunisti, repubblicani ed antifascisti senza schieramento politico che sono morti o hanno messo a rischio la loro vita sul fronte dei combattimenti della guerra di Spagna. Purtroppo, di questi “partigiani” si è perduta la memoria e, spesso, si è dimenticato il sacrificio in difesa della democrazia, secondo le aspirazioni di uguaglianza, di solidarietà internazionale e per la nascita di un’Europa libera.


Per assistere/partecipare alle webconferenze basterà collegarsi dal computer o smartphone al sito  https://www.gotomeet.me/Movimento13gennaio a partire da 15 minuti prima dell’avvio per agevolare i collegamenti.

















Fattore Ciriani. Il 25 aprile e la crisi dell’antifascismo pordenonese

Partiamo da una domanda 



Nell’arco di pochi anni, dall’inizio del nuovo secolo, a Pordenone un gruppo di giovani dell’estrema destra di origine neofascista passa da un’aperta contestazione delle celebrazioni antifasciste del 25 aprile alla conquista di tutte le cariche del potere politico locale, dal Comune alla Provincia, fino alla Regione ed alla rappresentanza parlamentare del collegio. Due tra loro, i fratelli Alessandro e Luca Ciriani, sono assurti al ruolo di leader politici di importanza non più solo meramente locale: il primo come sindaco del capoluogo, formalmente eletto da indipendente 7 ; il secondo, come presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, appare ormai incombere nelle consultazioni televisive sulla segretaria del partito Giorgia Meloni. Tutto ciò a dispetto delle forti contestazioni che li avevano portati, nell’arco di pochi anni, a rinunciare alla sfida di piazza nei confronti degli antifascisti. Ora sono loro a rappresentare le istituzioni dal palco, esponendo le loro tesi revisioniste in veste ufficiale.  

Come è potuto accadere?

Stefano Raspa, uno dei principali esponenti dell’anarchismo locale, tempo fa liquidava la cosa sbrigativamente più o meno con questa argomentazione attivistica: «noi in piazza abbiamo vinto, siete voi ad aver perso nelle istituzioni» 8. Si tratta di una presa di posizione significativa, in primo luogo perché – tra le forze politiche - gli anarchici, dopo che le tendenze ad un tempo settarie ed elettoralistiche 9, oltre che personalistiche, hanno portato all’autodistruzione della sinistra di tendenza marxista, sono rimasti a Pordenone la principale forza antagonista, sul piano organizzativo e della capacità di mobilitazione, soprattutto tra i giovani. Inoltre, sono stati proprio gli anarchici pordenonesi l’anima delle contromanifestazioni che hanno sfidato in piazza i giovani di destra, guidati dall’attuale sindaco Alessandro Ciriani. Ma la battuta, a parte esprimere l’autoreferenziale spirito identitario che permea evidentemente anche i libertari, non spiega molto di un fenomeno complesso, che trova le sue radici indietro nel tempo.







 Continua a leggere aprendo il file .pdf.












FONTE  
http://www.storiastoriepn.it/fattore-ciriani-il-25-aprile-e-la-crisi-dellantifascismo-pordenonese/

#iorestocittadina/o 4punti sulla libertà di gregge - proposte di sanità partecipata










 #iorestocittadina/o
4punti sulla libertà di gregge
qui

Marche: screening Covid capillare subito, limitazioni prolungate al movimento rischiano ledere diritti civili.
Piano pandemico partecipato, via delega al governatore.
No deportazione “100 letti”. Ridestinare i fondi agli ospedali ed ai servizi territoriali.

