ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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venerdì 25 settembre 2020

il Cantiere aperiodico settembre 2020 a cura della Commissione Mondo del lavoro di Alternativa Libertaria

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Primo numero de “il Cantiere” raccolta di materiali di intervento dei comunisti anarchici nella lotta di classe

In questo numero si parla

-Riduzione orario lavorativo e aumento salariale

-Lotta di classe e crisi sanitaria

-Opposizione di classe in Bielorussia

-Ruolo antiecologista dello stato

PER SCARICARLO

OLTRE IL VOTO

 

Mentre il referendum istituzionale si avvia al suo epilogo, caratterizzato da una tardiva resipiscenza dell’elettorato (troppo tardi per cambiare l’orientamento della maggioranza, vista la costante crescita del no mano a mano che si discuteva della cosa) i guastatori dell’edificio costituzionale affinano le armi, chi proponendo e preannunciando una riforma presidenzialista, chi proponendo il superamento del bicameralismo perfetto.
Intanto il dibattito su una nuova legge elettorale è di là da venire e ancor meno chiare sembrano le scelte da fare. L’Ipotesi è che la maggioranza finisca per adottare una legge proporzionale per bloccare la destra che sostanzialmente mantiene le sue posizioni; la battaglia sembra essere tutta sull’entità della soglia di sbarramento da adottare.
Particolarmente interessati al problema Calenda, il suo omologo sciocco di
“Italia morta”, con il suo seguito di cadaveri politici, e Liberi e uguali che,
malgrado una buona gestione da parte di Speranza del Ministero della Salute si
trascina stancamente e non convince per assenza di unità di intenti e di programma.
A contendersi la torta anche un M5S ridotto all’ombra di se stesso, spappolato in tre: un reggente al cadavere – capo politico facente funzioni -un doppiopettista che fa finta di fare il Ministro degli Esteri e un giocatore fuori campo, Disfattista.
Lo accompagna degnamente un modesto amministratore alla guida del sedicente gran partito della sinistra, il PD. Dall’altra parte una destra che si accredita e si stabilizza e istituzionalizza sempre più in perenne crescita e il partito leghista sempre più diviso al suo interno, con la sua costola personale veneta che prende le distanze in rappresentanza di quell’area di amministratori e faccendieri che operano con piglio manageriale e tanta poca consistenza sui territori.
Tutto questo mentre il paese si prepara a navigare in un mare incerto e insidioso. rappresentato plasticamente dalla riaperture delle terapie intensive, ma tutto sommato convinto che sia pure per inerzia meglio non si sarebbe potuto fare. Così si spiega il consenso a Conte. Perciò non stupisce nessuno l’affermazione del premier che comunque vadano le elezioni regionali non cambierà nulla.
L’aggregato tecnocratico che ruota intorno alla Presidenza del Consiglio, facendosi forte del sostegno dell’Europa, si appresta a definire termini e condizioni alle quali, spendere i 209 miliardi di prestito europeo, nel rigoroso rispetto della divisione internazionale del lavoro, si appresta a gestire il bottino e a distribuire i
dividendi.

Il paese dopo dopo il corona virus

Sia chiaro la pandemia non è finita ne finirà presto, ma già si intravedono alcuni mutamenti strutturali sulle cui conseguenze occorre riflettere È del tutto evidente che il lavoro non sarà più lo stesso. Crescerà telelavoro e lavoro a distanza con uno sconvolgimento dei tipi e degli stili di vita che andranno studiati. Venendo meno l’aggregazione fisica sul posto di lavoro diminuiranno le tutele e il rapporto di lavoro tenderà a individualizzarsi. Gli spazi per la propria vita diminuiranno, a cominciare da quelli fisici (la casa diviene l’ufficio) come diminuirà la proprietà di un proprio
tempo vita, conferendo al datore di lavoro larga parte della disponibilità del proprio privato.
Forse dalla delocalizzazione lavorativa ricaveremo una vita meno stressata con minori spostamenti, con un indubbio vantaggio per l’ambiente, ma al tempo stesso la disseminazione delle attività sul territorio tenderà a far scomparire i luoghi di aggregazione, modificando anche comportamenti interpersonali che tenderanno a un crescente individualismo e al trasferimento della comunicazione sul web.
Ma questo processo non si estenderà a tutti creando delle aree (di classe) separate dove il discrimine non è necessariamente solo economico e di reddito, ma anche di collocazione sociale e umana. In questi tanti mondi separati da recinti invisibili e pur esistenti e reali crescerà una componente di soggetti dedita ai lavori manuali sempre più marginalizzata, che riguarderà intere aree produttive e soprattutto quella agricola, dove è crescente l’utilizzazione di lavoratori manuali, spesso immigrati, sottopagati e sfruttati. Crescerà la logistica e la vendita per corrispondenza distruggendo la distribuzione attraverso negozi che non dava solo lavoro ma socialità. In questo nuovo contesto il “salto” tra le diverse collocazioni sociali sarà sempre più difficile e raro, ponendo fine a una mobilità sociale che già prima mostrava tutti i suoi limiti.
Tanto ancora dobbiamo capire e lo scopriremo solo vivendo: navighiamo a vista.

Transizione e gestione del territorio.

Alla luce di queste considerazioni si capisce che l’importanza delle elezioni regionali e del loro esito trascende la valutazione che possiamo dare su questo o quel partito che le governerà. I poteri locali, la gestione del territorio, le scelte sul campo relative a che fare e dove farlo, la gestione dei servizi, la vivibilità delle città e dei borghi, la stessa
localizzazione delle attività produttive, l’allocazione delle risorse, la distribuzione della popolazione sul territorio, l’organizzazione del servizio sanitario e sempre più la stessa gestione dell’istruzione sono compiti dei poteri locali.
Agli enti decentrati sul territorio guarda come referenti privilegiati la stessa Unione Europea facendone i terminali della propria azione, consapevole di dover in una prima fase disarticolare i poteri statali per costruire poi coesione sul territorio verso una nuova identità collettiva. Ma se così è – anche in parte – allora non è di secondaria importanza chi e come gestisce l’attività degli enti territoriali. Si affaccia quindi una nuova importanza – diremmo quasi la centralità delle autonomie – nella gestione e  trasformazione della società e dei rapporti produttivi, perché è di questi enti la responsabilità delle scelte sulla gestione delle politiche abitative, del verde pubblico, della respirabilità dell’aria, della qualità della vita e di tanto altro.
È per questi motivi che riteniamo – riflettendo – di aver sottovalutato l’importanza e il significato di questa scadenza, ragionando in termini di tifoseria nell’attribuire la vittoria a questo o a quello. A nostra scusa a farci persistere nell’errore è l’assoluta inconsapevolezza delle forze politiche parlamentari che si sono dotati di programmi vuoti e privi di contenuto.

Tornare ai territori

Ma noi non facciamo parte di un partito politico parlamentare, il nostro comunismo anarchico rifiuta la delega, privilegia l’azione diretta, l’organizzazione sul territorio in strutture partecipate che si danno degli obiettivi e li perseguono con determinazione, cercando di aggregare i soggetti interessai in ragione della loro collocazione di classe,
fornendo loro consapevolezza. Noi promuoviamo l’organizzazione dal basso delle classi subalterne, convinti come siamo che differenti interessi dividono le persone e che le loro scelte dipendono appunto dalla loro collocazione di classe.
Ecco perchè bisogna operare per creare sul territorio e dar vita ovunque a organizzazioni antagoniste, sulla base di un fronte ampio che raccolga le forze per indirizzarle verso la difesa dei diritti ed interessi delle classi subalterne, vigilando sulla gestione del territorio, sulla disponibilità di accesso ai servizi sanitari e scolastici, su tutti quei settori e quelle attività dalle quali dipende la qualità della vita e che fanno della nostra esistenza un percorso vissuto di solidarietà.                                                      Solo accettando questa sfida potremo guardare con più serenità e consapevolezza al domani in una vita vissuta per noi stessi e per le generazioni che verranno.    

La Redazione Newsletter dell'U.C.A.d'I.

missive dal Brasile

 100.000 morti e la normalizzazione del genocidio

Questo fine settimana la soglia ufficiale di 100mila morti è stata raggiunta dal covid-19, in meno di sei mesi dal primo caso notificato. Si muore più di covid che di qualsiasi altra malattia, che di un incidente stradale, che di violenza urbana.

La malattia ha raggiunto le case in tutto il paese e ha preso i propri cari da milioni di persone. Lungi dall'essere una malattia “democratica”, il covid-19 apre il progetto genocida di chi sta sopra e la disuguaglianza brasiliana che colpisce chi sta sotto. Essere neri o indigeni, ad esempio, è un importante fattore di rischio che può fare la differenza tra morire o vivere. Inoltre, il baratro sociale getta i più poveri in luoghi privi di servizi igienici di base, alloggi precari e lavori informali e precari, che non consentono di prendere le misure necessarie per prevenire la diffusione della malattia.

Nel frattempo, il governo federale ha sempre minimizzato la pandemia e ha fatto di tutto per boicottare gli sforzi nel SUS per controllare e ridurre efficacemente le morti. I governi statali, d'altra parte, nonostante il discorso che hanno a cuore le vite, hanno anche una grande responsabilità in tanti decessi e quando sono riusciti a fornire assistenza alla popolazione, hanno continuato a normalizzare le morti come un fatto compiuto.

