il Cantiere Materiali di intervento dei comunisti anarchici per la lotta di classe
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
articolo 13 del "Non Mollare" di Critica liberale
Articolo ripreso dal sito nazionale di Alternativa Libertaria
E’ difficile esporre una riflessione che armonizzi
razionalità e sentimento circa la scelta di lasciare in maniera
repentina la nostra vita.
Eppure, rispetto al suicidio, possiamo confrontarci con il bagaglio
culturale libertario che discute e difende la sovranità di noi stessi
sul nostro corpo, in modo da aprire un orizzonte comune anche alla
nostra emotività ferita.
I commenti sulla stampa a questo proposito possono dirci poco. Fatta
eccezione per il dar conto delle personalità di rilievo, a volte con
stupore per chi, seppure famoso o affermato, dotato di mezzi, sceglie il
suicidio; sempre più spesso si viene a far parte dei tant* che lasciano
la vita alle soglie dell’anzianità, e che la stampa annota come persone
decise a non farsi travolgere, se stesse ed i propri cari, da patologie
gravemente invalidanti.
Riguardo a questo la tradizione medica si evolve; in Italia, dal 2017,
esiste la legge che dispone il rispetto delle volontà dei cittadini sul
trattamento sanitario, con possibilità di rifiutare terapie di
mantenimento quali tracheostomia e gastrostomia. Malattie gravemente
lesive ora possono essere affrontate senza accanimento, e non sono rari i
casi di persone che dispongono il rifiuto della ventilazione meccanica,
affrontando consapevolmente la sedazione profonda e la morte.
Ma il percorso verso decisioni condivise con la propria rete sociale non è uguale per tutt*, possibile per tutte le patologie1, e soprattutto elaborato culturalmente e praticamente.
Il sostegno nel caso di decisione sulle sospensione delle cure, e sul
modo di finire la vita è ancora una pratica rara. Più raro ancora è il
prepararsi alla morte, seppure da alcuni decenni esistano nuovi filoni
di ricerca sia medica che filosofica. 2Ciò
anche se segnali di cambiamento, in ultimo in Italia la pronuncia della
Corte costituzionale (42/2019) sul caso Marco Cappato – Fabiano
Antoniani, stanno sancendo la liceità dell’ “accompagnamento”, anche se
fuori dai confini statali.3
Proprio nella differenza tra eutanasia (buona morte) e suicidio sta il punto.
Riguardo all’eutanasia (ancora illegale in Italia) e alla sospensione
delle cure mediche (invece legittima con Dichiarazione anticipata4), il diritto si evolve, a partire dall’Art.32 della Costituzione5.
Il suicidio invece, come gesto per definizione individuale, che spesso
cela le motivazioni nella sfera privatissima del proprio “sentire la
vita” fa cadere solo su se stessi, a volte rivendica6, la responsabilità di un’ uscita dalla dimensione collettiva.
Il suicidio non si svolge come “buona morte”, dovendo spesso far ricorso
per attuarsi a metodi violenti e dolorosi, contro se stessi ed il
proprio corpo, nella grande maggioranza dei casi.
La differenza, per inciso, si basa fondamentalmente sul persistere o no
di una rete di relazioni, di affido, a confronto coi limiti imposti
dalle leggi statali.
E’ proprio per questo che il libro sul suicidio, scritto dai libertari
Claude Guillon e Yves le Bonniec, scatenò le ire della maggioranza
benpensante francese, nel 19827:
la narrazione puntigliosa di tecniche di suicidio incruente infrangeva
quel divieto che pare essere sorpassabile solo con atti di masochismo
estremo in una società che ha concepito la vita umana come di proprietà
di Dio prima, poi del Sovrano o dello Stato, quindi del medico o dei
familiari.
Ancora oggi, se leggiamo le copie digitali del libro di Guillon “Le droit à la mort” (2004)8 troviamo censurati tutti i riferimenti a sostanze e dosaggi usati nei suicidi “incruenti”.
La censura della legge non vuole solamente vietare l’ “emulazione” sulla
base di fattori emotivi e psicotici (anche adolescenziali, il
cosiddetto goethiano “effetto Werther”) ma impedire la facilitazione ed
affermare lo stigma sociale.
Ciò nonostante siano attivi nella nostra società tanti modi di
“suicidarsi”: il ricorso a sostanze lentamente mortali con monopolio di
Stato, la guida spericolata dell’omicida-suicida, le armi da fuoco che
sparano colpi “accidentali”… viviamo totalmente immersi in una cultura
che vacilla tra enfasi sulla vita e autodistruzione.
