ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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mercoledì 23 settembre 2015

7° VETRINA DELL'EDITORIA ANARCHICA A FIRENZE


VIAREGGIO BRUCIA

sabato 26 settembre - ore 18.00 saletta incontri ex convento san Francesco - PORDENONE 29 Giugno 2009: VIAREGGIO BRUCIA Lo strano caso di Riccardo Antonini e di una strage annunciata Interverranno: Riccardo Antonini, ex ferroviere licenziato dall'allora amministratore di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti e 2 esponenti dell'associazione "Il mondo che vorrei", per raccontare la strage di Viareggio e quello che è successo dopo, dal punto di vista legale e non solo e della decisione di un ferroviere di fare la cosa giusta, anche a costo di perdere il lavoro. Organizza: Collettivo Riff Raff

martedì 22 settembre 2015

La campanella non suona più.

sabato 26 Settembre 2015 ore 17,30 All’Ateneo degli Imperfetti La campanella non suona più. Fine dei sistemi scolastici e alternative libertarie possibili incontro con Maurizio Giannangeli insegnante Istituto Tecnico Milano Francesco Codello pedagogista ed ex dirigente scolastico introduce Elis Fraccaro Laboratorio Libertario La scuola è tornata di attualità nei media italiani. La riforma imposta dal governo porta il titolo “La buona scuola” e ha la pretesa di apportare delle rilevanti e importanti trasformazioni nel sistema dell’istruzione e dell’educazione italiana. Ma quanto è veramente buona questa riforma … ? Informiamo tutti i compagni, amici, frequentatori dell’Ateneo degli Imperfetti che il sito www.ateneoimperfetti.it è aggiornato sempre con le nuove iniziative e contiene l’archivio di tutte le attività finora svolte. Come d’abitudine la convivialità post conferenza si regge sulla condivisione del cibo e del bere: è pertanto auspicabile che tutte le persone contribuiscano a rendere ricca e appetitosa la nostra mensa Ateneo degli Imperfetti www.ateneoimperfetti.it Via Bottenigo, 209 30175 Marghera (VE) tel. 327.5341096

Palestina-Israele, cresce la lotta sociale non armata in risposta all'aumentare delle aggressioni di Israele

Dopo il fallimento dell'offensiva dell'anno scorso contro Hamas a Gaza, lo Stato di Israele vede diminuire il suo potere di contrattazione a livello internazionale, per cui manipola il malcontento interno aumentando l'invasione degli spazi palestinesi, sia quelli del 1967 nella Cisgiordania occupata sia all'interno dei confini del 1948. Il minore sostegno da parte delle classi dirigenti israliane al primo ministro Netaniahu ed ai suoi accoliti lo inducono a spingere sull'azzardo politico che può trascinarlo nella sua prima grande sconfitta. Il suo fallimento nel far passare lo schema Gas e la causa civile in cui è coinvolta sua moglie, possono essere i primi segni del suo declino imminente. Nonostante i tentativi di far calare la pressione sociale in Cisgiordania aumentando gli occupati palestinesi in Israele, la resistenza popolare cresce sia a Gerusalemne occupata che in Cisgiordania. Bil'in Venerdì 11-9-15 - La manifestazone di oggi a Bi'lin era in solidarietà con i prigionieri e con la famiglia Dawahbshi che è stata bruciata viva per poi morire a causa delle ustioni. Due decine di israeliani (metà con gli Anarchici Contro il Muro e metà con i percussionisti di Yosamba), si sono uniti a decine di internazionali ed agli attivisti di Bil'in per mezz'ora di scontri con le forze armate israeliane. Il vento non ci era favorevole perchè stava dalla parte dei soldati. I lacrimogeni oggi non erano così fragranti. Siamo stati respinti fino alla periferia del villaggio ma ci siamo rifiutati di disperderci e ci siamo ripresi per un po' dopo che le forze di stato se ne sono andate guardando il corteo in direzione dell'area proibita del muro della separazione ad ovest delle terre liberate. https://www.facebook.com/photo.php?fbid=764290780346820 https://www.facebook.com/mohamed.b.yaseen/posts/8116628...66387 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10207579537949683 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10152966895381541 Venerdì 18-9-15 - il venerdì non ci si annoia mai. 9 Israeliani e circa 20 internazionali si sono uniti agli attivisti locali per la manifestazione settimanale. I soldati israeliani sembravano troppo passivi per cui ci siamo avvicinati con prudenza alla "zona di guerra". Ma niente solita pioggia di lacrimogeni. I più coraggiosi tra noi si sono inerpicati sulla collina per avvicinarsi ai soldati che erano ben vigili ma avari di lacrimogeni. Alcuni attivisti sono stati a contatto dei soldati fino a che i 30 minuti di scontri sono finiti e loro se ne sono andati senza nessuna strana sopresa che sospettavamo avessero in serbo visto il loro comportamento. Pare che il precedente bellicoso alto ufficiale in comando nella regione sia stato sostituito con qualcuno più sano di mente ed ecco spiegate le "strane" manifestazioni settimanali degli ultimi tempi. https://www.facebook.com/photo.php?fbid=816253988473935 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=816254151807252 https://www.facebook.com/haytham.alkhateeb/posts/102066...66845 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10206620599966665 Ni'lin Manifestazione settimanale contro il muro e contro l'occupazione https://www.youtube.com/watch?t=2&v=2ii82lJa5IQ 18-9-15 https://www.facebook.com/murad.ameera/posts/11373275896...29161 Nabi Saleh Venerdì 11/09/2015 i Palestinesi hanno lanciato un appello per issare la bandiera palestinese come simbolo di fermezza e di resistenza alla occupazione israeliana. Inoltre, i Palestinesi hanno espresso la loro rabbia per l'uccisione della famiglia Dawabsheh di Duma – Sa’d, il piccolo Ali e Riham, che soni morti agli inizi della settimana - ed hanno chiesto alle autorità israeliane di arrestare gli incendiari. A Nabi Saleh, in cui le ultime settimane sono state segnate dall'aumentare della violenza, gli attivisti locali e non si sono scontrati con l'esercito israeliano, sventolando la bandiera palestinese. L'esercito ha risposto con lacrimogeni e proiettili di gomma, con tentativi di acchiappare i manifestanti per poterli arrestare. I soldati hanno cercato di tendere agguati ai manifestanti ma senza riuscire ad arrestare nessuno. Invece, hanno invaso il villaggio lanciando granate assordanti e lacrimogeni in direzione delle case e degli ulivi, provocando piccoli incendi. Nessun ferito grave. http://schwarczenberg.com/?p=6036 David Reeb https://youtu.be/_f0hlv9Gcqk 18.9.2015 David Reeb https://youtu.be/EwGfevqX-s0 ------------------------------------------------------------------------- Non dite che non lo sapevamo n°466 Venerdì 28 agosto 2015, nel corso della manifestazione settimanale nel villaggio di Qadum, in cui i manifestanti locali protestavano contro la confisca delle terre e la chiusura della strada per il villaggio, i soldati israeliani hanno spruzzato acqua sui trasformatori elettrici del villaggio. Di conseguenza, i residenti hanno dovuto sostituire i trasformatori. Venerdì 4 settembre 2015, i soldati israeliani hanno danneggiato i trasformatori ancora una volta nel corso della manifestazione settimanale contro la confisca delle terre. Ancora una volta i residenti hanno dovuto cambiare il trasformatore. In entrambi i casi l'intero villaggio è rimasto senza energia elettrica per alcune ore. Martedì 1 settembre 2015 alle 23:30, un colono di Qedumim ha danneggiato un pannello elettrico che portava elettricità attraverso l'insediamento, causando la mancanza dell'elettricità nel villaggio di Qadum per 13 ore. * * * * * * Giovedì 3 settembre 2015, rappresentanti del governo, scortati dalla polizia, hanno demolito una casa vicino Tel Sheva, un abitato Beduino nel Negev. A Wadi Ghawawin, vicino alla Strada 31, hanno demolito un'altra casa. ================================= * Ilan shalif dal blog: http://ilanisagainstwalls.blogspot.com (traduzione a cura di ALternativa LIbertaria/fdca - UFficio Relazioni Internazionali) See at the blog previous reports about the joint struggles the Anarchists Against the Wall take part in. See also: Stories from the year 2100 - 50 years after the revolution http://awalls.org http://ilan.shalif.com/anarchy/glimpses/glimpses.html http://ilan.shalif.com/anarchy/glimpses/glimpses-it.html http://ilan.shalif.com/anarchy/glimpses/glimpses-heb.html Link esterno: http://ilan.shalif.com/anarchy

Sulle attuali proteste in Libano: è meglio se la primavera arriva in ritardo?