Il risultato di tutto questo è che il Brasile è il paese con il maggior numero di morti giornaliere nelle ultime settimane e il numero totale di vittime è secondo solo agli Stati Uniti, dove non esiste un sistema sanitario pubblico.

Di fronte a questa tragedia, noi, del Coordinamento anarchico brasiliano, siamo solidali con coloro che hanno perso parenti o amici a causa del covid e continuiamo a lottare per la salute pubblica, oltre a rafforzare le organizzazioni popolari e le azioni di solidarietà in tutti gli spazi di militanza in Brasile al di fuori. Solo un popolo forte potrà resistere a questo periodo difficile che è tutt'altro che finito e potrà avanzare nella lotta contro lo Stato e il capitale, i principali responsabili del genocidio in corso nel Paese!

IN DIFESA DELLA SALUTE PUBBLICA!
SOLIDARIETÀ DI CLASSE PER IL POTERE POPOLARE!
BOLSONARO RAZZISTA E ANTIPOPOLO!
COMBATTERE CON FORZA POPOLARE!

Ancora da Portland – donne di colore e donne bianche, le contraddizioni e le lezioni del movimento

Articolo apparlo su Pungolo Rosso

Riceviamo e volentieri riprendiamo dalla pagina facebook Noi non abbiamo patria questo scritto che contiene notizie e considerazioni su diversi aspetti della situazione a Portland (diventata un caso nazionale anche per gli attacchi di Trump) e sugli sviluppi del movimento nato dall’uccisione di George Floyd. Le notizie riguardano anzitutto la repressione statale e para-statale del movimento di lotta, e la sua accanita resistenza, che ha costretto la polizia federale ad un passo indietro; è molto interessante anche la ricostruzione della politica razziale e della legislazione razzista dello stato dell’Oregon e, prima ancora, dei Territori dell’Oregon già dal 1844 – appunto: razzismo di stato che più razzismo di stato non si può.

Ma per noi l’aspetto più rimarchevole di questo scritto è l’analisi del rapporto difficile tra le donne bianche scese in campo a difendere i loro figli dalla polizia e le donne nere, iniziatrici e anima del movimento, e la descrizione della sua evoluzione in positivo nel corso della lotta, e grazie alla lotta. Da anni sia negli Stati Uniti che fuori dagli Stati Uniti il protagonismo delle donne è crescente. Ma c’è tuttora in Italia un punto su cui marxisti (incompleti), anti-marxisti, ‘cani sciolti’, etc. sono pienamente solidali, ed è un sovrano disinteresse alla partecipazione delle donne alla lotta di classe. Ben venga, quindi, un focus su donne nere e donne bianche nel movimento anti-razzista statunitense.

Per quel che riguarda, invece, il movimento femminista statunitense, di cui qui si richiama giustamente il razzismo degli inizi del novecento nei confronti delle donne nere di chiara matrice borghese, anch’esso in questo secolo ha dovuto e saputo fare passi avanti significativi sia sul piano teorico-ideologico (proprio sui temi razzismo, colonialismo, condizione delle donne del Sud del mondo, ecc. – in parte riflessi nel testo di C. Arruzza, T. Bhattacharia, N. Fraser, Femminismo per il 99%. Un manifesto), che sul piano della mobilitazione – solo per limitarci agli ultimi vent’anni, ricordiamo la massiccia partecipazione alla marcia mondiale delle donne nell’anno 2000, l’immediata scesa in campo contro le politiche trumpiane, l’International Women’s Strike del 2017 e 2018, lo sciopero internazionale dei dipendenti Google contro le molestie sessuali del 1° novembre 2018…

Dalla sera del 31 luglio la polizia federale del Dipartimento Nazionale di Sicurezza (i temutissimi U.S. Marshals addestrati nella repressione violenta degli immigrati ispanici e latinoamericani al confine tra Stati Uniti e
Messico) ha dovuto fare un passo indietro, costretta dalla determinazione e dal coraggio del movimento di lotta di Portland. Sicuramente questo è un successo strappato con la lotta le cui reali dinamiche non devono essere offuscate dalle rappresentazioni che i media hanno dato alle battaglie di Portland.

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Nelle ultime settimane la violenza della polizia federale è stata descritta dai media democratici come uno “scandalo nazionale”, avvenimenti che costituiscono gravi violazioni costituzionali. Il sindaco di Portland Ted
Wheeler e il governatore dell’Oregon Kate Brown, entrambi democratici, hanno chiesto formalmente all’amministrazione Trump di ritirare le forze federali ordinate da Trump. La governatrice ha definito che “questi agenti federali hanno agito come delle truppe di occupazione…”. Il sindaco Wheeler ha sottolineato “questi agenti federali non sono addestrati nelle moderne politiche comunitarie, nel controllo della folla o nelle strategie di de-escalation…, quindi non sono i benvenuti”.

Vorremmo, per inciso, replicare al sindaco democratico che certamente i cittadini di Portland sono americani e per lo più bianchi, e non sono di certo quegli immigrati che al confine tra Messico e Stati Uniti gli stessi U.S. Patrols terrorizzano e disperdono con l’uso massiccio di gas, proiettili di gomma, cariche a cavallo o su SUV senza alcuna distinzione nei confronti di uomini, donne e bambini dalla pelle colorata. Sarebbe a dire che queste tecniche di repressione violenta finché sono nei confronti degli immigrati sono ammissibili, viceversa non lo sono quando a soffrirne sono i civili cittadini dell’Oregon?

Così come vorremmo chiarire le bugie che questi piagnistei democratici nascondono. La violenza della polizia contro i neri e contro le manifestazioni del movimento inizia molto prima dell’arrivo dei federali. Nonostante l’uso dei moderni gas lacrimogeni sia stato messo al bando dalle diverse corti di giustizia del paese, e come ribadito dal governatore Brown attraverso una disposizione governativa del 30 giugno che ne vieta l’uso, le
disposizioni di legge chiariscono che certamente l’uso dei lacrimogeni e delle pallottole di gomma è vietato, ma solo fintanto che le manifestazioni non costituiscono un “pericolo”, non prefigurino un “riot”. Tant’è che nelle
giornate di maggio, giugno e luglio, la locale polizia di Portland ha usato queste armi (definite riot control agent) in più di cento occasioni contro le manifestazioni del movimento per il “black lives matter”. E’ sempre bastato
per il Dipartimento di Polizia di Portland far precedere l’uso della violenza con la dichiarazione di allarme per “riot”.

In queste occasioni il sindaco Ted Wheeler, il cui dipartimento della polizia di Portland è sotto il suo comando, si è rifiutato di bandirne l’uso, difendendo l’uso legittimo e circostanziato della violenza, guadagnandosi così dalla piazza il soprannome di “Tear Gas Teddy” (1).

Allora perché c’è stato questo accanimento dell’amministrazione Trump ad inviare la polizia federale e le truppe del DHS e U.S. Marshals a Portland (approntandone l’invio anche in altre città, Seattle, Chicago, New York, ecc.), se il movimento veniva represso duramente anche prima dal democratico Oregon?

La violenza e la repressione poliziesca in questi due mesi contro l’insieme del movimento che si è dato a scala nazionale è stata altissima, ed ha fatto uso delle forze di polizia locali, della Guardia Nazionale, del coprifuoco,
delle migliaia di arresti da parte degli agenti del FBI, della dichiarazione di Antifa come organizzazione terrorista, e dello squadrismo bianco. Ma questo movimento nazionale non si è mai piegato, ha risposto colpo
su colpo, grazie alla unità di intenti non solo dei neri sfruttati ed oppressi dal razzismo, ma anche con gli sfruttati ispanici e gli immigrati, con i nativi americani e con quella grossa fetta di gioventù proletaria e precaria
bianca scesa incondizionatamente al fianco delle ragioni del black lives matter. Questa inedita unità di lotta ha creato dei profondi scricchiolii nella sovrastruttura dello stato federale e nei rapporti con le singole
amministrazioni governative statali dell’unione, già scossi dagli effetti della pandemia. I Dipartimenti di Polizia, la Guardia Federale non sempre hanno risposto al comando secondo come richiesto, qua e là defezioni tra le
truppe sono state evidenti.

Il motivo della difficoltà di soffocare la lotta attraverso la repressione è ben spiegato in quest’articolo pubblicato il 19 luglio che descrive i caratteri inediti e straordinari di questo movimento che sta scuotendo la società americana dal profondo come uno sciame sismico che la rende difficilmente governabile con le politiche di ieri.

C’è un secondo elemento che spiega la determinazione sia del movimento a Portland, che la contro reazione repressiva statale, cui si aggiunge quella extra statale del neo-squadrismo bianco.

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L’Oregon (che è diventato stato dell’Unione nel 1859) è lo stato della federazione dove il suprematismo bianco e il razzismo contro i neri americani e le popolazioni native si è sviluppato in maniera differente dal resto degli Stati Uniti D’America, caratterizzando sin da subito la discriminazione razziale, economica e politica non tanto nel modo segregazionista e schiavista, ma essenzialmente attraverso un lungo e profondo processo di vera pulizia etnica.

