ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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mercoledì 27 aprile 2016

70 anni di Resistenza, 70 anni di lotte sociali


25 aprile 2016, 1 Maggio 2016

70 anni di Resistenza, 70 anni di lotte sociali

 

Il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava l'insurrezione in tutti i territori italiani ancora occupati dai nazifascisti.

Nel giro di 6 giorni, quasi tutta l'Italia settentrionale era stata liberata dai partigiani.

Così il Primo Maggio si festeggiarono contemporaneamente la liberazione e la giornata internazionale dei lavoratori, soppressa dal fascismo da 24 anni.

Nella storia italiana, le due date sono dunque intrinsecamente unite dai tumultuosi eventi di quella primavera del 1945: la libertà riconquistata si inverava nel 1Maggio, nella giornata della memoria dei martiri di Chicago del 1886 e della riaffermazione del movimento dei lavoratori come protagonista della lotta anticapitalista ed antifascista.

Le due giornate furono poi proclamate feste nazionali nel 1946.

70 anni di lotte per la libertà e l'uguaglianza

Da allora le due giornate simbolo della resistenza antifascista e della resistenza operaia sono state prima osteggiate con la violenza padronale-statale-mafiosa (si pensi alla strage del 1 Maggio di Portella della Ginestra nel 1947), poi lentamente ricondotte alla ritualità del nuovo Stato sorto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, allo scopo di sottrarre ogni spazio di autonomia alla vigilanza popolare antifascista ed alle organizzazioni operaie.

Sono stati decenni in cui quel fascismo, sconfitto militarmente, è riuscito a inserirsi ed a riprodursi all'interno dello Stato e della criminalità organizzata, fino a compiere stragi di popolo per spargere il terrore necessario ad arrestare le lotte operaie e studentesche.

Sono stati decenni in cui il capitalismo italiano ha potuto riprendere l'accumulazione di profitti, imponendo al paese dure condizioni salariali e normative.

Ma l'operazione di riduzione a memorialistica e di depotenziamento del 25 aprile e del 1 Maggio, portata avanti dalle istituzioni statali e da organizzazioni sindacali collaborative e rinunciatarie, non è riuscita a distruggere l'antifascismo ed a falsificarne la memoria, non è riuscita a piegare le lotte dei lavoratori e la loro capacità organizzativa.

Sono stati 70 anni di lotte per la libertà e l'uguaglianza.

Il 25 aprile per contrastare il fascismo oggi

Oggi che il fascismo si esprime sempre più concretamente con le politiche securitarie di Stato e con i partiti politici a vocazione razzista, con la violenza di strada contro immigrati ed attivisti e con il controllo mafioso dell'economia, il 25 aprile assume significati politici inediti.

Nelle manifestazioni locali unitarie, occorre dunque portare i temi antirazzisti della cittadinanza per tutti e delle politiche di accoglienza; occorre portare la rivendicazione della indisponibilità di spazi pubblici e di sedi pubbliche per tutte le formazioni che si richiamano al nazifascismo; occorre vigilare per denunciare le collusioni delle istituzioni con i racket fascio-mafiosi.

Occorre rendere tutto questo parte di una consapevolezza diffusa e popolare, creando reti antirazziste nei quartieri e nelle città, in uno sforzo di unità delle forze antifasciste, degno della migliore tradizione anarchica, come tra il 1919 ed il 1922.

Questo il miglior omaggio che oggi si possa fare alla memoria dei proletari che tentarono di fermare   i fascisti ed alla memoria dei partigiani poi, che hanno combattuto e perso la vita per la libertà e per l'uguaglianza.

Il Primo Maggio per contrastare il capitalismo oggi

Anche il Primo Maggio, lungo la traiettoria storica che dalle origini di 130 anni fa conduce all'oggi, torna a riproporre il tema del riscatto del lavoro dallo sfruttamento e dal fascismo aziendale.

La soppressione di diritti, tutele e libertà sindacali, che caratterizza questa fase neoliberista del capitalismo internazionale, riguarda tutti i paesi.

La solidarietà di classe sembra   scomparsa, riemergono i nazionalismi, si fa strada il razzismo, crescono le guerre di religione, aumenta nel pianeta lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo....

   In questa situazione milioni di donne e uomini lottano contro ogni avversità, per i propri bisogni,   nella ricerca della propria dignità.

 Ed ovunque la prima risposta è quella di rivendicare il diritto di coalizione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, il diritto di sciopero, il diritto alla sicurezza, mettere in discussione i profitti, respingere i licenziamenti ed applicare i contratti collettivi a tutti i lavoratori.

In ogni paese c'è un Jobs Act che cerca disperatamente di spezzare la capacità di lotta dei movimento dei lavoratori.

In tanti paesi le manifestazioni per il Primo Maggio vengono vietate e represse; in Italia usiamo il Primo Maggio per rilanciare organizzazione dal basso e speranza, conflittualità sindacale e fiducia.

Alternativa Libertaria/fdca

1° Maggio anarchico a Noventa Padovana


  I° MAGGIO 2016

         Un appuntamento che si rinnova.

 

 

PIC NIC autogestito (ognuno porta qualcosa da condividere con gli altri)

 

Dalle ore 12:00 fino alle ore 20:00 presso:

  

EX FORNACE DI NOVENTA PADOVANA

in via Noventana 181, Noventa Padovana PD (vedi mappa)  

 

 

Dalle ore 15: si potrà ascoltare musica e canzoni con:

-      BERRETTO FRIGIO (canti di lotta e di resistenza)

-      B. MOVIE BAND (R&B Music)

-      Altri gruppi che intendono unirsi alla festa

 

 

Bancarella dei libri sull’Anarchia e non solo

 

Saranno a disposizione: VINO, PANE, SALAME, FORMAGGIO, BIBITE

Offerti dall’”Ateneo degli Imperfetti 

 

 

Partecipazione alle spese: ALMENO 5(a persona), sono gradite anche partecipazioni più cospicue.

 

 

 

Ateneo degli Imperfetti

www.ateneoimperfetti.it   

martedì 26 aprile 2016

SABATO 30 APRILE LOTTE SOCIALI E CRIMINALIZZAZIONE

SABATO 30 APRILE ore 18 TUTTINPIEDI MESTRE
PIAZZA CANOVA 1  VILLAGGIO S.MARCO 
si discuterà di 
LOTTE SOCIALI E CRIMINALIZZAZIONE REPRESSIONE E CARCERE
AGGIORNAMENTI DELLA CAMPAGNA 
PAGINE CONTRO LA TORTURA DELL’ASSEMBLEA DI LOTTA UNITI CONTRO LA REPRESSIONE
A SEGUIRE CENA BENEFIT

mercoledì 13 aprile 2016

Referendum sociali e lotta di classe.