Sottoscrivi l’appello Twitter lanciato da Alternativa libertaria, aderisci come persona o associazione, nel testo che ti alleghiamo in versione estesa ulteriori considerazioni sulla questione Ceriscioli-Bertolaso.
Anche sulla pagina di: FB Alternativa libertaria Fano-Pesaro
evento FB: #iorestocittadina/o su Infoshop Fano
Pagina politica FdCA: #iorestocittadina/o
Immagine e punti: appello-twitter-immagine
#iorestocittadina/o
4 punti sulla libertà del gregge.
(versione estesa)
  • Siamo un gregge. Inutile contestarlo: siamo la massa degli esseri umani, vulnerabile ai virus. Dobbiamo tutelarci a vicenda. Il sapere scientifico, basato sulla ricerca e sui dati, deve essere guida per le azioni da intraprendere con raziocinio. Il primo consiglio è stato l’isolamento tempestivo delle persone positive e lo screening accurato dei contatti. In Italia ciò ancora non viene fatto ci si è di fatto affidati alla sola limitazione della circolazione privata dei cittadini (tranne nella loro veste di lavoratori). Scarsissime risorse sono state destinate allo screening. Siamo per la responsabilità collettiva, e disposti a fare i sacrifici necessari. Ma siamo cittadini e non pecore, abbiamo il diritto di avere gli strumenti per conoscere e gestire il nostro stato di salute, il diritto di conoscere la ratio delle misure intraprese, altrimenti le limitazioni prolungate al movimento sono lesione dei diritti civili di ognuno. Così come non accettiamo arbitrarietà e soprusi.
  • La salute di tutti viene prima del profitto economico di chiunque. E l’esplodere della pandemia ha dimostrato che esistono riserve pubbliche e capitali finanziari larghi a cui attingere. La pandemia costringe i governi a programmare maggiori sistemi di sostegno al reddito dei cittadini. Ma al di là del ritorno ad alcune forme di sostegno di emergenza ciò che manca è una politica generale lungimirante, ecologista e anticapitalista, che metta alla corda le multinazionali, da tempo padrone lobbiste in ogni continente, che spingono a scelte economiche e politiche dannose per le persone ed il pianeta.
  • I modelli Lombardia e Marche sono sbagliati. Quello che accomuna le due regioni, forse le ultime due regioni che potranno uscire dal “lockdown” è la privatizzazione dei servizi sanitari, il decadere della medicina preventiva territoriale, la programmazione della sanità regionale come industria, per il profitto di alcuni. Questo ha causato in queste due Regioni percentuali di mortalità per Covid elevatissime. L’emergenza non può legittimare l’autoritarismo, il caso Marche, col suo governatore Ceriscioli (che è anche assessore alla sanità!), è emblematico. “Delega temporanea”, diceva nel 2015 …per confermarla nel 2018 (con il consigliere delegato alla sanità, Volpini, dimesso per protesta): siamo nel 2020 e di fronte alla pandemia l’assessore/governatore prima lascia la patata bollente della riorganizzazione d’urgenza dei presidi sanitari ai dirigenti, che si arrabattano, poi invoca l’ospedale da campo della Marina militare, montato a Jesi il 25 marzo, un mese dopo il primo caso positivo al Covid nelle Marche. Senza alcun atto pubblico pregresso,  lancia il 23 marzo una raccolta fondi esorbitante su un  conto corrente bancario non istituzionale,  chiedendo soldi a tutti gli imprenditori marchigiani per la costruzione di una sorta di ospedale Covid di “emergenza” da farsi in pochi giorni. Nessuna delibera regionale in merito…se non a conti fatti: basta  il sopralluogo del 23 marzo del “consulente” (mai nominato) G. Bertolaso,  positivo al Covid, poi tornato nelle Marche il 17 aprile, senza quindi aver rispettato la quarantena post-tamponi, ed è tutto giò deciso. La delibera regionale arriva a posteriori, il 3 aprile (DGR 415), e cita una relazione del GORES regionale (Gruppo Operativo Regionale emergenza Sanitaria), non pubblicata, che giustificherebbe la necessità di ‘deportazione’ a Civitanova Marche dei futuri “100” cittadini necessitanti di terapia intensiva, o di cure post acuzie… La relazione del Gores  parla  di  “90 posti letto di terapia intensiva e sub intensiva” “in relazione all’attuale (a quale data?) scenario epidemiologico”.  Il dott Chiarello, anestesista (AAROI Marche),  tra gli altri che contestano questa scelta, rimarca  che i posti letto per pazienti Covid vanno creati negli ospedali, perché è lì che si curano le persone, con le specialità necessarie,  basterebbe prevedere anche per il futuro il 35% di posti di intensiva in più. E’ sulla prevenzione e sulla medicina territoriale che si giocherà la vera partita contro il Covid.
    In molti denunciano il sistema di  lobby , simile a quello messo in scena a Milano Fiera, comitati di cittadini  chiedono screening organizzati citando il modello tedesco, parte una raccolta di firme. Persino l’ex governatore D’Ambrosio scrive due volte a  Ceriscioli, il 29 marzo ed il 14 aprile,  stigmatizzando: “non si capisce in base a quali criteri si sia affidata la raccolta di fondi ad un soggetto, il sovrano Militare Ordine di Malta”.
    Uniamoci a tutti quelli che, medici ed infermieri, cittadini e cittadine, chiedono chiarezza e condivisione  sulle scelte.
  • Programmare la sanità oltre l’emergenza: La Funzione pubblica dei sindacati conf. diffonde una nota congiunta il 20 aprile per chiedere, come fanno dall’inizio dell’emergenza, la fornitura di DPI adeguati, garanzia della somministrazione a tappeto e periodica dei test clinici per rilevare l’eventuale positività al Covid19 di tutto il personale sanitario; Piano straordinario di stabilizzazione dei precari e di nuove assunzioni in vista delle prossime manovre di riordino della spesa pubblica, dopo i tagli degli ultimi anni. “Occorre guardare oltre l’emergenza e potenziare i servizi pubblici, linee guida nazionali sulla separazione tra aree covid19 e non covid19  dei percorsi assistenziali nella medicina territoriale, nella rete dell’emergenza e reparti ospedalieri, nelle Rsa e nelle strutture residenziali. Insistere sugli accreditamenti dei gestori privati dei servizi pubblici che ancora non riconoscono i CCNL ai lavoratori da 13 anni (sanità privata) e 8 anni (Rsa) e che continuano a percepire risorse dalle Regioni traendo profitti dai sacrifici di lavoratori e cittadini.”
    Senza un deciso cambio di strategia, partecipativa, basata sulla ricerca scientifica indipendente dalle lobby, sull’esperienza dei lavoratori e delle lavoratrici del settore, dell’ associazionismo … si resterà nell’emergenza mentre occorre tornare alla centralità delle esigenze dei cittadini.
Alternativa Libertaria Fano-Pesaro. 21 aprile 2020.
Rimarchevole Blog.
Femminismi.it