I Territori dell’Oregon, ancor prima della costituzione dello Stato dell’Oregon e della sua appartenenza all’Unione, già nel 1844 dichiararono fuorilegge la schiavitù, non per segregarli ma per scacciare dalla regione gli
schiavi infine liberati. Peter Burnett, capo della assemblea legislativa dell’Oregon, spiegò la legge del 1844 in questo modo:

Lo scopo è quello di tenersi discosti da quella classe più problematica della popolazione. Siamo in un mondo nuovo, nelle circostanze più favorevoli e vogliamo evitare la maggior parte di quei mali che hanno afflitto così
tanto negli Stati Uniti e in altri paesi
.”

In sostanza l’obiettivo della liberazione dei neri era la loro espulsione, l’uso della frusta la costrizione per cacciarli dai Territori dell’Oregon. Un’altra legge, approvata nel 1849, vietò poi l’immigrazione nera nel territorio stesso. La legge venne abrogata nel 1854. Ma la sua clausola di esclusione fu nuovamente incorporata nella costituzione dell’Oregon del 1857, che nonostante vari tentativi di annullamento successivi è rimasta in vigore fino al 1926, impedendo di fatto per legge la residenza ai neri americani nello stato dell’Oregon. Un’altra legge adottata dallo Stato nel 1862 richiedeva a tutte le minoranze etniche ancora residenti di pagare una tassa annuale di 5 dollari, mentre i matrimoni interrazziali sono rimasti vietati per legge per tutti gli anni che vanno dal 1861 al 1951 (quasi cent’anni).

Anche se le leggi di esclusione vennero applicate raramente, gli obiettivi prefissati furono raggiunti: nel 1860 solo 128 afroamericani vivevano in Oregon su una popolazione totale di 52465 abitanti. I censimenti statali del
2013 registrano che solo il 2% della popolazione dell’Oregon è nera mentre quella di Portland raggiunge solo il 5%. In sostanza la storia dell’Oregon è caratterizzata da un “sionismo” bianco e cristiano e a stelle e strisce ante
litteram, che ha cancellato il problema razziale dando una mano di bianco, dove la violenza contro i neri e il pregiudizio razziale nella società e nelle istituzioni è talmente profondo che è diventato un elemento naturale
della società, le cui relazioni sociali tra le classi secondo le linee ed i pregiudizi razziali hanno anche infine condizionato la comune psicologia degli stessi neri americani.

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Un fatto naturale della società che ai nostri giorni, quelli del Coronavirus, determina che alcune Contee dell’Oregon, per esempio la Contea di Lincoln, sul finire di giugno hanno emanato un provvedimento che esonera gli afroamericani dall’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi e negli esercizi pubblici.

Sembrerebbe una iniziativa liberale a favore degli afroamericani, ma Ranika Moore attivista di colore della Aclu (Unione Americana per le Libertà Civili) ci spiega invece che l’uso della mascherina da parte di un uomo di colore è come “suggerire alla gente di sembrare una persona pericolosa, a causa degli stereotipi razziali che si sono diffusi”. In sostanza lo Stato prende atto che nella società l’uomo di colore è già un “sospetto” di “natura”, figuriamoci quando circola “a volto coperto”. Dunque, l’uomo nero, già abbondantemente terrorizzato dalla violenza indiscriminata dei bianchi, ottiene dallo Stato democratico questa gentile concessione.
La storia di questo territorio quindi rende l’Oregon lo Stato della Unione per eccellenza bianco, che ha visto a iosa proliferare l’assassinio di uomini neri disarmati da parte della polizia e le manifestazioni degli estremisti di
destra e dei Boogaloo Boys degli ultimi anni.

Il movimento inedito contro il razzismo sistemico che ha spinto tra le sue fila ampi settori sociali di sfruttati ispanici e di giovani proletari bianchi senza riserve, oggi scuote l’insieme di queste relazioni sociali originate dai
caratteri peculiari del colonialismo e del razzismo interno dell’Oregon. Il movimento di così vasta ampiezza e lo sciame sismico sociale che sta producendo, a Portland non può non far scricchiolare l’idillio di questa società bianca apparentemente “priva del problema razziale”, che è già scossa dall’economia in caduta libera e dalla pandemia.

Qui dove l’oppressione razziale veste maggiormente la facciata ipocrita della democrazia liberale (il primo territorio statuale non appartenente all’Unione ad “abolire” lo schiavismo), il movimento dei neri non dà
tregua ad un modello di società che non solo li vuole segregati, ma che ha provato a cancellarne l’esistenza. La contro reazione delle forze sociali razziste e quella delle sue istituzioni centralizzate sono chiamate a difendere con i denti questo raffinato modello di società razziale nordamericana, di cui Portland rappresenta proprio una delle punte più avanzate della supremazia bianca. Già negli anni ’60 e ’70 la repressione del Black Panther Party di Portland fu roba da fare impallidire perfino i Cops della West Coast.

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Quindi, a giusta ragione, Donald Trump sente puzza di bruciato, e minaccia prima e poi pianifica l’invio delle truppe federali a Portland, verificando che la polizia dello Stato non era più in grado di “ripulire la città da
questo alveare di terroristi”. L’operazione “Diligent Valor” avviata dalla Casa Bianca nei primi giorni del mese di luglio, si è tradotta nella violenza senza freni degli U.S. Marshals e dei Border Patrols del Dipartimento di
Sicurezza nelle strade di Portland, fatta di cacce all’uomo, di raid eseguiti secondo le tattiche di guerriglia di strada, tentando di realizzare quanto la polizia non era riuscita a fare. La cattura dei giovani di colore e bianchi
di Portland durante le manifestazioni ad opera degli U.S. Marshals, senza formale e legale arresto e dal sapore da “notte delle matite spezzate”, è stato il conseguente corollario nei confronti di una gioventù che si vuole
terrorizzare affinché non osi mai più scendere in piazza.

Ma dove la repressione della polizia e delle istituzioni governative locali hanno fallito, anche la repressione dello Stato federale ha fallito. Un nuovo elemento dell’insieme delle relazioni sociali idilliache dell’Oregon
bianco già scosse dalla crisi, è emerso come contraddizione sociale dalle viscere della crosta terrestre in sommovimento, suonando un campanello di allarme a Mr. Trump, Mr Biden e a tutta l’intellighentsia democratica e liberale.

Un inaspettato settore sociale del mondo dei lavoratori e degli sfruttati improvvisamente scende in campo, dando forza e ulteriore coraggio alle battaglie di Portland, facendo emergere un elemento importante della
generale alienazione sociale del capitalismo e delle relazioni sociali che esso determina: quello dell’oppressione di genere e della sottomissione patriarcale delle donne, che la scesa in campo del “muro delle mamme” (Wall of Moms) rappresenta.

Una scesa in lotta che non solo segna una tendenza in avanti nella riaggregazione di un fronte proletario e di sfruttati anche secondo linee generazionali, ma che lega insieme potenzialità, contraddizioni e difficoltà da cui questo movimento riparte, diviso secondo linee razziali, generazionali e di genere, come conseguenza della generale oppressione capitalistica.

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Le mamme bianche ed ispaniche lavoratrici che fin qui erano relegate a ricoprire il ruolo assegnatogli dall’oppressione patriarcale del moderno capitalismo, quello di candide custodi dei loro sacri figli, quelle delle
donne “dell’apple pie” e moderatrici per il bene della famiglia, quelle stesse donne che comunque vivono nel privilegio di essere parte della società dei bianchi, hanno preso gli stereotipi e li hanno rivolti contro l’autoritarismo di Trump realizzando uno scudo umano di mamme a difesa dei propri figli contro la violenza della polizia federale. Queste mamme, irrompono nella lotta spontaneamente, ma non immediatamente e direttamente per scendere in campo contro il razzismo e la violenza della polizia. Però, ra pidamente sonocostrette a riannodare la difesa dei propri figli con gli obiettivi della lotta per cui loro sono in piazza: il sostegno alla causa del black lives matter, farla finita con il razzismo. Nel fare questo, queste donne devono affrontare una serie di contraddizioni e pregiudizi che permeano l’intero proletariato bianco, che vive del risicato privilegio di appartenere alla società dei bianchi.

La partecipazione alla lotta costringe queste donne immediatamente a realizzare un collegamento stretto con le mamme e le donne nere, non privo di difficoltà, che già erano impegnate nella protesta. Già nella organizzazione della lotta e con le prime presenze in piazza hanno dovuto affrontare e verificare gli stereotipi tipici dell’oppressione femminile (per certi aspetti ritenuti elementi utili per fermare la repressione): chi
attaccherebbe mai una brava mamma bianca? Bruciata l’illusione, perché le truppe di polizia non hanno fatto nessuno, queste donne hanno dovuto cominciare a mettere in discussione l’immagine di sé, della loro condizione di emarginazione sociale e verificare che questa è anche condotta secondo le medesime linee razziali che caratterizzano la generale oppressione e alienazione capitalistica.

Sono i giorni in cui il “muro delle mamme” cattura tutta l’attenzione giornalistica, che mette in secondo piano le ragioni ultime del movimento contro il razzismo, e che punta gli obiettivi delle telecamere esclusivamente
nella rappresentazione delle sole mamme bianche. Una attenzione mediatica che tace che dietro questa scesa in campo di mamme lavoratrici c’è il prezioso sostegno e l’incoraggiamento delle organizzazioni femminile delle donne nere da anni impegnate contro la violenza della polizia nei confronti dei loro figli quali Mothers of Movement, Moms Against Senseless Killing, Moms Demands Actions e le donne di colore di Don’t Shoot
Portland (che tra l’altro si occupa della violenza domestica nei confronti delle donne di colore) (2) .