Mentre è in dirittura d'arrivo la campagna per un auspicabile SI' al referendum abrogativo del 17 aprile per fermare le trivellazioni nel Mar Adriatico entro le 12 miglia, è partita il 9 aprile una composita campagna referendaria che durerà tre mesi, promossa da un comitato promotore nazionale plurale che punta a raggiungere l'ambizioso obiettivo di raccogliere oltre 500.000 firme per la richiesta di referendum abrogativi che riguardano norme della legge 107/2015 sulla scuola, della legge 9/1991 sulle attività di prospezione ricerca e coltivazione di idrocarburi in alcune acque territoriali, della legge 133/2014 sui nuovi e vecchi inceneritori. 
Contemporaneamente è partita la raccolta di firme della CGIL per l'abrogazione di norme del Jobs Act e del Coordinamento Democrazia Costituzionale per l'abrogazione di norme della legge 52/2015 nota come Italicum.
Si aggiunge una petizione popolare per legiferare in materia di diritto all'acqua e di gestione pubblica e partecipativa del servizio idrico integrato.
In tre mesi, dunque, si dispiegherà una capillare ed intensa attività dal basso e dai territori, che coinvolgerà migliaia di attivisti sindacali e politici, ambientalisti, difensori della Costituzione,  finalizzata al raggiungimento del numero di firme necessarie a promuovere i referendum abrogativi richiesto.















La scuola
L'obiettivo è abrogare quattro norme della legge 107/2015. Un poderoso movimento sindacale, tra il 2014 ed il 2015, si era battuto per il ritiro e/o per profonde modifiche alla Legge proposta dal governo Renzi col nome ingannevole di "Buona Scuola". Nonostante alcune modifiche ottenute solo per via parlamentare, l'impianto autoritario e neoliberista della legge 107 è rimasto intatto con grave pregiudizio per la libertà d'insegnamento, per la democrazia  e per l'azione sindacale all'interno delle scuole.  Un ampio fronte di sindacati di categoria (di base e CGIL) e di associazioni di genitori e studenti, è giunto attraverso una serie di assemblee nazionali alla decisione di puntare sulla rischiosa carta di presentare quattro quesiti abrogativi che puntano ad eliminare i superpoteri concessi ai dirigenti scolatici (dalla chiamata nominale dei docenti alla possibilità di distribuire aumenti salariali agli insegnanti, per un presunto “merito”, a propria discrezione), a cancellare l’obbligo alla “alternanza scuola-lavoro” per almeno 400 ore ai tecnici/professionali e 200 ore ai licei, nonché le donazioni private, detratte dalla fiscalità, a singole scuole.
Il mare e le trivellazioni
La recente sensibilità maturata nei confronti dei beni comuni e nella protezione del proprio ambiente di vita di fronte alla rapina mafiosa-capitalistica ha fatto maturare l'iniziativa referendaria contro una legge di 25 anni fa.  Contro l'art.4 della Legge 9/1991, il quesito abrogativo punta ad eliminare la norma che prevede attività di ricerca e trivellazione di idrocarburi nelle acque del Golfo di Napoli, del Golfo di Salerno e delle Isole Egadi, nonchè nelle acque del Golfo di Venezia e nel tratto di mare tra la foce del fiume Tagliamento ed il ramo di Goro della foce del Po. L'obiettivo è estendere l'eventuale effetto abrogativo delle norme che permettono le trivellazioni in Mar Adriatico entro le 12 miglia, qualora il referendum del 17 aprile desse come esito la auspicabile vittoria dei SI', per bloccare tutti i nuovi progetti di perforazione e estrazione, ridurre devastazioni e problemi di salute connessi a progetti petroliferi sempre meno convenienti persino per il capitalismo energetico.
Il territorio ed i rifiuti
Ugualmente, la sensibilità popolare maturata nei confronti dell'inquinamento del proprio territorio, causato da una politica mafioso-capitalistica della gestione dei rifiuti, ha portato all'iniziativa referendaria contro l'art.35 della Legge 133/2014. Il quesito abrogativo punta ad eliminare la norma che prevede che gli inceneritori siano infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale; che sia il governo a decidere localizzazione e capacità specifica di 15 nuovi impianti e possa  commissariare le Regioni inottemperanti; l’obbligatorietà di potenziamento al massimo del carico termico e di riclassificazione a recupero energetico degli inceneritori esistenti; la possibilità di produrre rifiuti in una Regione e incenerirli in un’altra; il dimezzamento dei termini di espropriazione per pubblica utilità e la riduzione dei tempi per la Valutazione di Impatto Ambientale.
L'Italicum
In anticipo sul referendum istituzionale previsto per il prossimo autunno, confermativo della nuova legge elettorale n°52/2015 nota come "Italicum", è partita un'altra campagna referendaria che punta alla abrogazione di due norme di tale legge: quella che dà alle segreterie dei partiti competitori il potere di definire i capi-lista e la loro candidatura plurima e di stabilire i nominativi degli eleggibili; quella che assegna il 54% dei seggi della Camera alla lista che esce vincitrice dal ballottaggio. La lunga e complessa evoluzione delle democrazie post-belliche verso assetti che assegnano un potere sempre maggiore all'esecutivo comporta da un lato il  relegare il Parlamento ad un ruolo di mera certificazione e dall'altro costringere con le buone e le cattive le rappresentanze della società civile ad un ruolo di audizione senza alcun potere di interdizione, di negoziazione e di mobilitazione dal basso. In quest'ultimo caso la risposta prevista è solo una: repressione e criminalizzazione.
Jobs Act (Legge 183/2014)
Dopo una tormentata decisione interna, la CGIL ha lanciato in solitudine la sua campagna referendaria (oltre a quella sulla scuola in alleanza coi sindacati di base) per l'abolizione del Jobs Act per quanto riguarda la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo; per la cancellazione del lavoro accessorio (voucher); per la reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti. Anche in questo caso, siamo in presenza del tentativo di utilizzare lo strumento referendario per ottenere tramite consultazione popolare quello che non si era riusciti ad ottenere attraverso la mobilitazione di massa, vuoi per incapacità di gestire lo scontro, vuoi per incapacità di gestire le contraddizioni tra ceto dirigente PD dentro la CGIL e ceto PD al governo.
Sbornia referendaria o partecipazione dal basso?
Le novità che emergono subito dalla composizione dei temi e dei comitati promotori sono essenzialmente due: si tratta di una campagna referendaria che riguarda  un vasto arco di tematiche sociali antiliberiste; si tratta di una campagna  fondata non su partiti o strutture istituzionali ma su una grande alleanza di movimenti, organizzazioni e reti sociali.
La vastità e la peculiarità  dei temi affrontati non ha precedenti. Non è nemmeno paragonabile ad alcune campagne referendarie degli anni scorsi promosse da questo o quel partito o di schieramenti istituzionali.
Il movimento per la scuola pubblica, il movimento per l’acqua e contro gli inceneritori e le trivelle hanno deciso di lanciare insieme, autonomamente dal basso  e del tutto indipendentemente da partiti o coalizioni istituzionali, una mirata campagna di referendum sociali che punta a cancellare alcuni tra i più devastanti provvedimenti della legge 107 per la scuola e a cambiare le politiche ambientali, a partire dallo stop definitivo alle trivellazioni petrolifere e all’eliminazione degli inceneritori.
Si aggiungano gli altri due movimenti referendari: quello sul Jobs Act e quello sull'Italicum.
Questa campagna referendaria potrebbe rafforzare e unificare la mobilitazione sociale ed estendere il coinvolgimento diretto delle persone, al fine di disegnare un modello di partecipazione e di  autodeterminazione sempre più ampio.
I temi sono di rilevante importanza per gli interessi delle classi popolari. La privatizzazione della scuola pubblica e dell'ambiente, la totale precarizzazione del rapporto di lavoro, la svolta autoritaria del sistema elettorale sono tasselli di un medesimo processo di riduzione delle classi lavoratrici e popolari a meri subordinati senza diritti, a clienti del mercato della formazione, ad elettori senza scelta, a residenti di un territorio che gli è stato espropriato.
Nessun potere pare debba essere lasciato all'iniziativa di coalizione, di aggregazione, di lotta delle classi popolari. Nessuna loro rappresentanza deve poter  avere speranza di opposizione sociale, di negoziazione, di alternativa all'interno di un modello e di uno schema che non prevede variabili fuori controllo, che non prevede soggetti popolari dotati di una loro autonomia progettuale di classe e di liberazione.
Opposizione referendaria o docilità istituzionale?
Questa campagna referendaria nasce da movimenti, organizzazioni sindacali, associazioni di base, realtà popolari che hanno tentato in tutti i modi caratteristici della partecipazione popolare contemporanea di ostacolare la recente stagione di serrata istituzional/legislativa messa in atto dal governo Renzi.
Dal 2014 ad oggi abbiamo assistito ad una capacità di riorganizzazione su territorio di realtà di base che nel mondo del lavoro come nella scuola, nei territori per la difesa dei beni comuni come nella progettualità di alternative di convivenza e di produzione, hanno tentato di de-istituzionalizzarsi contestando proprio quelle istituzioni -dallo Stato alle amministrazioni locali, dalle centrali sindacali in cattività a partiti-movimento falsamente innovatori- che hanno agito inevitabilmente come agenzie di cattura del consenso ad un modello neoliberista non contestabile.
Le conseguenze di una crisi economico-finanziaria endemica sono state devastanti sul piano dei redditi e dell'occupazione, sulla ridefinizione del modello produttivo e sul controllo e sul depotenziamento della forza-lavoro organizzata. Era facilmente prevedibile che ci sarebbero state conseguenze anche sulla capacità di ricostruire forme di opposizione sociale e politica dal basso.
Fare uso di uno strumento previsto dallo Stato per abrogare sue proprie leggi (almeno finchè il governo Renzi -o altri- non renderà operative le modifiche anche su questo istituto) forse non è oggi una dimostrazione di docilità istituzionale, come potrebbe apparire ai "benaltristi". 
Bensì della presa di coscienza che, sulla lunga distanza che attende il faticoso percorso di ricostruzione di una  soggettività di classe forte di autonomia e di contro-potere, questo protagonismo dal basso, queste alleanze pragmatiche di oggi possano essere segnali di una tendenza utile e necessaria.
In questa contigenza storica, ALternativa Libertaria impegna le sue sezioni, le/i suoi/e militanti a stare nella dimensione sociale e di classe, popolare e di movimento in cui ci siamo sempre collocati  ed a  agire quale narratori e propulsori di lotte per la libertà, per l'uguaglianza e per la democrazia dal basso, contro gli unici e soli nemici di sempre: il capitalismo e lo Stato.
Alternativa Libertaria/fdca
aprile 2016  





