ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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venerdì 29 novembre 2013

Silvio e Giorgio, affinità e “fratellanza”?

La lettura di alcuni brani estratto dal libro “I panni sporchi della sinistra”, di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara (Ed. Chiarelettere, Milano 2013) mi ha riportato alla memoria un opuscoletto pubblicato nel maggio 1939 – a cura dei Gruppi Anarchici della Valle dell’Antracite degli USA – illustrante il modo di agire dei massoni italiani e stranieri, visto da Camillo Berneri e Armando Borghi. Sono paginette illuminanti sul sostegno dato dalla massoneria alla causa interventista prima ed al fascismo dopo che dimostra come la storia – ahimé – si ripeta. Nulla di nuovo sotto al sole … a ben vedere. Tutti “amici degli amici” contro chi suda e lavora per portare a casa un salario che – in moltissimi casi – è insufficiente a vivere dignitosamente: pescecani del mondo politico e finanziario, “capitani coraggiosi” specializzati nell’accaparramento, appaltatori specializzati nello sfruttamento e nella frode, evasori fiscali, banchieri e speculatori finanziari. Tutti pronti a svenderci al primo offerente in omaggio al senso di responsabilità, al buon governo, alla “dottrina europea”: ce lo chiede l’Europa rispondono alle contestazioni. Quello che propongo è uno scritto di Armando Borghi intitolato: “Come gli agenti segreti della massoneria sanno trescare nell’ombra” nel quale troviamo le “gesta” di due massoni tristemente famosi: Maria Rygier (in campo anarchico) e Benito Mussolini (in campo socialista). pasquale piergiovanni Il giornale “La Controcorrente” di Boston (numero del 5 febbraio 1939) ha riesumato uno scritto che la famigerata Rygier pubblicò un decennio addietro a Parigi. Utile riesumazione. Perché anche le porcate istruttive col tempo si smarriscono nel polverio della lontananza. Perché un ricordo tira l’altro e completa e illumina le analogie. Perché, infine, mentre codesto scritto rigeriano viene rimescolando molta della mota di cui è impastata l’animaccia del truce, serve altresì a smoccolare il lucignolo dell’esperienza e permette di intravedere le arruffianate manovre della massoneria, per il suo occulto disfattismo di classe, per la sua missione di gesuitismo statale. Ed è questa la parte che noi glosseremo pesantemente. Ti prego, o compagno lettore, di rileggermi se ti parrò oscuro. Ti prego altresì di aguzzare la mente, perché nel passato potrai forse vedere il riflesso del presente, o viceversa; perché le volpi perdono il pelo ma non il vizio; perche infine, non è necessario di accorgersi sempre a scorno ed a malanno subito, di come ci fregano coi tentati incendi dolosi ai danni del nostro movimento, gli incendiari che dovrebbero riscuotere la polizza di assicurazione. Maria Rygier ci racconta: 1. Che l’ex suo infallibile di Predappio era stato nel 1904 spia di questura in Francia e che, se nel 1914 egli passò all’interventismo francofilo, si fu perché il governo francese poté ricattarlo sul suo infame precedente. 2. La Rygier trae argomento da quanto sopra (ed è qui l’addentellato per noi) per illustrare le manovre francesi nel 1914/15, tendenti a determinare in Italia, col mezzo di interventi finanziari e di agenti corruttori, una falla mortale nel movimento sovversivo antibellico e una corrente interventista rossa, artefatta e comprata. 3. Infine la Rabagas in sottana si esalta in vanteria, spiegando che si dovette a lei in carne ed ossa gran parte del progetto di fondare un quotidiano dalle mentite apparenze di socialista, per i fini guerraioli. E adesso eccovi alla fonte testuale. Turatevi il naso: (…)”Io non fui estranea a questa, subitanea “conversione” di Mussolini, grazie al consiglio che avevo dato a Barrere, ambasciatore francese presso il Quirinale, di fondare a Milano, importante centro industriale e, per conseguenza, proletario, un quotidiano socialista dedicato agli interessi dell’Intesa, rinunziando alla creazione, allora progettata dal governo francese, di un giornale democratico a Roma. Io ritenevo infatti che l’essenziale per la causa dell’interventismo era di portare la discordia e la confusione tra i socialisti, che erano nella grande maggioranza ostili alla guerra”. Seguono schiarimenti dettagliati: la Francia pensava alla fondazione non di un quotidiano socialista, ma di uno democratico e non a Milano. Ma a Roma. Senonché la Rygier temeva (testuale) “che questa intrusione finanziaria della Francia nella nostra stampa democratica avrebbe ferito profondamente la coscienza nazionale”. Fu per evitare questa svolta maldestra del governo francese e fu per viemmeglio lubrificare il congegno della corruzione antiproletaria, che la Rygier credé bene di consigliare alla Francia di cambiar progetto e di congegnare un magnifico cavallo di Troia; quanto dire che il quotidiano doveva dichiararsi socialista e uscire nella Milano proletaria e non nella burocratica Roma. A ciascuno il suo fetente mestiere! Gongolante, la Rygier ora racconta che il di lei progetto (testuale) “fu considerato giusto dalla Francia ed eseguito alla lettera, salvo in ciò che concerneva la futura personalità del direttore del giornale”. Essa infatti non aveva pensato di indicare al Barrere l’integerrimo direttore dell’Avanti! come giornalista comprabile; ma aveva proposto “un noto sindacalista” (osservazione mia: certamente il de Ambris) e quando apprese che la Francia era riuscita ad impegnare Mussolini, essa (testuale): “concepì una vivissima ammirazione per la diplomazia francese, ben sapendo che questa conversione era costata (al suo amico Guesdes allora ministro socialista di guerra) un grosso rotolo di biglietti da mille”. Che abbondanza di dettagli superflui, dopo un quarto di secolo! E che diffamatori, sciocchi, zizzanieri e … venduti alla Germania, quelli che lo videro subito … L’importante è di rilevare come i consigli di questa sadica del rabagasinismo, che tuttavia ancora in quel tempo continuava a proclamarsi “compagna” e accusava noi di tradire .. i maestri; i consigli di questa tecnica dell’incendio doloso, all’ambasciatore francese fossero più destri, più “competenti”, più aderenti alle pratiche praticabili del raggiro, che non i progetti del superficiale Barrere. Non aspettate che vi schizzino l’occhio per vedere il dito. Qui si tocca con mano come i mestatori accuratamente truccati nel dietro scena, per il vantaggio che hanno di camminare al buio, per vie percorse, sono insostituibili nell’arte di dare i “falsi scambi” ai binari sovversivi, nelle ore difficili della storia, al favore delle grandi ondate della “mistica” ufficiale; come sono i veri indicati a tirare i fili di qualche bamboccio preso al laccio della cecità o dell’ingenuità, o dell’incoscienza. Barrere diplomatico – tutto dire in fatto di senza scrupoli – concepisce l’idea di un quotidiano pro-Francia; ma di un quotidiano democratico, senza maschera sovversiva. La Rygier, anarchica, che, se fosse dipeso da lei ancora avrebbe vissuto nell’ambiente nostro come compagna -; la Rygier dice no! Sa di meglio lei! Vede oltre! E’ il ladro che ruba dal di dentro, che fa la guida e la guardia ai ladri di fuori, che egli introduce in casa propria, perché saccheggino all’ora giusta e sapendo dove mettere le mani. La Rygier sa che un giornale borghese che si confessi per quello che è, sia pur democratico, non varrà una cicca come strumento di deviazione tra le masse rosse. Un tale foglio ignorerà le chiavi del cuore di masse che sono fresche della Settimana Rossa; difenderà a controsenso la causa della guerra; finirà col servire la causa opposta. La borghesia ne indispettirebbe; il proletariato gli griderebbe: merda!… Altra, altra è la via. Il nuovo quotidiano perché possa servire a colpire l’antibellicismo dei socialisti e degli altri deve sbraitare di “socialismo”; ma questo per opera di qualcuno che sappia le astuzie del camaleonte, sì da far servire le stesse vecchie parole rosse all’uso opposto, senza che l’escamotaggio si scopra. Giornale piazzaiolo, sassaiolo, scamiciato falsomenatario dei principi, che sappia svoltare e che riesca a deviare per gradi insensibili gli ingenui, i creduloni (che sempre son lì ad imprestare agli impostori la loro porzione di buona fede cogliona, rendendosi loro complici necessari) e che sappia montare e gonfiare qualche nullità che pur di parere persona non aspetta che l’arrivo spettacoloso di Dulcamara. Parentesi: una commedia consimile ce la giocarono, più tardi, i bolscevichi (infamatisi non solo – no no! – dopo l’infortunio toccato a Trotsky o dopo l’assassinio di Berneri e compagni), quando una lunga serie di anni – dopo Kronstadt, dopo Makno, dopo l’assalto internazionale dei funzionari cekisti d’ogni lingua contro l’anarchismo d’ogni paese, trovarono in ogni parte del mondo – e anche in America e più di tutto a New York – dei ferri del loro immondo mestiere, loro accoliti loschi e mascherati, complici necessari delle loro devastazioni nel campo nostro, sotto il segno bifronte dei fronti unici e delle alleanze; sì che sarebbero ben riusciti a colpire questo nostro movimento ricomposto dai superstiti di tante bufere, se non ci fossero stati per le vie del mondo coloro i quali puntarono i piedi, che smascherarono gli impresari delle sognate liquidazioni ideologiche, rinforzati da delusi e avariati di ogni risma, e che mandarono all’aria le imprese di Jago e di Caino coalizzati. La parentesi è chiusa. Dicevamo… Che ne poteva sapere più della Rygier un coglione di diplomatico come il Barrere che non era mai stato un sovversivo? Che ne avrebbero capito più di lui i suoi pennivendoli da salotto, estranei al popolo, alla piazza ed ai capi popolo? Su avanti dunque “le competenze”: avanti de Ambris, in alto un Mussolini, gente che poteva parlare all’orecchio di un Corridoni, di un Masotti, di un Tancredi, di quanti si sapeva che avevano qualche marachella di cui arrossire e sulla quale poteva far leva il ricatto … O con noi o contro di noi … ma allora! Oh! Esperienza, esperienza, che servi mai nella vita, se non a render più fonda la pena di servire la causa, per il contrasto tra la chiaroveggenza acquisita e la miopia dei molti, che spesso non sono colpevoli? Giovani allora, quanti di noi saremmo stati presi al laccio dei ricattatori “revisionisti” se non avessimo – e oggi come allora – potuto guardare nel bianco degli occhi dei mascalzoni che facevano ressa attorno al banditore delle coscienze all’incanto? Urge ora una domanda: come spiegare che la chiassosa anarchica Rygier, fumanti ancora gli incendi della Settimana Rossa, potesse godersi questi tu per tu coll’ambasciatore di Francia pressi il Quirinale? E ciò in condizioni che ci poteva rivelare solo lei stessa dopo tanti anni; ma che nessuno avrebbe potuto allora né vedere né provare, se pur c’era chi poteva, in generale, intuirlo? Misteri delle loggie! Camillo Berneri, scaltrito da alcuni anni di vita militante in Francia, e che aveva esperienza delle imboscate e degli imboscatori politici del mondo francese sulla preda degli esuli (molti dei quali fuori del loro paese, ricordano “Cola” il protagonista dell’Aria del Continente, nel capolavoro del Martoglio); Berneri si era bene accorto, lui, del ruolo della massoneria, anche nei settori più estremi. L’Adunata ha riprodotto il suo lucido articolo: io sforbicio questo brano eloquente: (…)”per fortuna il fenomeno massonico è nel campo dell’anarchismo italiano del tutto trascurabile. Ma vi è una notevole minoranza di anarchici che, allettata dalla speranza dei “grandi mezzi”, si è lasciata attrarre nei giuoco politico di quell’antifascismo equivoco che sboccò nelle legioni garibaldine, poi nei vari movimenti più o meno clandestini e che ora sta ritessendo le sue reti” (…). Berneri non poteva dirci di più. Egli, più giovane, ignorava che (a parte il noto lontano fenomeno revisionista costiano del 1879) il fenomeno della massoneria nel campo italiano, per quanto trascurabile, è tuttavia più vecchio di quel che appaia. E per quanto trascurabile “numericamente”, ha dato sempre e sempre darà dei risultati di devastazione proporzionati alla potenza dei mezzi, delle influenze, delle protezioni, delle connessioni e del sabotaggio occulto, proprii del sistema centralizzato e intrigante della massoneria. Il fenomeno interventista lo sappiamo – e lo documenta Berneri – fu di derivazione massonica. Oggi lo sanno anche i sassi che la Rygier fu uno strumento della massoneri; massone essa stessa. La sua stessa presenza in Francia nel 1925 è noto che era in relazione ad una sua missione presso i fratelli francesi, contro il Commendator Palermi, accusato di indisciplina. Ora la Rygier non divenne massona dopo di essere divenuta interventista. Fu nel 1913 che essa si recò in Francia la prima volta. Vi si recò per estendervi l’agitazione pro Masetti. Io vi ero stato profugo tutto il 1912 ce, con Vezzani, Malato, Pierre Martin ed altri avevamo dato inizio a questo lavoro. Fu in quel tempo e in quella circostanza che l’energumena passò alla massoneria. A suo tempo, ma tardi, ne seppero qualcosa il Vezzani ed altri a Parigi La Rygier quindi lasciò l’Italia anarchica e fece ritorno dalla Francia anarchica-massonica. Essa visse quindi i nostri contatti politici, come compagna di fede, nascondendo che apparteneva alla “Internazionale della borghesia” (Bakunin). Ecco spiegati molti enigmi di un quarto di secolo fa, e tanti altri di tempi meno lontani. E non solo della Rygier si trattò: massoni erano i Tancredi, i Masotti, i Rossi, i Fasella, i Corridoni; – sindacalisti questi ultimi, al seguito del loro gran maestro, il de Ambris, l’inseparabile di quel massone di rango che è il Campolonghi. Dico Campolonghi e de Ambris, quelli che non mancano mai, come chi tiene il mestolo, in tutti gli intrighi popolareschi, coll’indispensabile ingrediente “libertario”. Ciò a partire dalla ricordata politica interventista, all’invio del denaro francese a Mussolini, fino al Ricciottismo, senza garibaldinismo, e al Macismo in terra di Francia del 1925-26. E per ora altro non si può dire; ma molto si vede. Col filo si trova il gomitolo! Armando Borghi – Toronto (Canada) – Maggio 1939 -