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Quello che questa attenzione mediatica esprime è appunto il riflesso imposto dello stereotipo della donna come figura di valore morale in virtù della sua maternità, per cui quella bianca è la sola a meritare l’attenzione. Ma se è una mamma di colore a preoccuparsi per la salute dei suoi figli, come spiega l’attivista nera Teressa Raiford di Don’t Shoot Portland, accade che il pubblico si chiede “e noi stesse ci chiediamo: siamo noi mamme nere delle brave mamme? Abbiamo abbastanza soldi? Siamo sposate?”.

In una intervista televisiva a Bev Barnum (ispanica ed una delle promotrici del Wall of Moms) le viene chiesto come mai tutta questa attenzione sul muro delle mamme? Lei quasi in lacrime risponde: “perché molte delle
mie mamme sono bianche, e per qualche motivo ispiriamo compassione nella gente bianca”.

Nella lotta contra la repressione donne nere e donne bianche sono costrette a confrontarsi entrambe con questi stereotipi provocati dall’oppressione di razza e di genere che fin qui le hanno sperate, allontanate le une dalle altre e anche contrapposte. Le mamme bianche che hanno vissuto nel loro sempre più risicato privilegio di essere appunto bianche, sono chiamate in un colpo solo a dover fare i conti con l’oppressione di genere ed i loro stessi pregiudizi e privilegi razziali. Scesa in campo che avviene, e deve essere rilevato, non priva di conflitti e contraddizioni interne tra le donne stesse contrapponendo le donne tra bianche e nere. Questa frattura accade innanzitutto proprio in virtù del fatto che la condizione femminile di doppia oppressione espone le donne ad una maggior forza di penetrazione da parte del razzismo sociale e di tutti i pregiudizi razziali che ne conseguono. Tanto più la donna è emarginata ed alienata, tanto più essa si lega al suo privilegio di essere bianca, tanto più si rifugia sotto l’ala del patriarcato capitalista.

Le donne nere provano in quei giorni una rapida crescita del loro senso di frustrazione per la sovraesposizione giornalistica ricevuta dalle sole mamme bianche. Allertano queste ultime di non lasciarsi ingannare dai
riflettori, dall’attenzione perniciosa dei media, alla loro rappresentazione stereotipata. Viceversa, accade che le bianche uscite finalmente al di fuori della cappa patriarcale della famiglia ne subiscono in parte la fascinazione. Elementi che mettono in difficoltà l’unità delle mamme e delle donne, la cui mobilitazione appare a quelle di colore come troppo sbilanciata contro l’autoritarismo di Trump, e poco attenta al fatto che il razzismo sistemico in Oregon dominava la società ancor prima del trumpismo. Temono che le donne bianche possano perdere di vista i motivi originari della battaglia di Portland contro il razzismo sistemico e della polizia, per cui gli stessi giovani ragazzi e ragazze bianche sono in piazza da giorni.

Si arriva infine a vere ed aperte critiche di atteggiamenti anti-blackness da parte di alcune bianche più in vista nel movimento, quando queste registrano il “Wall of Moms” come associazione “no-profit” presso le camere di commercio dell’Oregon.

La frustrazione delle nere americane è figlia del timore di veder ripetere le amare esperienze del passato: “ci risiamo! Le solite organizzazioni di “alleati bianchi” che prendono la ribalta per altri obiettivi politici sulla pelle, sulla vita e sulla lotta dei neri” (3). Lo scontro politico tra le donne del movimento, mugugnato in piazza, esplode poi sui loro gruppi nei social media. La dura polemica viene immediatamente catturata dalla stampa USA e da vari commentatori sciovinisti, che ne strumentalizzano gli avvenimenti per muovere una critica frontale contro il “muro delle mamme”, soprattutto contro le mamme nere, e per ridicolizzare e screditare l’intero movimento di questi mesi contro il razzismo.

Sono un giorno e una notte drammatica in seno al fronte di lotta a dimostrazione che la ricomposizione del fronte degli sfruttati non è un fatto automatico. Una comunità di lotta condizionata dalle divisioni che il
razzismo e il suprematismo bianco per centinaia di anni hanno scavato nel profondo della società e tra gli sfruttati stessi. Polemiche che confermano che la scesa in campo delle donne lavoratrici bianche non può avvenire senza dover fare i conti con il proprio specifico pregiudizio interno.

La necessità di continuare la lotta ha però prodotto come risultato che dallo shock emergesse la premessa per un superamento in avanti delle divisioni, per la ricerca di un terreno più solido di unità. Le donne si sono date da fare per creare un nuovo gruppo sui social media come elemento di raccolta e per l’organizzazione della lotta, denominato United Moms for Black Lives, mettendo da parte il vecchio gruppo per evitare le strumentalizzazioni giornalistiche. Tantissime madri lavoratrici bianche, ispaniche e nere hanno aderito sui social media al nuovo gruppo continuando a partecipare attivamente alle lotte dei giorni seguenti.

Ma la contraddizione e la polemica non è stata indolore. Le donne lavoratrici, nere, bianche ed ispaniche l’hanno vissuta con un profondo sentimento di dolore acuto. Il dolore di chi riconosce i limiti e talvolta i
fallimenti nel realizzare una genuina unità di intenti e una solida comunità di lotta. Ancora oggi nei siti internet delle organizzazioni delle donne nere di Portland si leggono commenti di tripudio per la scesa in campo del
“Wall of Moms” delle lavoratrici e mamme bianche (4) che, nonostante l’accesa polemica, non è stato cancellato.

Dopo un comprensibile sbandamento le donne di tutti i colori hanno provato a reagire cercando di ricomporre la frattura. Tante donne bianche, accompagnate dalle sorelle nere e sulla base dell’esperienza della lotta che le ha viste impegnate insieme, hanno gettato i semi per una profonda consapevolezza generale di quale sia l’origine dello sfruttamento e della loro divisione e contrapposizione. Ce lo descrive questa mamma bianca
rivolgendosi a tutte le donne del movimento di Portland:

White Moms of Black Lives Matter. Certo, ero impazzita per quello che è successo, ma non è che non siamo mai state ingannate facilmente prima.
Non appena comprendiamo veramente la profondità e l’ampiezza della nostra complicità e della partecipazione attiva al razzismo brutale e sistemico, andiamo fuori di testa. Comprensibilmente!

Pensavo di essere una brava persona. Una alleata. Ma stavo guardando i neri americani assassinati dalla polizia e pensavo che se lo meritassero. Per decenni non ho fatto altro che inventare scuse per estendere il mio
privilegio. Questa è una grande verità da assorbire.

Vediamo un modo semplice per alleviare la nostra colpa e coglierla per disperazione di sollievo. Poi lentamente ci rendiamo conto di aver investito ciecamente nello stesso bianco patriarcato capitalista ancora una volta.
Dobbiamo mettere insieme la nostra merda e iniziare veramente a centrare le vite dei neri nei nostri cuori. Il sollievo dal dolore della coscienza sarà disponibile solo dopo aver sradicato il razzismo in America.

Perché le mamme bianche non sono né protettrici, né protette! I nostri corpi non sono vasi sacri per i bambini bianchi. Ognuno di voi l’ha visto di fronte al Justice Center. Quei mercenari federali non si sono mai preoccupati delle
madri nere, ma abbiamo pensato che si prendessero cura delle loro madri bianche.

I razzisti e fascisti che servono il signore capitalista bianco non si preoccupano del periodo della vita umana.

Stalin ce lo ha mostrato. Anche Hitler. E anche I padri fondatori d’America. Quindi spero che possiamo tenere gli ultimi due giorni come promemoria di ciò che accade quando non mettiamo al centro la leadership nera.

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Quando seguiamo un sussurro in mezzo alla folla perché è molto più sicuro scappare che stare in piedi. Quando ricorriamo a lacrime di complicità e sottomissione piuttosto che onorare la nostra forza.

Possiamo farlo. Insieme. Non ci giudichiamo mentre impariamo. No guerra interna. Metti davvero Black Lives Matter nelle nostre teste / cuori / anime, così al centro della narrazione. Facciamolo bene”.

Siamo al 70 giorno consecutivo di lotta contro il razzismo sistemico a Portland, che prosegue contro la polizia locale, il sindaco democratico, ora che le truppe federali hanno dovuto fare un passo indietro. Prosegue anche
in mezzo ad una crescita di sparatorie ed omicidi sospetti di persone di colore in diversi quartieri della città.

Sebbene registriamo al momento che le manifestazioni notturne di Portland vedono una relativa minor partecipazione di massa, la momentanea ritirata della delle forze federali è un successo della lotta e del
movimento. Di cui la partecipazione inaspettata ed improvvisa delle donne e mamme lavoratrici di tutti i colori ha giocato un ruolo decisivo e centrale. Scesa in campo cui le lusinghe del sindaco e del governatore democratici per un generico riorientamento del movimento contro l’autoritarismo trumpista e secondo le loro traiettorie elettoralistiche hanno trovato pane per i loro denti.

E vorrei anche poter dire direttamente a queste eroiche donne lavoratrici nere, che il seme è stato gettato incrinando il muro del pregiudizio che divide le lavoratrici bianche da voi. Mentre vorrei invitare le bianche a considerare la lettera anonima di sopra come incoraggiamento a continuare questo percorso. Se ora le donne nere si sentono nuovamente sole nella battaglia contro la violenza sistemica e della polizia sulle vite dei neri,
guardate alle esperienze di questi due mesi di lotta nazionale e delle giornate di Portland.