Sull'Anarchia - Porenone 16 aprile

INCONTRO/PROIEZIONE/CENA SOCIALE

"Sull'Anarchia" è un documentario di Bruno Bigoni che affronta attraverso molteplici aspetti le diverse forme dell’idea anarchica, l’esperienza dell’essere anarchici e le innumerevoli realtà libertarie che ancora oggi si concretizzano ovunque.
Il film racconta attraverso testimonianze, immagini e scritti questa straordinaria esperienza, così difficile da vivere in un tempo come il nostro dominato dal denaro e dall'egoismo.
Περί Αναρχίας - Sull'Anarchia - non mira a definire che cosa sia l'Anarchia, per sua natura restia ad ogni sorta di etichetta, ma, andando oltre pregiudizi e falsità, vuole restituirla per ciò che essa è nel profondo: l'Anarchia come modo, modo di essere, di pensare, di vedere e di vivere.
L'Anarchia come capacità d'immaginare un mondo diverso.

- Incontro con l'autore Bruno Bigoni
- Poiezione film
- Cenza sociale (gradita prenotazione)

Iniziativa Libertaria - PN

domenica 10 aprile 2016

APPELLO A PARTECIPARE ALLA PRIMA CONFERENZA NAZIONALE DI NO AUSTERITY

 
Il coordinamento No Austerity organizza a fine maggio la prima Conferenza nazionale per delegati.
La conferenza è aperta a tutte e tutti i singoli o gruppi (sindacati, strutture sindacali, comitati di lotta, associazioni, assemblee territoriali) che pensano sia importante rafforzare l'unità delle lotte.
Proponiamo alla discussione di tutte le realtà che decideranno di partecipare a questo percorso una Carta dei Principi, che potete leggere sul sito.
Sul sito verrà aperta un'apposita sezione dove saranno pubblicati tutti i contributi delle realtà che decidono di partecipare al percorso.
Per ogni ulteriore informazione potete visitare il sito www.coordinamentonoausterity.org o scrivere a: info@coordinamentonoausterity.org
 
Sul sito di No Austerity trovate tutto il materiale per la
Conferenza nazionale del 28-29 maggio a Firenze:
l'appello per la Conferenza, il regolamento per parteciparvi, la Carta dei principi
Clicca qui:
  



 
 
 


L'appello per la Conferenza
NO AUSTERITY SI EVOLVEVerso la Prima Conferenza Nazionale
Firenze 28-29 Maggio 2016
 
No Austerity si evolve, estende e supera la funzione di coordinamento che in questi tre anni ha visto ladesione di tantissime realtà sindacali di lotta, organizzazioni, singoli attivisti, impegnati in tutto il Paese in battaglie coraggiose per diritti e tutele nel mondo del lavoro e contro lesclusione e lemarginazione sociale; battaglie che abbiamo sostenuto con convinzione, contro la violenza del sistema padronale e dei suoi alleati.
 
Abbiamo anche sviluppato solidarietà e collaborazione con le realtà di lotta di tutto il mondo oggi organizzate nella Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta, denunciando le politiche di sfruttamento, speculazione e austerità volute dalle oligarchie economiche e finanziarie mondiali.
 
In questi anni non ci siamo fermati alla diffusione e al coordinamento delle vertenze ma abbiamo anche promosso, con grande riscontro e partecipazione, campagne specifiche per il diritto di sciopero e contro gli accordi vergogna sulla rappresentanza, contro la repressione del dissenso.
 