Federico Tavan

Domenica 1° dicembre ore 16.00 a San Giorgio di Nogaro Commemorazione atea, poetica/politica e libertaria, di un "vecchio anarchico bambino" http://www.youtube.com/watch?v=HCatKfsRn3I Federico Tavan Andreis 5 novembre 1949 Andreis 7 novembre 2013 Dal Messaggero Veneto on line 7 novembre 2013 E' morto il poeta Federico Tavan: le foto di una vita E' spirato nella sua casa di Andreis. Martedì aveva compiuto 64 anni. Nel 2008 gli fu concessa la legge Bacchelli. E' stato il cantore apprezzato da illustri letterati (Claudio Magris, Franco Loi, Giovanni Tesio, Carlo Ginzburg) della poesia in friulano. Corona: "Dopo Pasolini c'era lui"

25.11.2013 - "Il sindacato è un'altra cosa. E la Cgil ha fatto un'altra scelta". Intervista a Giorgio Cremaschi

tratto da: www.controlacrisi.org “Il sindacato è un’altra cosa”. Si chiama così il documento alternativo con il quale la Rete 28 aprile andrà al congresso della Cgil. Un titolo che racconta abbastanza bene l’elemento di rottura che Giorgio Cremaschi vuole introdurre. Cremaschi è il leader di quella che per forza di cose deve essere considerata un’area programmatica a tutti gli effetti, visto che “La Cgil che vogliamo”, che prima la racchiudeva, ha deciso di aderire al documento della maggioranza. Quindi, con il suo 3% al direttivo, il piccolo drappello di sindacalisti dissidenti, tra cui, oltre a Cremaschi, figurano Maurizio Scarpa, Franca Peroni, Fabrizio Burattini, Francesco De Simone, Eva Mamini, cercherà di dare battaglia. Oggi si terrà a Roma l'assemblea nazionale della Rete 28 aprile. Controlacrisi ha intervistato Giorgio Cremaschi. (...) Sarà un compito arduo coprire una reale battaglia congressuale nelle assemblee dei posti di lavoro. Sì certo, ma lanceremo un messaggio preciso ai lavoratori, ovvero che questo sindacato non serve a niente, per questo abbiamo chiamato il documento “il sindacato è un’altra cosa”. Insomma, organizzeremo la mobilitazione dei delegati nei congressi della Cgil per palesare la contraddizione reale della Cgil che ormai possiamo considerare una appendice dei palazzi, da una parte, e di Cisl e Uil dall’altra. Così è un sindacato che non serve a niente. Non serve ai lavoratori se non rompe con la politica e con Confindustria. Lo abbiamo visto con lo sciopero in questi giorni. I lavoratori hanno detto no a uno sciopero finto, mentre quando lo sciopero è vero come a Genova, l’adesione è stata fortissima. Il problema, però, sembra essere più profondo. Il congresso poteva essere l’occasione per discutere. C’è ben poco da discutere se il documento di maggioranza è in realtà un documento delle larghe intese. Appunto, questo è un danno per la Cgil perché trasforma un congresso di una fase di crisi del sindacato in qualcosa in cui compare una unità di facciata e poi nei corridoi i gruppi dirigenti si scannano. Oltre a questa critica feroce, nel vostro documento ci sono anche proposte? Ce ne sono tante di proposte, a cominciare da quella di autoriforma interna per impedire, se non dopo una pausa di almeno cinque anni, che un sindacalista che lascia il sindacato finsica subito in qualche consiglio di amministrazione. Per la politica il termine è di un solo anno. Poi proponiamo la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, che è cosa ben diversa dal contratto di solidarietà, e il salario minimo orario a dieci euro perché bisogna dire basta alla povertà dei lavoratori. C’è in questo un giudizio negativo esplicito sulla contrattazione che di fatto ha ridotto i lavoratori sul lastrico. Sarebbe meglio che il sindacato non firmasse più niente. E poi diciamo di rompere con l'Europa e di reintrodurre i due traguardi di sessanta e quarantanni per la previdenza. Parlavi dell’autoriforma… Serve una riforma radicale e democratica del sindacato, nel senso che ci deve essere una piena democrazia sindacale. I due accordi del 28 giugno e del 31 maggio non vanno bene e va ritira tata la firma. Vanno poi aboliti gli enti bilaterali. Questa sinistra sindacale che si forma quando Camusso prende in mano la Cgil e poi si divide in quello che sarà il congresso di conferma… Sono esterefatto dall’atteggiamento di Landini. Prima fa il radicale nell’intervista su Repubblica e poi il giorno dopo fa l’accordo con Susanna Camusso. Ripeto, il documento delle larghe intese è un danno per la Cgil.

Dalla razza alla cultura - incontro con Marco Aime all'ateneo delgi imperfetti di marghera

dalla razza


alla cultura
incontro con


Marco Aime

Docente di Antropologia culturale

Università di Genova

introduce

Elis Fraccaro

Laboratorio Libertario   sabato 7 dicembre 2013

ore 17,30

Ateneo degli Imperfetti

Via Bottenigo 209 / Marghera VE     A torto in molti abbiamo pensato che il razzismo fosse un residuo del passato, relegato agli archivi polverosi della storia. Purtroppo, nel nostro paese, assistiamo quotidianamente a manifestazioni di pensiero e di azione improntati a idee razziste. Atteggiamenti che talvolta nascono dall’ignoranza e dalla non conoscenza, ma che in altri casi sono frutto di precise scelte politiche, che trasformano idee razziali in leggi. Non a caso abbiamo avuto per oltre un decennio al governo un partito dichiaratamente razzista.

Ci sono però alcune differenze, rispetto alle forme del passato: oggi non si discrimina più solo in nome della razza, ma in quello della cultura. Si dice cultura, ma si pensa alla razza, trasformando così la cultura, che è frutto di un processo dinamico di costruzione, sempre attivo, in un dato statico e inamovibile.

Marco Aime

(Torino, 1956). Insegna Antropologia culturale presso l’Università di Genova. Ha condotto ricerche sulle Alpi e in Africa occidentale. Oltre a numerosi articoli scientifici ha pubblicato: Diario dogon (Bollati Boringhieri, 2000); Sapersi muovere. Pastori transumanti di Roaschia in collaborazione con S. Allovio e P.P. Viazzo (Meltemi, 2001); La casa di nessuno. Mercati in Africa occidentale, (Bollati Boringhieri, 2002); Eccessi di culture (Einaudi, 2004), L’incontro mancato (Bollati Boringhieri, 2005), Gli specchi di Gulliver (Bollati Boringhieri, 2006); Il primo libro di antropologia (Einaudi, 2008), Timbuctu (Bollati Boringhieri, 2008); La macchia della razza (Ponte alle Grazie, 2009 – Èleuthera 2012), Verdi tribù del Nord (Laterza, 2012), L’altro e l’altrove. Antropologia, geografia e turismo (con D. Papotti), Cultura (Bollati Boringhieri, 2013).