Guardate alle origini del movimento femminista degli Stati Uniti D’America di inizio XX secolo, quando il movimento essenzialmente bianco delle “suffragette” nelle marce di New York e Washington D.C. relegò con disprezzo razzista le donne nere in coda al corteo. Questa consapevolezza e questa coscienza espressa durante la lotta dalle donne lavoratrici e dalle mamme dell’Oregon nere, indigene, di ogni colore e bianche è un risultato inaspettato, anche esso un successo della lotta sprigionata nei giorni delle battaglie di Portland, un altro tassello inedito di questo straordinario movimento che si è dato nel nome di George Floyd.

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***

1 Per una ricostruzione del piagnisteo ipocrita democratico rimandiamo all’articolo del 3 agosto del The appeal circa il fatto che “la violenza della polizia era un problema a Portland ancora prima che arrivassero i federali”: https://theappeal.org/portlandprotests-federal-agents-local-police-violence/

2 Vedi l’intervista a Bev Barnum, una delle WoM, fatta da Left Voice il 23 luglio: https://www.leftvoice.org/author/bevbarnum

3 Dal New York Post del 30 luglio 2020: https://nypost.com/2020/07/30/portlands-wall-of-moms-group-accused-of-antiblackness/
E dall’Oregon Live del 29 luglio 2020: https://www.oregonlive.com/news/2020/07/portlands-wall-of-moms-crumblesamid-
online-allegations-by-former-partner-dont-shoot-pdx.html

4 Sulla home page di “Don’t Shoot” di Portland ancora si legge: “Questa settimana avrai visto il muro delle mamme diventare virale e siamo entusiasti di avere la loro leadership che ci ha raggiunto per coordinare e per portare avanti la mobilitazione. Le organizzatrici di questo gruppo hanno rilasciato una dichiarazione pubblica sulla loro missione qui.
Sostienile affinché sempre più città comincino ad organizzare il WOM.
Visto che queste immagini finiscono in giro per il mondo, ricorda che non è il momento per metterti in mostra vestita di giallo. Questo è il tuo momento per presentarti in prima linea e amplificare le voci delle donne nere che hanno sofferto per troppo tempo la perdita dei loro figli a causa della brutalità della polizia e del razzismo sistemico. Questa non è un’opportunità per cooptare (cavalcare n.d.r.) un movimento. La vita nera è importante. Ecco perché siamo qui. Tienilo a mente quando inizi a organizzare #WallofMoms nella tua città. Impara dai tuoi leader locali e dalle organizzazioni di base: scopri dove puoi sostenere e portare i loro nomi. Non c’è mai un momento sbagliato per entrare a far parte del movimento e siamo grati della tua solidarietà”.

Roma, 6 agosto 2020
Noi non abbiamo patria

 

mercoledì 23 settembre 2020

Sul Referendum del 20-21 Settembre


Immancabile, come sempre si apre lo scenario parlamentare e referendario.
Il referendum costituzionale del 20-21 settembre, nella stessa giornata si terranno anche elezioni amministrative e regionali, sta mettendo in luce per l’ennesima volta il reale stato della politica parlamentare in Italia.
Un referendum confermativo, senza quorum da raggiungere, che sarà probabilmente oscurato dai risultati delle regionali e delle amministrative.
Nella riforma approvata dal parlamento in ottobre 2019 sia il M5S che ne è stato il promotore, quanto quasi tutti i parlamentari degli altri partiti si sono detti favorevoli al taglio dei parlamentari sia per il Senato che per la Camera dei deputati, salvo poi dissociarsi e riposizionarsi al referendum su fronti contrapposti e nebulosi. E’ l’esempio della Lega di Salvini e del partito di Giorgia Meloni, che si sono espressi per tagliare il numero dei rappresentanti, ma ad oggi non si sono impegnati a sostenere il Si al referendum. Oppure del PD, partito che sempre più coincide con la propria classe dirigente, oltre a qualche vassallo qua e la per l’Italia, che si sta schierando a malincuore per il SI sacrificando ciò che rimane della sua base elettorale, propensa a difendere la Costituzione così com’è, per quel che vale.
Se il quadro politico è tanto desolante, la rappresentanza parlamentare oggi è rappresentanza diretta del potere economico e industriale, raramente come oggi nessun parlamentare rappresenta e persegue gli interessi reali delle classi subalterne: il centro della società d’altronde è l’impresa, cioè il mercato e il capitale, ed è in questo senso che viene ripensata la composizione parlamentare.
Riuscire a vedere (e vendere) come se fosse una questione di risparmio il taglio di un terzo del numero dei parlamentari, e una rivincita verso una classe politica corrotta e incapace, è operazione evidentemente meno che di facciata, simile all’abolizione delle provincie di alcuni anni fa. Riforma in cui ovviamente le provincie non vennero abolite, e oggi vengono amministrate da partiti e uomini della politica, senza elezioni, semplicemente per nomina diretta della classe politica ed economica.
La democrazia parlamentare è sempre più svuotata e, con i rapporti di forza tra le classi da tempo favorevoli al capitale, procede lo smantellamento con gli interessi di tutte le conquiste che le lavoratrici e i lavoratori avevano ottenuto con lotte durissime. Così nello scontro imperialistico per il controllo dei mercati le istituzioni democratiche borghesi sono di fatto esautorate, e contano sempre meno, e sono inevitabilmente adeguate ai tempi e ai modi dell’economia capitalistica. Considerando che le classi subalterne sono state sconfitte anche con l’ausilio delle ambiziosissime e fallimentari strategie del riformismo politico e sindacale che non hanno regolato e controllato il capitalismo, ma lo hanno rafforzato.
Non sarà quindi, come sempre, l’esito di questo referendum a modificare gli assetti di questo paese: entrambi gli schieramenti, tra demagogia e nostalgia costituzionale eludono, perché avversano o sottovalutano, la considerazione secondo la quale la democrazia è il prodotto del rapporto tra le classi sociali e non viceversa.
Serve invece fare la propria parte in questo mondo, giorno per giorno, contro la dittatura delle oligarchie finanziarie e industriali, contro il razzismo e la classe politica fascista che lo propaganda, contro il militarismo e la società patriarcale e sessista, per una battaglia ecologista ed anticapitalista, costruendo reti di opposizione sociale nelle piazze e non battagliando sui social.
Proprio perché siamo in una fase internazionale che svelerà presto le proprie risultanti dei rapporti di forza tra le classi e gli obiettivi del capitale, che sono quelli di riprendere il controllo della società, e sarà in quella mischia che dovremo batterci per la libertà e per la giustizia sociale, nel modificare i rapporti sociali imposti dallo Stato e dal capitalismo, a favore della nostra classe.
Alternativa Libertaria, settembre 2020