In No Austerity primeggia lattività specifica di difesa dei diritti e delle dignità delle donne, che ha aggregato una componente attiva di compagne, trovando una sintesi nella sua definizione Donne in Lotta. Ci siamo anche schierati al fianco degli immigrati e delle immigrate, sostenendo attivamente le loro battaglie e opponendoci a ogni forma di razzismo.
 
Eppure tutto ciò non basta più: pensiamo che per rafforzare questo percorso occorra un passaggio da coordinamento a soggetto di costruzione e unità della lotta!
 
Rivendichiamo la difesa dei diritti elementari dei lavoratori (salari dignitosi, diritto di sciopero, un equo contratto nazionale), un vero salario minimo garantito per i disoccupati, la difesa dei servizi pubblici (di qualità e accessibili a tutti), la tutela dei beni comuni, del territorio e dei diritti essenziali (casa, salute, scuola, mobilità), ci schieriamo con fermezza contro ogni forma di razzismo, xenofobia e maschilismo; favorendo la massima partecipazione democratica dei lavoratori e degli attivisti, per contribuire collegialmente alla definizione di strategie e obiettivi.
 
Il nostro scopo è la costruzione di un ampio fronte di lotta anticapitalista, per una società senza sfruttamento e ingiustizie sociali; non più dunque un coordinamento di realtà di lotta ma un organismo con propria soggettività e capacità di intervento in ambito sindacale, sociale, civile e politico.
 
In questo percorso il primo compito è la comunicazione: ci confronteremo nei prossimi mesi con lavoratori, studenti, disoccupati, discriminati, utenti, movimenti e organizzazioni, per ricostruire e diffondere la coscienza e lunità di classe, presupposti indispensabili per contrastare labuso sistemico di persone e risorse.
 
Continueremo a batterci per contrapporre lobiettivo fondamentale di unione delle lotte agli scontri egemonici che oggi pervadono il tessuto antagonista sia sindacale che politico, affermando il principio fondamentale che sindacati, partiti, organizzazioni, sono strumenti che devono operare per obiettivi di trasformazione sociale, perseguendo i bisogni primari delle persone, senza mai anteporre l'interesse autoreferenziale di organismi e strutture.
 
Con queste premesse affronteremo la Prima Conferenza Nazionale che si terrà il 28 e 29 Maggio 2016 a Firenze e definirà nel dettaglio obiettivi, modelli organizzativi e identità del nuovo percorso.
 

lunedì 4 aprile 2016

Fatti e misfatti di idraulica lagunare

sabato 09 Aprile 2016 ore 17,30
All’Ateneo degli Imperfetti

fatti e misfatti
di idraulica lagunare
incontro con Luigi D’Alpaos professore in ingegneria Civile-Idraulica e Idrodinamica

introduce Alessandro Pattaro ingegnere Idraulico e ingegnere per l’Ambiente e il Territorio

Da molti anni una politica pasticciona e impicciona pretende di determinare con i suoi “capricci” e le sue idee estemporanee le soluzioni tecnicamente complesse dei problemi che si dovrebbero affrontare, togliendo centralità alle questioni della salvaguardia lagunare e facendo prevalere sempre e comunque l’interesse di pochi.


Ateneo degli Imperfetti
Via Bottenigo, 209
30175 Marghera (VE)

tel. 327.5341096

Qui sème la misère, récolte colère.

Quando uno storico dovrà periodizzare l’evento con il quale Parigi e la Francia sono usciti simbolicamente dal terrore del 13 novembre e dalle leggi speciali che scadevano il 29 febbraio, avrà come data quella del 9 marzo, quando i lavoratori, il mondo del precariato e gli studenti sono scesi in piazza contro la riforma del lavoro del ministro Myriam El Khomri.
Una manifestazione fortemente partecipata, voluta dalla CGT e da Force Ouvrière per i settori pubblici e privati, e a cui si sono uniti gli scioperi del settore dei trasporti con i lavoratori SNCF, ferrovieri, e RATP, autoferrotranvieri delle metro e degli autobus.
In un clima di festa il mondo del lavoro ha cacciato le paure e si è ripreso uno spazio pubblico e politico che negli ultimi mesi girava tutto intorno alla guerra e all’avanzata nera del Front National.
I contenuti della protesta si articolano sui tre punti più controversi della riforma del mercato del lavoro: facilità di licenziamento per l’imprenditore, abolizione delle 35 ore (in Francia ogni ora superiore alle 35 ore è conteggiata come straordinario), lavoro notturno. La riforma ridisegna inoltre tutta l’organizzazione del lavoro in modo particolare sui riposi (tema caldissimo per il settore degli autoferrotranviari che infatti ha unito il suo sciopero a quello della manifestazione), i tempi di lavoro, le negoziazioni salariali, i congedi parentali, la medicina del lavoro.
Nel settore privato l’attuale codice del lavoro permette il passaggio a 60 ore settimanali massime legate a picchi particolari della produzione o a casi eccezionali, ma questa durata settimanale non può eccedere 44 ore su un periodo di 12 settimane. La nuova riforme propone di dimezzare questa finestra di 12 settimane portandola a soltanto 6, e delegando tutto il potere di decisione sulla definizione dei “casi straordinari” all’imprenditore.
Il lavoro notturno, che attualmente è considerato quello compreso dalle 21 alle 6 di mattina, sarebbe limitato a soltanto 6 ore, e il periodo di riferimento per calcolare sarebbe ridotto alla stessa maniera del tempo di lavoro settimanale da 12 settimane a 6.
In caso di licenziamento non giustificato, il nuovo codice sopprime il minimo di sei mesi di salario come indennità.
Contro questi provvedimento si stanno saldando varie componenti del mondo del lavoro.
Se la manifestazione di Parigi è stata quella più simbolicamente importante, ci sono state altre 150 manifestazioni nei centri minori della Francia. A Lione ci sono stati scontri tra dimostranti e polizia.
in ogni corteo gli studenti si sono uniti al corteo dei lavoratori. (Parigi 300 mila, Lione 7000 manifestanti, Lille 6000, Rennes, 8000, Bordeaux 10000, Toulouse 10000, Limoges 3000, Masiglia 5000, Havre 3000, Rouen 5000)
Una petizione nata in sordina e intitolata “Loi Travail: non merci!”, ha raggiunto 1 milione di sottoscrizioni in neanche un mese.
E c’è già il prossimo appuntamento per la manifestazione del 17 marzo, che promette di far vacillare il già fragile governo di Manuel Vals.
Parigi
 
Luca Papini
Direttivo esteri FLC CGIL

Ora balbettano

Il ministro del lavoro, Poletti, non brilla né per la precisione nel far di conto, né per la logica stringente delle sue argomentazioni. Questo in generale, figurarsi quando si trova a dover giustificare dati che smentiscono clamorosamente mesi e mesi di propaganda tanto martellante, quanto infondata.