Le grandi mobilitazioni che hanno attraversato il Medio Oriente alla fine del 2010 sono state riassorbite se non addirittura trasformate in devastanti conflitti tra forze autoritarie in competizione. Quell'ondata risparmiò il Libano, che dopo il ritiro delle truppe siriane (di Assad) nel 2005 era governato da una classe dirigente che aveva da una parte i filo-iraniani, cioè la coalizione 8 marzo, guidata dagli "sciiti" di Hezbollah e dall'altro i filo-sauditi della coalizione 14 marzo, guidata dall'oligarca "sunnita" Hariri. Il settarismo religioso è molto forte in Libano e le locali classi dirigenti settarie hanno goduto per molto tempo e godono tuttora di una indiscussa influenza sulle masse. Questo settarismo è stata la causa di parecchi episodi di guerra civile tra le diverse sette a partire dal 1860. Nel 1860 i locali latifondisti Drusi usarono il settarismo per mobilitare i loro contadini contro la rivolta dei contadini maroniti, che erano sfruttati 2 volte da questi proprietari terrieri; finì con un massacro contro i Cristiani, ma ne furono colpiti anche i Musulmani e gli stessi Drusi; gli scontri settari raggiunsero anche città tolleranti come Damasco, col benestare del governo ottomano. Le potenze occidentali subito intervennero per "proteggere" la popolazione cristiana: il risultato fu la creazione di una sorta di "grande Libano", regione autonoma sotto il governo diretto di un latifondista maronita nominalmente all'interno della giurisdizione ottomana. Questa situazione e questa tensione continuarono anche sotto il mandato francese del 1920 – 1946 , e col "governo" dell'indipendenza che creò la formula della divisione delle tre presidenze istituzionali tra le sette più importanti: il presidente della repubblica ad un maronita, quella del governo ad un sunnita e quella del parlamento ad uno sciita. Sentendosi emarginata, la parte musulmana della classe dirigente pretendeva più rappresentatività e maggiore influenza e da queste tensioni si ebbe la piccola guerra civile del 1958 e a devastante guerra civile del 1975-1990. Che ebbe fine grazie ad un accordo bilaterale tra l'amministrazione USA ed il regime di Assad, per riunificare il paese sotto la sola influenza di Assad. Nonostante l'azione giudiziaria contro alcuni dirigenti cristiani settari da parte del nuovo regime, la classe dirigente locale si abituò rapidamente alle regole di Assad, il nuovo signore, e si divideva i frutti del nuovo regime con Assad senior e con gli agenti di sicurezza. Fino al 2005...quando una controversia tra il primo ministro Hariri ed il giovane dittatore di Damasco, Bashar Al Assad , finì con l'uccisione del primo. Scioccati dalla tragedia, numerosi Sunniti e Cristiani scesero in strada, sfidando per la prima volta la decennale morsa di Assad. L'adirata classe dirigente, sentendosi forte due volte grazie alla rabbia popolare contro la presenza militare siriana e grazie al sostegno dei governi occidentali, come dei governi arabi del Golfo e quello persiano, riuscì a costringere Assad a ritirarsi dal Libano. I locali agenti filo-Assad, in particolare Hezbollah (una formazione sirio-iraniana nata per resistere all'aggressione israeliana per essere poi usata utilmente nelle tensioni e nelle difficili relazioni con Israele e gli Stati Uniti), sentendosi minacciati dagli sviluppi nel paese, iniziarono a pretendere una maggiore influenza all'interno del governo. Il Libano cadde in una lunga guerra fredda settaria con parecchi episodi di violenza. Il governo venne tatticamente diviso tra le due componenti in lotta con tutti i privilegi connessi. Ma l'intensificarsi dei conflitti all'interno di una classe dominante avida ha avuto pessime conseguenze sulle vecchie ed esauste infrastrutture del paese, con l'esplodere di momenti critici come nel caso del cronico problema dei bassi stipendi dei dipendenti pubblici che ha dato luogo a mobilitazioni sindacali ed a scioperi. L'ultimo momento critico ha riguardato la raccolta dei rifiuti nelle strade: il contratto con l'impresa che aveva fatto il lavoro per 20 anni era scaduto. Ma siccome questa impresa è di proprietà di Hariri, il rinnovo del contratto era un'opportunità per dividersi i profitti. Hariri ha rifiutato il rinnovo e montagne di rifiuti hanno riempito le strade del Libano. Gli attivisti hanno deciso di reagire scendendo in strada. La prima protesta è stata duramente repressa dalla polizia governativa, ma la protesta è diventata un movimento reale con maggiore forza e popolarità. Gli attivisti sono riusciti a tenere il controllo del movimento ed a tenersi alla larga dalle componenti settarie della classe dirigente, cosa che gli ha dato grande credibilità popolare. La manifestazione del 16 settembre è stata brutalmente repressa dalla polizia, mentre il governo si lanciava in una forte campagna propagandistica contro il movimento di protesta. Tutto questo è riuscito a produrre una sola cosa: spingere gli attivisti su posizioni ancora più radicali. Infatti gli attivisti hanno deciso di sfidare il governo il 20 settembre nelle strade in una grande manifestazione. Nonostante le richieste riformiste del loro ultimo documento, quest'ultimo si conclude con slogan molto più radicali: Potere, Stato e ricchezza al popolo. La maggior parte degli attivisti viene dalle classi medie ed era già stata attiva in una locale ONG per qualche tempo. Questo ricalca la situazione di tutto il Medo Oriente. Gli attivisti che erano coinvolti nei movimenti di protesta che raggiunsero il loro picco con l'insorgere della primavera araba, erano anch'essi della classe media, sia come identità di classe che come pensiero politico e sociale. Questo fattore segna la cifra delle rivoluzioni della primavera. Si deve a questo fattore il prevalente aspetto liberale (persino neo-liberista in alcuni casi: una sorta di "libertarismo" di destra) della politica espressa dal nucleo degli attivisti. Il che non vuol dire che le classi meno abbienti non abbiano partecipato. Ma coloro che rappresentano la corrente maggioritaria nel movimento o che rivendicano una loro leadership o rappresentanza, provengono dalle classi medie. La stessa cosa si è vista nella protesta di piazza Tiananmen nel 1989, quando gli studenti rivendicavano la guida del movimento e chiedevano agli operai di seguirli. Anche nel movimento in Libano ci sono tensioni tra gli attivisti (leaders) della classe media e coloro che vengono dai quartieri poveri. Il che non vuol dire sottovalutare il potenziale del libertarismo degli attivisti delle classi medie, specialmente quelli più giovani e gli studenti, ma è importante capire anche i loro limiti. Dall'altra parte; le classi povere, poco rappresentate, con scarsa formazione, prive di esperienza politica e disorganizzate, finiscono sol sostenere gli islamisti, specialmente i Salafiti, che sono attivi nei loro quartieri da molto tempo, da quando le politiche nei-liberiste hanno comportato l'abbandono di questi quartieri al loro destino ed alla miseria. I Salafiti, propriamente finanziati dai loro padroni nella classe dirigente locale o dalla loro controparte saudita, danno un sostegno significativo per alleviare la miseria dei più poveri e ne approfitano per indottrinarli con i loro rigidi insegnamenti, trasformando questi quartieri in loro roccaforti. Gli stessi Salafiti si sono poi divisi in due componenti: gli insurrezionalisti dell'ISIS ed i moderati dell' "esercito della salvezza" che hanno cooperato con lo Stato e con agenzie repressive (oggi i Salafiti sono una componente importante filo-Sisi in Egitto; in Libano erano divisi tra alcuni gruppi militanti da una parte e dall'altra gli imam e gli accademici filo-Hariri). Considerando il programma riformista (lotta alla corruzione) e la composizione di classe di questo crescente movimento di protesta in Libano, si potrebbe nutrire un qualche scetticismo riguardo al suo futuro. Ma c'è qualcosa di diverso che potrebbe portare ad esiti differenti: ad esempio forse una maggiore radicalizzazione. Nell'analizzare le rivoluzioni del 1848, l'anarchico George Woodcock notava che c'erano due tipi di rivoluzioni del 1848: la maggioranza di esse era contro regimi molto repressivi e molto autoritari, quella francese era più proletaria e più classista. La borghesia era già pronta a governare in Francia. Per cui la rivolta non era solo per rafforzare il suo contro sullo Stato, dato che la classe operaia scelse di sfidarla, come fecero gli operai di Parigi nell'insurrezione del luglio. In Libano, la classe dirigente pratica la sua egemonia attraverso la democrazia rappresentativa. Diversamente dai paesi confinanti, il popolo libanese è abituato alle elezioni, ad un alto livello di libertà di espressione, se comparato con quello dei paesi vicini. Questo potrebbe avere un duplice effetto: che un qualche cambiamento reale imposto dal basso debba andare oltre certe "libertà" di base, oppure che può essere usato dalla macchina della propaganda del Sistema per convincere il popolo dei "benefici" derivati dal sistema prevalente, nonostante la corruzione dilagante. Gli emarginati in Libano lottano contro il sistema da molto tempo e siccome la loro situazione è diventata sempre più disperata hanno iniziato a mobilitarsi. Ma con ben pochi effetti finora. La maggioranza dei lavoratori lavora nel pubblico impiego e sono malpagati. Hanno sostenuto le iniziative della commissione indipendente di cooperazione sindacale per ottenere aumenti di stipendio, ma potrebbero ottenere solo piccoli aumenti. Il governo è sempre riuscito a contenere queste lotte ed a costringere le persone alla ritirata. La manifestazione del 20 settembre potrebbe interrompere questa situazione. Ma per andare dove? Personalmente, credo che il destino di quest' ultima ondata di proteste dipende dall'inizio dell'auto-azione e dell'auto-organizzazione delle classi emarginate, specialmente i lavoratori ed i disoccupati. Questa sola può essere la base per una alternativa più radicale e libertaria allo status quo. Può succedere? Se la primavera araba può essere considerata una rivoluzione tipo quelle del 1848 o del 1905, la lezione più importante che se ne ricava sta nell'auto-organizzazione delle masse nei primi giorni dell'insurrezione, quando le forze di polizia arretrarono o furono sconfitte nelle battaglie di strada contro i giovani manifestanti. Poi le masse hanno da sole occupato, organizzato e protetto l'intero spazio sociale, tramite organismi di base (chiamati comitati popolari oppure comitati di coordinamento come nel primo periodo -quello popolare- della rivoluzione in Siria). Far conoscere queste esperienze e costruire su di esse, secondo me, potrebbe decidere l'esito delle attuali mobilitazioni in Libano oggi ed ovunque domani. Mazen Kamalmaz https://mazenkamalmaz.wordpress.com (traduzione a cura d Alternativa Libertaria/fdca - Ufficio Relazioni Internazionali)

Sanità e terzo settore - contributi tavola rotonda sulla sanità pubblica e universale , Pordenone 13 settembre 2015

Relazione di Luca Meneghesso (USI AIT Trieste) su Sanità e Terzo settore alla tavola rotonda sulla sanità pubblica organizzata dalla FdCA tenuta a Pordenone il 13 settembre 2015. Scarica il pdf. http://www.usi-ait.org/index.php/sanita/53-nazionale/1000-sanita-e-terzo-settore

Riflessioni Sulla situazione a livello sanitario - contributi dibattito tavola rotonda sulla sanità del 13 settembre 2025 - Pordenone