giovedì 17 settembre 2020

Solidarietà al Movimento NO TAP sotto processo a Lecce


Anche in Italia l’opposizione finisce sotto processo, non solo in Biellorussia, Cina, Russia, USA,Siria Israele, Cile, Brasile, Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Ucraina, Bulgaria ……………. Il prossimo processo contro attivisti NO TAP è stato fissato per venerdì 11 settembre 2020 alle 10:30, presso il Tribunale Penale di Lecce, Viale Michele De Pietro. Si tratta di un vero e proprio maxi-processo contro 92 attivisti, colpevoli di aver lottato per difendere un territorio e un ideale. Quasi cento imputati riuniti in un’aula bunker di massima sicurezza, come uno di quei processi che fanno la storia Italiana. Tutto il Salento é sotto processo. Tutta la popolazione salentina, unita, continua a dire NO a chi vuole imporle un’opera inutile e dannosa per il suo territorio, come per il resto dell’Italia. Nel corso dello stesso giorno andranno a processo anche i vertici di TAP, insieme alle ditte esecutrici dei lavori, per reati ben più gravi, come “cantieri aperti senza autorizzazioni”, “inquinamento di falde acquifere”, “abusi edilizi”, “distruzione di siti protetti”, ecc. In questi ultimi giorni alle denunce si aggiungono i Fogli di Via, che sono misure amministrative escludenti di fatto qualsiasi diritto alla difesa; utilizzati, in abbondanza da un po’ di tempo a questa parte dalle Questure d’Italia. Denunce, Fogli di Via, forti sanzioni pecuniarie a chi si ribella, hanno lo scopo di colpire persone ritenute scomode rispetto ai disegni del potere; nello stesso tempo hanno quello di dissuadere persone e popolazioni dallo schierarsi a difesa di sacrosanti diritti e di territori minacciati da devastazioni e devastatori. La realtà dei fatti è questa: Il Tap sarà allacciato al gasdotto “RETE Adriatica SNAM”, altra opera inutile e dannosa. Insieme formeranno un gigantesco, mostruoso gasdotto, che parte dal Mar Caspio per approdare in Puglia e risalire poi l’Appennino fino a Minerbio in Emilia Romagna. Il risultato sarà la distruzione massiccia di terre, insostituibili per bellezza e nello stesso tempo immensa fonte di vita. Un danno incommensurabile e perenne per conferire al nostro Paese il ruolo strategico di hub del gas per l’Europa continentale, senza che sia previsto peraltro alcun tipo di allaccio alle utenze nazionali. Forte è la resistenza delle popolazioni salentine a questa opera inutile, nociva oltre che imposta. D’altra parte l’allaccio della TAP al metanodotto SNAM è un’opera di importanza capitale per le Istituzioni statali, oltre che per multinazionali e banche, nel quadro dei rapporti internazionali in corso. Non a caso i presidenti degli USA, negli ultimi tempi, si sono tutti espressi a sostegno della costruzione dell’opera in questione, ritenuta di importanza strategica. Lo Stato italiano di fronte a queste prese di posizione è pronto a schierarsi per realizzare e proteggere l’ennesima Grande Opera inutile e dannosa; imposta innanzitutto dagli USA. In questo quadro fosco assume ruolo di protagonista assoluta la SNAM, multinazionale ormai solo al 19% italiana, per il rimanente di società cinesi, americane e francesi, e presente anche in TAP. I governi italiani in carica negli ultimi anni si sono dati da fare per disinnescare la lotta degli oppositori ai devastanti piani con l’uso della repressione. Essa si attua in vari modi, da quello diretto e violento a suon di cariche e manganelli, alla militarizzazione del territorio, o, in modo alquanto sbrigativo, attraverso l’uso di denunce, fogli di via, consistenti sanzioni amministrative; così come avviene per la TAV in Val di Susa e per altre analoghe situazioni sul suolo italiano. Il monito è chiaro: lo Stato italiano vuole che il nuovo tracciato della Tap e della SNAM si faccia. Nessuno deve intralciare nella pratica e con le pratiche dirette, questa devastazione. Nessuno deve cercare di contestare l’opera dei devastatori o delle forze dell’ordine messe a loro difesa; pena la repressione. Precisiamo che questo comunicato non serve per piangerci addosso a causa delle misure repressive in atto; nelle nostre intenzioni serve piuttosto per chiarire meglio possibile quali sono le le forze in campo e quali metodi vengono da queste usati. Mira a estendere e intensificare il movimento di sostegno e solidarietà verso persone colpevoli di aver difeso in modo pacifico, insieme a tante altre persone coinvolte, l’integrità di un territorio e la vita di vi abita. La repressione ha molte facce, a cominciare dall’isolamento in cui si vuole relegare chi viene preso di mira come vittima predestinata; altra faccia è costituita dall’utilizzo dei fogli di via, particolarmente adatti quale misura repressiva, per la facilità di utilizzo anche diffuso; altro modo della repressione ancora più violenta odiosa, è costituito dai processi con cui si vuole dissanguare anche chi è tecnicamente innocente, attraverso le spese processuali a carico degli imputati anche in caso di assoluzione. Ha fatto evidentemente male i suoi conti chi pensa che con siffatte azioni sia possibile dividere e così dissolvere il fronte della lotta. Queste misure al contrario, mostrando ancora meglio la vera faccia del nemico comune, invece di favorire l’isolamento, suscitano, non solo fra i diretti oppositori, consapevolezza e solidarietà; fattori decisivi per fermare queste ed altre devastazioni in progetto ed in atto. Da ciascuno secondo propri modi e capacità; tutti uniti nella solidarietà e nella lotta. 10 Settembre 2020 Coordinamento NO SNAM Comitato contro le devastazioni territoriali in Umbria e non solo Circolo Anarchico Umbro SANA UTOPIA Alternativa Libertaria Federazione Anarchica Livornese Federazione Anarchica Milanese Circolo Island Perugia

Contro i venti di guerra


Dichiarazione congiunta delle organizzazioni anarchiche Devrimci Anarşist Faaliyet (turca) e Anarşist Politik Örgütlenme/ Yunanistan (greca) contro i venti di guerra nel Mediterraneo orientale Grecia e Turchia . Solidarietà di classe contro le guerre e il conflitto tra Stati. La solidarietà internazionalista è il potere dei popoli. I poteri economici e politici sono impegnati in un attacco globale senza precedenti contro i popoli alla periferia del capitalismo attraverso guerre, operazioni militari, il rovesciamento di regimi e imponendone di nuovi che mirano a controllare e sfruttare tutti gli esseri viventi e non viventi, tutte le comunità. Questo processo, che condanna milioni di persone alla povertà, all’impoverimento, alle malattie e alla migrazione; è una precondizione per l’accumulo di ricchezza nelle mani dell’élite economica globale e la ridistribuzione dell’equilibrio geopolitico del potere nel mondo tra potenze globali, regionali e locali nel contesto della competizione interstatale. Nel processo finale, la concorrenza tra Stati, tra Grecia e Turchia, e in questo contesto si assiste ad un aumento accelerato dei preparativi per la guerra. Il loro obiettivo è stabilire la Zona Economica Esclusiva per la gestione degli asset energetici nel Mar Egeo e nel Mediterraneo orientale e per il controllo delle rotte commerciali dell’energia. Il conflitto tra Grecia e Turchia è rinato perché sono al servizio degli interessi delle grandi multinazionali estrattive. Le potenze capitaliste globali come Stati Uniti, Francia e NATO partecipano a questo conflitto per mantenere una potenza militare più ampia nella regione geopoliticamente altamente strategica del Mediterraneo orientale con lo scopo di raggiungere un equilibrio di potere più redditizio in questa situazione e nei mercati energetici globali. Per la Grecia, la partecipazione attiva a questo conflitto attraverso lo sviluppo di risorse belliche nel Mar Egeo è una riaffermazione del suo impegno nei confronti dell’UE e della NATO per svolgere il ruolo di polizia per loro conto nella regione. La cooperazione politica, militare ed energetica con Egitto, Cipro e Israele va in questa direzione. Per la Turchia, l’occupazione militare del Rojava, il supporto della Turchia per l’adempimento dell’accordo del governo di riconciliazione nazionale in Libia e il dispiegamento della flotta militare nel Mediterraneo servono a dimostrare che la Turchia è un forte attore regionale nella rivalità tra gli stati capitalisti globali. Il fatto che entrambi gli Stati aumentino il conflitto nel Mediterraneo orientale crea la possibilità di colpire Cipro, che è un altro problema con cui devono confrontarsi. F-16 e navi cacciatorpediniere stanno viaggiando intorno a Cipro e questi conflitti significano che i popoli di Cipro sono esposti all’aggressione creata dagli stati. Sia in Grecia che in Turchia, il nazionalismo, in un contesto sempre più competitivo, spinge verso l’intolleranza e l’incitamento all’odio. Il loro scopo è instillare la paura nella società, convincere la stragrande maggioranza della società saccheggiata e sfruttata senza pietà dallo stato e dai padroni di avere interessi comuni con le élite politiche ed economiche che le governano. Come anarchici su entrambe le sponde del Mar Egeo, siamo consapevoli che lo stato di guerra, la povertà e l’impoverimento, l’ascesa del nazionalismo e il fascismo nella società saranno devastanti per l’umanità. Solidarietà di classe e internazionale tra i popoli, lotta organizzata delle classi sfruttate, rovesciamento degli stati e del capitalismo. Crediamo fermamente che ci saranno le condizioni necessarie per la creazione di una società di libertà, uguaglianza, pace e giustizia senza sfruttamento, guerre e concorrenza corrotta. Facciamo rivivere la lotta per la rivoluzione sociale, l’anarchismo e il comunismo libertario! Devrimci Anarşist Faaliyet Επαναστατική Αναρχική Δράση (DAF) / Τουρκία https://anarsistfaaliyet.org/ Anarşist Politik Örgütlenme/ Yunanistan Αναρχική Πολιτική Οργάνωση – Ομοσπονδία Συλλογικοτήτων (ΑΠΟ) / Ελλάδα http://apo.squathost.com/ Testo originale della dichiarazione https://anarsistfaaliyet.org/bildiriler/devrimci-anarsist-faaliyet-ve-anarsist-politik-orgutlenmeden-dogu-akdenizdeki-gerilimlere-karsi-ortak-bildiri/?fbclid=IwAR2ODU2A47BNSJ0xJl1FmN0Vh6Vc8G_AnADoGcgQFd6VNfmF0LpZrtR6CBI

lunedì 14 settembre 2020

La classe operaia contro Lukashenko

 


Il 9 agosto, il presidente uscente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, è stato “ufficialmente rieletto”, con “oltre l’80% dei voti” per il suo sesto mandato in un’elezione rozzamente truccata. Ma dopo l’annuncio di questi risultati, noti in anticipo, si sono diffuse manifestazioni e scioperi.

Per 26 anni, Lukashenko ha governato questo paese della sfera ex sovietica con il pugno di ferro, mantenendo il sistema economico e burocratico derivante dall’organizzazione sovietica, con la sua repressione politica permanente attraverso uno stato di polizia onnipresente, perseguitando gli oppositori e reprimendo duramente ogni protesta. Tuttavia, questa ennesima elezione con un risultato noto in anticipo sembra aver spinto al limite le classi popolari bielorusse. Dalla sera del 9 agosto il Paese è scosso da enormi manifestazioni popolari, amplificate da un’ondata di scioperi senza precedenti nel Paese.

Nonostante le intimidazioni alla principale concorrente alle elezioni, che è stata costretta a lasciare il Paese, e nonostante la violentissima repressione della polizia e gli arresti massicci (quasi 7.000 persone arrestate in pochi giorni, diverse centinaia di feriti e ufficialmente due morti), nulla sembra indebolire la determinazione della maggioranza dei bielorussi a volere un cambiamento politico radicale, nemmeno la minaccia agitata da Lukashenko di un intervento del vicino russo.