domenica 26 aprile 2020

Contro la pandemia capitalista, solidarietà tra i popoli

 


















articolo originale 

La pandemia potrebbe essere l’innesco della crisi finanziaria prevista da tempo da tanti economisti seri. 
Dopo la crisi del 2008, gli Sta-ti hanno impiegato enormi quantità di fondi pubblici per salvare operatori e banche priva-te, che in fondo non hanno cambiato nessuna delle loro prassi. 
Così, ancora una volta, questa economia sarà sconvolta e ciò avverrà in pro-porzioni peggiori rispetto al 2008. 
Con i licenziamenti e la sottoccupazione, que-sta crisi si abbatterà in primo luogo sulle classi popolari che dovranno affrontare un aumento della disoccupazione, dei posti di lavoro a tem-po parziale, del lavoro precario e della riduzio-ne dei salari.Per limitare i danni è necessario, da un lato rafforzare la protezione sociale, per attutire lo shock, e dall’altro far pagare il capitale. 
E’ anche importante rafforzare il sistema sa-nitario sotto controllo pubblico, con la piena fornitura e il finanziamento delle istituzioni di assistenza, la garanzia e la protezione dei diritti dei lavoratori della sanità, del commer-cio, dell’industria sanitaria, dei lavoratori della logistica e dei trasporti, dei servizi pubblici e della popolazione agricola.
 È essenziale promuovere una cultura della vita e della solidarietà, dell’autoprotezione e dell’as-sistenza collettiva che ci permetta di superare il panico reale e il senso di “ognuno per sé”.L’isolamento non può dipen-dere dalla gerarchia sociale. E non possiamo accettare misure che, oggi, non abbiano una dimensione di classe.  
Vogliamo che la crisi sia pa-gata dai ricchi: che tutte le attività economiche che non sono di base si fermino, che tutte le aziende garantiscano i mezzi per garantire il telelavoro, se necessario, e che nessun lavoratore perda il proprio sala-rio durante l’isolamento. 
Nel caso delle grandi aziende, questi stipendi non devono provenire da fondi pubblici. 
E che le grandi fortune e le aziende siano obbligate a pagare più tasse e non eludere in paradisi fiscali. Pertanto, deve essere chiuso tutto quello che non è essenziale, imprese e servizi, con mantenimento integrale del reddito per i lavoratori in disoccupazione tecnica, compresi quelli in condizione di preca-rietà (dipendenti temporanei, subappaltatori, lavoratori autonomi, ecc.) . 
Solo i settori vitali dovrebbero continuare a la-vorare come l’assistenza medica, il rifornimento delle scorte e l’informazione della popolazione.  
Pensiamo in particolare al sistema sanitario, settori agroalimentare e agricolo, trasporti, distribuzione alimentare e sanitaria, mezzi audiovisivi e internet per la diffusione delle in-dicazioni. 
I lavoratori di questi settori sono in prima linea: salvare le persone cade sulle loro spalle. 
Dobbiamo onorarli, aiutarli, sostenerli, iniziando a garantire la sicurezza dei loro figli con misure di prevenzione e protezione. 