Il tabù resta la scelta privata, consapevole e razionale della morte,
fondata sul riconoscimento di quel limite all’assurdo di cui Albert
Camus parla: “…l’assurdo nasce dal confronto tra la chiamata umana ed il
silenzio irragionevole del mondo”9.
Il suicidio resta quell’affronto alla sovranità (divina o statale) che
un tempo faceva negare le esequie cattoliche ai “peccatori non pentiti” e
la cui colpa pesava nell’immaginario collettivo… l’ eutanasia, invece,
non è più quell’onta che veniva condannata dalla morale cattolica: la
ribellione “luciferina” all’ imposizione della sofferenza per motivi
imperscrutabili di redenzione o per semplice ambiguità divina inizia ad
essere capita. Una lettera apostolica quale la “Salvifici doloris”
(1984) nella quale si teorizzava il dolore imposto al corpo come prova e
strumento di purificazione, ora parrebbe anche alla maggior parte dei
cattolici immotivata, involuta, solo un contro-altare dell’edonismo
reaganiano di un tempo. Un pronunciamento contro l’eutanasia come quello
dell’enciclica Evangelium vitae, sempre siglato da Karol Wojtyla nel
199510,
è ormai incompresa dal cattolico comune, non solo perché tarato sulla
real vita papale (il papa che ebbe un intero piano del policlinico
Gemelli a disposizione per la sua malattia) mass mediata e ideologica,
assolutamente non realistica per i comuni mortali.
Ciò anche se nel programma di “riforma” bergogliana della morale
cattolica resta inclusa la lettera “Samaritanus bonus” (luglio 2020),
che ancora ribadisce “atto gravemente immorale” la scelta di eutanasia
di un malato terminale e addirittura prefigura la possibilità, se tale
eutanasia viene rimandata, di poter intervenire per la conversione11.
Se una società laica, e peraltro fortemente individualista, ripensa il
tema della dignità del fine vita, lo fa riprendendo quindi uno scenario
antico.
Si pensi al gesto socratico di suicidarsi per senso di responsabilità verso se stessi e ciò in cui si crede12,
circondati dalle persone amate, da coloro cui si può ricordare di
pagare un debito in sospeso col dio Asclepio, “dopo aver cenato e dopo
aver bevuto molto bene”13.
Si pensi al Leopardi, primo moderno esistenzialista – del Frammento sul
suicidio -che riflette sul dissidio tra essere umano e natura. O al
suicidio con una placida e collettivamente autogestita overdose del
protagonista di Le invasioni barbariche (2003), o a quello della nonna
diabetica de “Mine vaganti”(2010), penso alla ricerca del buon vivere e
del buon morire.
Il suicidio ha dunque una dimensione ed una ragione private, impossibili
da raggiungere, e una dimensione politica, molto legata alla percezione
collettiva del corpo ed all’astrattezza del pensiero.
Torna attuale la riflessione di Leopardi14,
che ripropone il tema dell’immaginazione al potere contro una società
depressiva, anche prima del pensiero libertario francese. Quel pensiero
libertario che proprio la preziosa memoria storica di Claude Guillon
ricorda essersi dedicato alla “diritto di morire” già con Paul Robin15, e che suggerisce, retoricamente, una marea di cose da fare prima del suicidio (Avant de vous suicider… Caressez un projet / Faites le tour du monde en 8.880 jours/ Mêlez-vous de tout!…).
E’ certo che il confronto con la pandemia da Covid-19 ha
duramente messo in dubbio i principi a tutela della libertà individuale
rispetto alla gestione della nostra salute, ponendo in crisi da
emergenza tutto il sistema sanitario statale, obbligando ad un duro
confronto con la nostra responsabilità sociale senza dare ai cittadini
gli strumenti necessari per gestirla. Ciò ha causato un aumento
esponenziale della paura e della insicurezza delle persone più
vulnerabili16, ed il terrore della segregazione sanitaria.