Abbasso gli imperialismi!

In effetti, la Bielorussia, vicina della Russia, è in virtù della sua posizione, un polo strategico per gli imperialismi occidentali e russi. Se per il momento nessuno dei due schieramenti è intervenuto se non con mezzi diplomatici, è certo che un inasprimento o un ampliamento del movimento popolare potrebbe portare a interventi esterni che sarebbero per esso necessariamente negativi. Proprio come in Ucraina nel 2011, durante gli eventi di Maidan, gli interventi imperialisti dirotterebbe le legittime richieste dei manifestanti, che per il momento sono concentrate sulla partenza del presidente e su un cambio di regime politico.

Nel contesto attuale, è quindi responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie, e più in generale progressiste, in Francia e in Europa, fornire il necessario sostegno politico e materiale, in particolare denunciando qualsiasi interferenza straniera nel processo in corso, e lavorando per sostenere direttamente il movimento popolare bielorusso.
Respingiamo quindi il ricatto che può essere agitato da una certa “sinistra” quando denuncia in questo movimento una presunta volontà di fare il gioco delle potenze occidentali.  Lukashenko non è né un antimperialista né un anticapitalista.
Le sue politiche non sono state altro che il rattoppare un’economia capitalista di stato per mantenere i privilegi della burocrazia che la controlla. Questa situazione non ha impedito in alcun modo una precarietà permanente dei salariati come in qualsiasi altro regime capitalista. È il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, attraverso la sua organizzazione nello sciopero, che avrà la forza di ottenere rivendicazioni democratiche; e creare le condizioni per il cambiamento sociale diverso dal neoliberismo senza ripristinare il capitalismo.

 

La classe operaia entra in azione

Da lunedì 11 agosto la protesta ha preso una nuova svolta. In molte fabbriche sono iniziate massicce e spontanee interruzioni del lavoro. Gli appelli per uno sciopero generale sono stati lanciati e trovano eco in fabbriche come BelAz (macchine minerarie e trasporto merci) o MTZ (automobile), che da sole riuniscono decine di migliaia di dipendenti. Questa ondata di scioperi sembra dilagare e, se riguarda principalmente il settore industriale e le grandi imprese statali, non sembra limitarsi ad esso.

Si tengono assemblee generali, si creano collegamenti tra le varie fabbriche mobilitate e gli scioperanti si uniscono alle manifestazioni nei cortei. Per il momento non sembra che dal movimento dello sciopero stiano emergendo rivendicazioni sociali, lo slogan principale è chiaramente la partenza di Lukashenko. Ma la spontaneità di questi scioperi e le loro tendenze all’auto-organizzazione danno loro un potenziale politico incredibilmente prezioso. Se la maggior parte dei sindacati è sottomessa allo stato e al potere, ci sono ancora piccoli sindacati indipendenti nonostante l’estrema repressione e il diritto di sciopero molto limitato.

È il caso del Congresso bielorusso dei sindacati democratici (BKDP), che chiede “l’immediata creazione di comitati di sciopero nelle aziende” e “la creazione di un comitato nazionale di sciopero”. Lunedì 24 agosto, diversi delegati di questi comitati sono stati arrestati.
D’altro lato , i dirigenti delle fabbriche così come i sindacati legati al governo stanno aumentando gli appelli alla “pace civile”  e al ritorno al lavoro, anche se , a fronte della rabbia popolare, sono obbligati a condannare la violenza della polizia e gli arresti di massa.

In alcune aziende, i lavoratori e le lavoratrici hanno chiesto posizioni chiare a questi sindacati e alcune sezioni hanno già sbattuto la porta! Questa azione della classe lavoratrice merita tutta la nostra attenzione e il nostro sostegno, forse porta con sé i semi di una più ampia rottura politica, anticapitalista e antiautoritaria.

Solidarietà internazionale!

Sappiamo che i nostri compagni rivoluzionari anarchici hanno un ruolo importante nel movimento attuale, sebbene questa parte sia largamente oscurata dai media occidentali. Per anni sono stati repressi senza alcuna concessione dal potere in atto. Esprimiamo così tutta la nostra solidarietà ad Alexander Frantskevich e Akihiro Khanada, due compagni anarchici arrestati il 12 agosto per aver partecipato al movimento in corso, e passibili di pesanti condanne nelle carceri del regime dove gli oppositori vengono regolarmente torturati e rischiano morte[1]. Chiediamo il loro rilascio immediato, così come quello di tutti i prigionieri del movimento popolare bielorusso.

 

Lunga vita all’auto-organizzazione dei popoli e dei lavoratori, Solidarietà alla protesta bielorussa!

 

traduzione da parte della Commizione internazionale del comunicato dell’Union Comuniste Libertaire 25/08/2020

Solidarietà con la Lotta del Popolo Mapuche

 


Siamo solidali con la lotta del popolo Mapuche che sta vivendo un altro episodio di persecuzione e repressione da parte dello Stato cileno razzista e coloniale. Lo Stato cileno è aiutato da gruppi e milizie di estrema destra.

Da più di 90 giorni, quasi 30 prigionieri politici Mapuche sono impegnati in uno sciopero della fame per chiedere la libertà immediata o almeno la modifica delle misure precauzionali per Covid-19. La revisione dei processi giudiziari è ancora in corso. Le loro richieste: la fine della criminalizzazione del popolo Mapuche, l’abrogazione della legge antiterrorismo (ereditata dal dittatore Augusto Pinochet), e l’applicazione della Convenzione 169 dell’OIL-Organizzazione Internazionale del Lavoro-  (art. 7, 8, 9 e 10) la cui omissione dalla legge dello Stato ha determinato il grave stato di salute di Machi Celestino Cordova. Le condizioni di salute di Cordova sono il risultato di diversi scioperi della fame per protestare contro la repressione della spiritualità Mapuche da parte dello Stato e delle sue istituzioni coloniali.
Inoltre, chiediamo una risposta da parte dello Stato cileno per la morte di Camilo Catrillanca (assassinato da agenti dello Stato), Macarena Valdés (assassinata da sicari di compagnie estrattive), Alejandro Treuqui (assassinato in circostanze strane), e Brandon Huentecol (il cui corpo ospita ancora le pallottole che i poliziotti delle forze speciali gli hanno sparato). Esigiamo anche una risposta per i secoli di violenza sistematica e di morti dei Mapuche. Questa violenza sistemica è una pratica costante di tutte le precedenti amministrazioni dello Stato cileno.

Come forma di pressione sul governo di Piñera, diverse comunità Mapuche hanno iniziato ad occupare una serie di edifici municipali nella regione dell’Araucanía (Victoria, Collipulli, Galvarino, Angol, Curacautín e Traiguén). Recentemente, sabato 1 agosto,  i fascisti e gruppi di delinquenti ingaggiati dai datori di lavoro hanno attaccato violentemente una comunità Mapuche, ferendo gravemente diversi uomini, donne e bambini. Lo hanno fatto con la complicità dello Stato. Subito dopo, la polizia ha arrestato 46 membri della comunità, in attesa di essere processati dalla giustizia razzista cilena.

Denunciamo le azioni del nuovo ministro degli Interni cileno, Víctor Pérez, come incitatore e “ideologo” di questo atto violento. Pérez ha partecipato attivamente alla dittatura di Pinochet e ha difeso un nazista, Paul Schafer. In una visita di qualche giorno fa nei territori Mapuche, Pérez ha minacciato il popolo di dare il via libera a gruppi di estrema destra come l’APRA e la “Pace in Araucanía” per portare avanti questi vili attacchi nella più totale impunità.

Come anarchici ripudiamo tutti gli atti di razzismo, fascismo e colonialismo. Rivendichiamo le richieste per l’autonomia e l’autodeterminazione territoriale di tutti i popoli oppressi in lotta. Chiediamo una solidarietà attiva con le comunità del popolo Mapuche in resistenza, che da più di 500 anni sono in conflitto con gli interessi economici capitalisti e coloniali che hanno distrutto ed espropriato i loro territori ancestrali. È tempo di porre fine alla militarizzazione, alla repressione e all’imprigionamento delle comunità che resistono in tutto il mondo.

IL RAZZISMO E IL FASCISMO DEVONO ESSERE SEPOLTI INSIEME AL CAPITALISMO E AL PATRIARCATO!

TUTTO IL NOSTRO SOSTEGNO E LA NOSTRA SOLIDARIETÀ AL POPOLO MAPUCHE CHE LOTTA CONTRO LA VIOLENZA DELLO STATO E DELLA POLIZIA!