Cosa significa radicare il diritto alla casa nella lotta di classe

Quando si prende in considerazione la creazione di una "Zona No Sfratto", ricordiamoci che si tratta solo di uno strumento simbolico in un percorso basato sulla lotta di classe. La tradizione anarchica ed antiautoritaria ha le sue radici non in una teoria astratta ma in un intervento concreto sul terreno. Questo spesso si esprime in una sorta di reazione alle esperienze vissute; un modo di sintetizzare una teoria pragmatica estratta e ricavata da tentativi ed errori. David Graeber fa notare che questo aiuta a separare la scuola di pensiero anarchica da quella marxista, confontando le diversità teoriche sul piano della diversità della prassi. “Ci sono gli anarco-sindacalisti, i comunisti-anarchici, gli insurrezionalisti, i cooperativisti, gli individualisti, i piattaformisti…nessuno dei quali deve il proprio nome ad un Grande Pensatore; invece, tutti devono il loro nome ad un qualche tipo di prassi, o più spesso, a principi organizzativi. Agli anarchici piace differenziarsi in base a quello che fanno, ed a come organizzarsi per riuscire a farlo.” (1) Questo è il fondamento che in realtà distingue il carattere rivoluzionario dell'anarchismo dalle varie correnti ideologiche che cercano di sovvertire il sistema: è lo sforzo di realizzare un movimento ed un mondo per come potrebbe essere. L'anarchismo, col suo incentrarsi sull'azione diretta e sulla democrazia diretta, ritiene che i metodi per combattere le gerarchie e per sviluppare la rivoluzione siano esattamente gli stessi sistemi sociali che si dovrebbe porre in essere una volta che gli ostacoli maggiori siano stati rimossi. I metodi per realizzare un mondo nuovo dovrebbero essere le istituzioni intrinseche della società liberata. Le politiche prefigurative intervengono direttamente in questa teoria della prassi relativamente alla nostra capacità di sviluppare ampie lotte e di costruire quelle contro-istituzioni in grado di porsi come modello del futuro sistema sociale. L'assemblea di quartiere, i sindacati degli inquilini, i sistemi di mutuo appoggio che possono difendere i quartieri durante le azioni anti-sfratto possono piantare i semi per un sistema in cui il controllo sugli alloggi possa essere in futuro mantenuto dalla comunità. Questo può spesso indurci ad andare anche oltre, come a dire che le nostre tattiche possono diventare istituzioni salde in sè e per sè dal momento che sono utili alla creazione di questa forza controculturale. Il problema della tattica, però, come spesso sostiene Noam Chomsky, è che essa da sola non basta per creare movimenti. Il paradosso che spesso emerge quando pensiamo al nostro progetto organizzativo, ora, nel prefigurare la società del futuro sta nel fatto che la nostra politica odierna esiste in gran parte come performance, in cui spesso abbiamo a che fare con degli assoluti relativi. Un esempio di questo è l'azione difensiva contro i pignoramenti, in cui il termine Zona No Sfratto è stato spesso usato tatticamente. L'idea in questo caso è che noi attribuiamo un parametro pre-impostato in una città con magari un'alta densità di famiglie colpite dagli sfratti. Dichiariamo quest'area “off limits” per gli sfratti e per sgomberi forzosi, cercando di creare in quei quartieri legami di solidarietà talmente forti da rendere letteralmente difficile per le banche passare a sfratti esecutivi su certi caseggiati. Questo progetto è spesso associato a vari slogan che evocano comunque la fine degli sfratti. Questo linguaggio risoluto è un grande segnale per scoraggiare i proprietari di case, ma non riflette la realtà di come funziona un quartiere sano. Per quanto possa essere difficile da dire per chi sta nei movimenti anticapitalisti, bisogna mettere in conto che ci possano essere persone che dovrebbero semplicemente essere sfrattate. In qualsiasi quartiere ci saranno dozzine di case di proprietà di costruttori che si rifiutano di pagare le tasse. Gli sfratti e gli sgomberi forzosi apparariranno logici per quasi tutti nel quartiere, specialmente se parliamo dei signori dei bassifondi sfitti che conducono una vita isolata da alta borghesia. In secondo luogo, ci sono numerose situazioni in cui le persone di un quartiere possono creare situazioni pericolose per gli altri abitanti. Violenze domestiche, problemi di droga, ed un insieme di coercitive relazioni sociali possono creare situazioni problematiche che trasformano interi quartieri in zone alienate dove non si riesce a trovare un fertile spazio sociale. Ci sono una serie di motivi per cui una comunità potrebbe giungere a chiedere a qualcuno di andarsene, anche se la cosa non è inquadrabile in termini di sfratto. Anche sotto il massimo controllo di base, questo principio del “no sfratto” non riesce ad assurgere ad assioma universale che potrebbe stare dietro in ciascuna ed in ogni situazione. Una comunità dovrebbe essere in grado di giungere tutta insieme alla richiesta che uno stupratore od un militante fascista debbano andarsene ad ogni costo. Questo tipo di slogan, sebbene siano incredibilmente utili nel creare delle parole d'ordine nel corso di una campagna di mobilitazione, portano anche a confondere i valori con le tattiche. Tatticamente, stiamo dichiarando un'area come zona no-sfratto. I valori che guidano questa campagna, tuttavia, vanno molto più in profondità di un semplice ostacolo giuridico. Nei nostri quartieri, gli sfratti riflettono sempre una disuguaglianza di classe, e non una rimozione forzosa perchè la presenza di quella persona è diventata fonte di insicurezza o perchè ha minato in qualche modo la fiducia reciproca nella comunità Gli sfratti riflettono l'incapacità di una persona di vivere al livello economico che gli viene richiesto, che non c'entra nulla con una sorta di incapacità morale. La resistenza agli sfratti non sta nello sfratto in sè, ma nella profonda iniquità di base che esso rappresenta nella nostra vita sociale. Lo sfratto è uno strumento dello sfruttamento di classe, e nello scontrarci con questa evenienza lo usiamo come un'arena per sviluppare lotta di classe. Gli sfratti diventano collaterali ad un più ampio ventaglio di forme intersecantisi di oppressione e di attacchi portati dalle istituzioni di classe dominanti. E' facile rendersi conto anche vagamente che esiste una disuguaglianza di classe nella società, ma ci deve essere uno specifico in cui affrontarla. La lotta per la casa è una diretta manifestazione dell'antagonismo di classe, e perciò la resistenza agli sfratti diviene un fronte in cui contrastare la logica di questo rullo compressore capitalista. I pignoramenti sono frutti maturi per il raccolto, dato che le banche non vogliono più giocare col trucco: ora semplicemente vengono e si prendono quello che vogliono. Lo scopo qui, come per qualsiasi movimento che voglia veramente spingere per una nuova impostazione delle relazioni sociali, è quello di paralizzare le attuali istituzioni di classe e spingere verso qualcosa di più umano con cui sostituirle. Le istituzioni popolari sotto il controllo della comunità possono del resto venire incontro ai bisogni delle persone di qualsiasi strada, molto meglio delle lama affilata di una banca commerciale, e l'unico modo per farlo è spogliare del loro potere coloro che oggi ne hanno il controllo. La loro forza proviene dalla loro capacità di dichiarare la proprietà, di ottenere il supporto della polizia, di costringere le persone a subire uno sfratto. Finchè iniziamo a dire di no. Finchè iniziamo a dire: noi non ce ne andiamo. Il problema qui non sta nell'uso di un tipo di linguaggio assolutistico, dato che è questo tipo di retorica che poi fa vincere le campagne. Il problema reale si forma quando le persone fondano una cultura ed una prassi al di là dello scopo della singola campagna piuttosto che sui valori che vi stanno dietro. L'intervento per una Zona No-Sfratto è utile solo nella misura in cui porta a lottare contro la classe dei banchieri e per creare contro-istituzioni che abbiano la capacità di aprire nuove possibilità. Altrimenti si tratta solo di opere di carità o di mettere un cerotto su una ferita sociale aperta. Noi siamo per mettere fine agli sfratti usati come strumento volto a colpire una classe sociale, come mezzo per rompere la stabilità delle famiglie e per diffondere la paura di finire in mezzo ad una strada, o come un metodo per distruggere i quartieri. Tutte cose che sono in netto contrasto con la funzione che hanno gli alloggi oggi. Da cui possiamo iniziare a creare una visione di lungo termine che si proietti al di là delle campagne individuali e che abbia la capacità di creare quel mondo che immaginiamo durante lunghe riunioni ed iniziative di quartiere. E' in questi momenti che possiamo cogliere uno scorcio di cosa potremmo costruire semplicemente a partire dal calore e dalla solidarietà tra vicini di casa, e cosa potrebbe succedere se puntiamo ad un crepa nel sistema e decidiamo di prenderlo a picconate. Note (1) Graeber, David. Fragments of an Anarchist Anthropology (Chicago: Prickly Paradigm Press, LLC), 5. (traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali) Link esterno: http://libcom.org/blog/whats-name-grounding-housing-jus...92013

martedì 26 novembre 2013

FUORI I NEOFASCISTI DA VICENZA, DALL’ITALIA, DAL MONDO!