Contributo del compagno Lusi Corrado della USI AIT Sanità di Firenze per la tavola rotonda del 13 settembre scorso su sanità pubblica e universale organizzata a Pordenone dalla sezione nord est de Alternativa Libertaria / FdCA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Riflessioni Sulla situazione a livello sanitario Vorrei Partire dal presupposto che lavorare per vivere è un oltraggio alla dignità della persona. Per me questo è sempre stato un principio indiscutibile. Questo insulto si rende ancora più evidente quando timbriamo il cartellino non avendo facoltà e diritto di decidere di cosa e di come produrre. Su questo concetto si fonda la democrazia borghese e la società capitalista. Nostro compito e dovere morale è trovare delle strategie per ribaltare questo sistema e neutralizzare questa forma contemporanea di schiavitù. Nella società moderna ogni essere umano, dal momento in cui mette piede al mondo dovrebbe avere alcuni diritti universali che dovrebbero essere inalienabili, tra di questi il diritto alla salute. Questo diritto e questo principio viene ribadito da tutti quotidianamente raccontando addirittura di mondi da favola, tuttavia specialmente noi che operiamo in ambito sanitario sappiamo molto bene che ogni governo, seppur sbraitandolo come intoccabile e difeso lo nega sistematicamente disattendendo ogni promessa fatta. Questo diritto viene anche sancito dall’articolo 32 della costituzione italiana. Quello a cui stiamo assistendo oggi in ambito sanitario è un qualcosa di diabolico e perverso. Per il capitale la medicina diventa uno strumento di profitto, per cui i bisogni del capitale saranno prioritari rispetto a quelli dell’utenza. Secondo i dati ISTAT l’11% degli italiani, pari a ben sei milioni di cittadini rinuncia alle cure nonostante ne abbia effettivo bisogno, per motivi economici. L’attacco allo stato sociale, portato avanti da una sinistra istituzionale sempre più asservita ad una destra protagonista e regista dello smantellamento della sanità pubblica sta già facendo pagare costi salatissimi. una salute merce, una sanità profitto, una prevenzione azzerata, una qualità assistenziale inesistente perché basata su carichi di lavoro insopportabili e su una precarizzazione totale di ogni diritto dei lavoratori. La concessione ai privati dell’intera gestione degli ospedali è un qualcosa di diabolico. La sanità pubblica, da fabbrica di prestazioni che ha tenuto conto dell’efficienza e non delle esigenze dell’utenza nella ”efficacia” delle sue offerte, si trasformerà in maniera progressiva in una enorme fonte di guadagno per la sanità privata, la quale verrà finanziata e favorita da un pubblico sempre meno capace e desideroso di rispondere al diritto di salute. Non voglio parlare di numeri, in quanto ormai tutti gli addetti ai lavori e comitati vari di lotta che stanno nascendo nei vari territori ne hanno ben chiari con gli effetti ad essi correlati. Vorrei concentrarmi su un altro punto e cioè di iniziare a valutare se vi sia anche da noi la possibilità di pensare in altri termini per un cambiamento radicale del modello sanitario e sul concetto di salute. Sono fermamente convinto che la risposta all’attacco sociale portato avanti indistintamente dai vari governi che si sono succeduti nel corso di questi ultimi decenni è stato un vero e proprio fallimento. Sebbene non sia in questo contesto che dobbiamo analizzare circa le motivazioni e sulle responsabilità, dobbiamo tuttavia avere la consapevolezza e la volontà di andare oltre. Dal momento che come Anarcosindacalisti non cerchiamo di andare contro il sistema, ma bensì di andare fuori dal sistema stesso, dopo anni di proteste fallimentari credo sia arrivato il momento di agire. Occorre dare delle proposte diverse e più consone a ciò che rappresentiamo. Crediamo sia necessaria un’altra idea di salute, un altro modello che apra la via allo sviluppo di un sistema di salute al margine del modello egemonico. Questo è ciò che noi perseguiamo. Noi ambiamo ad un percorso che vada in tutt’altra direzione e che stia in relazione alla necessità di rompere definitivamente con il sistema statale classico il quale ha drammaticamente fallito. Un sistema che non poteva altro che fallire in quanto non stava al servizio dei bisogni dei cittadini ma bensì all’interno di una logica disumana che mercifica il diritto alla salute. Le trasformazioni subite negli ultimi anni dal sistema sanitario hanno generato un servizio pubblico che, per far quadrare i conti, risponde alle logiche gestionali prima che alla domanda di salute. Una sanità gestita nella società alla quale aspiriamo, una società solidaria e umana davvero. Questo cosa vuol dire; Si tratta di prendere atto che a fronte di tagli alla sanità come ad altri servizi, nonchè ai rovesci della produzione nelle attuali crisi economiche, oltre alle lotte rivendicative di resistenza sociale si possano valutare e rendere pratiche forme di riappropriazione diretta anche in ambito sanitario. Dobbiamo essere consapevoli che un altro modello è possibile e le varie esperienze in alcuni paesi lo dimostrano ampiamente. Come USIS ci stiamo lavorando da tempo ed abbiamo in mente un progetto di sperimentazione che verrà presentato al prossimo nostro congresso di settore. Carissimi noi non vogliamo soffermarci sulla bellezza delle idee e sulle parole. Per quanto mi riguarda L’autogestione della salute è un’aspirazione giusta e necessaria per l’insieme della società, che richiede lo sviluppo di centri di salute all’altezza di questa svolta. Abbiamo sempre sostenuto che la salute non può essere un affare ed una merce, pertanto neanche le nostre coscienze possono essere mercanzie al servizio dello Stato, delle industrie farmaceutiche, e del resto dell’apparato sanitario dominante. Non possiamo tuttavia evitare l’importante lotta che si sta sviluppando in seno alla sanità pubblica, contro il percorso perverso intrapreso verso la redditività della salute tramite la riconversione del pubblico in privato. Pensiamo che la lotta non deve essere però solo per il recupero di un luogo di lavoro o di un ospedale privatizzato. Crediamo sia necessaria un’altra idea di salute, un altro modello che apra la via allo sviluppo di un sistema di salute al margine del modello egemonico. Un modello di sanità pubblica cooperativista per la difesa della salute come diritto. Un modello che deve basarsi sulla costruzione e sull’azione partecipativa come parte dello sviluppo umano dell’individuo in tutte le sue dimensioni . Un processo sperimentale collettivo d’insieme con l’obiettivo che le persone possano lavorare in forma sinergica e creativa per dare gestazione ad una società libera. In questo contesto noi crediamo si debba valorizzare ed intervenire dove poter praticare un’idea differente del diritto alla salute, coniugando un’attività concreta di intervento nel territorio con una battaglia politica più generale di trasformazione sociale. Un luogo in cui l’attività svolge anche un ruolo di comunicazione e non di pura osservazione. Un tentativo di unire un concetto di cura e di prevenzione con la denuncia degli abusi di una sanità permeata di profitti, sempre più inaccessibili per i poveri, sempre più a misura di ricchi e assicurazioni private. Il progetto che noi abbiamo in mente nasce dalla convinzione che sia possibile e necessario vivere in modo autonomo e autogestito, dal momento che gli stati ed il sistema hanno smesso di essere un servizio per i cittadini. Se ognuno di noi cambiasse il proprio atteggiamento e smettesse di appoggiarsi alle strutture di potere, potremmo invertire rotta e decidere coscientemente cosa vogliamo e cosa no. I progetti di autogestione che anche come USI sanità ci proponiamo di promuovere mirano alla costruzione di un’informazione diversa finalizzata al reale coinvolgimento dei soggetti, per diventare luogo di autorganizzazione dei bisogni reali. Su questo spirito e sotto questa ottica dobbiamo svolgere permanentemente questo lavoro. Nostra funzione insieme a tutti quei soggetti interessati è di valorizzare questa nuova idea di salute pubblica, ponendosi come obiettivo di dare praticità ad un progetto e fare in modo che non rimanga soltanto forma astratta. In questo contesto non dobbiamo inventarci niente di nuovo, così come non dobbiamo partire completamente impreparati. Dobbiamo confrontarci ed organizzarci. Ci sono molte esperienze a cui poter fare riferimento e da cui attingerne il lavoro e la programmazione per poterla sviluppare ed analizzare anche nel nostro ambito. Abbiamo rivolto per esempio particolare attenzione sull’approfondimento alle esperienze spagnole di autogestione della sanità, che non si limitano soltanto a far fronte a necessità causate dalla crisi, ma propongono un nuovo modello sanitario. Le strutture sanitarie autogestite infatti non devono essere soltanto una risposta a dei problemi che hanno a che fare unicamente con le cura medica, o per riempire il vuoto lasciato dallo stato. Quello che pensiamo è ad un progetto creato mediante un assemblea generale di vicini, progetti sociali e collettivi che vivono e agiscono dentro ai territori che tenga di conto dall’assistenza sanitaria di base, all’ aiuto immediato gratuito e appoggio psicologico fino alla promozione del concetto di una sanità aperta a tutti gli individui senza discriminazioni per razza, colore, origine,identità sessuale o religione. Ciò che deve spingere maggiormente i suoi partecipanti nell' agire politico è il concetto di solidarietà reciproca, contrario ad una visione egoistica o di assistenzialismo filantropico, dato il fatto che tutti possiamo essere migranti, senza tetto,lavoratori precari e senza accesso al sistema sanitario. Per questo ciò che dobbiamo applicare nella pratica è la forma nella quale ci piacerebbe vedere la sanità gestita nella società alla quale aspiriamo, una società solidaria e umana davvero. Riteniamo che il nostro progetto di autogestione debba altresì essere cellula viva di resistenza sociale e di emancipazione contro le barbarie contemporanee,cosi come la collaborazione con le assemblee popolari e i sindacati di base. In ultimo Credo sia importante precisare e tenere conto che, considerando il diritto alla salute come un diritto fondamentale e inalienabile dell’individuo e della collettività, sia opportuno sottolineare che parlare ed attivarsi alla sperimentazione autogestionaria nella sanità non vuole e non deve essere considerata come un’attività sostitutiva ai servizi offerti dal SSN e neppure una attività di generico volontariato, ma una forma di autorganizzazione sociale, solidale e mutualistica. Considero questa battaglia come la fase iniziale di un obiettivo cui raggiungere per l’estensione dei diritti e delle garanzie di cittadinanza per tutti ed un punto di informazione e discussione intorno al tema della salute e del diritto alla cura. Se la salute quindi per quanto ci riguarda è un diritto di carattere pubblico, un bene comune né statale né corporativo, ma bensì di tutti cittadini, come anarcosindacalisti abbiamo il diritto di promuoverlo con ogni mezzo a noi più consono. Corrado Lusi

LA SPADA, SIMBOLO DELL'ISIS

Il T – 34 e, successivamente, il Mig – 15 potrebbero essere considerati i veri simboli dello Stalinismo; così come i panzer e gli stukas lo erano del Nazismo. Questi simboli erano l'emblema di tutta la razionalità e l'irrazionalità peculiari di quei regimi totalitari, rappresentavano il loro modo di agire: il culto della potenza e della forza, il ruolo centrale del fuhrer o del dio-capo come personificazione di un paese e della sua unità al di là dell'Idea – la nuova religione. Infatti, la nuova religione prevalse, non solo grazie all'inganno ed alla repressione, ma soprattutto grazie alla sottomisssione ed all'accettazione di massa. Quei simboli avevano una duplice funzione: trasmettere il messaggio ideologico del regime e funzionare quali armi per imporsi, per conquistare, per raggiungere lo scopo finale: la conquista dell'intero universo per instaurarvi un impero imperituro, equivalente al teologico "regno di Dio". L'ISIS, insieme all'Islam politico, ha molte somiglianze col Nazismo e con lo Stalinismo. Si tratta di un movimento complesso, al tempo stesso rivoluzionario e reazionario, anticapitalista e ostile alla classe lavoratrice, antimperialista e aspirante imperialista. Al pari del fascismo occupa quello spazio dove le lotte sociali e politiche si arenano, dove le vecchie classi dirigenti non possono più governare, ma anche dove i movimenti popolari di base non riescono a rovesciare il sistema. Oltre alla tradizionale bandiera nera, l'ISIS rivendica l'essere erede del profeta Maometto ed assume la spada come vero simbolo del nuovo potere totalitario. Usano la spada nei loro video holywoodiani per sterminare i loro prigionieri, usano la spada nei canti e negli opuscoli di propaganda, come un simbolo del jihad, della determinazione e del terrore. Nella sua opera “Sorvegliare e punire” , Foucault notava come il capitalismo aveva “razionalizzato” la punizione, riducendola al minimo livello necessario per proteggere la proprietà privata ed i suoi assets. Ciò che l'ISIS sta cercando di fare è esattamente l'opposto, invertire questa tendenza e questo processo. Anche le camere a gas di Hitler ed ovviamente la bomba atomica, le uccisioni tramite i droni, il ricorso all'alta tecnologia per stermini di massa, ma più "umanitari", con minore teatralità e meno rituali spargimenti di sangue, fanno parte di questa tendenza a partire dal XVIII secolo, compresi i paesi arabi e musulmani colonizzati. La spada come simbolo ha una duplice funzione per i jihadisti : essa rappresenta un vecchio-nuovo, indipendente, simbolo di forza e di autorità, che si erge quale negazione della civiltà imperialista "occidentale" (quella capitalista) e dei suoi simboli, e come vecchia-nuova arma di terrore. Contrariamente al Nazismo ed allo Stalinismo, l'utopia jihadista non è futurista ma esiste in un passato che deve essere imitato pienamente in tutti i suoi aspetti, al fine di raggiungere gli stessi obiettivi che furono di Maometto: conquistare tutte le potenze imperialiste del suo tempo per costruirvi al loro posto il suo imperialismo. Per certi versi, questo era anche l'obiettivo dichiarato dei regimi "laici" pan-nazionalisti (vedi Nasser ed il Partito Baath a Damasco e prima ancora a Baghdad). L'ISIS non è che l'ultimo rigurgito del lunghissimo dibattito sulla arretratezza dell'Oriente, della sua debolezza e della sua manipolazione da parte delle potenze imperialiste occidentali. Questo dibattito ha sempre avuto due risvolti: come imitare l'Occidente allo scopo di competere con esso da una parte e, dall'altra, la necessità di starsene "per conto proprio" per lottare contro le potenze coloniali. L'ammirazione e l'odio verso l'Occidente colonialista non erano avvertiti solo dalle masse dell'Oriente colonizzato, ma anche dalle elite intellettuali e sociali locali. Il conflitto fra tradizionalismo ( conservatorismo) ed un modo più aperto di pensare non si è mai risolto. Sono pochissimi coloro che hanno proposto una totale negazione del passato per guardare a soluzioni future totalmente rivoluzionarie. La maggioranza ha preferito un certo compromesso tra passato e presente. Le critiche all'Islam non sono mai state portate fino in fondo. Persino i comunisti ed altri di sinistra -sotto la pressione delle loro società e del grande fratello in Unione Sovietica, la quale cercò di giocare la carta della liberazione nazionale contro i suoi rivali occidentali (la stessa cosa venne fatta dalle potenze occidentali che sostenevano l'ultra-reazionario regime dei Saud ed i jihadisti contro gli emissari locali dell'URSS e contro l'invasione russa dell'Afghanistan)- riuscivano sempre a trovare qualcosa di “progressista” nel Corano e negli insegnamenti degli accademici tradizionali. L'ISIS non nasce dal niente. Ciò che ha fatto è esattamente quello che facevano i suoi simili in Occidente ed in Oriente (Nazismo e Stalinismo), i quali portarono all'estremo l'irrazionalità delle loro società e delle loro classi governanti ed il livello di alienazione delle loro masse popolari. I liberali ricordano oggi la precedente attitudine al compromesso da parte dei comunisti nei confronti dell'Islam reazionario e dogmatico. Oggi, gran parte delle masse popolari sono sotto l'influenza dell'ISIS e dei suoi simili. Pensano che una vittoria dell'ISIS gli porterebbe l'emancipazione sia dall'Occidente coloniale che dalle "laiche" dittature locali. Per alcuni settori degli oppressi, aderire all'ISIS significa fare carriera nella gerarchia sociale. La classe media urbana è la fonte principale dello scetticismo e della resistenza contro l'ISIS. Anche se meglio organizzata e rappresentata, a questa classe mancano il coraggio e la determinazione che hanno invece le classi popolari. La classe media urbana resiste del tutto giustamente contro l'ISIS, ma dalla loro resistenza non ne deriverebbe una vittoria che porti ad una reale emancipazione delle masse, dato che loro vogliono difendere i loro privilegi percepiti ed il loro stile di vita meno rigido; ma non sono capaci di sconfiggere l'ISIS e non gliene importa nulla delle masse ignoranti ed arretrate. La comparsa dell'ISIS somiglia alla venuta di Khomeini. Entrambi rappresentano gli stessi poteri sociali e le stesse speranze popolari (leggi: illusioni) di emancipazione; che finiranno solo in un nuovo regime totalitario di tipo bolscevico. E' giunto il tempo per una critica più radicale dei dogma islamici. Ma le arrendevoli elite intellettuali non ne hanno il coraggio. Una critica radicale non deve colpire solo l'Islam, perchè significherebbe criticare un dogma a beneficio di un altro. Ci vuole più di una rivoluzione copernicana, ci vuole maggiore negazione, qualcosa che distrugga tutti gli idoli una volta per tutte. Una sorta di surrealista e dadaista liberazione della mente, del subconscio e dei desideri del corpo da ogni tabù e da ogni divieto. Non bisogna colpire solo la spada quale simbolo ed arma del terrore e della propaganda, bisogna colpire ogni terrore autoritario ed ogni dogma. Colpire lo stessi principio di autorità. dal blog di Mohamed Mazen - anarchico siriano https://mazenkamalmaz.wordpress.com (traduzione a cura di Alternativa LIbertaria/fdca - Ufficio Relazioni Internazionali)