Tutti gli esponenti dell’apparato di potere tosco-renziano, hanno per mesi vantato il presunto clamoroso successo del jobs act nel 2015; addirittura il PD né ha fatto oggetto di uno dei manifesti che hanno infestato il panorama italiano per celebrare i fasti del governo dei tweet: quasi 800.000 posti di lavoro “stabili” nel 2015. In realtà i dati definitivi dell’ISTAT parlano di meno di 200.000 nuovi posti, perché i restanti sono trasformazioni di lavori a tempo determinato in posti “a tutele crescenti”, favorite dai generosi incentivi fiscali concessi dal governo ad inizio anno; incentivi che rendono il secondo tipo di assunzioni più vantaggiose delle prime, tanto poi i padroni possono licenziare senza motivo i neoassunti quando loro meglio aggrada. Tant’è vero che le assunzioni sono spropositatamente aumentate a dicembre, alla vigilia della drastica riduzione annunziata per l’inizio del 2016 dei generosi sgravi fiscali: 379.243 nuove assunzioni a dicembre contro le circa 125.000 di novembre, oltre il 20% di quelle effettuate nell’arco del 2015 (Il Sole 24 Ore, a. 152, n° 76, p. 10).
Gennaio 2016 ha squarciato il velo di menzogne che la nostra indecente classe di governo ci propina giornalmente. Nel primo mese dell’anno i nuovi posti di lavoro a tutele crescenti sono stati 112.411, ovverosia 54.008 in meno rispetto allo stesso mese del 2015 quando ancora il job’s act non c’era e addirittura 31.766 in meno rispetto al 2014, quando Renzi faceva danni solo a Firenze. Anche sul fronte del lavoro precario le cose non vanno meglio: 37.719 nuove assunzioni, cioè 52.332 in meno rispetto al 2015 e 41.626 in meno rispetto al 2014. Complessivamente il gennaio 2016 ha generato 106.340 posti meno del corrispondente mese del 2015 e 73.392 in meno rispetto al 2014. i posti di lavoro non si creano per legge, ma solo con gli investimenti.
 
Saverio Craparo
 
Osservatorio politico n. 15 18 marzo 2016

domenica 3 aprile 2016

Trivelle, tutte le bugie del no - dalla Nuova ecologia , megazine di Legambiente

2 – LE PIATTAFORME SONO UN’ECCELLENZA, NON HANNO IMPATTI - FALSO





http://lanuovaecologia.it/trivelle-tutte-le-bugie-del-no-al-referendum/

Smontato punto per punto lo spot che invita all’astensionismo il 17 aprile.

Perché questa battaglia non è ideologica ma concreta Sarebbe sufficiente mettere a confronto la composizione del Comitato per il No con la vasta alleanza di associazioni, comitati, amministrazioni e tanti altri soggetti che hanno costituito il comitato Vota Si per fermare le trivelle per capire da che parte sta l’interesse del Paese che non può prescindere da un modello energetico pulito, rinnovabile, distribuito e democratico. Spesso, da parte del fronte del No al referendum, si è fatto riferimento all’inutilità e all’ideologia che si nasconderebbe, a detta loro, dietro il quesito referendario, che, ricordiamolo, riguarda tutti i titoli abilitativi all’estrazione e/o alla ricerca di idrocarburi già rilasciati entro le 12 miglia marine, e interviene sulla loro data di scadenza. Ma non si ricorda che il referendum serve a cancellare, e lo faranno i cittadini visto che il governo si è sempre distinto per una politica in favore delle fossili, un inammissibile regalo fatto alle compagnie petrolifere che oggi possono estrarre petrolio e gas entro le dodici miglia nei nostri mari, senza alcun limite di tempo. Mettere una scadenza alle concessioni date a società private, che svolgono la loro attività sfruttando beni appartenenti allo stato, dovrebbe essere previsto dalla legge. Nel nostro Paese però la politica pro trivelle messa in campo dal governo ha reso necessario una consultazione referendaria per ristabilire questo diritto. Importante inoltre sottolineare che il percorso referendario è tutt’altro che ideologico e si è già contraddistinto per aver portato a casa risultati concreti molto importanti. In particolare con la legge di stabilità 2016 il governo è stato costretto a fare dietrofront su tre aspetti molto rilevanti: 1.le attività di ricerca ed estrazione di gas e petrolio nel nostro Paese non sono più strategiche (lo erano diventate con l’approvazione dello Sblocca Italia a fine 2014); 2.ha ridato voce ai territori, riportando le decisioni per le attività a terra in capo alle Regioni e agli enti locali (sempre lo Sblocca Italia aveva avocato tutte le decisioni allo Stato centrale); 3.infine ha finalmente reso operativo il divieto a nuove attività entro le dodici miglia nel mare italiano. Un divieto previsto già dal Dlgs 128/2010 ma che i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno sempre provveduto a smontare. Rimane ora da definire l’aspetto della durata delle concessioni, come ricordato dalla Corte di Cassazione prima e Costituzionale dopo. E per questo serve il voto del 17 aprile. Per andare a votare occorre però arrivarci con tutte le informazioni necessarie e soprattutto corrette. Proprio a partire dalla disinformazione che viaggia attraverso gli spot per l’astensionismo è utile ribadire alcune questioni, rispondendo per punti alle loro affermazioni.

@Nuovo Senso Civico

@Nuovo Senso Civico 1 – NON È UN VOTO CONTRO NUOVE TRIVELLE: FALSO
Non è vero che le nuove attività sono vietate dal 2006 (la legge è il 152/2006, ma è stata modificata nel dicembre 2015). Il divieto entro le dodici miglia è stato posto per la prima volta da un decreto del 2010 (Dlgs 128/2010) e non nel 2006, poi rimosso dal decreto sviluppo (cosiddetto decreto Passera) nel giugno 2012 (in particolare a rivedere il vincolo è l’articolo 35), quindi reso vigente e attuato (per le nuove attività e le richieste in corso) solo con la modifica alla legge di stabilità 2016). Il divieto è quindi vigente dal 1 gennaio 2016 a tutti gli effetti e solo grazie alla pressione del movimento referendario. Inoltre nuove trivellazioni sono possibili. Attualmente, la legge non consente che entro le 12 miglia marine siano rilasciate nuove concessioni, ma non impedisce, invece, che a partire dalle concessioni già rilasciate siano installate nuove piattaforme e perforati nuovi pozzi. Tra i titoli abilitativi che oggi possono godere di una durata a tempo indeterminato ci sono infatti anche diversi permessi di ricerca, alcuni dei quali già in fase esplorativa e in attesa di trasformarsi in vere e proprie concessioni di coltivazione del giacimento (uno su tutti Ombrina mare di fronte la costa abruzzese). Un esempio concreto è dato dal caso di VegaB, la nuova piattaforma prevista nel canale di Sicilia, nell’ambito di una concessione già esistente (dove già opera la piattaforma VegaA) e posta meno di 12 miglia da un’area protetta. Tale piattaforma, se vince il NO molto probabilmente sarà realizzata, proprio per arrivare a fine vita del giacimento. Se vince il Si invece il titolo andrebbe a scadenza nel 2022, e quindi non ci saranno i tempi per realizzare il nuovo impianto. Una vittoria del SI in Sicilia avrebbe quindi un notevole risultato.