CHI E’ IL CAPO DI FORZA NUOVA? Roberto FIORE nel 1979 era già uno dei massimi dirigenti politici del Movimento “Terza Posizione”, un’organizzazione neofascista il cui “braccio armato” clandestino era “in grado di compiere attentati terroristici” che di fatto ci furono “su obiettivi mirati in tutto il territorio nazionale”. Dopo l’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna Fiore fugge a Londra, inseguito da diversi ordini di cattura e poi (nel 1985) dalla condanna della magistratura italiana per banda armata (in associazione coi NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari) e associazione sovversiva. Ma non viene estradato, e anzi durante la latitanza si arricchisce in fretta aprendo una ditta di servizi (alloggio, impiego) per giovani immigrati con l’aiuto di amici di ultra destra e, sembra, anche dell’Intelligence Service britannico (di cui diventa perfino agente, secondo un rapporto pubblicato nel 1991 dalla Commissione d’inchiesta Europea sul razzismo e la xenofobia). E’ così che nel 1997 proprio a Londra riesce a fondare il partito di FORZA NUOVA. Nel 1999 , scattata la prescrizione, il “guru” del “nuovo vangelo fascista” si ripresenta in Italia, e subito conclude un “patto” coi fanatici di Militia Christi per “nuove crociate” contro l’aborto, il divorzio, i commercianti ebrei, gli omo-sessuali e l’educazione sessuale a scuola, i simboli della “plutocrazia degenerata” americana (McDonald's , Blockbuster) oltre che, naturalmente, l’invasione dei negri e degli islamici ecc... Ma la vera forza nuova del capo neofascista sono gli affari d’oro che continua a fare. In Inghilterra Fiore oggi è proprietario di circa 1300 appartamenti, di una catena di ristoranti, di negozi alimentari di prodotti italiani, di una casa discografica e di alcune scuole di lingua. Inoltre dal 2002 acquista piccole aziende e terreni in Italia, Inghilterra, Spagna e Polonia per trasformarli in comunità rurali dove si formano le giovani “forze nuove” a servizio (più o meno segreto!) della “nuova” contro-rivoluzione fascista-manageriale. E gli dèi del CAPITALE sorridono, perché sanno che le FINTE minacce contro di loro servono solo a tenere a freno la rabbia e la possibile vera lotta antagonista di chi sta perdendo libertà, diritti del lavoro e qualità della vita solo perché la legge del profitto privato e della concorrenza sta distrug-gendo sempre più risorse mentre produce sempre meno valore reale, provocando le crisi. Questa legge non è eterna. La classe lavoratrice può organizzarsi e “rovesciare il tavolo”, creando le condizioni per nuovi rapporti di produzione sociale (qualità e distribuzione del lavoro e della ricchezza). I fascismi, i “terrorismi “ più o meno “di Stato”, i regimi autoritari servono proprio ad evitare che questo si realizzi: sono strumenti di reazione e morte, non di rinnovamento vitale dell’umanità. DOBBIAMO IMPEDIRGLIELO , DOBBIAMO LIBERARCENE. LA DEMOCRAZIA NON E’ UNA FORMA ISTITUZIONALE: E’ UN DIRITTO E UNA PRATICA DA CONQUISTARE; L’ANTIFASCISMO E’ IL PRIMO, FONDAMENTALE STRUMENTO PER REALIZZARLA E DIFENDERLA. LAVORATRICI E LAVORATORI, DONNE E UOMINI, GIOVANI E ANZIANI, STUDENTI E INSEGNANTI, ITALIANI E OSPITI di Vicenza e del NordEst: SABATO 30 Novembre mostriamo ai coatti di F.N. che Vicenza è una città ANTIFASCISTA! Venite tutti al corteo. A breve saranno precisati luogo e ora Fonte: http://susannaambivero.blogspot.it/2010/05/chi-e-roberto-fiore-leader-di-forza.html ROSS@, movimento anticapitalista e libertario Prov. di Vicenza

30 novembre : Piazza delle Culture Antifasciste

"L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo” (Pier Paolo Pasolini, 1962) Così profetizzava Pier Paolo Pasolini, intellettuale comunista spesso dimenticato o citato in modo improprio, durante il famoso “boom economico” che ha attraversato l’Italia durante gli anni ’60; lo scenario odierno è decisamente peggiore e decadente di quello descritto dal poeta friulano. Ora che, il benessere è finito, resta solo la stupidità, l’incultura, il perbenismo, l’arroganza, la violenza ed i soprusi quotidiani. In questo quadro di crisi economica e culturale, il neofascismo si manifesta con nuove forme, subdole e nascoste, tutte aggressive e violente. Cerca di ricostruirsi una legittimità sociale, utilizzando immaginari e slogan dell’ideologia politico-istituzionale della “sicurezza” che semplifica, nasconde, mistifica, propaganda miti razzisti e istiga all’odio sociale. L’incredibile aumento degli episodi di violenza in Italia nei confronti di attivisti politici, gay, lesbiche, trans, migranti, rom e sinti, senzatetto, mendicanti e di quanti appaiano “non allineati” sono solo la punta dell’iceberg di una diffusa cultura dell’intolleranza. Questi episodi trovano terreno fertile nel cortocircuito tra politica e società che fa dell’egoismo, dell’arroganza e della sopraffazione i nuovi valori culturali della “modernità”. Come Antifasciste e Antifascisti di Pordenone, ma anche come lavoratori, studenti, migranti, precari e disoccupati, non possiamo rimanere indifferenti a quello che sta succedendo in Italia e nella nostra provincia, sentiamo forte la necessità di non rimanere in silenzio di fronte alle peggiori derive razziste, xenofobe e sessiste della politica e della società, alla violenza predicata e praticata con le parole, alle leggi, ai cancelli dei CIE e alle sempre più frequenti aggressioni ad opera di gruppi neofascisti o dall’altro canto, della repressione portata avanti dai rappresentanti delle “forze dell’ordine” nei confronti di compagne e compagni, come accaduto ultimamente a Udine. Nel clima generale di smobilitazione dei valori della Resistenza, dei diritti fondamentali dell’uomo e delle stesse basi della convivenza civile, vogliamo urlare alla società che la casa, la salute, la cultura, l’ambiente, la dignità nel lavoro, sono diritti di TUTTI e di TUTTE senza distinzioni di sesso, di religione o di nazionalità. Per noi l’antifascismo non è un qualcosa che va relegato esclusivamente alle giornate istituzionali, in cui magari ci tocca sentire la voce di chi nega con le parole e con le azioni politiche la storia e i progressi portati dalla Resistenza, ma una pratica quotidiana costitutiva di un nuovo modello di società, un filo conduttore che unisce le lotte di chi un mondo migliore lo costruisce con il proprio corpo e le proprio azioni tutti i giorni. Per questi e altri motivi abbiamo deciso di costruire una PIAZZA DELLE CULTURE ANTIFASCISTE, una piazza dove porteremo la nostra voce e le nostre parole d’ordine parlando di tutte le criticità che sono presenti nella nostra provincia, dalla chiusura di Ideal Standard e quella prossima di Electrolux, passando per la situazione del CIE di Gradisca e per quelle 20.000 persone che sono morte nel Mar Mediterraneo grazie alle politiche sull’immigrazione dell’Europa e dello Stato Italiano, gli stessi che in questo momento stanno ignorando l’emergenza abitativa e sociale in tutto il suo territorio. Vi aspettiamo sabato 30 novembre 2013 dalle ore 16.30 in poi in piazza Risorgimento, per discutere di tutto questo e altro, insieme ad un aperitivo popolare con vin brulè, thè caldo e assaggi dei prodotti del GAP, musica, interventi e microfono libero Coordinamento Antifascista Antirazzista Pordenonese

mercoledi 27 novembre assemblea comitato ex caserma saksa bene comune , treviso

L’ultima occupazione della Caserma Salsa è stata molto istruttiva da molteplici punti di vista. L’ex Caserma è uno spazio enorme, praticamente un quartiere a due passi dal centro città. E’ un immobile pubblico, abbandonato da vent’anni, un vero e proprio monumento ai fallimenti delle amministrazioni leghiste. Il cosiddetto “decreto del Fare” prevede che le amministrazioni locali possano chiedere di acquisire i beni demaniali “in disuso” facendone richiesta entro il prossimo 30 novembre. Il 9 Novembre Ztl occupa la “Salsa” e avvia un bellissimo percorso di pulizia, riuso e di apertura al quartiere che risponde con grande partecipazione, oltrepassando quei cancelli, facendo rivivere e riappropriandosi di uno spazio che è suo. Proprio grazie ad un nuovo clima in città sembra farsi strada una possibile via d’uscita per risolvere il problema degli spazi sociali. Sono giorni di intense discussioni, in cui il collettivo si rende anche disponibile a cessare l’occupazione (come già fatto all’ex-Telecom in settembre) chiedendo garanzie riguardo alle soluzioni predisposte e chiedendo anche che la “Salsa” sia riconsegnata alla città ed al quartiere. Ed invece, mentre Compiano si fregava decine di milioni di Euro, mentre all’Aeroporto si sforava il numero dei voli previsti per legge, mentre lo stesso Prefetto è abusivo nella sua sede, improvvisamente l’urgenza di legalità spingeva Prefettura e Questura a sgomberare la Salsa in 10 giorni. Ricordiamo che, ad esempio, a Sant’Artemio l’occupazione dei migranti durò circa 4 anni, finché non fu risolta grazie ad una trattativa con l’ULSS (complici dell’illegalità?). Addirittura, secondo un’emittente locale, Prefetto e Questore si permettevano di accusare il Sindaco di essere “troppo permissivo”. La mattina dello sgombero il percorso avviato è stato interrotto dagli agenti di Polizia e, di nuovo, trasformato in un problema di ordine pubblico. A questo punto il collettivo si rende conto che la vera partita che si stava giocando non era più soltanto quella dello spazio sociale ma quella degli enormi interessi che si muovono intorno all’Ex-caserma. Infatti il Demanio, per non far apparire la Salsa “in disuso”, si è inventato la proposta di trasferire i Vigili del Fuoco proprio a Santa Maria del Rovere, una proposta assurda dal punto di vista economico e logistico, ma che sembra fatta apposta per interdirne il passaggio al Comune. Ed ecco un’altra bella storia edificante di legalità: I vigili del fuoco avevano una sede a sant’Antonino che adesso è legalmente chiusa, murata, abbandonata da oltre 15 anni. Si trasferiscono in un immobile costruito negli anni Ottanta dall’Inpdap (soldi pubblici), poi passato al ministero dell’Interno che, nel 2000, l’ha privatizzato vendendolo ad un gruppo di costruttori. Legalmente il pubblico vende al privato e poi gli deve pagare l’affitto (Ottocentomila euro annui, sempre soldi pubblici). Ad un certo punto il Ministero non paga più l’affitto (legalmente?) ed i poveri Pompieri rischiano lo sfratto. Nel 2012 un esponente della RSU dei Vigili del fuoco dichiarava alla stampa: “A prescindere dal fatto che stiamo parlando di un edificio dismesso da anni, così com’è, la Salsa non è adeguabile alle nostre esigenze. Serve un progetto di recupero ad hoc per il quale servirebbero quanti: 8, 10 anni di tempo? E i costi, non credo che si andrebbe sotto i 15 milioni di euro. Se non ci sono i soldi per pagare l’affitto come si può pensare ad un intervento di questa portata.” E poi ancora: “E’ impensabile far uscire in sicurezza i nostri mezzi su quelle strade. Servirebbe una nuova strada per un accesso diretto in Pontebbana“. Allora, in questo tripudio di legalità, si è inserita l’occupazione di Ztl che, di fatto, fungeva da “certificazione” che lo spazio era “in disuso”, e per questo bisognava sgomberare prima del 30 novembre; per amore degli interessi o della legalità? E, guarda caso, il “moroso” dei Vigili del Fuoco è proprio il Ministero dell’Interno, cui fanno capo Prefetto e Questore… In Prefettura si sono negati persino ad un semplice incontro facendo saltare il percorso avviato, il famoso dialogo che sembrava finalmente possibile, e che speriamo riprenda, nonostante tutto. Per questo dovrebbero essere loro a dimettersi, per la gestione irresponsabile di tutta questa vicenda e per il palese conflitto di interessi. Adesso rimangono due grandi questioni aperte. La prima è quella dello Spazio Sociale a Treviso, che siamo sicuri che si risolverà, e che potrà essere benissimo individuato anche in altre zone della città. Ma l’altra questione, ancora più urgente, è che la Caserma Salsa passi al Comune di Treviso affinchè con lo sforzo, la discussione, le energie, la passione di tutti, possa diventare un laboratorio cittadino di innovazione e partecipazione, insomma, un bene comune. QUESTA NON È UNA BATTAGLIA SOLO DI ZTL MA DI TUTTA LA CITTÀ, E NON PERMETTEREMO CHE LE STRANE MANOVRE ATTORNO ALLA “SALSA” IMPEDISCANO QUESTO PROCESSO DI CAMBIAMENTO, RICONSEGNANDO IL NOSTRO PATRIMONIO AL DEGRADO ED ALL’ABBANDONO