La guerra della Turchia contro i Curdi: una questione personale di sopravvivenza per Recep Tayyip Erdogan

La città curda di Cizre, un insediamento con una popolazione di circa 150000 anime nella Turchia sud-orientale si trova per la seconda volta sotto assedio delle forze armate turche e delle cosiddette "forze operative speciali" della polizia, dopo che il precedente assedio era stato tolto per una tregua di due giorni. Oltre al coprifuoco ci sono tagli all'erogazione di elettricità e vige l'interruzione di tutti i mezzi di comunicazione, compresi i telefoni mobili ed Internet. Dopo il primo assedio è venuta fuori tutta l'evidenza del terribile dramma umano. Uccisi oltre 30 civili, di età compresa fra i 35 giorni di vita di un bambino ed i 75 anni di un anziano. Prima che l'assedio fosse tolto, fonti governative dichiaravano che le forze di sicurezza avevano ucciso più di una dozzina di combattenti del PKK, negando vittime civili. Come un neonato ed un vecchio possano aver contribuito alla lotta del PKK rimane un mistero irrisolto da parte dei portavoce governativi, di fronte all'evidenza del fatti. La situazione critica di Cizre non è che l'ultimo e più drammatico episodio in una guerra che lo Stato turco ha scatenato contro i suoi cittadini nelle regioni curde a partire dallo scorso luglio. Col pretesto del massacro di Suruç del 20 luglio, in cui rimasero uccisi -da un attentato suicida con tutta probabilità opera dell'ISIS- 32 giovani attivisti di sinistra turchi che stavano partecipando ad una conferenza di solidarietà con il popolo della città curda di Kobane che si trova nella Rojava alla frontiera della Siria con la Turchia, il governo turco guidato dall'AKP, il partito di Recep Tayyip Erdogan, ha dato inizio ad una guerra... non contro l'ISIS ma contro il PKK ed il popolo curdo! E' vero che il governo dell'AKP aveva concesso agli Stati Uniti l'uso della base aerea di Incirlik per bombardare l'ISIS ed aveva accettato di partecipare ai raid aerei. Ma questa era solo una manovra dissimulatoria mentre in realtà la Turchia si stava imbarcando in un attacco su ampia scala al movimento curdo, evitando tensioni con gli Stati Uniti alle prese con una difficile operazione militare. La guerra della Turchia contro il PKK e contro il popolo curdo La guerra della Turchia non è solo contro il PKK, ma contro il popolo curdo intero. Ed ha almeno tre diversi aspetti. Il primo è il conflitto militare tra le forze armate turche ed il PKK, che finora ha assunto la forma dei bombardamenti aerei turchi sui campi del PKK nell'Iraq settentrionale, nel territorio del Governo Regionale Curdo, presieduto da Barzani, stretto alleato degli Americani e della Turchia. Il PKK per ritorsione ha iniziato ad uccidere soldati e poliziotti turchi, compiendo ai primi di settembre nel giro di 48 ore due spettacolari incursioni in cui sono caduti 16 soldati turchi nel sud-est del paese e 13 poliziotti turchi nel nord-ovest. La grande distanza geografica tra le due località, così come le pesanti perdite subite dalle forze turche, dimostrano come il PKK disponga di una forza formidabile. Il secondo aspetto della guerra è quello del tentativo da parte dello Stato di pacificare i focolai nei centri del Kurdistan turco. I negoziati tra il governo turco ed il PKK per un "processo risolutivo" sono in corso dal 2013. Tuttavia, a non tutti nel Kurdistan è andato a genio questo processo. Abdullah Ocalan, lo storico dirigente del PKK, chiuso in prigione dal 1999, è l'architetto di questo processo. Ma ci sono altri attori in scena. Quelli ufficiali sono il PKK con base nell'Iraq del nord e l'HDP, il Partito Democratico del Popolo, una sorta di avatar del movimento parlamentare curdo che ha unito le sue forze ad una coalizione di partiti e movimenti socialisti turchi. Tra questi tre attori, Ocalan è il più possibilista, mentre il PKK iracheno proietta un'immagine più intransigente. Ma c'è un quarto attore sulla scena: sono i giovani del YDG-H, ala radicale del PKK, che ultimamente si sono mossi come una forza quasi indipendente. Si collocano all'estrema sinistra del movimento curdo e nonostante il giuramento di fedeltà incrollabile verso Ocalan, sono dichiaratemente critici rispetto al "processo risolutivo". Sono loro che organizzano i quartieri in molte centri curdi rendendoli inattaccabili dalle forze di sicurezza turche, scavando fossati e trincee e prendendo le armi se necessario. La popolazione può non essere d'accordo con i loro metodi , ma sta con loro contro le forze governative durante i periodi di conflitto, quando arrivano i momenti critici. Ecco perchè gli attacchi ad una serie di città curde in questa guerra, a centri come Silopi, Varto, Yuksekova, Silvan, ed ora, con maggiore drammaticità a Cizre, la più importante roccaforte del YDG-H. (Questi ed altri insediamenti nel Kurdistan turco hanno nomi originari curdi che sono stati sostituiti con questi nomi turchi imposti agli inizi del periodo repubblicano). In contraddizione col primo aspetto della guerra, che vede due forze armate scontrarsi, quest'altro assume le forme di una guerra condotta contro la popolazione civile. Dal momento che quasi tutta la popolazione sta con i suoi giovani, quello che può sembrare un attacco ad una milizia viene necessariamente trasformato in un attacco a tutta la popolazione. Chi scrive è stato di recente, in una missione di solidarietà, a Silvan, vicino Diyarbakir, immediatamente dopo un assalto delle forze di sicurezza ed è possibile prendere cognizione diretta della devastazione operata sull'intera città. Il terzo aspetto è la potenziale minaccia di una vera e propria guerra civile che coinvolga entrambe le parti. Questa minaccia alberga nel continuo richiamare quei sentimenti nazionalisti e persino sciovinisti che esistono all'interno di ampi settori della popolazione turca, forze non solo vicine a Erdogan ed all'AKP, ma anche forze note in Occidente come i "Lupi Grigi" del Partito d'Azione Nazionale, il movimento più tradizionalmente fascista del paese, nonchè il terzo maggiore partito della borghesia turca (dopo il Partito Repubblicano del Popolo, di origine kemalista che ora passa per socialdemocratico). Sono stati i "Lupi Grigi" a scendere in strada nella notte dell'8 settembre per rispondere alle due spettacolari azioni del PKK di cui sopra. Più di 140 sedi dell'HDP attaccate, molte date alle fiamme, aggressioni a civili curdi nelle strade dei centri controllati da turchi nella parte occidentale del paese, pullman intercity fermati e presi a sassate, lavoratori stagionali curdi aggrediti collettivamente, bruciate le loro case e lo loro auto ed allontanati in massa. Ora, anche se i Curdi sono minoritari nelle città dell'ovest, sono pur sempre una minoranza di una certa dimensione ed inoltre si tratta di comunità molto politicizzate con notevoli capacità di lotta armata. Se non hanno reagito, non è stato per autocontrollo. Il che vuol dire che in futuro la situazione può sfuggire di mano e degenerare in una guerra civile etnica che può assumere forme molto sanguinarie. Le dinamiche dietro la guerra Per fermare questa guerra, occorre individuare le dinamiche che ne sottendono lo scoppio. Purtroppo, il movimento curdo, a lungo influenzato da una intellighenzia liberale, continua a ripetere che è necessario tornare allo status quo ante, vale a dire al punto in cui si erano fermati i negoziati del "processo risolutivo". Questa posizione ignora il fatto che ci sono forze molto ben definite in gioco che hanno portato a questa guerra e che dovrebbero essere contrastate e sconfitte prima di poter ristabilire la pace o almeno un cessate-il fuoco. Queste forze sono molto diverse tra loro: alcune derivano dalla congiuntura politica mentre altre sono più strutturali. La ragione predominante, che fa scomparire per importanza tutte le altre, è quella che ha che fare con gli interessi politici di Tayyip Erdogan. In un altro articolo (“La sconfitta strategica di Recep Tayyip Erdogan”) in occasione delle elezioni turche del 7 giugno, avevamo messo in evidenza che il penoso risultato elettorale del partito di Erdogan, l'AKP, che aveva perso ben 10 punti del voto popolare insieme alla maggioranza parlamentare che deteneva dal 2002, era la semplice ratifica di una precedente sconfitta strategica già inflitta ad Erdogan dalle masse turche, prima con la rivolta popolare innescata dagli incidenti di Gezi Park nel giugno 2013 e successivamente dalla serhildan (intifada) dell'ottobre 2014 scatenata dal popolo curdo in reazione all'atteggiamento di indifferenza dimostratato da Erdogan di fronte alla tragedia di Kobane quando era stata attaccata dall'ISIS. Il risultato elettorale è stato una doppia catastrofe per Erdogan. Da un lato, ha bisogno dei 2/3 della maggioranza parlamentare se vuole emendare la Costituzione al fine di trasformare il sistema politico turco in un sistema presidenziale, dando a se stesso il potere di controllare l'intero processo politico, quel potere che ora egli non ha stante l'attuale sistema che dà alla sua carica di presidente della repubblica una veste cerimoniale. Dall'altro lato, il fatto che l'AKP non ha più la maggioranza parlamentare può aprire le porte ad inchieste sui gravissimi e provati casi di corruzione in cui sono coinvolti Erdogan stesso ed i suoi ministri. Molti analisti si dilungano sulle ambizioni di Erdogan riguardo alla carica di presidente esecutivo. Ma forse la sua necessità più urgente è quella di evitare che si aprano le inchieste sui casi di corruzione che riguardano l'AKP, il quale si trova ora in minoranza all'interno del parlamento. Se gli altri partiti trovassero l'unità per aprire queste inchieste, Erdogan