1 –  NON È UN VOTO CONTRO NUOVE TRIVELLE: FALSO 2 – LE PIATTAFORME SONO UN’ECCELLENZA DI TECNOLOGIA, SICUREZZA E NON HANNO IMPATTI SUL MARE E SULL’AMBIENTE – FALSO
Le piattaforme sono delle attività industriali a tutti gli effetti con tutti gli impatti e i rischi connessi. Non si può parlare di attività a impatto zero. Oltre il rischio di incidenti (falso dire che è impossibile visti anche i diversi casi in giro per il mondo, vedi articolo), ci sono poi gli impatti nelle attività di routine. Le attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi possono avere un impatto rilevante sull’ecosistema marino e costiero. L’attività stessa delle piattaforme (a prescindere che siano di gas o petrolio) possono rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose nell’ecosistema marino, come olii, greggio (nel caso di estrazione di petrolio), metalli pesanti o altre sostanze contaminanti (anche nel caso di estrazione di gas), con gravi conseguenze sull’ambiente circostante. Anche la ricerca del gas e del petrolio, che utilizza la tecnica dell’airgun (esplosioni di aria compressa), incide in particolar modo sulla fauna marina e su attività produttive come la pesca che potrebbe registrare una diminuzione del pescato fino al 50%. Senza considerare che i mari italiani sono mari “chiusi” e un eventuale incidente – nei pozzi petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio – sarebbe fonte di danni incalcolabili. In particolare è importante sottolineare come secondo il Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini di Ispra, le varie tecniche di rimozione delle sostanze sversate consentirebbero di recuperare al massimo non più del 30% del totale. Infine da non sottovalutare, nella zona dell’Alto Adriatico è il fenomeno della subsidenza. L’estrazione di gas sotto costa, anche se non è l’unica causa di tale fenomeno, resta il principale fenomeno antropico che causa la perdita di volume del sedimento nel sottosuolo generando un abbassamento della superfice topografica. La subsidenza aumenta inoltre l’impatto delle mareggiate e delle piene fluviali, favorendo l’erosione costiera, con perdita di spiaggia ed effetto negativo sulle attività turistiche rivierasche.


3 – CHIUDERE LE PIATTAFORME VUOL DIRE MAGGIORI IMPORTAZIONI DA RUSSIA E PAESI ARABI E MAGGIORE TRAFFICO DI NAVI PETROLIERE E GASIERE – FALSO
Il contributo delle attività entro le dodici miglia, pari al 3% dei nostri consumi di gas e meno dell’1% di petrolio, risultano alquanto inutili ai nostri fini energetici. Un contributo che è abbondantemente compensato dal calo dei consumi in atto da diversi anni (- 22% di gas e -33% di petrolio negli ultimi 10 anni. Se poi entriamo nel dettaglio della produzione nazionale scopriamo che non solo i consumi di gas in questi ultimi 10 anni sono diminuiti, ma anche la produzione nazionale si è ridotta del 43%. È un settore che negli ultimi decenni ha molto ridotto la sua attività (ICONA_documenti VEDI mappa ). Difficilmente chiudendo queste attività, che comunque arriverebbero al termine previsto dalla concessione come prevedeva la normativa fino a fine 2015, ci sarà un incremento di traffico di navi per il trasporto di idrocarburi. Importante sottolineare inoltre come questa affermazione sia poco fondata, dal momento che già oggi il gas venga trasportato (importato o esportato) prevalentemente attraverso i tubi dei gasdotti e non via mare e che già oggi il petrolio estratto dalle piattaforme (presenti prevalentemente entro le dodici miglia marine) viene trasportato a terra tramite oleodotti e da qui il più delle volte caricato sulle petroliere per essere trasportato agli impianti di raffinazione e trattamento. Tutto questo traffico sarebbe eliminato.

3 – CHIUDERE LE PIATTAFORME VUOL DIRE MAGGIORE TRAFFICO  PETROLIERE- FALSO

4 – IL 65% DEL GAS VIENE DALLE PIATTAFORME IN MARE, NON È VERO CHE PARLIAMO DI “POCA COSA” – FALSO
Le piattaforme soggette a referendum (entro le dodici miglia) oggi producono il 27% del totale del gas e il 9% di greggio estratti in Italia. La produzione delle piattaforme attive entro le 12 miglia nel 2015 è stata di 542.881 tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di Smc (Standar metri cubi) di gas. I consumi di petrolio in Italia nel 2014 sono stati di circa 57,3 milioni di tep (ovvero milioni di tonnellate) e quindi l’incidenza della produzione delle piattaforme a mare entro le 12 miglia è stata di meno dell’1% rispetto al fabbisogno nazionale (0,95%). Per il gas i consumi nel 2014 sono stati di 50,7 milioni di tep corrispondenti a 62 miliardi di Smc; l’incidenza della produzione di gas dalle piattaforme entro le 12 miglia è stata del 3% del fabbisogno nazionale. Un contributo da subito compensato dal calo dei consumi e dallo sviluppo delle fonti rinnovabili. (ICONA_documentiVEDI APPROFONDIMENTO). Anche la fase di transizione, tanto utilizzata da chi difende le piattaforme di estrazione di gas, potrebbe essere già oggi compensata dall’utilizzo di biometano. Infatti già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi. Ma il potenziale per il biometano, ottenuto come upgrading del biogas e che può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è in Italia di oltre 8miliardi di metri cubi. Ossia il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme entro le 12 miglia oggetto del referendum.

