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h.21 dj set con Checco Ignoranza
Ciao a tutti
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
Sabato 27 febbraio 2010 alle 17.30
presso il Prefabbrikato di via Pirandello, 22 – (quartiere Villanova) Pordenone
“MERDRA”
appunti di viaggio in Bi/Cicli attorno ad Alfred Jarry, l’Arte, la ‘Pataphysica e le sue Istituzioni…
con Tania Lorandi e Stefano de Toni
Tania Lorandi è un’artista eclettica e poliedrica che nasce in Belgio e si forma all’Accademia di Belle Arti di Liegi. Nel 1985 si trasferisce in Italia. Dal 1989 indaga la ‘Patafisica; incontra Enrico Baj, Vincenzo Accame e collabora con tanti altri cultori della “Scienza delle soluzioni immaginarie”. Baj la descrive come “una delle più grandi esperte di ‘Patafisica in Italia”. Fonda il “Collage de ‘Pataphysique”, un Istituto Indipendente e Autonomo che conta più di 100 Membri e Membrane provenienti da diversi paesi. Vuole il “Collage” come un polo catalizzatore attorno al quale si sviluppino molteplici ricerche. Si interessa di vari linguaggi espressivi; organizza e allestisce mostre, oltre ad essere scultrice, pittrice e scrittrice; canta.
Stefano de Toni da piccolo pensava di fare l’artista, poi ha capito che non era il caso. Ha incontrato la ‘Patafisica e l’Imperatore Analogico Enrico Baj che lo ha eletto in pompa magna Magister Anarchicus Universalis.
Seguirà presentazione del libro
CICLISMO PATAFISCO
racconti illustrati di Alfred Jarry
della Ed. SHAKE
continua con cena sociale + DjSet al Barabbcaffè
Circolo Libertario “Emiliano Zapata”
Le idee non si processano
Fino il 26 ottobre del 2004 le exscuole Perini erano uno stabile vuoto, abbandonato da anni, lasciato al degrado, vetri rotti, muri danneggiati, immondizia sparsa ovunque. All’esterno un vecchio cancello a circondare un giardino bellissimo, inaccessibile al quartiere. Una grande centrale elettrica alle spalle, una piazza di fronte. Un territorio di periferia come tanti, ricco di risorse invisibili e di potenzialità inespresse.
Noi siamo le donne e gli uomini che il pomeriggio del 26 ottobre questo spazio hanno aperto e quindi liberato, pulito colorato riempito vissuto.
È diventato in poco tempo uno dei luoghi più vivi del quartiere, l’ombelico anomalo di quel territorio, una cerniera tra la città (il macro), le sue contraddizioni, i suoi conflitti e il micro, la tranquillità appartata, genuina di quell’angolo di Verona.
Un luogo che passo dopo passo, in tre anni, ha provato ad ascoltare e a parlare con il territorio in cui andava a collocarsi, a rispettarlo a pretendere lo stesso.
Un rapporto complesso fatto di alcuni contrasti ma soprattutto di molte moltissime occasioni d’incontro.
Le iniziative, tante e diverse, non possiamo qui sintetizzare.
Un luogo vissuto dai tanti che già avevano alle spalle esperienze simili ma anche da molte ragazze e ragazzi che ad esso si avvicinavano per la sua originalità, per l' empatia immediata, la complicità, la prossimità con i personali vissuti quotidiani.
Uno spazio aperto perché poggiava le proprie fondamenta sull’autogestione, una forma di vita, politica e sociale, che si basa sul protagonismo dal basso, sulla responsabilizzazione condivisa, sull’assenza di eleghe sulle scelte prese e partecipate da tutti nelle assemblee di gestione.
A questo non volevamo allora e non vogliamo adesso rinunciare.
Se l’autogestione era/è un obiettivo, l’occupazione era ed è (lo abbiamo ribadito centinaia di volte) un mezzo, prezioso, talvolta irrinunciabile, ma non un fine a se stesso.
Per questo, abbiamo capito da subito che la ricchezza della Chimica in quel luogo coincideva con la sua fragilità. Per farla vivere e crescere, per permetterle di fare e diventare progetto era necessario uscire dallo stato di precarietà alla quale lo stato di “illegalità formale”, non sostanziale (perché è nella sostanza illegale abbandonare al degrado uno spazio simile), ci condannava. Abbiamo da subito attivato contatti con le istituzioni di prossimità, la circoscrizione, e cittadine, l’amministrazione comunale.
Abbiamo avviato una vertenza non autoreferenziale, perché non trattava di noi e delle nostre esigenze, trattava dei bisogni e dei desideri di una parte della città, della sua popolazione, di un’idea “sul cosa e il come” in tema di beni comuni, di spazi pubblici, dal loro utilizzo alla loro fruibilità.
Una proposizione non facile da accettare "anche" per una amministrazione di centro sinistra, che peraltro non gradiva l’atteggiamento critico espresso nelle e dalle lotte che in quello spazio nascevano, che da quella soggettività venivano portate avanti. Scomodo.
Una forma di vita collettiva che sappia essere sociale culturale e politica al contempo crea immediatamente un immaginario, è una passione positiva che costruisce ben oltre la stessa comunità che l’ha avviata.
U na spina nel fianco a chi allora governava è diventato a maggior ragione un regalo su un piatto d’argento a chi stava per arrivare, al nuovo "Cangrande" della città, che di noi avrebbe fatto il corpo tangibile di uno tra i nemici, di cui la sua politica si nutre e si nutriva: sgomberare il centro sociale, cacciare i vucumprà cancellare i rom dalla città…questi i punti chiave della sua campagna elettorale.
Come andò la storia lo racconta la cronaca.
Oggi si apre un altro racconto che contiene tutto il resto. Un faldone processuale nel quale 4 di noi arbitrariamente ritenuti i “responsabili” di quell’esperienza verranno processati, per tentare di condannare tutto: l’occupazione, le lotte, gli immaginari di cui siamo responsabili.
Vorrebbero infierire, farci saldare il conto per avere osato disobbedire, per aver immaginato un’altra Verona, per non aver avuto paura, o forse solo per intimidire chi ci dovesse riprovare.
Probabilmente sono loro ad avere avuto ed avere paura. Terrorizzati dagli altri dal diverso da se stessi dal futuro.
Oggi come allora rivendichiamo il senso profondo di quell'esperienza, oggi come allora ribadiamo:
le idee non si sgomberano, i bisogni e i desideri non si processano!!!
Chiediamo alle tante individualità e realtà sociali, che hanno attraversato lo spazio, di Verona e non solo, di esserci, nelle forme che ciascuna riterrà più opportune. con la solidarietà attiva, con l'attenzione a quanto accadrà e a quanto proporremo. La memoria è un ingranaggio collettivo, ed è necessario che funzioni bene per immaginare insieme la città che verrà.
le/gli abitanti del centro sociale occupato autogestito lachimica