potrebbe trovarsi sull'orlo del precipizio, col rischio di essere condannato. Dopo il successo elettorale dell'HDP, che avendo superato l'altissima soglia di sbarramento del 10% ha così fatto perdere all'AKP la maggioranza parlamentare, Erdogan ed i suoi accoliti puntano ora tutte le loro speranze nell'opera di sobillamento dello sciovinismo turco e nel presentare l'HDP non come messaggero di pace, bensì come forza che appoggia il "terrorismo" del PKK, allo scopo di far scendere l'HDP al di sotto della soglia critica del 10% nelle elezioni dell'1 novembre. Ecco perchè questa guerra è per prima cosa e soprattutto una guerra di sopravvivenza per Erdogan. Nella storia ci sono state guerre imperialiste e guerre anti-colonali. Questa è la prima guerra egoista! Dopo le elezioni del 7 giugno scrivevamo: “Gli errori politici della sinistra hanno concesso ad Erdogan quello spazio necessario a consentirgli la scalata alla presidenza della repubblica. Ora l'AKP non può governare da solo, ma Erdogan mantiene ancora le redini del potere ed userà ogni minimo spazio conquistato per tenerselo, anche a costo di scatenare una guerra contro i Curdi o più avanti nel Medio Oriente. In politica ogni errore ha un prezzo”. Non c'è bisogno di rilevare che la previsione di cui sopra si è purtroppo rivelata fondata. Per quanto riguarda gli errori della sinistra, ci si riferisce al fatto che non ha cercato di far cadere Erdogan quando era possibile farlo. E qui le responsabilità maggiori le ha il movimento curdo. Se si fosse mosso in tandem con la rivolta popolare di Gezi Park nel 2013, Erdogan sarebbe certamente caduto, tanto è forte la capacità del movimento curdo di organizzare le masse specialmente a Diyarbakir. E' triste notare come le sofferenze del popolo curdo sotto gli attacchi atroci delle forze di sicurezza turche, sono dovute, almeno parzialmente, agli errori del movimento curdo. Ci sono, naturalmente, fattori strutturali di fondo che spingono la Turchia alla guerra contro il movimento curdo. Abbiamo già visto come l'ala radicale del movimento curdo, rappresentata dai giovani, si sia espressa contro il "processo risolutivo" se prima Ocalan non viene liberato. (un impressionante striscione dei giovani durante una gigantesca manifestazione nel 2013 diceva: "Una pace col serok (titolo di Ocalan nel movimento) ancora in prigione è una pace incasinata”). I giovani possono contare su molti sostenitori, anche se meno focosi, e quasi tutta la popolazione tende verso quelle stesse loro posizioni intransigenti quando il gioco si fa duro. La serhildan dell'ottobre 2014 aveva spaventato immensamente i circoli dominanti del governo e messo in agenda la liquidazione di queste sacche di resistenza urbana (armata) che, diversamente dalla guerriglia rurale, costituisce una minaccia immediata nel caso dello scoppio di una nuova serhildan. Per cui la guerra in corso può essere considerata come il tentativo da parte dello stato turco di farla finita con queste sacche di resistenza. L'altro importante fattore che produce frizioni tra lo stato turco ed il PKK è, per il solo fatto oggettivo che esiste, la Rojava, l'entità autonoma curda a sud del confine turco-siriano. L'autonomia curda o, a fortiori, l'indipendenza in altre parti del Kurdistan, come in Iraq o in Siria, è sempre stata vista come una minaccia dalle classi dominanti turche, anche solo per il fatto che potevano essere d'esempio per i Curdi in Turchia. Nei primi 15 anni del XXI secolo, prima i Curdi dell'Iraq, poi i Curdi in Siria hanno raggiunto l'autonomia. Inizialmente contrariata per la creazione del Kurdistan iracheno di Barzani come regione autonoma, la Turchia ha poi raggiunto degli accordi con Barzani diventando la forza dominante sia a livello economico che politico sul Governo Regionale Curdo. La borghesia turca ripone molte attese nei vantaggi derivanti dal petrolio della regione di Kirkouk. Ma la Rojava è ben altra questione. Se Barzani è un fedele alleato, persino un protetto, degli Stati Uniti e poi della stessa Turchia, la Rojava invece è stata istituita con una leadership organicamente collegata al PKK! Il governo dell'AKP ha sempre detto chiaramente che non avrebbe mai fatto accordi con un'entità controllata politicamente dal PKK a sud dei suoi confini. Ecco perchè la Rojava è stata, in questi 3 anni della sua esistenza, una spina nel fianco del "processo risolutivo". Turchia e questione curda inseparabili? Quest'ultimo aspetto relativo alla Rojava suggerisce che il futuro della questione curda in Turchia e, di fatto, della stessa Turchia sono strettamente collegati alle prospettive in Siria. Come molti ben sanno, Erdogan ed il suo AKP sono attori importanti nel calvario che la Siria sta vivendo dal 2011. Erdogan, insieme all'Arabia Saudita ed al Qatar, ha alimentato le fiamme dell'odio e della guerra in Siria tra i Sunniti e gli Alawiti (minoranza più vicina agli Sciiti che ai Sunniti). Questo fa parte di un disegno più ampio, in cui Erdogan punta ad assumere la guida delle masse sunnite del Medio Oriente per tornare ai fasti dell'Impero Ottomano che fu. Questa è una delle ragioni per cui il governo dell'AKP ha appoggiato l'ISIS fino a poco tempo fa e continua ad appoggiare altri gruppi islamisti che combattono contro il regime di Assad. La situazione nata dall'accordo tra gli USA e la Turchia alla fine di luglio, per cui la Turchia ha concesso la base di Incirlik per gli attacchi aerei degli USA sull'ISIS in cambio del via libera dell'America agli attacchi al PKK, porta con sè una contraddizione dialettica che può nel tempo risucchiare la Turchia nella guerra in Siria. Nell'intervento militare contro l'ISIS, gli USA contano, fra le altre, sulle forze armate della Rojava quali truppe di terra. I tentativi della Turchia, dall'altro lato, puntano a tenere queste truppe della Rojava fuori da certe regioni a sud del confine turco-siriano, che la Turchia vuole trasformare in "zone di sicurezza". Ma gli Stati Uniti hanno bisogno delle forze di terra della Rojava per combattere l'ISIS. Sembra che l'unico modo con cui la Turchia possa indurre gli USA a non chiedere più la collaborazione militare della Rojava sia quello di inviare essa stessa le sue truppe di terra per istituire quelle zone di sicurezza a cui mira. Questa prospettiva, che deriva dalle contraddizioni dell'alleanza militare tra USA e Turchia, è complementare alla logica infernale della questione di sopravvivenza per Erdogan: dovesse l'AKP mancare l'obiettivo di conquistare la maggioranza parlamentare con le prossime elezioni, Erdogan potrebbe aver bisogno di sospendere il normale funzionamento del sistema, cosa che potrebbe riuscirgli portando il paese in guerra in Siria o persino nello scenario più ampio del Medio Oriente. Avevamo previsto che Erdogan avrebbe attaccato i Curdi, non dovrebbe sorprendere se facesse anche la seconda cosa che avevamo previsto. Ci sono, naturalmente, certe contro-tendenze che possono produrre degli effetti. C'è la possibilità che uno degli attori più importanti, Ocalan, rimasto silente dalle elezioni fino allo scoppio dell'attuale guerra, parli di una sorta di disgelo. L'imminente Eid al-Adha, la grande festività religiosa del mondo islamico, può essere un'occasione opportuna per lui per aprire un nuovo capitolo nel "processo risolutivo". Non va dimenticato, che nonostante la ferocia della guerra, nè da parte dell'AKP nè da parte di Erdogan e nemmeno da parte curda è stata totalmente esclusa la possibilità di un nuovo inizio. Erdogan stesso ha esplicitamente dichiarato che il "processo risolutivo" è congelato (e non morto, come la guerra in corso potrebbe far pensare). E' ovvio che appena si sentirà più sicuro, possa tornare volentieri allo status quo ante. Ma questo sarebbe un esito reazionario dell'attuale situazione di impasse. Erdogan è una maledizione per la Turchia e per il Medio Oriente, e più rimane al potere nel suo paese, maggiori saranno i danni che porterà ai popoli della regione. Un esito progressista richiederebbe ovviamente la sconfitta di Erdogan, con la sua fuoriuscita dalla politica e la sua condanna per i crimini commessi. Le condizioni perchè questo accada si stanno verificando. Già il recente succedersi di lotte di massa nel paese, dalla rivolta popolare di Gezi Park (2013), alla serhildan di Kobane (2014), allo sciopero dei metalmeccanici (2015), nel giro di soli 2 anni, dimostra che c'è una società piena di gruppi sociali pronti a dichiarare la loro rabbia. E' su questo che Erdogan ha perso credibilità sia agli occhi dei suoi alleati del passato (USA ed UE) sia agli occhi dei liberali turchi, della Fratellanza Gulen e di molti settori della classe capitalista. Ed ora sta perdendo sempre più l'appoggio di ampi settori del suo partito. L'ex-presidente della repubblica, Abdullah Gul, un altro fondatore e leader dell'AKP, attende dietro le quinte di riprendersi il partito al momento giusto. Il congresso del partito che si terrà nei prossimi giorni non farà emergere le profonde fratture interne, ma le contraddizioni stanno maturando. Se Erdogan cadrà, sarà ben diverso se cadrà per mano di una opposizione borghese guidata da Gul e dai due partiti della borghesia, i socialdemocratici ed i fascisti, o persino per mano dell'esercito, o se invece saranno le masse a farlo cadere, guidate magari dalla classe operaia, che sembra essere tornata attiva dopo un lungo sonno. E' questa la nostra speranza e il nostro compito perchè sia quest'ultima la soluzione vincente. Sungur Savran - The Bullett (traduzione a cura di Alternativa Libertaria/fdca - Ufficio Relazioni Internazionali) Link esterno: http://www.socialistproject.ca/bullet/1162.php#continue