Da Genova a Bologna - 22/23 novembre 2013

22/23 novembre 2013 I tranvieri di Genova hanno segnato un passaggio importante e guadagnato una posizione fondamentale: hanno bloccato la privatizzazione e non hanno accettato peggioramenti alla loro prestazione lavorativa e questo serve come riferimento al resto del paese. Se non sono i lavoratori dei servizi che si oppongono al disegno del capitale in merito allo stato sociale, non si va da nessuna parte. Resta il punto su come reperiranno le istituzioni i miliardi che occorrono, le linee che verranno appaltate, come evitare una privatizzazione mascherata. Non è finita, da qui fino alla fine del 2014 la partita è aperta, ma tutto questo non spetta ai soli tranvieri, non li si può lasciare soli. E almeno due sono i punti fondamentali: il primo è la ridefinizione della rappresentanza sindacale o la sua ricostruzione non su basi di sigle, ma su basi più aderenti alle necessità; il secondo è una rappresentanza sociale in città che esprima contenuti politici di mantenimento dello stato sociale contro le privatizzazioni, rappresentanza sociale dove i lavoratori siano presenti e determinanti. A Bologna per la dignità per i diritti. Sono state queste le semplici parole d'ordine stampate sul manifesto di convocazione della manifestazione dei facchini della logistica. La manifestazione riuscita di Bologna sta a indicare che la repressione dentro i luoghi di lavoro del settore della logistica fatta di ricatti, servilismi, licenziamenti di delegati e di attivisti sindacali, con l'aggiunta di denunce per i blocchi degli interporti che si esplicita in un attacco diretto alle lotte, non passa, non ha distrutto quello che in questo anno e mezzo di iniziative è stato costruito. La logistica è un settore fondamentale dello scontro/conflitto fra capitale e lavoro che possiamo definire strategico ed importante seguire, capire, per partecipare allo sviluppo delle lotte, delle forme organizzative di costruzione e ricostruzione che la classe mette in campo per rompere il dominio del capitale sulla prestazione lavorativa e la condizione di vita dei lavoratori. La strada sin qui seguita con la costruzione della rappresentanza nelle lotte che pone come punto iniziale la conquista del lavoro contrattato, che rompe la logica del mercato delle braccia e non solo gestito dai padroni, indica un percorso di classe che ci riporta ai fondamentali della organizzazione di resistenza che la stessa ha costruito o meglio costruisce. Pur non credendo ai facili entusiasmi, siamo impegnati e agiamo nella difficile e complessa azione politica di ricostruzione dei rapporti di forza, oggi distrutti. I segnali, quello che la classe ha messo in campo a Genova e Bologna nella settimana trascorsa, vanno con tutto il loro carico di difficoltà e incertezze in questa direzione. Commissione Sindacale Federazione dei Comunisti Anarchici 24 novembre 2013

Genova: lotte nei trasporti

Siglato l’accordo Spetterà ai lavoratori dell’azienda trasporti trarre le conclusioni da un accordo con luci e ombre. Per quel che ci riguarda abbiamo sostenuto la loro battaglia, ci interessa qui fare una riflessione e fissare alcuni punti. La lotta è stata contro i licenziamenti, contro il peggioramento delle condizioni di lavoro, contro la riduzione del salario attraverso l’eliminazione dei contratti sia aziendali che nazionali, contro la perdita delle parti normative,delle tutele e dei diritti. Questo significa per la classe l’azione del capitale di privatizzare, esternalizzare le aziende in capo al “pubblico”, poi le ovvie ricadute sul servizio e i cittadini. Una lotta difensiva sottolineiamo, ma su questo punto occorre chiarire: non esiste una separazione per cui le lotte si dividono in difensive e d’attacco. Oggi occorrerebbero queste ultime, ma il legame risulta connesso in quanto non esiste lo spartiacque; battaglie e lotte di natura differente si intersecano. Per primo i lavoratori hanno preteso che l’azienda rimanga pubblica; secondo che debba essere ricapitalizzata con soldi pubblici che si devono trovare, l’esatto contrario di quello che il capitale sta imponendo. L'esatto contrario di quanto sindaci, governatori, ministri e compagnia cantante vanno a garantire con gli accordi di svendita e distruzione del pubblico a favore dei profitti privati. Non a caso la lotta ha impedito al consiglio comunale di funzionare. Il comportamento del sindaco e compagnia è solo cronaca e non ci interessa. Non è certo la scala locale, un sindaco più o meno amico, che con il patto di stabilità può spostare l'ago della bilancia. Ma perché Genova? Perché la realtà genovese, sul terreno sociale generale e nello specifico di quei lavoratori, è comune alla quasi totalità dell’area economica di riferimento. Genova è una di quelle realtà - ormai sono pochissime nel centro-nord - dove la rappresentanza dei lavoratori non è stata distrutta; sconta, sì, diverse riduzioni e problemi, ma nonostante questo ha comunque una continuità. Quando “partono” lotte con questi contenuti e questa intensità occorre aver chiaro che esiste una rappresentanza che in barba a dirigenti locali e nazionali “farlocchi” si impone: la limitazione del diritto di sciopero nei servizi scompare e si regge per giorni creando attorno alla lotta una forte rete di solidarietà che non è mancata. Un momento di lotta di classe capace di dialogare e costruire movimento, nella speranza che questo passaggio si sedimenti sul terreno della rappresentanza sindacale e sociale. Genova dimostra che si può contrastare l’indirizzo e l’azione del capitale dal basso. Con i lavoratori di Genova oggi possiamo dire che siamo meno deboli sul terreno dello scontro capitale-lavoro. Commissione Sindacale Federazione dei Comunisti Anarchici 23 novembre 2013

I sacrifici dei lavoratori non bastano mai

Sciopero ad oltranza dei lavoratori ATM Genova Questo, in sintesi, il risultato dell'accordo tra AMT e sindacati del 7 maggio scorso: "Un accordo che serve a tappare il buco di bilancio solo per un anno. Toglie ai lavoratori 5 giorni di ferie, integrativi per almeno 1.500 euro ed introduce i contratti di solidarietà. Conferma 230 esuberi fra il personale AMT. Non assicura nulla per il personale degli appalti creando altri esuberi in questo settore. Aumento delle proprietà immobiliari di AMT con conferimento di proprietà da parte del Comune. Il tutto finalizzato alla seconda privatizzazione di AMT." (fonte CUB Trasporti) Per capire la preoccupazione e la rabbia dei lavoratori dell'AMT - in sciopero ormai da 3 giorni - e le dure forme di lotta che hanno scelto, bisogna mettersi nei loro panni. I lavoratori dell'AMT di Genova sono stati traditi. Non sono bastati i sacrifici che hanno sostenuto per salvare l'azienda dal fallimento. Di nuovo, com'era prevedibile, si parla di privatizzazione. Non è una novità. In questo Paese, alla riduzione dei flussi di investimenti dal "centro" alle "periferie" per i servizi pubblici e sociali si risponde tradizionalmente con tagli, esternalizzazioni e privatizzazioni. Alle crisi delle aziende pubbliche si fa fronte solo con i sacrifici imposti ai lavoratori. Si arriva addirittura ad abbandonare a se stessi malati e disabili. Ma ora, a Genova, i lavoratori hanno detto basta. Sfidando le precettazioni, stanno facendo l'unica cosa che abbia senso fare in questa situazione: SCIOPERO AD OLTRANZA. I lavoratori AMT - a cui si sono aggiunti quelli delle altre compartecipate ASTER ed AMIU - vanno sostenuti dalla collettività, che pure sta pagando un prezzo molto alto in questa vertenza. La lotta dei lavoratori di AMT contro la privatizzazione dell'azienda di trasporto urbano deve essere la lotta di tutti. Dovrebbe essere anche la lotta di un sindaco e di una giunta comunale che avevano basato la loro campagna elettorale proprio contro le politiche di privatizzazione. Dovrebbero essere i primi ad alzare la voce contro il Patto di Stabilità, recarsi in Regione ed a Roma per ottenere finanziamenti urgenti ed anche dimettersi, se del caso. Invece, ancora una volta, preferiscono prendere in giro i lavoratori ed i loro elettori, adeguandosi alla ragion di Stato e rimanendo incollati ai loro posti. Noi sosteniamo incondizionatamente la lotta dei lavoratori AMT di Genova. Siamo stati e saremo sempre al loro fianco in piazza per la difesa dei loro salari, dei loro diritti e per la salvaguardia ed il rilancio della mobilità pubblica. AZZERARE CDA ED ENTI BILATERALI INUTILI, ABBATTERE I COSTI DELLA POLITICA E LE SPESE MILITARI, RINUNCIARE ALLE GRANDI OPERE NOCIVE PER L'AMBIENTE. REINVESTIRE NEI SERVIZI PUBBLICI E SOCIALI E NELLA TUTELA DEL TERRITORIO. Sezione N. Malara - Genova Federazione dei Comunisti Anarchici 21 novembre 2013

mercoledì 20 novembre 2013

Pordenone piazza delle culture antifasciste ed antirazziste

Rivolte del pensiero - presentazione in Ateneo degli Imperfetti di Marghera

la sfida dell’alterità PRESENTAZIONE DEL LIBRO: Rivolte del pensiero. Dopo Foucault, per riaprire il tempo Incontro con l’autore: Mario Galzigna Introduce: Giulia de Lucia Un pensiero in rivolta deve riuscire a dare voce a tutte le istanze, a inventare nuovi attrezzi concettuali - ad esempio la “sintesi disgiuntiva”, di matrice deleuziana e kantiana - capaci di mettere in scena il conflitto senza le cauzioni rassicuranti dell’etica religiosa, senza le risoluzioni pacificatrici della dialettica. SABATO 23 Novembre alle ore 17:30 All’Ateneo degli Imperfetti Come d’abitudine la convivialità post conferenza si regge sulla condivisione del cibo e del bere: è pertanto auspicabile che tutte le persone contribuiscano a rendere ricca e appetitosa la nostra mensa Ateneo degli Imperfetti Diego www.ateneoimperfetti.it Ateneo degli Imperfetti Via Bottenigo, 209 30175 Marghera (VE) tel. 327.5341096 www.ateneoimperfetti.it