In questo periodo ha scelto di andarsene Paolo Finzi, ponendo fine alla
sua vita di anarchico utopista che ha reso realtà una rivista anarchica,
A rivista, col suo essere profondamente non violento, “energico e
mobile”, al suo lavoro di cura delle idee e degli ideali, le “illusioni”
di cui scrive Leopardi… “La filosofia ci ha fatto conoscer tanto che
quella dimenticanza di noi stessi ch’era facile una volta, ora è
impossibile. O la immaginazione tornerà in vigore, e le illusioni
riprenderanno corpo e sostanza in una vita energica e mobile, e la vita
tornerà ad esser cosa viva …o questo mondo diverrà un serraglio di
disperati, e forse anche un deserto”.
di Francesca Palazzi Arduini
collaboratrice da fine anni ’80 di A rivista anarchica, per la quale si è
occupata di politiche vaticane e morale cattolica, diritti civili,
femminismi.
Articolo pubblicato su Non Mollare – Critica LIberale del 07/12/2020
1 Vedi il suicidio del grande regista Mario Monicelli, nel 2010, ricoverato in ospedale a 95 anni per un tumore.
2 Da ricordare innanzitutto le ricerche sul campo della dott. Elisabeth Kübler-Ross, autrice de La morte e il morire (1976), Cittadella editrice, Assisi, 2017
"Il carcere non impedisce che si verifichino atti antisociali.
Aumenta il loro numero. Non migliora coloro che entrano nelle sue mura.
Anche se riformato, rimarrà sempre un luogo di contenzione, un ambiente
artificiale, come un monastero, che renderà il prigioniero sempre meno
adatto alla vita della comunità. Non raggiunge il suo fine. Degrada la
società. Deve scomparire" (Prisons and Their Moral Influence on
Prisoners, Peter Kropotkin, Kropotkin's Revolutionary Pamphlets. Roger
N. Baldwin, editor. Vanguard Press, Inc. 1927)
"I nostri compagni non si sentiranno soli. Le persone con cui hanno
condiviso gioie e dolori, fallimenti e vittorie, rimangono con loro più
che mai, resistendo con una forte passione. Sentendo ogni giorno più
amore e odio. L'amore e l'odio attraverso i quali, insieme, cambieremo
il mondo dalle sue radici". (Juan C. Mechoso, Acción Directa Anarquista: Una Historia de FAU, 2002)
1. È passato più di un anno da quando le proteste sono esplose nelle
strade di numerose città del territorio dominato dallo Stato del Cile.
Dall'ottobre dell'anno scorso, la gente ha combattuto senza sosta.
Nonostante la repressione dello Stato, la pandemia COVID-19 e la fame,
la volontà del popolo cileno di organizzarsi e di combattere è
continuamente fiorita. Siamo ora in tempi di lotta e di resistenza in
diversi territori del mondo, dall'Ecuador che testimonia la lotta e la
resistenza degli indigeni, alla Francia, osservando quella dei proletari
indigeni. La gente si è rivolta contro il sistema globale di
dominazione.
Ecco perché l'internazionalismo, quella vecchia pratica tradizionale
delle classi oppresse, diventa imperativo. La parola solidarietà e la
sua prassi di vita reale è sempre stata un principio costitutivo di
queste lotte. E questo ci porta a proiettarla nell'orizzonte
dell'emancipazione.
2. Nonostante le difficoltà intrinseche della vita, le comunità in
lotta, usando barricate, sbattendo pentole e padelle, e ricorrendo
all'autodifesa, hanno resistito nel territorio dominato dallo Stato del
Cile. Esso, in cambio, ha risposto con una repressione sanguinosa, con
migliaia di feriti, centinaia di mutilati, decine di morti e diversi
imprigionati. Repressione condotta dai suoi scagnozzi per difendere i
loro interessi di classe, attaccando le nostre già precarie vite, i
nostri corpi e i nostri territori.
I proiettili e i gas lacrimogeni non sono stati l'unica arma usata
contro la nostra classe, ma anche severe leggi repressive. Con il
sostegno della socialdemocrazia, queste leggi sono state approvate, e
sono incarnate nella "Legge Anti-Barricate", nella "modernizzazione" di
apparati statali repressivi come l'Agenzia Nazionale per l'Intelligence
(ANI), e nel dare alle Forze Speciali nuove infrastrutture per
migliorare il loro terrorismo di Stato.