SORVEGLIANZA SPECIALE - il caso di Massimo Possamai TRENTO

Giovedì 10 settembre, si è svolta a Trento l'udienza sulla sorveglianza speciale contro Massimo. La sentenza ci sarà nei prossimi giorni o settimane. In attesa di un resoconto sul presidio-corteo di stamane, diffondiamo la dichiarazione che Massimo ha fatto in un'aula gremita di solidali. Dichiarazione all'udienza per la sorveglianza speciale I governi passano, ma gli articoli del codice penale restano. Leggendo alcuni libri di storia sulle lotte rivoluzionarie in questo Paese mi sono imbattuto nell'applicazione dell'"ammonizione" - che coincideva di fatto con l'attuale sorveglianza speciale e che si accompagnava spesso con l'imposizione del domicilio coatto - fin dal 1877. A farne le spese nella primavera di quell'anno furono i membri delle sezioni italiane dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori di cui il governo aveva decretato lo scioglimento. A differenza di altri Paesi, l'Internazionale era nata in Italia su posizioni socialiste antiautoritarie e federaliste, in una parola anarchiche. La propaganda di Bakunin e, soprattutto, l'eco gigantesca che aveva avuto la Comune di Parigi, massacrata nel sangue dalla Repubblica di Thiers, avevano portato al pieno sviluppo le idee più radicali presenti nel Risorgimento italiano, quelle di Carlo Pisacane. E per ironia della sorte, ad applicare l'ammonizione contro gli anarchici nella primavera del 1877 era stato il ministro degli Interni Giovanni Nicotera, tra i pochi sopravvissuti alla spedizione pisacaniana di Sapri. Il 25 giugno del 1857 erano partiti in trenta da Genova e, liberati trecento prigionieri dalle carceri di Ponza, erano sbarcati nel Cilento il 28 giugno allo scopo di far insorgere le plebi del Mezzogiorno contro il governo borbonico e contro i proprietari terrieri. Quell'"accozzaglia di inceppati e di galerati" (così li definiva la stampa locale borbonica) fu in buona parte uccisa e i corpi degli insorti, fra cui quello di Pisacane, arsi in un rogo il 1° luglio. Vent'anni dopo, un insorto diventato ministro degli Interni arrestava, ammoniva, mandava al domicilio coatto decine di anarchici colpevoli di voler ancora insorgere, ma questa volta contro la monarchia sabauda e i proprietari terrieri. Nel richiedere la misura della sorveglianza speciale contro di me, i Pubblici Ministeri Amato e Ognibene, per conto della Questura, sostengono che il mio comportamento "offende e mette in pericolo la tranquillità pubblica". Anche questa formula è tutt'altro che recente. Si trova anticipata quasi alla lettera dall'art. 426 di un vecchio codice penale, articolo votato nel 1879 sempre contro l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, definita "associazione di malfattori". Si può dire tuttavia che il codice Zanardelli e poi il codice Rocco erano decisamente più "onesti" nel colpire anarchici, socialisti e comunisti, non nascondendo la natura politica della repressione. Il comma usato dalla democrazia, nell'anno 2015, dichiara invece di colpire con la sorveglianza speciale "coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica". Il legislatore monarchico e fascista tirava in ballo l'incitamento all'odio fra le classi sociali o il proponimento di sovvertire l'ordine costituito, e non affastellava nello stesso elenco i minori, la sanità e la tranquillità pubblica. Visto che, bontà loro, i PM non mi accusano di molestare minorenni, con l'uso tipicamente questurino della congiunzione "o" (che permette di inserire in un elenco tutto e il contrario di tutto) mi si vorrebbe sottoporre per due anni alla sorveglianza speciale e all'obbligo di soggiorno per aver messo in pericolo una alquanto generica "tranquillità pubblica". Si potrebbe facilmente dimostrare che la cosiddetta tranquillità pubblica - a meno che non si voglia restringere la "sfera pubblica" al dominio esclusivo di ricchi, industriali, politici, dirigenti e questori - è messa in pericolo più dalla paura di non riuscire a pagare l'affitto e dalle condizioni di lavoro ogni giorno più precarie che non dall'azione degli anarchici. Ma non si tratta certo di una svista del legislatore. Essendo volutamente fumoso il fine di queste misure, i criteri per la loro applicazione sono a dir poco discrezionali. Nella stessa richiesta di sorveglianza, infatti, si può leggere: "ai fini della legittima applicazione di una misura di prevenzione non sono richieste le prove necessarie per la condanna e neppure gli indizi "gravi" richiesti in materia ... , mentre sono sufficienti semplici indizi (...) in ordine al coinvolgimento del proposto nelle attività illecite che legittimano l'adozione dei provvedimenti di interesse". E infine una perla che avrebbe fatto inorgoglire i dottori dell'Inquisizione: "Anche dalla sentenza di assoluzione possono essere ricavati elementi indiziari certi utilizzabili ai fini della prevenzione". Alla Procura di Trento piace vincere facile. Prima mi fa arrestare all'interno di un'operazione definita "Zecche" (ah! che grottesco usare il latino "Ixodidae" per nascondere un linguaggio così smaccatamente mussoliniano...), poi, utilizzando quel castello di carte già crollato in tribunale, prova a mettermi in freezer per due anni senza bisogno di prove né di "indizi gravi". E infatti nei verbali della Digos usati nel fascicolo per la richiesta della sorveglianza speciale ritorna come se niente fosse il "GAIT (Gruppo Anarchico Insurrezionalista Trentino)", nome inventato dalla polizia politica per sostenere l'accusa di "associazione sovversiva con finalità di terrorismo" caduta nel corso del processo. La Procura sarebbe stata più coerente se avesse fatto un passo ulteriore: chiedere la sorveglianza speciale come risarcimento per l'impiego di mezzi e uomini dispiegato nella fallita operazione "Zecche". Non è forse riuscita a scrivere, nella richiesta di sorveglianza speciale, che "l'occupazione insistita di immobili è condotta che attenta la sicurezza e la tranquillità pubblica, ove si consideri, a tacer d'altro, dell'impegno (uomini e mezzi) impiegato per lo sgombero"? Convengo che bloccare un intero isolato con più di cento agenti, distruggere il tetto di un immobile e caricare occupanti e solidali abbiano scosso, a tacer d'altro, la tranquillità pubblica molto più dell'occupazione di un edificio vuoto da quindici anni. Ma far pagare - penalmente e, come vorrebbe il questore, anche economicamente - agli sgomberati le operazioni di sgombero è logica squisitamente torquemadesca. Giunto a conclusioni anarchiche verso i sedici anni, ho deciso di dedicare la mia vita a cambiare radicalmente questa società ingiusta e insensata. Ho tracciato la mia esistenza in tal senso e le numerose condanne elencate dalla Procura testimoniano che non ho mai cambiato idea. Che sono rimasto, proprio come diceva la polizia politica durante il fascismo per legittimare la misura dell'ammonizione o del confino, "insuscettibile di ravvedimento". E mi inorgoglisce il fatto di meritare, agli occhi di Questura e Procura, lo stesso provvedimento riservato dalla polizia sabauda e dall'Ovra a compagni ben più coraggiosi e combattivi di me. Se cercare di mettere in pratica i princìpi dell'etica più alta che per me l'umanità abbia finora concepito - il sogno di un mondo senza servi né padroni, la fine di ogni privilegio economico e di ogni dominio politico attraverso la rivoluzione sociale - significa essere un "delinquente abituale" (in altra epoca si sarebbe detto "malfattore"), allora, sì, sono un delinquente abituale. I cosiddetti onesti cittadini che mai infrangono le leggi sono gli stessi che stavano a guardare quando in questo Paese si deportavano gli ebrei e si fucilavano i partigiani. Perché anche allora a resistere, a disertare, a insorgere fu una minoranza, per lunghi anni guardata con sospetto, denunciata, confinata in una dolorosa quanto fiera solitudine morale. D'altronde che l'ammonizione fascista coincidesse in tutto e per tutto con la democratica sorveglianza speciale non l'ho imparato dai libri, ma ascoltando il mio amico e compagno Lionello Buffatto, comunista indomito, partigiano, antifascista della prima ora. Quando mi spiegava in cosa consistesse l'ammonizione che lo aveva colpito nel 1938, ho potuto notare che le restrizioni cui era stato sottoposto erano le stesse che il codice prevede anche oggi, con la sola eccezione che lui e gli altri ammoniti non potevano nemmeno, in quanto "cittadini indegni", camminare sul marciapiede. Lionello, morto a novantasei anni in una stanza della casa di riposo in cui al posto della televisione c'era una kefiah palestinese attorcigliata, era stato raggiunto dalla misura dell'ammonizione per aver partecipato alla famosa riunione cospirativa svoltasi al bosco della città di Rovereto. Temendo che l'ammonizione si trasformasse in confino o in carcere prese la via dell'esilio con la moglie Gina e il piccolo Uliano. Dopo essersi unito al maquis francese, rientrò nella città della Quercia nel maggio del 1945. E poiché la Procura, nella richiesta di sorveglianza speciale nei miei confronti, insiste, oltre che sulla mia partecipazione alla lotta contro il TAV in Valsusa, anche sulle recenti occupazioni di case e stabili abbandonati a Trento, vorrei raccontare qualcos'altro di Lionello. Tornato a Rovereto, egli fu nominato "commissario politico agli alloggi". In quanto tale, decise di requisire una casa vuota in via Setaioli di proprietà dei Costa (arricchitisi ben bene durante il Ventennio) per alloggiarvi una famiglia di povera gente. L'allora comandante in capo delle truppe alleate a Rovereto, un certo colonnello Somer, convocò Lionello in commissariato per dirgli che quella casa doveva essere restituita ai legittimi proprietari, nel frattempo alleatisi con la nuova classe dirigente. Alla risposta di Lionello che non era tornato in Italia per accettare ordini fascisti, il colonnello Somer lo fece arrestare. Poiché le carceri di via Prati erano state bombardate nel gennaio del 1945, Buffatto fu rinchiuso in una segreta del palazzo di Piazza Podestà dove oggi c'è la caserma della Finanza. (Tra l'altro in quei luoghi aveva operato la famigerata "banda Carità", detta anche dei toscanini, feroci seviziatori e torturatori al soldo dei nazisti, assolti tutti negli anni Cinquanta per aver agito "in stato di costrizione"...). Lionello fu liberato qualche giorno dopo grazie allo sciopero scoppiato in solidarietà con lui alla Manifattura Tabacchi. Vedete, signori giudici, la vita è una questione di occasioni e di prospettiva. Essendo nato e cresciuto in un'epoca piuttosto grama di slanci generosi e di coerenza, ho cercato i miei maestri fra i tanti morti e i pochi vivi che non hanno mai piegato la testa. Quello che sono riuscito a fare in tutti questi anni non è stato gran che, ma ho imparato una cosa importante. Ho imparato che ogni volta che mi sono battuto per ciò che consideravo giusto ho assaporato la gioia di essere a fianco degli onesti "malfattori" del passato e del presente; mentre ogni volta che ho ceduto mi sono sentito infelice e solo. Per questo vorrei dirvi, con meno retorica possibile, che non ho alcuna intenzione di cambiare condotta e che non esiste misura che possa tenermi lontano dai miei compagni e dalle lotte. Trento, 10 settembre 2015 Massimo Passamani

martedì 15 settembre 2015

Quel +0,7% di crescita che non arricchirà i lavoratori e non diminuirà lo sfruttamento

Alternativa Libertaria/FdCA 91° Consiglio dei Delegati Pordenone, 12 settembre 2015 presso Circolo Libertario Zapata Documento finale Quel +0,7% di crescita che non arricchirà i lavoratori e non diminuirà lo sfruttamento L'esultanza in ambiti governativi per il prodotto interno lordo italiano a +0,7% in aprile 2015, dopo tre anni di recessione, non ci deve contagiare. Noi lavoratori e lavoratrici, precar* e disoccupat* non abbiamo nulla da esultare, perchè si tratta di un risultato che non avrà nessuna conseguenza sull'andamento dei salari e dell'occupazione, in quanto esaurirà i suoi effetti nel contenimento del deficit pubblico e nella corsa a tappe forzate verso quel pareggio di bilancio previsto dalle politiche di austerità dell'Unione Europea. Non abbiamo nulla da esultare, perchè sappiamo quali sono stati in questi 7 anni i costi e le macerie sparse nel tessuto sociale del paese che stanno al di sotto di questo dato: tra il 2008 ed il 2014 un saldo di 1 milione di posti di lavoro persi; centinaia di migliaia di imprese chiuse; il numero di famiglie in difficoltà è raddoppiato; il crollo della capacità di acquisto dei redditi da lavoro; l'aumento brutale del saggio di sfruttamento. E sappiamo quali misure governative siano state prese contro i diritti dei lavoratori con la distruzione del contratto collettivo, con la flessibilità di mansione o di esercizio ed i controlli a distanza introdotti dal Jobs Act, con la approvazione della legge 107 sulla scuola a cui sta per aggiungersi quella sul Pubblico Impiego. Non possiamo esultare, perchè quel +0,7%, che il governo stima diventerà un +0,9% alla fine del 2015 e persino un +1,8% nel 2016 è una posta pesante nella partita che il governo intende giocarsi sullo sfruttamento e relativa valorizzazione capitalistica di interi pezzi del territorio, dei mari e delle coste per progetti di privatizzazione, controllo e commercializzazione di risorse energetiche autoctone ed estere. Non dobbiamo nemmeno farci trascinare nei se e nei ma altrui: troppe sono le incognite e le sfide internazionali che ci dicono incombono sulla nostra sorte. Dovremmo confidare nella Banca Centrale Europea affinchè stampi altri nostri 60 miliardi di euro per sostenere le banche (che poi non sostengono nessuno)? Che l'euro stia basso così le esportazioni europee vanno a gonfie vele? O dovremmo tifare per le svalutazioni anti-imperialiste della moneta della Repubblica Popolare Cinese? Oppure implorare che la Federal Reserve degli Stati Uniti non alzi i tassi d'interesse? Pregare che i mitici BRICS diano ancora ossigeno ai mercati? Sperare che si producano sempre più milioni di barili di petrolio al giorno, così il prezzo scende, ma senza che se ne vedano gli effetti nelle nostre sdrucite tasche? O non dovremmo piuttosto guardare ai 150 milioni di lavoratori scesi in sciopero in India per i loro diritti pochi giorni fa, ai durissimi scioperi operai ad esempio in Brasile ed in Cina? I numeri a saldo positivo del capitalismo non ci devono ingannare. La realtà che sta uscendo da lunghi anni di crisi non ci consente di rilassarci. I radicali mutamenti intervenuti ed ancora in corso nel mondo del lavoro ci inducono a prendere atto: che occorre impegnarsi nella vertenzialità nei luoghi di lavoro, la quale -se da un lato permette (ove possibile e sapendo costruire favorevoli rapporti di forza alla base) di vincere nei contratti aziendali, dall'altro non è più però sufficiente a dare forza globale all'organizzazione di massa dei lavoratori; che la crisi dei sindacati, tradizionali e/o alternativi, richiede comunque la nostra presenza ed il nostro presidio come iscritti, come delegati e come dirigenti eletti, per ri-costruire capacità di lotta e di rappresentanza dal basso nei posti di lavoro, nella pratica di vertenzialità; che nei territori è necessario ri-costruire tessuto sindacale e capacità di solidarietà sindacale a partire dalle esperienze conflittuali più avanzate di collettivi, centri sociali, coordinamenti; che occorre sostenere la capacità di costruire lavoro tramite la sperimentazione di cooperative autogestite all'interno di un progetto sociale alternativo. Le possibilità ed i soggetti di resilienza si esprimono oggi soprattutto nelle lotte nel territorio, dal diritto alla casa al diritto ad un ambiente sano, dall'opposizione alle grandi opere inutili alle mobilitazioni contro i progetti di sfruttamento scellerato di terre, acque e mari, dall'opposizione alla aziendalizzazione dell'istruzione alle mobilitazioni contro il razzismo; dall'accoglienza dei profughi alla sperimentazione di forme di produzione e distribuzione autogestite. In questi mesi, in queste lotte, in queste realtà il ruolo degli anarchici e dei libertari è quello di aprire i recinti, di sconfinare, di costruire ponti o trovare guadi, di collegare le realtà conflittuali, le soggettività sociali nella costruzione del potere popolare autogestionario, radicato negli interessi immediati e storici degli sfruttati. Alternativa Libertaria/fdca – 91° Consiglio dei Delegati Pordenone, 12 settembre 2015

La farsa dell’assemblea nazionale Rsu: una tragedia per la scuola pubblica?