Palestina-Israele, non si ferma la lunghissima lotta dei palestinesi per resistere agli sgomberi forzati

Aumentano gli sforzi di stato per estinguere la lotta delle comunità di base ricorrendo come di recente al terrore contro le popolazioni dei villaggi nella speranza che la pressione esercitata sugli attivisti li costringa a rinunciare al confronto con le forze israeliane di occupazione. Dopo esser riusciti a mettere fine alle manifestazioni settimanali di Beit Ummar, ora nutrono maggiori speranze. Tuttavia, l'incremento degli sforzi negli sgomberi in poche aree rurali sembrano sviluppare un effetto opposto. La frustrazione dello stato israeliano si esprime negli sgomberi di massa di decine di migliaia di Beduini all'interno di Israele. Gli eroici villaggi di Bil'in, Ni'ilin, Nabi Saleh, Qaddum, Sheikh Jarrah, colline sud di Hebron ed il comitato di coordinamento della lotta popolare continuano ad aderire alla lotta unitaria insieme agli israeliani di Anarchici Contro il Muro e ad altri attivisti israeliani. Palestesi distruggono la barriera della separazione in due villaggi della Cisgiordania Durante le prime ore di venerdì mattina, palestinesi di tre villaggi hanno preso parte ad una "azione diretta" per distruggere parti della barriera della separazione. A Bir Nabala, situato sull'altro lato della Strada 443, i Palestinesi hanno usato martelli per aprire un buco nel muro, mentre i Palestinesi di Rafat (vicino il carcere militare di Ofer) hanno tagliato 20 metri del recinto di sicurezza che confina col loro villaggio. http://972mag.com/photos-palestinians-destroy-separatio...1937/ L'esercito non c'era durante l'azione e nessun giornalista era stato invitato. A Bil'in è stato rimosso l'intero cancello del muro, lasciando spalancato un buco a sorpresa per i soldati. Palestinesi usano un martello per aprire un varco nel muro della separazione nel villaggio di Bir Nabala in Cisgiordania. (foto: Activestills) Palestinesi in Cisgiordania nel villaggio di Rafat tagliano il recinto della separazione vicino al carcere militare di Ofer. (foto: Activestiils) Per ulteriori analisi ed ultime notizie visitare il profilo +972 Magazine's Facebook oppure su Twitter. La nostra newsletter contiene un esaustivo elenco degli eventi della settimana. 14/11/2013 Bilin, un gruppo di giovani palestinesi organizzati dal Comitato Popolare contro il Muro e gli insediamenti di Bilin lacera un cancello principale del muro israeliano dell'apartheid a Bilin a mezzanotte, e si è poi spostato verso il villaggio per ricordare l'occupazione che continuiamo a rifiutare. https://www.facebook.com/photo.php?fbid=618144088231911 15.11.2013 Un gruppo di attivisti palestinesi demolisce parte del muro in cemento che isola la città di Gerusalemme dal villaggio di Bir Nabala.. Haitham Khatib https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10201788401564725 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10201789212905008 Haitham Al Khatib Servizio TV palestinese sulle azioni dirette a contro il muro a Bil'in, Bir Naballa e Rafa'at 17/11/2013. Nuovo raid notturno nel villagio di Bil'in - 6 jeep israeliane hanno scorazzato per il villaggio dalle 2.30 per riprendersi il cancello del muro dell'apartheid "confiscato" il venerdì prima. https://www.facebook.com/photo.php?fbid=619593028087017 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=648035735241125 https://www.youtube.com/watch?v=aPwVmAKvMvU (Anteprima) Riproduci (Mostra collegamento) تقرير علي دار علي ليلة من التحرير دخلنا فيها القدس ومحيط سجن عوفر ali darali حصريا لتلفزيون فلسطين : ليلة كاملة من العمل ، نشطاء المقاومة الشعبية وبعض المتضامنين ، يهدمون مقاطع من جدار الفصل العنصري في بلدة بير نبالا شمال غرب مدينة القدس المحتلة ، ويقطعون اسلاكا شائكة في محيط سجن عوفر الاحتلالي، فيما ازال عدد آخر بوابة عسكرية على اراضي بلعين . تصوير :محمد راضي / مونتاج : علي الطويل (Mostra collegamento) Lotta dei Beduini Continua lo sgombero strisciante dei cittadini palestinesi dentro i confini israeliani del 1948. Domenica, nella comune di Sdeh Boker, una riunione speciale del consiglio dei ministri ha deciso lo sgombero di 500 persone della tribù di Um Hiran per metterci una città nazional-religiosa. La stessa tribù era stata sgomberata nel 1956 dalla terra degli antenati vicino all'insediamento della comune di Shoval. La manifestazione unitaria davanti alla comune è finita con il fermo di due persone e l'arresto di un membro palestinese del Parlamento. Almeno tre attivisti sono stati arrestati per una protesta contro lo sgombero di due villaggi beduini nel Negev. Il governo israeliano sta tenendo un incontro speciale nel kibbutz di Sde Boker, dove Ben-Gurion si era ritirato e dove è sepolto, per approvare il piano di sgombero. Gli attivisti stanno protestando fuori del kibbutz sede della riunione del governo. Dopo che i Beduini sono stati forzatamente trasferiti in una delle municipalità più povere di Israele, il governo ha pianificato di costruire un insediamento ebraico sulle rovine delle loro case. Ancor peggio, i Beduini di Umm el-Hiran hanno ricevuto dall'esercito l'ordinanza di vivere nell'attuale sito dopo essere già stati sgomberati nel 1948. Ulteriori informazioni su: http://972mag.com/government-to-confirm-destruction-of-...1638/ https://fbcdn-sphotos-a-a.akamaihd.net/hphotos-ak-frc1/...n.jpg https://www.facebook.com/events/645799542106803 Manifestazione a Giaffa contro il Piano Prawer, 16.11.2013 In anticipo sulla "giornata dell'ira" prevista per il 30.11.2013, gli attivisti di Giaffa, sia palestinesi che ebrei, hanno protestato nella storica piazza dell'orologio contro il Piano Prawer che minaccia di sgomberare almeno 30mila Beduini dalle loro case situate in "villaggi non riconosciuti" verso la zona del Naqab / Negev, nel sud della Palestina. Anche prima che il piano venisse sottoposto al voto parlamentare, il governo israeliano aveva già deciso la demolizione dei due villaggi beduini di Umm al-Hiran ed 'Atir, allo scopo di costruirvi Hiran, un insediamento di soli ebrei. https://www.facebook.com/media/set/?set=a.4502263184304...50543 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10151667042787554 Bil'in 8.11.13 "Bil'in rivisitata: come cambia la vita quotidiana sotto l'occupazione Partecipare alla manifestazione settimanale contro il muro a Bil’in senza esitazione, mette a nudo le piccole differenze nella routine dell'occupazione e della resistenza. Sono passati due mesi dalla mia ultima visita a Bil’in. Non troppi, ma abbastanza da notare improvvisamente alcuni piccoli cambiamenti occorsi nell'ambiente di vita quotidiano, cambiamenti che le persone possono a volte non notare se ci stai dentro. Il primo lo si nota sulla via da Tel Aviv. Passando per l'insediamento di Hashmonaim sono rimasto sorpreso nel realizzare all'improvviso che c'era un recinto in meno – e questo in una regione in cui recinti e muri tendono a proliferare, non a scomparire. Il recinto in questione separava gli uliveti del villaggio vicino a Ni’ilin dalla strada principale che usano la maggior parte dei coloni. Dopo parecchi anni di costruzione, il muro della separazione a Ni'ilin è stato completato e questi uliveti sono ora irraggiungibili per la maggior parte dei palestinesi; qualcuno deve essersi accorto che il recinto non era più necessario a proteggere la strada. La vista, ovviamente, è più godibile che non attraverso una rete metallica, ma accorgersi che la ratio che sta dietro la sua rimozione è quella di collegare le terre palestinesi alle strade dei coloni continuando a tenere il villaggio isolato, rende le cose un po' più amare. Il secondo lo si avverte dove una volta c'era il posto di blocco di Ni’ilin. Apparentemente, l'intera base militare che comprendeva il posto di blocco è stata di recente privatizzata ed è ora gestita da una agenzia di sicurezza (il cui nome non si trova da nessuna parte) ed il nome è cambiato nel più orecchiabile “Hashmonaim Crossing.” Non un posto di confine, attenzione, dal momento che non si trova su confini riconosciuti a livello internazionale e che ci sono ancora coloni e soldati dall'altra parte. E' solo un "crossing". Un attraversamento. I soldati sono stati veloci nell'aprire il fuoco sul corteo ma il vento a loro sfavorevole ha ridotto gli effetti dei gas. Dopo circa due ore di manifestazione, con saltuarie scariche di lacrimogeni e lancio di pietre da parte dei giovani verso i soldati dietro il muro, siamo ritornati al villaggio. Appena di ritorno dall'aver portato la bandiera nella manifestazione del venerdì n°455 a Bil'in (8/11/2013). Io, altri 5 israeliani, dozzine di residenti di Bil'in e dozzine di internazionali abbiamo evitato per più di un'ora il massiccio lancio di gas lacrimogeni nei pressi del cancello del muro, ma la maggior parte di noi era fuori tiro per le forze di stato. https://www.facebook.com/photo.php?fbid=615216138524706 https://www.facebook.com/media/set/?set=a.5394354894823...26831 Rani Abdel Fatah https://www.facebook.com/rani.fatah/posts/10202488263711009 Mohammed Basman Yasin https://www.facebook.com/mohamed.b.yaseen/media_set?set...50807 Manifestazione settimanale a Bil'in ..15.11.2013 La manifestazione è iniziata con la preghiera nel querceto di Abu Lamoun, alla presenza di molti locali e molti ospiti. I manifestanti poi si sono diretti verso il buco nel muro. A 100 metri dal muro i manifestanti si sono radunati per ascoltare il comizio di Jibril Rajoub, che è stato leggermente colpito dai gas mentre stava parlando. Poi, mentre i manifestanti avanzavano con prudenza e pacificamente verso i soldati, con i giovani disponibili a non lanciare pietre su richiesta degli organizzatori del corteo, i soldati hanno iniziato a riempire l'aria con i gas. I manifestanti sono stati costretti a ripiegare, un'auto-TV è stata colpita ed ha preso fuoco (per fortuna subito spento), ed i giovani