☆ Coordenação Anarquista Brasileira – CAB (Brasilr)
☆ Federación Anarquista Uruguaya – FAU (Uruguay)
☆ Federación Anarquista de Rosario – FAR (Argentina)
☆ Organización Anarquista de Córdoba – OAC (Argentina)
☆ Federación Anarquista Santiago – FAS (Cile)
☆ Grupo Libertario Vía Libre (Colombia)
☆ Union Communiste Libertaire (Francia)
☆ Embat – Organització Llibertària de Catalunya (Catalogna)
☆ Alternativa Libertaria – AL/fdca (Italia)
☆ Die Plattform – Anarchakommunistische Organisation (Germania)
☆ Devrimci Anarşist Faaliyet – DAF (Turkey)
☆ Organisation Socialiste Libertaire – OSL (Svizzera)
☆ Libertaere Aktion (Svizzera)
☆ Melbourne Anarchist Communist Group – MACG (Australia)
☆ Aotearoa Workers Solidarity Movement – AWSM (Aotearoa / Nuova Zelanda)
☆ Zabalaza Anarchist Communist Front – ZACF (Sud Africa)
☆ Anarchist Unión of Afghanistan and Iran – AUAI
☆ Workers Solidarity Movement – WSM (Irlanda)
☆ Bandilang Itim (Filippine)
☆ Αναρχική Ομοσπονδία – Anarchist Federation (Grecia)

Il modello svedese

Solo pochi mesi fa, analizzando la situazione sociale determinatasi in seguito alla pandemia da Coronavirus, riaffermavamo la necessità del superamento di questo sistema economico e sociale poichè, unico nella storia dell’umanità, la distruzione di merci, di tutte le merci, compreso la forza lavoro, rappresenta paradossalmente l’unica possibilità di rigenerarsi e di risolvere le endemiche crisi che periodicamente manifesta (DS n°53 Aprile 2020 “Campione di resistenza”).

Financial Times/Bloomberg (GDP - Gross Domestic Product - Prodotto Interno Lordo)

Financial Times/Bloomberg (GDP – Gross Domestic Product – Prodotto Interno Lordo)

Esplicitare tale verità ha sempre creato grande ribrezzo e una infinita tristezza, in quanto è tale la barbarie che il solo affermarla come semplice ipotesi di scuola diventa pesante e profondamente tragico.

Ma a confermare questa triste verità, come una ulteriore conferma, (oltre alle guerre guerreggiate che lo scontro interimperialistico ha scatenato nel secolo scorso; ben due guerre mondiali, per arrivare alle odierne guerre di procura, come l’attuale scontro nella Libia), ci viene dalle accurate e dotte analisi del Financial Times, prestigioso giornale economico finanziario del Regno Unito ( “Swedish companies reap benefits of country’s Covid-19 approach” Financial Time  27 luglio 2020. Richard Milne, Nordic and Baltic Correspondent) . Affrontando l’andamento dell’economia nella stagione del coronavirus, con il realismo cinico tipico della classe dominante, e senza far trapelare alcun imbarazzo, l’articolosta si interroga se nella civilissima Svezia, l’aver lasciato morire, per ora, circa 6000 persone, non avendo messo in pratica nessuna o scarse manovre di prevenzione contro la diffusione del corona virus, abbia in realtà, salvato l’economia di questo paese.

La Svezia ha affrontato l’ondata di epidemia senza nemmeno un giorno di lockdown, di fatto ponendo in essere un approccio sanitario basato sul principio dell’immunità di gregge.

Proprio grazie all’assenza totale di lockdown, l’economia svedese sta già oggi mostrando chiari sintomi di miglioramento e di netto “outperforming” (sovraprestazione) rispetto a tutte le controparti europee.

A confermare il trend sono stati i dati delle trimestrali presentate nelle scorse settimane delle principali aziende del Paese, da giganti come Ericsson ed Electrolux, passando per le banche come Handelsbanken e protagonisti della componentistica come Assa Abloy.

Tutti hanno vantato profitti ben al di sopra delle aspettative di mercato, anche se in alcuni casi questo trend si sia limitato e sostanziato in un calo più contenuto delle attese.

Infine, si fa notare come la Svezia abbia beneficiato grandemente anche dai buoni rapporti commerciali e politici che intrattiene a livello bipartisan sia con Cina che con gli Usa.

La prima – destinataria di export svedese, soprattutto legato al comparto industriale e alimentare – è stata infatti la nazione avanguardia della ripresa economica, avendo patito per prima il lockdown più duro.

I secondi, di fatto, rimasti operativi in modalità “business as usual” (affari come al ssolito) fino a primavera inoltrata, quando la pandemia ha colpito duramente New York e imposto il lockdown a varie parti del Paese.

E ora, con nuovi focolai in mezza Europa e della tanto temuta seconda ondata, che fare?

Seguire l’esempio svedese o, di fatto, operare con cautela massima, come sembra fare il governo italiano con la sua scelta di prolungamento dello stato di emergenza?

Preso atto che normalmente la via migliore risiede nel mezzo, il problema appare decisamente in testa alla lista delle preoccupazioni degli analisti economici.

“Qual è il grado di probabilità di andare incontro a nuovi regimi di lockdown? Qual è il grado di probabilità che sussiste rispetto a quello che possiamo definire un fattore di paura collettiva? Questa e solo questa è la grande questione che incombe sul grado di velocità che riusciremo a imprimere alla ripresa economica europea. Ora è tutto basato sulla psicologia, è tutto incentrato sulla gente e la sua reazione“, afferma Alrik Danielson chief executive del marchio manifatturiero SKF, produttore svedese di cuscinetti a sfera.

Le stime economiche sulla crescita del PIL svedese , in realtà sono piuttosto ballerine.

Capital Economics, una società di consulenza macro, ha riferito a luglio di prevedere per quest’anno una sorprendente crescita del 1,5 % mentre per Danimarca e Norvegia stima un -3 % annuale.

I grandi organismi internazionali sono iìnvece più pessimisti. L’OCSE nel suo ultimo Outlook colloca le previsioi di crescita del Pil della Svezia tra – 8% e – 6,7% a seconda della gravità di una potenziale seconda ondata. E pone la Danimarca leggermente avanti con una forchetta compresa fra -7,1% e -5,8%.

La Commisssione Europea vede leggermente meno nero e stima un -5,3% per la Svezia contro il -8,7 % dell’Eurozona e ul -5,25 % della Danimarca.

La Riksbank , la banca centrale svedese, ha aggiornato le previsioni a luglio prospettando un range tra -4% e -5,7 % di crescita del PIL , cioè un 2020 nettamente meno brutto degli altri paesi avanzati.

Fin qui le diverse previsioni e le diverse stime sull’andamento futuro dei mercati.

Tuttavia il numero dei contagi e dei morti in Svezia è stato alto, specie in rapporto alla popolazione. Attualmente i casi di coronavirus in Svezia sono sopra le 80.000 unità e i morti superano la quota di 5.700 con punte elevate nella popolazione anziana.

Il bilancio è molto più alto di quello degli altri paeso scandinavi. La Svezia che ha 10 milioni di abitanti ha registrato più contagi e più morti di Norvegia, Finlandia, Danimarca e Islanda che insieme contano 17 milioni di abitanti.

In totoale infatti questi quatro paesi contano attualmente oltre 32.000 contagiati e circa 1.200 decessi.

Come si vede nessuna reale preoccupazione per il numero dei morti, nessuna seria riflessione sulle possibili strategie di prevenzione contro questa pandemia, visto che la stessa OMS Organizzazione Mondiale della Sanità, con tutta la sua opacità e condizionabilità, l’aveva comunque preannunciata e prevista.

Nessun serio ragionamento sulla necessità di rimodulare i sistemi sanitari nazionali nel senso di una loro maggiore universalità e di una necessaria e maggiore capacità di spesa ed atttenzione nella prevenzione, insufficienza che tragicamente si è palesata ad inizio pandemia, dove non si trovavano a sufficienza le banali mascherine chirurgiche o di protezione respitatoria, confermando che dove non c’è guadagno il capitale non investe.

I morti vengono sì conteggiati, ma solo ed esclusivamente come mero dato statistico; la massima se non unica importanza è data alla necessità di ” imprimere la ripresa economica”, sfruttando magari mercati, come quello Cinese, che avendo già superato la fase apicale della pandemia da Coronavirus, oggi sono in condizioni migliori per lo sbocco delle merci svedesi, rispetto ad altri mercati internazionali.

La barbarie è reale.

“La borghesia se realmente desidera rendere un estremo servizio all’umanità, se è sincero il suo amore per la libertà vera, universale, completa, uguale per tutti, se essa in una parola vuol cessare di essere la reazione, non le resta che una cosa da fare: morire con grazia ed al più presto possibile …..morire come corpo politico e sociale economicamente distinto dalla classe operaia” (M. Bakunin)

“… La classe operaia è divenuta oggi l’unica rappresentante della grande, della santa causa dell’Umanità. L’avvenire appartiene ai lavoratori dei campi , ai lavoratori delle fabbriche e delle città.
Tutte le classi che sono al di sopra, gli eterni sfruttatori del lavoro delle masse popolari, la nobiltà., il clero, la borghesia e tutta quella pleiaide di funzionari militari e civili che rappresentano l’iniquità e la melefica potenza dello Stato, sono delle classi corrotte, incapaci oramai di comprendere e di volere il bene e potenti solo per il male.” ( M. Bakunin)

Alternativa Libertaria foglio telematico agosto 2020

 


 

In questo numero parliamo di:

-Donne e capitalismo

-Razzismo e oppressioni

-Analisi della fase post-lockdown

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CIAO PAOLO

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

 

 

Con Paolo Finzi ci lascia un pezzo importante di storia del movimento anarchico, un compagno infaticabile che ha lavorato per un anarchismo plurale, inclusivo, all’altezza delle sfide dell oggi. Ma anche un uomo sempre disponibile e di rara delicatezza. A Aurora, a Alba e a Elio, alla redazione di A, a chi gli ha voluto bene un sincero abbraccio da tutte e tutti noi Alternativa Libertaria/fdca

IX Congresso Nazionale della FdCA

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1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)