Articolo di Francesco Locantore (direttivo nazionale Flc - Cgil) L’annunciata assemblea nazionale delle Rsu, convocata dai cinque sindacati che indirono lo sciopero contro la “buona scuola” lo scorso 5 maggio si è rivelata una farsa. In realtà l’11 settembre scorso al Teatro Quirino di Roma si sono alternati gli interventi dei segretari generali di Flc Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda con quelli di appena dieci Rsu, due per ciascun sindacato, accuratamente selezionati dalle segreterie nazionali per confermare la linea di sostanziale dismissione della lotta contro la legge 107/2015. La stessa platea era stata selezionata a monte dalle segreterie territoriali dei cinque, impedendo una partecipazione di massa (c’erano forse 350 persone, d’altronde era evidente che si sarebbe limitata la partecipazione già dalla scelta del luogo). L’assemblea è stata introdotta da Domenico Pantaleo, segretario Flc Cgil, sulla linea concordata a monte con gli altri segretari e riportata in un documento del 10 settembre scaricabile dai siti sindacali (http://www.flcgil.it/sindacato/documenti/lettere-comunicati-e-documenti/documento-unitario-ripartire-dai-contratti-per-fare-vera-innovazione-10-settembre-2015.flc). L’attenzione si sposta dalla necessaria abrogazione della legge alla lotta per il rinnovo contrattuale, senza che venga detto alcunché sul contenuto di una piattaforma contrattuale che restituisca dignità sotto il profilo normativo e salariale ai lavoratori e alle lavoratrici della scuola. Su questo è previsto uno sciopero nel mese di ottobre, di cui tuttavia non è stata neanche annunciata la data. Ricordiamo che il rinnovo della parte economica del CCNL scuola del 2009 non è stato firmato dalla Flc Cgil, che indisse a suo tempo un referendum tra i lavoratori per sbugiardare il comportamento complice e antidemocratico degli altri sindacati che firmarono un accordo al ribasso senza consultare i lavoratori stessi. Su quali basi oggi poggerebbe l’accordo tra i sindacati per una piattaforma comune di rinnovo contrattuale non è dato saperlo. Nel direttivo nazionale fu approvata l’anno scorso una bozza di piattaforma che doveva servire da base alla discussione nel sindacato, discussione che non si è mai aperta (non ne ha discusso neanche la struttura di comparto nazionale della scuola) anche per le urgenze sopravvenute di contrasto alle ipotesi di riforma avanzate dal governo. Su quella bozza le compagne e i compagni de “Il sindacato è un’altra cosa” hanno dato parere contrario, dato che aprirebbe all’aumento dell’orario di lavoro degli insegnanti a parità di retribuzione. Ci aspettiamo su questo punto non solo una discussione democratica nel sindacato, ma anche la partecipazione delle assemblee dei lavoratori (quelle vere) alla definizione della piattaforma. Sulla legge 107, la posizione dei sindacati continua ad essere critica, ma non sono previste iniziative di mobilitazione e di contrasto alla sua applicazione nelle scuole. L’unica iniziativa che i sindacati promettono di perseguire è quella del ricorso alla Corte costituzionale. Peraltro la Consulta non può esprimersi su richiesta diretta dei cittadini e neanche dei sindacati, ma può essere interpellata solo in via incidentale da un giudice ordinario o per conflitto di attribuzione di poteri tra lo Stato e le Regioni (in questo senso si stanno già muovendo alcuni consigli regionali). La strada è lunga e il rischio è che la legge faccia i suoi danni, introducendo la competizione nelle scuole e tra le scuole, per non parlare dei precari sbattuti in giro per l’Italia o messi negli albi a disposizione dei dirigenti scolastici. Il ruolo del sindacato dovrebbe essere quello di dare da subito indicazioni e mobilitare i lavoratori e le lavoratrici della scuola, intanto impedendo di applicare la legge, ad esempio rifiutandosi nei collegi e nei consigli d’istituto di eleggere i comitati di valutazione, cioè gli organismi che dovranno predisporre i criteri secondo i quali i dirigenti scolastici assegneranno i bonus agli insegnanti giudicati “meritevoli”, ma anche rifiutando ogni attività non prevista come obbligatoria dal contratto di lavoro vigente (gite, progetti, attività di coordinamento ecc.). Tutto questo nella proposta dei cinque sindacati non c’è, invece sono usciti all’inizio dell’anno scolastico con un documento unitario (http://www.flcgil.it/sindacato/documenti/lettere-comunicati-e-documenti/documento-unitario-risparmiamo-alla-scuola-gli-effetti-piu-deleteri-della-legge-107-15.flc) “per risparmiare alla scuola gli effetti più deleteri della legge 107/2015”, in cui si invitano gli organi collegiali a far valere le loro prerogative applicando comunque la legge 107. Nelle conclusioni dell’assemblea Francesco Scrima (Cisl Scuola) ha rivendicato il fatto che i sindacati avrebbero già evitato provvedimenti ancora peggiori sulla scuola (in particolare sul personale ATA), che il governo ha perso ed oggi ha bisogno dei sindacati per affrontare i disastri provocati dalla legge 107, convocati il 23 settembre al Miur. Secondo Scrima bisogna andare al confronto per chiedere le modifiche alla legge sugli aspetti più odiosi: la valutazione, che secondo la Cisl dovrebbe passare per la contrattazione, e la chiamata diretta. Nessun riferimento ai finanziamenti alle scuole private, all’alternanza scuola lavoro, all’aziendalizzazione degli istituti che dovranno cercare finanziamenti privati per funzionare e a tutti gli altri aspetti della legge che sono stati contrastati dal movimento della primavera. La ritirata dei cinque sindacati (è significativa l’esclusione dei Cobas, che pure avevano partecipato a tutte le scadenze unitarie dopo il 5 maggio scorso), se dovesse prevalere tra gli insegnanti e il personale della scuola, sarebbe una vera tragedia per la scuola pubblica italiana, lasciando passare una riforma che ne ha cambiato la fisionomia fin dalle fondamenta. L’unità sindacale, che è stata la forza di questo movimento essendo stata costruita dal basso attraverso le mobilitazioni e infine imposta ai gruppi dirigenti nazionali dei principali sindacati, rischia di diventare la scusa con cui anche la Flc rinuncia alla mobilitazione per l’abrogazione della legge 107. Tuttavia ci sono segnali incoraggianti, a cominciare dalla grande partecipazione e combattività espresse all’inizio di questo anno scolastico dai coordinamenti autoconvocati, dalle associazioni e comitati che sono stati protagonisti nella scorsa primavera del movimento contro la “buona scuola” di Renzi. Abbiamo già pubblicato su questo sito il documento conclusivo adottato dall’assemblea nazionale dei movimenti tenutasi a Bologna lo scorso 6 settembre (http://sindacatounaltracosa.org/2015/09/10/difesa-rilancio-e-rafforzamento-della-scuola-della-costituzione/), in cui si rilancia la lotta contro la legge 107 e si chiede da subito la convocazione di uno sciopero e una manifestazione nazionale della scuola, si decide l’apertura di una campagna referendaria per l’abrogazione della legge, si sostengono le iniziative già convocate dagli studenti, a partire dalla giornata di mobilitazione nazionale del 9 ottobre. La presidenza dell’assemblea Rsu non ha dato seguito alla richiesta di esporre le conclusioni di quella assemblea al teatro Quirino, che evidentemente sarebbero state dissonanti con la conduzione che era stata concordata tra i cinque sindacati. Il movimento oggi deve ricominciare da capo e ricostruire dal basso la mobilitazione e la pressione che ha saputo esercitare durante lo scorso anno scolastico sulle burocrazie sindacali.

Un saluto a pugno chiuso

Apprendiamo che questo fine settimana è scomparso dopo lunga malattia il compagno Gianfranco Coccoli , esponente di punta della sinistra sindacale e di classe in CGIL e Fiom del Veneto . Lo ricordiamo per la massima disponibilità al confronto dialettico , per la capacità ad rimanere con i piedi nella base e non rimanere indifferente alla mutazione del sindacato in questi anni . I funerali si terranno mercoledì 16 settembre. Alle ore 9:00 apertura della camera ardente obitorio di Padova dietro ospedale civile via Alvise Cornaro 2. Commiato finale ore 10:30 Cimitero Maggiore di Padova, via del Cimitero sul cavalcavia di Chiesanuova. Sono gradite secondo le volontà del compagno Coccoli bandiere rosse e striscioni di fabbrica.

martedì 8 settembre 2015

TAVOLA ROTONDA SULLA SANITA' PUBBLICA / PORDENONE 13 SETTEMBRE 2015

“Nei 37 anni dall’entrata in vigore della riforma sanitaria legge 833/78 che istituiva il SSN, pubblico, unico, universale, si sono succedute una miriade di controriforme per ridurre un sistema nato equo e di qualità, a ciò che la scelta neoliberista e la firma del Trattato di Maastricht, hanno imposto: una sanità in cui chi ha i soldi si cura (sia nel pubblico che nel privato) e chi non li ha, resterà impaurito, frustrato, rassegnato, oltre che malato.” Per salvaguardare il bene SALUTE e il diritto ad una SANITA’ UNIVERSALE sarà necessario che cittadini, pazienti e operatori si uniscano nel contrastare lo smantellamento del SSN così come era stato conquistato con le lotte di uomini e donne per un diritto ad una vita dignitosa. Alternativa Libertaria/FdCA invita ad una giornata di approfondimento e discussione. IL DIRITTO ALLA SALUTE PER UNA SANITA' PUBBLICA, COLLETTIVA, UNIVERSALE Tavola Rotonda - Alternativa Libertaria / FdCA domenica 13 settembre 2015 Pordenone - ore 10.00 - 17.00 - presso il Circolo E. Zapata* Programma definitivo Ore 9.45 accreditamento partecipanti (consegna materiale) Ore 10.00 – 12.45 Prima sessione: Facciamo il punto tra realtà e diritto alla salute Modera: Lino Roveredo (AL/fdca nord-est) Intervengono: A. Zanella, D. Marini (AL/fdca nord-est) M. Andreani (AL/fdca Fano-Pesaro) Inizio dibattito ore 11.15 fino alle 12.45 12.45-13.45 pausa pranzo (buffet in giardino) 13.45 – 16.50 Seconda sessione: Vertenzialità e sanità con comitati e sindacati Modera: Donato Romito (Segreteria Nazionale AL/fdca) Intervengono: F. Arduini P - Comitatinrete - “Ospedale unico Pesaro-Fano (PU), dalle contestazioni alla organizzazione in cooperativa” Esponente Comitato Salute Pubblica Bene Comune (PN) – “Perché opporsi ai nuovi ospedali costruiti con il Projet Financing“ F. De Rosa (USB - PN) - Precari in sanità L. Meneghesso (USI - TS) - Terzo settore in sanità A. Viappiani (AL/Fdca – CGIL) - Salute dei lavoratori Inizio dibattito ore 15.15 fino alle 16.50 Chiusura lavori e saluti 16.50-17.00 Info: altlibnordest@fdca.it - Telefono: adelina 3347664353 – lino 3396812954 Per motivi organizzativi è gradita la conferma della presenza *Circolo E. Zapata - sede in Via Pirandello, 22 a Villanova di Pordenone, il PREFABBRIKATO dietro il Centro sociale Anziani.