hanno iniziato a replicare con le pietre. Alcuni manifestanti hanno fatto dei graffiti sul muro, inseguiti dai soldati. L'ambulanza aveva il suo da fare, ma per quanto mi consta tutti i feriti sono stati soccorsi. I soldati hanno continuato ad avanzare, sparando gas e proiettili a lungo. Haitham Al Khatib https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10201792942278240 Haitham Al Khatib https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10201792928357892 https://www.facebook.com/media/set/?set=a.7658912167608...07611 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10201792942278240 Attivisti "dipingono" il muro della separazione mentre le forze di stato si scatenano contro il corteo. VIDEO https://www.facebook.com/photo.php?v=504082113032308 Basel Mansour https://www.facebook.com/bmansour1/posts/10202030733322851 MA’SARAH Corteo nell'anniversario del nono anniversario dell'assassinio di Yasser Arafat. Corteo contro il negoziato e per la condanna dell'uccisione di giovani nei checkpoint israeliani in Cisgiordania. Corteo organizzato dalla resistenza popolare contro il muro dell'apartheid. Dopo la preghiera del venerdì il corteo non-violento si è mosso da centro Al-Shomou’ nel villaggio di Ma’sara con la partecipazione di dozzine di locali e di internazionali, che sventolavano bandiere palestinesi, foto-poster dei prigionieri di cui si chiedeva la liberazione insieme alla fine dell'occupazione israeliana. Appena il corteo ha raggiunto l'ingresso di Al- Ma’sara’s in direzione delle terre confiscate dove gli internazionali ed i manifestanti avevano sorpreso le forze di occupazione israeliane organizzando una partita di calcio, i soldati sono arrivati con i loro veicoli dichiarando l'area zona militare chiusa. A quel punto, l'esercito israeliano ha arrestato un attivista francese nel corso di un attacco con scudi di plastica. In questo caso, Mahmoud Zawahrah coordinatore della resistenza popolare contro il muro dell'apartheid e contro gli insediamenti, ha condannato le uccisioni di giovani palestinesi che si verifcano ai checkpoints israeliani, ha affermato che la resistenza andrà avanti finchè l'occupazione sionista israeliana svanirà e sarà finalmente richiesto l'intervento della comunità internazionale per mettere fine all'occupazione israeliana. https://www.facebook.com/AlMasraPress/photos Nabi Saleh La manifestazione settimanale di venerdì 08/11/2013 contro l'occupazione israeliana e contro il furto della terra ha commemorato Yasser Arafat, i cui resti sono stati esumati ed analizzati. L'autopsia ha chiaramente evidenziato che il presidente Arafat morì per cause non naturali, presumibilmente per avvelenamento da polonio. I residenti portavano foto di Arafat per protestare contro la sua uccisione. Insieme a loro attivisti internazionali ed israeliani. Mentre i manifestanti procedevano verso il cancello chiuso vicino alla torre di guardia militare, i soldati hanno disperso la manifestazione con lacrimogeni ed proiettili d'acciaio ricoperti di gomma. https://www.facebook.com/media/set/?set=a.6509254749519...62736 https://www.facebook.com/media/set/?set=a.4465935754603...50543 israel putermam http://www.youtube.com/watch?v=zmW5vyyBTks (Anteprima) Riproduci (Mostra collegamento) village of Nabi Saleh, West Bank, November 8, 2013 yisraelpnm Palestnians, Israeli and international activists march during the weekly protest against the occupation in the West Bank village of Nabi Saleh, November 8, 2013 (Mostra collegamento) 15-11-13 La manifestazione settimanale nel villaggio di Nabi Saleh ha commemorato Rushdi Tamimi, un giovane del posto, padre di un infante, colpito un anno fa dai soldati israeliani durante una protesta contro la guerra su Gaza. Tamimi morì due giorni dopo per le ferite subite e venne seppellito nel cimitero del villaggio, da dove è partita la manifestazione odierna. I residenti, tra cui la famiglia di Rushdi Tamimi, hanno marciato dal cimitero verso il luogo dell'uccisione, portando striscioni con la sua immagine e bandiere palestinesi, sfidando i soldati israeliani che cercavano di reprimere la manifestazione. Hanno sparato lacrimogeni e proiettili d'acciaio ricoperti di gomma contro i manifestanti, residenti ed attivisti sia internazionali che israeliani, uniti nella manifestazione. By: Haim Schwarczenberg https://www.facebook.com/media/set/?set=a.4496547251542...50543 David Reeb http://youtu.be/XZqT8Ndyyoc N'ilin 15-11-12 yisraelpnm https://www.youtube.com/watch?v=-E8irBvFSVY Qaddum Bambini senza infanzia: Oggi a Qaddum: 15/11/2013, alle 9:00, le forze di occupazione hanno invaso il villaggio di Qadum lanciando granate assordanti sulle case ed arrestando 4 bambini: 1 - Ahmed Abd Salam di 5 anni - Ahmad ha detto: "Mi hanno colpito alla gamba destra" 2 - Tariq Hcamt di 9 anni. Tariq ha detto "Mi hanno legato le mani" 3 - Malik Hacamt di 8 anni. 4 - Hussam Khaldun di 8 anni. Li hanno rilasciati dopo ore di detenzione Visualizzare l'occupazione: bambini sotto il regile legale israeliano | +972 Magazine 972mag.com I differenti sistemi legali usati per israeliani e palestinesi vengono usati anche per i bambini. Come +972 ha copiosamente documentato, ci sono bambini palestinesi arrestati dall'esercito ttp://www.facebook.com/avi.shavit.1/media_set?set=a.53...46289 "Guarda il video - nessun ferito, nessun arrestato, Qaddum ha vinto ancora". Odai Qaddomi http://www.youtube.com/watch?v=ie2WFvi6Fh0 (Anteprima) Riproduci (Mostra collegamento) كفر قدوم:مواجهات عنيفة مع الاحتلال في ذكرى استشهاد القائد ياسر عرفات Odai Qaddomi تابعونا على صفحتنا الرسمية الفيس بوك لمعرفة اخر الاخبار ومشاهدة الصور والفيديوهات المسيرة كفرقدوم https://www.facebook.com/AlMasira.KufurKaddom (Mostra collegamento) Qaddum, 15 Novembre 2013 https://www.facebook.com/media/set/?set=a.6539045212982...14816 Shaykh Jarrah I residenti di Sheikh Jarrah stanno continuando i loro presidi nel quartiere ogni venerdì, protestando contro gli sgomberi violenti dalle loro case, contro la presa in possesso del quartiere da parte dei coloni e contro la giudaizzazione di Gerusalemme est. Chiedono sostegno a chiunque voglia sostenere la loro lotta, per essere presenti venerdì 15 novembre al presidio a sostegno della loro lotta. il presidio inizia alle 15.00 nei giardini di Sheikh Jarrah Garden, tra Nablus Road e Dahlmann St. TAMIMI PRESS https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10152341565294688 Colline sud di Hebron questa settimana accompagnamento dei contadini e pastori palestinesi in diverse località delle colline sud di Hebron. Ancora maltrattamenti contro i contadini ed i pastori palestinesi da parte dei coloni e dell'esercito. Tel-Aviv-Jaffa Sabato 16-11-13. A mezzogiorno gli attivisti palestinesi di Giaffa con attivisti di Tel Aviv hanno fatto un presidio sotto la torre dell'orologio di Giaffa per protestare contro il piano Praver che prevede lo sgombero di 30mila Beduini. "In anticipo sulla "giornata nazionale dell'ira" del 30.11.2013, gli attivisti di Giaffa, sia palestinesi che ebrei, hanno protestatto nella storica piazza dell'orologio contro il piano Prawer che minaccia lo sgombero di almeno 30mila Beduini dalle loro case in "villaggi non riconosciuti" verso il Naqab / Negev, nella Palestina meridionale. Anche prima che il piano venisse sottoposto al voto parlamentare, il governo israeliano aveva già deciso la demolizione dei due villaggi beduini di Umm al-Hiran ed 'Atir, allo scopo di costruirvi Hiran, un insediamento di soli ebrei." Sabato sera 3 dozzine di attivisti sociali - tra cui una mezza dozzina dei comunisti-anarchici di Ahdut (Unità) e mezza dozzina di altri anarchici, si sono ritrovati davanti alla casa del ministro della giustizia per protestare contro la violenza della polizia ed il fallimento dell'inchiesta interna alla polizia per individuare gli agenti violenti. Dopo una lunga sosta abbiamo manifestato per le strade del quartiere. https://www.youtube.com/watch?v=jODl5e1-RLI (See clearly at 1:04 - 1:08) https://www.facebook.com/media/set/?set=pcb.442695835834758 http://tv.social.org.il/social/2013/11/17/demo-against-...mahas Burqa Da più di 10 anni il villaggio di Burqa vicino Ramallah è isolato dalla città a cui era strettamente collegato. La strada che univa il villaggio alla città e su cui dipendeva economicamente e per i servizi sanitari, è stata bloccata da un'arbitraria decisione dei militari e da allora è chiusa. Il popolo di Burqa deve subire ogni giorno le violenze dei coloni che minacciano la vita dei residenti e sono giunti l'anno scorso persino a bruciare la moschea del villaggio insieme ad alcune auto, mentre in un'altra occasione hanno bruciato 3 auto e fatto un graffito offensivo sulla facciata della ricostruita moschea. 1000 dunam (1 dunam = 1000mq,ndt) delle terre private di Burqa sono state occupate da avanposti dei coloni di Givat Assaf e Migron. La perfiferia di Burqa che è controllata da armati coloni fuorilegge è diventata una zona pericolosa per i residenti, costringendo i pastori del villaggio a rinunciare alla loro attività ed alla loro fonte di reddito. Ed i militari sovraintendono a tutto ciò e proteggono le azioni dei coloni. Burqa è indifesa e nessuno ascolta il suo urlo di dolore. Il popolo di Burqa si è trattenuto per molto tempo. Avevano la speranza che il loro approccio pacifico sarebbe stato colto dai governanti, i quali avrebbero almeno messo fine ad un peggioramento delle cose se non proprio al risarcimento delle ingiustizie. Domani (18-11-13) alle 15.00 ci sarà un meeting a Burqa con i rappresentanti dei villaggi vicini di Dir Dibwan, Ein Yabrud e Bitin. Ci hanno invitato come Anarchici Contro il Muro. ================================= lan Shalif http://ilanisagainstwalls.blogspot.com/ Anarchici Contro Il Muro http://www.awalls.org Traduzione a cura di FdCA - Ufficio Relazioni Internazionali