4 – IL 65% DEL GAS VIENE DAL MARE, NON È VERO CHE E' “POCA COSA” - FALSO

5 – LE FONTI RINNOVABILI SONO BELLE, MA COSTANO IN BOLLETTA E OGGI NON SONO UNA REALTÀ – FALSO
Le rinnovabili non sono solo belle, ma hanno permesso di ridurre drasticamente il prezzo dell’energia elettrica portando concorrenza nel mercato. Il 40% di energia prodotta ha fatto crollare il prezzo come mai al mercato dell’energia e dovremmo ringraziarle per questo. Oggi il solare potrebbe andare avanti anche senza incentivi (che in Germania ci saranno fino al 2024) basterebbe aprire all’autoproduzione e alla distribuzione locale da FER, che però in Italia è tassata e vietata. Inoltre le rinnovabili oggi sono sempre più efficienti, mature e rappresentano la prima voce di investimento nel mondo. Non solo il solare ha ridotto il costo ad un decimo di dieci anni fa ma nei prossimi anni è previsto che si ridurrà ancora, insieme a quello delle batterie. Se non fosse matura e affidabile, perchè Enel sta investendo sul solare in tutto il mondo? Chi guarda da un altra parte condanna il proprio Paese. Alcuni numeri: Negli ultimi dieci anni le fonti rinnovabili hanno contribuito a cambiare il sistema energetico italiano. Complessivamente coprono il 40% dei consumi elettrici complessivi (nel 2005 si era al 15,4) e il 16% dei consumi energetici finali (quando nel 2005 eravamo al 5,3%). Oggi l’Italia è il primo Paese al mondo per incidenza del solare rispetto ai consumi elettrici (ad Aprile 2015 oltre l’11%), e si è sfatata così la convinzione che queste fonti avrebbero sempre e comunque avuto un ruolo marginale nel sistema energetico italiano e che un loro eccessivo sviluppo avrebbe creato rilevantissimi problemi di gestione della rete. A impressionare sono da un lato i numeri della produzione da fonti rinnovabili passata in tre anni da 84,8 a 118 TWh, e dall’altro quelli di distribuzione degli impianti da fonti rinnovabili: circa 800mila, tra elettrici e termici, distribuiti nel territorio e nelle città. Attraverso il contributo di questi impianti, e il calo dei consumi energetici, l’Italia ha ridotto le importazioni dall’estero di fonti fossili, la produzione dagli impianti più inquinanti e dannosi per il Clima (nel termoelettrico -34,2% dal 2005) e si è ridotto anche il costo dell’energia elettrica. Per chiudere sfatiamo un altro mito, ovvero che le rinnovabili le paghiamo care in bolletta. Gli incentivi alle rinnovabili pesano per lo 0,3% nel bilancio di una famiglia media italiana. Per fare un esempio, la spesa per il riscaldamento “pesa” il 5,2%. Oltretutto, questa voce può essere ridotta in maniera realmente significativa fino a quasi azzerarla come nelle case in Classe A o come prevedono le Direttive Europee. Eppure il dibattito politico e le stesse scelte dei Governi si sono concentrate sull’aumento dallo 0,2 allo 0,3% della prima componente e non sulla possibilità di far risparmiare alle famiglie 1.000-1.500 euro all’anno.

5 – RINNOVABILI COSTANO IN BOLLETTA E NON SONO UNA REALTÀ - FALSO

6 – IL SI AL REFERENDUM FAREBBE PERDERE CIRCA 11 MILA POSTI DI LAVORO DIRETTI E 21 MILA DI INDOTTO – FALSO
Assomineraria parla di 13mila occupati nel settore estrattivo in tutta Italia (tra attività a terra e a mare (dentro e fuori le dodici miglia) e 5mila posti di lavoro a rischio con il referendum. Il ministro Galletti fa riferimento alla cifra di 10mila posti di lavoro in meno e la Filctem Cgili sostiene che i lavoratori che rimarrebbero a casa sono 10 mila solo a Ravenna e in Sicilia. Le stime ufficiali riguardanti l’intero settore di estrazione di petrolio e gas in Italia (fonte Isfol – Ente pubblico di ricerca sui temi della formazione, delle politiche sociali e del lavoro) parlano invece di 9mila impiegati in tutta Italia e di un settore già in crisi da tempo. Elemento quest’ultimo molto importante. Infatti chi paventa la perdita di posti di lavoro per colpa del referendum non dice che il settore dell’estrazione di gas e petrolio è già in crisi nel mondo e in Italia da diversi anni, indipendentemente dal referendum. A dimostrarlo i rapporti del settore degli ultimi anni a livello nazionale e internazionale o il tavolo di crisi aperto presso la regione Emilia Romagna, già prima dell’istituzione del referendum . Ad esempio secondo l’ultimo rapporto della società di consulenza Deloitte, il 35% delle compagnie petrolifere a causa del crollo del prezzo del petrolio è ad alto rischio di fallimento nel 2016, con un debito accumulato complessivamente di 150 miliardi di dollari. Nessuno si preoccupa infine di dire che l’unico modo per garantire un futuro occupazionale duraturo a queste persone è quello di investire in innovazione industriale e in una nuova politica energetica. Negli ultimi decenni si è avuta una consistente diminuzione della produzione da piattaforme in mare senza alcuna strategicità energetica, economica ed occupazionale. Al contrario il settore delle rinnovabili e dell’efficienza potrebbero generare almeno 600mila posti di lavoro. 100mila al 2030 nel solo settore delle energie rinnovabili – cioè circa il triplo di quanto occupa oggi Fiat Auto in Italia – mentre, al contrario, nel 2015 se ne sono persi circa 4 mila nel solo settore dell’eolico, 10mila in tutto il settore. Infine è bene ricordare che il referendum serve per abrogare una norma che è stata introdotta dal governo il 1 gennaio di quest’anno con l’ultima Legge di Stabilità. Fino al 31 dicembre 2015 le concessioni avevano durata massima di 30 anni, con un vincolo temporale come qualsiasi altra forma contrattuale. Questo è quanto il Referendum del 17 Aprile intende ripristinare e per questa ragione risulta incomprensibile che una vittoria del SI possa causare la perdita anche di un solo posto di lavoro.

6 – IL SI FA PERDERE CIRCA 11 MILA POSTI DI LAVORO DIRETTI E 21 MILA DI INDOTTO - FALSO

7. I SOLDI DEGLI IDROCARBURI VANNO IN SVILUPPO, RICERCA E RINNOVABILI – FALSO
Per promuovere e far sviluppare il settore delle rinnovabili nel nostro Paese servono politiche concrete che puntino su queste, al contrario di quanto fatto fino ad ora. Infatti lo sviluppo delle rinnovabili è stato bloccato da tutti gli ultimi Governi e in particolare da quello in carica (ICONA_documentiLEGGI IL DOCUMENTO). Ci sono diversi esempi, primo tra tutti la Basilicata, che dimostrano la falsità di questa affermazione ( ICONA_documentiQUI IL DOSSIER SUL PETROLIO IN VAL D’AGRI) e di come non ci siano grandi esempi di investimenti nel settore industriale, nell’innovazione e nelle fonti rinnovabili nei territori maggiormente coinvolti dalle attività petrolifere. Ma è bene chiarire anche un altro dato. Oggi il settore dell’estrazione di petrolio e gas in Italia riceve sussidi diretti e indiretti dallo Stato che ammontano a circa 2,1 miliardi di euro all’anno, godendo di diversi privilegi che non sono dati ad altri comparti industriali nel nostro Paese (esenzioni, agevolazioni fiscali, royalties molto vantaggiose). come testimonia il ICONA_documentiDOSSIER STOP SUSSIDI ALLE FONTI FOSSILI. Senza contare che la normativa italiana prevede per il petrolio che le prime 20mila tonnellate estratte in terraferma e le prime 50mila tonnellate estratte in mare siano esenti dal pagamento di aliquote. Delle 26 concessioni che sono state produttive nel 2015 oggetto del referendum solo 9 pagano le royalties. Tutte le altre nel 2015 hanno estratto un quantitativo minore della franchigia, beneficiando quindi dell’esenzione del pagamento delle royalties stesse.