Allo stesso tempo, sia per ragioni di efficacia, sia per evitare gli sporchi guadagni dei beneficiari della crisi, dobbiamo intervenire sulle impre-se private di questi settori, in particolare della sanità, e integrarle nel servizio pubblico, rior-ganizzare la catena di produzione per pro-teggersi dal virus, con protocolli di prevenzione adeguati. Inoltre, è urgente riorganizzare l’intera produ-zione e i servizi. L’industria bellica ad esempio deve essere riconvertita a granatire protezione
e mezzi di sussistenza per tutti. Se lo Stato e i datori di lavoro non lo vogliono, allora tocca ai lavoratori imporlo. La salute non può essere in mano ai privati, e questa crisi lo ha dimostrato. 
Esigiamo il divieto di licenziamenti durante il periodo di isolamento, sostenendo gli stipendi non solo dei lavoratori dipendenti ma anche di precari, interinali, con contratto a tempo de-terminato e dipendenti occulti (Uber e riders per esempio) 

Vogliamo il blocco, non la sospensione, delle politiche di attacco alle pensioni e al welfare pubblico. 
Non sono i tagli del trasporto pub-blico a ridurre gli assembramenti e i vettori di contagioInvece è necessaria la confisca di case vuote, affitti Airbnb e simili, stanze d’albergo, per permettere un isolamento sanitario decente alle persone senza fissa dimora, ai migranti che sopravvivono in campi selvaggi o chiusi in centri di detenzione, ai lavoratori illegali a vol-te accatastati in case malsane o agli occupanti abusiviA fronte delle più basse entrate economiche, esi-giamo una moratoria sugli affitti e sulle bollette di energia, acqua, telefono e internet, l divieto di sfratto e di sgombero e un affitto di base per le persone che si trovano in condizioni di povertà.
Contrasteremo le derive antiabortiste e rea-zionarie presenti in diversi paesi e al contra-rio esigiamo misure contro le violenze contro le donne, per ridurre le prevedibili conseguenze dell’isolamento, la chiusura dei centri di inter-namento e detenzione dei migranti e efficaci misure che garantiscano loro il diritto alla sa-lute.I governi sono stati presi di sorpresa da questa situazione. Se i movimenti sociali e i sindacati si impegneranno a affrontare i problemi senza esitazioni, possiamo ottenere quanto chiedia-mo. 
Ma è fondamentale che tutti i lavoratori determinati e consapevoli si dotino di strumen-ti sindacali adeguati per raggruppare i loro col-leghi su basi solidali e combattive.E’ imperativo avanzare nel mezzo di questa crisi su questa strada, tessendo legami solidali dal basso, rafforzando le organizzazioni popo-lari e costruendo di fatto un vero fronte delle classi oppresse che possa essere oggi artefice di lotte rivendicative e domani alla ricerca di una società libertaria, federalista e con una democrazia diretta. 

Sulla base del comunicato congiunto pubblicato su anarkismo.net

FONTE 

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)