Come è noto, la repressione dello Stato cileno si esercita
esclusivamente sulla nostra classe, perché quando si scopre che le armi
da guerra e gli equipaggiamenti da combattimento dello Stato sono
utilizzati da gruppi armati della classe dirigente, sono considerati
solo equipaggiamenti. Tuttavia, rompere la vetrina di una banca è
considerato terrorismo per lo Stato e potrebbe tenervi prigionieri per
anni per tale azione. Oggi, per la nostra classe, camminare per le
strade con un cucchiaio e una padella, o con un cartello di cartone
mentre si grida per i diritti sociali è estremamente rischioso. Potremmo
finire in prigione solo per questo. In definitiva, la prigione è un
problema di classe.
3. Attualmente, ci sono quasi 2.500 compagni sottoposti a brutali
processi giudiziari che si sono trascinati per più di un anno, tenendone
migliaia dietro le sbarre. Senza condannare i nostri compagni, ma
usando la "detenzione preventiva", lo Stato ridicolizza coloro che hanno
combattuto a fianco della loro classe in questo anno di epidemia
sociale, anche se sono minorenni. D'altra parte, i pochi condannati
devono affrontare ingiuste pene detentive, alcune tra gli 11 e i 20
anni, a causa delle speculazioni dell'accusa. La condanna vendicativa
dell'accusa ha punito coloro che hanno sfidato il sistema del dominio, e
coloro che hanno osato mettere in discussione la crescente
mercificazione e precarietà della nostra vita.
Come se non bastasse, i prigionieri politici della rivolta sociale
dell'anno scorso sono stati tenuti in isolamento, sono stati torturati
ogni giorno e non hanno potuto ricevere visite o qualsiasi altro
beneficio carcerario.
4. Facciamo un appello alla solidarietà attiva, un
appello a mettere le nostre menti e i nostri corpi nella lotta per il
rilascio di tutti i prigionieri politici e a coordinare le
manifestazioni in tutti i territori del cosiddetto Stato cileno
chiedendo un'amnistia generale e non condizionata. Chi
dimentica i prigionieri dimentica la lotta. Pertanto, il raggiungimento
della loro libertà è un imperativo per le comunità in lotta. Facciamo un
appello a rafforzare le organizzazioni popolari, a sostenere la lotta
per la libertà dei nostri compagni, e a partecipare pienamente alle
varie attività e ai raduni che vengono convocati.
5. Infine, chiariamo che la realtà dei prigionieri politici non è nata
il 18 ottobre 2019, ma è un problema che esiste da decenni.
Storicamente, lo Stato ha cercato di punire coloro che hanno lottato per
il crollo della società di classe. Così, solidarizziamo con i
prigionieri politici Mapuche e con i rivoluzionari, che resistono ogni
giorno nelle carceri-impresa dello Stato del Cile.
LIBERTÀ AI E ALLE PRIGIONIERE POLITICHE DELLA RIVOLTA SOCIALE DEL 2019!
NIENTE PIÙ CARCERE PER CHI LOTTA!
AMNISTIA GENERALE INCONDIZIONATA!
FINE DELLA LEGGE ANTITERRORISMO!
ABROGAZIONE DI TUTTE LE LEGGI REPRESSIVE!
☆ Coordenação Anarquista Brasileira – CAB
☆ Federación Anarquista Uruguaya – FAU
☆ Federación Anarquista de Rosario – FAR (Argentina)
☆ Organización Anarquista de Córdoba – OAC (Argentina)
☆ Federación Anarquista Santiago – FAS (Cile)
☆ Grupo Libertario Vía Libre (Colombia)
☆ Union Communiste Libertaire (Francia)
☆ Embat - Organització Libertària de Catalunya
☆ Alternativa Libertaria – AL/fdca (Italia)
☆ Die Plattform - Anarchakommunistische Organisation (Germania)
☆ Devrimci Anarşist Faaliyet – DAF (Turchia)
☆ Organisation Socialiste Libertaire – OSL (Svizzera)
☆ Libertaere Aktion (Svizzera)
☆ Melbourne Anarchist Communist Group - MACG (Australia)
☆ Aotearoa Workers Solidarity Movement - AWSM (Aotearoa / Nuova Zelanda)
☆ Zabalaza Anarchist Communist Front - ZACF (Sudafrica)
☆ Federation of Anarchism Era (Afghanistan and Iran)
☆ Workers Solidarity Movement - WSM (Irlanda)
☆ Anarchist Communist Group - ACG (Gran Bretagna)
☆ Αναρχική Ομοσπονδία - Anarchist Federation (Grecia)
☆ Tekoşina Anarşist - TA, (Rojava - north east Syria)
☆ Organizacion Anarquista de Tucuman (Argentina)