A Bruxelles si piangono i morti, mentre i governi della UE guidano la caccia alle nostre libertà!

 

A Bruxelles si piangono i morti,  mentre i governi della UE guidano la caccia alle nostre libertà!

L’ISIS ha colpito duramente anche il Belgio.
Proprio il paese che era stato tirato direttamente in ballo dopo l’orrore degli attacchi a Parigi del 13 novembre 2015, che si era adeguato alla logica che guida gli Stati occidentali dall’11 settembre 2001 e che ha portato alla situazione attuale.
Una logica senza via d’uscita.
Da una parte, le guerre in Medio Oriente e in Africa, che stanno causando migliaia di morti in nome della “democrazia” e della “lotta al terrorismo”. Col risultato almeno apparente di un evidente caos internazionale.
Dall’altra parte, le nostre libertà e i nostri diritti subiscono forti restrizioni, mentre il discorso sulla sicurezza non fa che alimentare il razzismo. In nome della difesa del “fronte interno”, ogni giorno in più che passa si mangia un po’ di “democrazia”.
La guerra esterna al terrorismo
Le politiche di “guerra al terrore “, fin dalla fine del XX secolo, sono state il pretesto per giustificare politiche di conquista globale. Queste politiche di fatto hanno alimentato nuovo terrorismo.
Le guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libia, nel Mali, in Siria, dove i governi europei si sono impegnati, non hanno messo fine al “terrorismo”, anzi. Come si sa, le ragioni erano ben altre: il caso Iraq lo ha dimostrato.
Il redditizio traffico delle armi, tra gli altri, dimostra che dietro il discorso sulla democrazia e dietro la lotta contro il terrorismo si nascondono altri interessi. Al di là dei profitti più evidenti, l’appoggio dei governi europei a regimi che forniscono supporto finanziario e logistico al terrorismo, dimostra come gli interessi geopolitici e commerciali sono fondamentali per la logica di morte che alimenta la vendita di armi e la sete di petrolio e di minerali a buon mercato che l’Europa vuole a tutti i costi.
L’imperialismo non è la soluzione a questa guerra. La soluzione verrà dai popoli della regione che lottano contro l’ISIS   e contro ogni forma di totalitarismo. Se i governi europei ostacolano  questa resistenza, tocca a noi darle tutto l’aiuto possibile. Perchè, al pari dell’imperialismo anche l’ISIS è nostro nemico di classe.
La guerra interna al terrorismo
Dal 2001, la lotta al terrorismo è  utilizzata come pretesto per attaccare giorno dopo giorno le libertà pubbliche che altrove si sostiene di voler difendere. Le misure di sicurezza mettono in pericolo le libertà pubbliche senza garantire la sicurezza delle persone.
In nome della sicurezza, le misure “anti-terrorismo” permettono l’invasione della privacy di tutta la popolazione: intercettazioni, telecamere di vigilanza, monitoraggio degli spostamenti,…
In nome della protezione dei cittadini, lo Stato si dà più poteri e più armi, in modo che i diritti democratici siano più limitati. In Belgio, fermo di polizia per 72 ore, fucili automatici, i soldati nelle strade, ….
In Francia, abbiamo già visto il divieto di raduni e di conferenze, divieto di manifestazioni fino alla volontà di limitare il diritto di sciopero, perchè le politiche per la sicurezza vengono utilizzate per soffocare il dissenso. Centinaia di milioni di euro sottratti  all’istruzione e alla
salute se ne vanno direttamente per le spese militari, per la guerra e le politiche securitarie. Questa politica di distruzione della solidarietà collettiva e del diritto di espressione democratica non fa altro che alimentare l’insicurezza, l’esclusione e le dinamiche di divisione all’interno della società, cioè proprio le cause profonde di ciò che viene definito come “radicalità” e “terrorismo “.
Razzismo di Stato
In Belgio, il razzismo, il controllo dei visi e la violenza della polizia sono una realtà quotidiana nei quartieri, soprattutto per i migranti e per i cittadini belgi immigrati da generazioni, che vengono ricondotti a “razza”. Per giustificare questa violenza continua, questo discorso sempre più islamofobico e razzista, i media ed i politici hanno costruito per anni l’immagine del “nemico interno”, cioè i musulmani ed i migranti. Ad ogni passo in questa direzione corrispondono divisioni sempre più profonde fino alla banalizzazione dell’odio.
La lotta contro il terrorismo serve da pretesto per intensificare la presenza e la repressione della polizia nei quartieri. Perquisizioni, controlli di identità, arresti arbitrari,… L’innalzamento del livello di allerta ha rafforzato l’islamofobia nei confronti dei musulmani e permesso allo Stato di perseguire politiche razziste e di esclusione nei confronti dei migranti in genere.
Le conseguenze politiche degli attentati si fanno già sentire
Le misure di sicurezza hanno avuto un costo aggiuntivo in Belgio di 400 milioni di euro per rafforzare la sicurezza “civile” e altri 18 milioni in più per i militari. Inoltre, 14 milioni al mese per mantenere i 6 aerei militari belgi in Iraq.
Il bilancio per la sicurezza e la guerra è in costante aumento, mentre il governo belga continua a sbrindellare lo stato sociale. Dato che la precarietà sociale è la principale fonte di insicurezza per la maggior parte dei cittadini belgi, il governo non ha alcuna intenzione di combattere contro la precarietà, la povertà e l’esclusione.
Per una politica antimilitarista, sociale e solidale
Non si porta la pace a colpi di bombardamenti dal mare o dal cielo. Non si difende la libertà con  leggi che la distruggono. Non si combattono la precarietà e l’esclusione con il  razzismo. Non si fa vivere la democrazia con meno scuole e meno assistenza sanitaria e più polizia armata nelle strade.
Il governo belga sta usando la paura del terrorismo affinchè la popolazione accetti peggiori misure di sicurezza e accetti di tagliare le libertà di tutti. Lo stato di emergenza consente al governo belga di ripristinare la sua forza politica dopo essere stato sfidato per mesi per le sue politiche anti-sociali. Non bisogna permettere che metta il mordacchio alle mobilitazioni sociali!

In tutta Europa
No al razzismo, no alle repressioni di massa, no a tutti coloro che cercano di dividerci: solidarietà con i quartieri poveri, con i cittadini europei immigrati, con i clandestini!
No a provvedimenti draconiani: stop alle politiche di sicurezza e alle leggi anti-terrorismo.
Fermare la criminalizzazione dei movimenti sociali.
Per il diritto di tutti in tutto il mondo di vivere in pace, di fermare le guerre imperialiste ed i  governi europei che alimentano la spirale di violenza.
Lottiamo perchè le risorse pubbliche servano al benessere della popolazione, non a finanziare la repressione e la guerra.
Alternativa Libertaria/fdca
25 marzo 2016


IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)