lunedì 7 settembre 2015

PNREBEL FEST: Continuiamo ad immaginare, creare, agire per riprenderci il futuro

PNREBEL FEST: Continuiamo ad immaginare, creare, agire per riprenderci il futuro Si è conclusa la 2° edizione del Pnrebel Fest che quest’anno, presso il campo sportivo di Vallenoncello, ha ospitato anche la 6° edizione del Torneo Antirazzista di calcio a 7 grazie alla sinergia con l’Ass.ne Dai un Calcio al Razzismo che per 5 annni (dal 2006 al 2010) ha dato vita alle edizioni precedenti presso la polisportiva di Villanova. Cosa è successo durante questa lunga giornata, cominciata dalla mattina presto di sabato 5 settembre e terminata il mattino del giorno dopo? Alcuni numeri possono dare l’idea: il torneo è stato giocato da 6 squadre, sono stati coinvolti più di 40 profughi del pordenonese, molti hanno giocato, altri hanno supportato le squadre; ad ora di pranzo sono stati sfornati 120 pasti per tutti e dopo il pranzo sociale si sono svolte le fasi conclusive del torneo, terminato alle 16.00; le premiazioni sono state puntuali alle 17:00 con il primo posto conquistato dall’Africa United, coppa Far-Play (la più importante) aggiudicata dalla Futura e poi ancora la Coppa Chiosco alla Stella Rossa di Portogruaro. L’assemblea del PnRebel ha discusso poi per oltre due ore, facendo il punto della situazione a distanza di un anno dalla nascita di questo progetto: quasi una cinquantina di persone si sono confrontate discutendo di precarietà lavorativa, abitativa, di spazi sociali, della situazione nelle scuole pordenonesi, di comunicazione, autogestione e delle derive xenofobe in città. Molto l’interesse per il lavoro svolto dal Collettivo Riff Raff, nato proprio come spunto di lavoro dai punti del manifesto d’intenti dell’anno scorso. Un fornito chiosco ha poi accompagnato le oltre 200 persone che hanno partecipato in serata ai concerti degli Atom Tanks, i Wooddrops e i Boyzslega: una serata trascinante fatta di balli ma anche di testi che han saputo raccontarci di cosa succede attorno a noi. Un workshop di graffiti il pomeriggio e una demo di breakdance la sera hanno poi scandito il programma del PnRebel Fest che si è svolto fino alla fine, nonostante la pioggia a intermittenza e la concomitanza di molte iniziative in città e provincia. Un bilancio quindi più che positivo e che ci sprona a impegnarci ancora di più verso la realizzazione di un progetto di riappropriazione della città su basi solidali e autogestionarie. Alla crescente paura e all’odio propagandato dalle destre e dai media, in particolare con lo spauracchio dei profughi in città abbiamo risposto con il loro coinvolgimento e la solidarietà; all’abitudine e al consolidato esercizio di deleghe e finanziamenti abbiamo risposto con l’autorganizzazione, l’autofinanziamento e l’autogestione e infine alla politica degli apparati (istituzioni, partiti e amici degli amici) abbiamo preferito un progetto/percorso fatto di confronto, scambio e pratiche alternative in una città che non conosce spazi oltre il profitto, il tornaconto elettorale e le spartizioni di fette di potere. Un altro anno si apre, siamo solo all’inizio, molto c’è da fare e alla fine di questo festival rilanciamo: niente per noi, tutto per tutti! PnRebel

martedì 1 settembre 2015

No allo smantellamento della sanità pubblica!

Dalla sanità pubblica alla sanità privatizzata Sette facciate del maxi emendamento al decreto Enti Locali, modificano per l’ennesima volta l’assetto del servizio Sanitario Nazionale, declinato nelle già disomogenee organizzazioni regionali. Nei 37 anni dall’entrata in vigore della riforma sanitaria legge 833/78 che istituiva il SSN, pubblico, unico, universale, si sono succedute una miriade di controriforme (L. delega 421/92, D.L. 502/92, Dlg 517/93, L. 189/2012) per ridurre un sistema previsto dalla Costituzione, equo e di qualità, a ciò che la scelta neoliberista (feb/1992 Trattato di Maastricht) ha imposto: una sanità in cui chi ha i soldi si cura (sia nel pubblico che nel privato) e chi non li ha, resterà impaurito, frustrato, rassegnato, oltre che malato. Il morbo della spending review Quello che non è riuscito a fare il governo Amato (sistema duale con la spinta verso le assicurazioni private per la specialistica ambulatoriale) lo completa il governo Renzi, in un momento in cui anche la tutela sociale è ridotta dalla crisi economica e dalle scelte governative, e appare incerta la possibilità di una mobilitazione generale capace di bloccare questo processo. Il cavallo di Troia si chiama “appropriatezza delle prestazioni” (art 9 quater): cioè il servizio pubblico non offrirà più quelle prestazioni che non sono ritenute necessarie e che verranno indicate entro un mese da un decreto. La salute come consumo Negli anni passati si è preferito incoraggiare l’affermarsi della medicina prescrittiva, rafforzata da quella difensiva e dalla “redditizia” sovra-diagnosi, che mercificano le attività sanitarie, per distogliere l’attenzione dai fattori di nocività dell’ambiente, di vita e lavoro, evitando di investire adeguatamente in prevenzione, promozione della salute e combattere i determinanti delle malattie. Ora, che il paziente/consumatore è sufficientemente indotto al consumismo sanitario, si possono togliere le prestazioni garantite dal sistema pubblico (abbassando di fatto i Livelli Essenziali di Assistenza) e spingere ancor più verso l’acquisto privato (secondo il Censis nel 2014 i cittadini hanno già speso 33 mld di tasca propria per garantirsi assistenza e cure e, secondo l’ISTAT, sono circa l’11% i cittadini che rinunciano a curarsi per ragioni economiche o per mancanza di offerta). Educare e coinvolgere Se le prestazioni sono davvero “inappropriate” è urgente fornire un’adeguata educazione sanitaria ed un coinvolgimento dei cittadini per la loro difesa da ciò che è inappropriato (e a volte dannoso), sia esso gratis o a pagamento, erogato dal pubblico o dal privato, gravante sul bilancio pubblico o su quello familiare. I medici (Simg) propongono di essere incentivati in base a evidenti risultati di un bilancio spesa/salute degli assistiti, piuttosto che essere premiati o puniti in base ad un bilancio amministrativo: per i cittadini sarebbe sicuramente un vantaggio e a medio-lungo termine lo sarebbe anche per il bilancio della sanità. Chi deciderà l’appropriatezza? Un altro decreto!! Chissà se ci vorrà un’altra fiducia. L'art.9 del decreto fa male alla salute L’art 9 fa anche molto altro: - ridefinisce il livello di finanziamento del SSN, tagliando 2,352 mld al fondo sanitario per il 2°15 arrivando complessivamente a -5 mld in un anno e mezzo. Nel 2014 abbiamo speso meno che nel 2010 e due punti di PIL in meno di Francia e Germania; - prevede una rinegoziazione dei contratti di acquisto di beni e servizi, dispositivi medici e farmaci, ripetendo ciò che è stato imposto con le precedenti spending review, mettendo a rischio le forniture necessarie al funzionamento del servizio e posti di lavoro nel terzo settore e industria; - riduce il numero dei ricoveri e/o delle giornate in regime di riabilitazione ospedaliera potenzialmente inappropriati sotto il profilo clinico, senza che ci sia stato un investimento che consenta un’adeguamento “appropriato” della riabilitazione territoriale; - risparmia ancora sul personale con l’applicazione degli standard ospedalieri (riduzione tasso di ospedalizzazione e posti letto, incremento del loro tasso di occupazione) ridetermina la consistenza dei fondi per la contrattazione decentrata (mentre continua ad essere bloccata da 6 anni quella nazionale) e taglia gli incarichi dei primari; - potenzia con 3,5 mln di euro le misure di sorveglianza dei livelli dei controlli di profilassi internazionale del ministero della salute, ma ne investe 33,5 mln per rinforzare gli ospedali romani (compresi quelli del Vaticano) durante il giubileo. Meno tasse ma senza salute Renzi ha già dichiarato (campagna amministrative 2016?) che con i soldi risparmiati si possono ridurre le tasse ai cittadini: ma quali tasse? Quelle sulla prima casa che non tutti hanno? O regalando un’altra riduzione dell’IRPEF del tipo 80 € a chi un IRPEF la paga e quindi ha anche un reddito, e continuando a lasciare nell’indigenza i cittadini non più in grado né di avere una vita dignitosa né di curarsi? Mobilitazione Proponiamo di ridurre le spese sanitarie: - riducendo i determinanti le malattie aumentando gli investimenti e le politiche di protezione degli ambienti di vita e lavoro - togliendo il profitto dalla gestione di un bene non disponibile come la salute e del diritto alla cura, riabilitazione e assistenza - lottando contro la corruzione, attività che in sanità fa ancora buoni affari (circa 6 mld/anno) - riducendo l’uso incongruo di psicofarmaci che aumentano la cronicità e l’invalidità dei pazienti che li assumono e i costi per la loro assistenza - applicando la tecnologia a disposizione non per ridurre la spesa, ma per consentire ai professionisti e operatori della sanità di occuparsi in modo più adeguato ai pazienti - ridare risorse ai Consultori familiari per consentire di riprendere la funzione per cui erano stati istituiti 40 anni fa, tra cui la prevenzione - costituire comitati e coordinamenti misti di cittadini ed operatori per monitorare, denunciare e contrastare disservizi, incuria, riduzioni del servizio e sprechi causati dai tagli e da atti e delibere lesivi del diritto alla salute. Per salvaguardare il bene SALUTE e il diritto ad una SANITA’ UNIVERSALE sarà necessario che cittadini e professionisti, pazienti e operatori si uniscano nel contrastare lo smantellamento del SSR così come era stato conquistato con le lotte di uomini e donne per un diritto ad una vita dignitosa. Alternativa Libertaria/fdca - agosto 2015

Erdogan assassino kurdistan libero ! Manifestazione in appoggio alla resistenza Kurda a Trieste /Trst

Ormai è provato che Erdogan è complice dell’ ISIS, ma l’Europa continua ad appoggiare la Turchia e a criminalizzare i Kurdi. Lo Stato Turco fornisce sostegno economico, ma anche militare e politico, a ISIS. L’Emiro dell’ISIS, Yasin Ebdileziz Egumi, catturato dalle forze di difesa YPG durante l’attacco di ISIS a Kobanè il 25 Giugno, ha confessato l’esistenza del sostegno da parte della Turchia affermando inoltre che il gruppo armato che ha attuato il massacro del 25 giugno è entrato dalla Turchia. Anche per l’attentato che ha causato la morte di decine di giovani socialisti e anarchici a Suruç, il 20 luglio, stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza le responsabilità del governo dell’AKP di Erdogan. Dopo l’attentato di Suruç, la Turchia ha fatto finta di bombardare le postazioni dei massacratori e tagliagole dello “Stato Islamico”, ma in realtà ha colpito e continua a colpire i villaggi Kurdi; bombarda, spara, tortura, brucia le case, incendia le foreste e arresta perfino gli amministratori eletti nei Comuni Kurdi. Nella Rojava la lotta per l'indipendenza si è sviluppata in una rivoluzione sociale. Attraverso quello che i Kurdi chiamano Confederalismo Democratico, che ha una chiara dimensione libertaria, femminista ed ecologista, non si vuole creare un nuovo Stato, ma una rete di comunità che si autogovernano nel pieno rispetto di tutte le popolazioni che vivono o vogliono vivere nel territorio. Certamente oltre all'accanimento storico del governo turco contro i curdi e il progetto di un Kurdistan unito c'è oggi la necessità da parte di Erdogan e degli alleati NATO di bloccare questa esperienza che si sta consolidando e allargando alle regioni vicine. Non dimentichiamoci, che la Turchia, oltre a far parte della NATO, è fortemente legata economicamente all’Europa e soprattutto alla Germania. A Trieste si sta costruendo una piattaforma offshore per i container di merci provenienti via mare dalla Turchia, da mandare poi, via rotaia, in Germania. E allora come la mettiamo con le corresponsabilità occidentali, Italia compresa, verso il massacro delle popolazioni Kurde? In appoggio alla Resistenza Kurda e alla carovana per Kobane del 15 settembre indiciamo una manifestazione/corteo a Trieste per Sabato 12 settembre in piazza della Borsa alle ore 16:00. Si invitano apertamente tutte le forze sociali, politiche e sindacali che si riconoscono nella resistenza curda e nel progetto della Rojava a partecipare e ad aderire. Coordinamento Libertario Regionale FVG

IX Congresso Nazionale della FdCA

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1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)