venerdì 15 novembre 2013

coordinare la solidarietà dei territori a favore della vertenza electrolux

Car@ compagn@ anche e soprattutto in considerazione di quanto sta emergendo dal Comitato Aziendale Europeo Electrolux in corso a Berlino, in cui sta emergendo "la volontà esplicitata in modo chiaro dal top management della multinazionale, di voler spostare, in un futuro molto prossimo, investimenti e produzioni nei paesi a basso costo, condannando di fatto a chiusura gli stabilimenti italiani" ti invitiamo a partecipare alla riunione del Coordinamento dei Lavoratori in sostegno della lotta dei lavoratori Electrolux che si svolgerà mercoledì 20 novembre 2013 ore 20.30 a Sacile PN presso il CENTRO GIOVANI ZANCA in Viale Zancanaro 10 vicino palazzo Flangini-Biglia (per chi ha il navigatore: coordinate 45.955401,12.503833). Nella riunione si discuterà dell'organizzazione di specifiche iniziative per cercare di coordinare delegati di fabbrica, disoccupati, precari, giovani, pensionati poveri e cassintegrati delle province di Treviso e Pordenone nella la lotta delle lavoratrici e lavoratori dei due stabilimenti Electrolux di Susegana e Porcia. Non far mancare il tuo prezioso contributo alla discussione.

controculture : dal ribellismo alla sovversione ! tuttinpiedi

Sabato 16 Novembre alle h. 18 presso il tuttinpiedi documentario SkinHead Attitude ed a seguire dibattito tuttinpiedi@gmail.com

SOLIDARIETÀ AGLI IMPUTATI PER LA LOTTA ALLA BENNET DI ORIGGIO

Lunedì 7 ottobre 2013 sono riprese presso il Tribunale di Busto Arsizio le udienze del processo che vede imputati 20 compagne e compagni del sindacalismo di base e del Coordinamento di sostegno, solidali con la lotta dei lavoratori delle cooperative in appalto ai magazzini Bennet di Origgio iniziata nel mese di luglio del 2008 e durata diversi mesi. Una dura lotta autorganizzata, risultata vincente, che ha conquistato un deciso miglioramento delle condizioni salariali e normative, che ha rotto l'onnipresente condizione di sfruttamento e schiavitù presente negli appalti della logistica, che ha costretto la cooperativa datrice di lavoro a reintegrare un operaio arbitrariamente licenziato per l'adesione al sindacalismo di base e che ha visto tutti i lavoratori riappropriarsi di quanto negli anni sottratto loro in termini di diritti, salario e sicurezza. Intendiamo denunciare l'essenza prettamente politica delle accuse contestate a un intero movimento di sostegno delle lotte dei lavoratori delle cooperative che, proprio a partire dalla lotta di Origgio del 2008, si è sviluppato e radicato nell'intero settore della logistica e della distribuzione italiano, confrontandosi con un sistema fondato su rapporti di lavoro schiavistici e di sfruttamento dove il caporalato (più o meno legale) disciplina in maniera fortemente autoritaria la manodopera impiegata. Non è un caso che le comunicazioni di rinvio a giudizio siano arrivate dopo tre anni e mezzo dagli scioperi di Origgio, proprio mentre si stavano diffondendo le lotte dei lavoratori nel settore della logistica (Esselunga, Ortomercato Milano, il Gigante, DHL), con accuse pretestuose per intimidire i lavoratori e i solidali. A ciò si aggiunge, durante le prime udienze del processo in corso, anche la costituzione di parte civile di Bennet, dell'Italtrans e delle cooperative appaltatrici con richieste di risarcimento del mancato guadagno durante gli scioperi, come monito e deterrente ulteriore per le lotte in corso. La logistica è divenuto un sistema sempre più centrale e strategico per l'economia italiana, nel quale l'accumulazione del profitto e la valorizzazione del capitale impiegato da committenti e appaltatori sono il risultato di ritmi di lavoro disumani, della pressoché totale assenza di sicurezza e dell'assoluta precarietà dei rapporti di lavoro. Ma è proprio in tale contesto che i lavoratori addetti hanno costruito un percorso autorganizzato nel quale si riconoscono quali protagonisti diretti per la rivendicazione dei propri diritti, nel quale l'unità e la solidarietà tra lavoratori, seppur di diversi poli e con differenti committenti, è perseguita e praticata nel riconoscersi parte attiva di una medesima classe. Ecco allora che le lotte degli operai della logistica, soprattutto se immigrati ricattati dalla necessità del Permesso di Soggiorno, assumono un valore strategico sia per tutti i lavoratori che per lo Stato, per i padroni, per le multinazionali che sullo sfruttamento intensivo di questa forza lavoro costruiscono le proprie strategie politiche ed economiche. Sono questi gli strumenti che, nell'attuale momento di acuta crisi strutturale del capitalismo, rivelano in tutta la sua brutalità l'aggressione di classe portata dal padronato: peggioramento delle condizioni di lavoro, ricatti, licenziamenti politici, pestaggi della polizia, violenza da parte di capi, capetti e caporali, fogli di via, uso strumentale e complice della Commissione di Garanzia per l'arbitraria estensione degli stringenti limiti imposti dalla legge sullo sciopero nei servizi essenziali (cd. legge antisciopero) anche alle operazioni di movimentazione merci. Come sempre, non si tratta affatto di una “tragedia inevitabile”, ma di una chiara e complessiva scelta strategica dei padroni e dello Stato per ottenere sempre più profitto e superare la crisi mantenendo intatti il loro potere e la loro ricchezza. Tutto ciò con l'esiziale connivenza dei sindacati concertativi (CGIL in testa) esemplificata, in tutta la sua dirompenza, nel recente accordo interconfederale sulla rappresentanza che regolamenterà, con una decisa stretta in senso autoritario, le procedure per la sottoscrizione dei contratti collettivi e la costituzione delle rappresentanze aziendali escludendo dalla formazione i sindacati non firmatari e le organizzazioni dissenzienti e prevedendo sanzioni per scioperi e azioni di contrasto agli accordi raggiunti. E' quindi evidente che questa lotta, come le numerose altre che si sono succedute in questi anni, non potevano che determinare anche la reazione violenta di un padronato colpito nel proprio comando assoluto sulla forza lavoro. Risposta che non poteva peraltro ottenere che complicità, appoggio e sostegno dalle forze di polizia contro i lavoratori e contro chi pratica in maniera militante la solidarietà di classe. Rimaniamo convinti che, in una fase di crisi strutturale dell'economia capitalista, ogni conflitto sia da valorizzare e generalizzare per sviluppare un'alternativa reale alla società capitalista . NO ALLE NUOVE SCHIAVITÙ CONTRO IL RAZZISMO PADRONALE E DI STATO CONTRO LA CRIMINALIZZAZIONE DI CHI LOTTA CONTRO L'ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO A SOSTEGNO DI TUTTE LE LOTTE DEI LAVORATORI DELLE COOPERATIVE LA SOLIDARIETÀ È UN'ARMA, USIAMOLA! PRESIDIO al TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO durante le udienze nei giorni: lunedì 18 novembre ore 10,30/12,30 lunedì 2 dicembre ore 9,30/11,30 lunedì 16 dicembre ore 12 Adesioni Assemblea delle realtà di movimento della provincia di Varese; Coordinamento di sostegno alle lotte dei lavoratori delle cooperative; S.I. Cobas; La Sciloria; CSA Vittoria; CUB Reggio Emilia; Sin Base Genova; Confederazione Cobas Pisa; Cobas scuola Varese; Laboratorio Iskra Napoli; Coc - Comunisti per l'organizzazione di classe; Partito Comunista dei lavoratori; Collettivo Lanterna Rossa di Genova; Clash City Worker; Cobas Scuola Milano; CSA Dordoni di Cremona; Unione Sindacale Italiana USI – AIT; Federazione Anarchica Milanese-FAI; G.C.R.Gruppo Comunista Rivoluzionario; Centro Sociale La Forgia di Crema; Laboratorio Crash di Bologna; Libreria Calusca e Archivio Primo Moroni di Milano; A.L.Cobas-Cub Varese

Democrazia o anarchia ?

incontro con Francesco Codello dirigente scolastico introduce Elis Fraccaro Laboratorio Libertario Quali sono le origini della democrazia, quali quelle dell’anarchia? Democrazia e anarchia sono tra loro compatibili? Che differenze esistono tra le idee originarie e le pratiche contemporanee? Queste solo alcune delle domande che vengono discusse in questo incontro, a partire da alcune considerazioni storiche ma, soprattutto, dalle forme che, in paricolar modo, la democrazia ha assunto nel corso del tempo passato ma anche recente. Insomma è possibile pensare un al là della democrazia (l’anarchia) oppure dobbiamo rassegnarci a quella che è stata definita la fine della storia? Dietro la crisi delle democrazia c’è solo rassegnazione oppure è possibile cogliere una sorta di resistenza passiva tendente a proporre, magari sottovoce, una nuova forma di convivenza libertaria? Ci aiuteranno in questa ricerca, peraltro quanto mai aperta e provvisoria, le voci di diversi pensatori provenienti da culture variegate e soprattutto la nostra disponibilità alla riflessione antidogmatica e pluralista. sabato 16 novembre 2013 ore 17,30 Ateneo degli Imperfetti Via Bottenigo 209 / Marghera VE

mercoledì 13 novembre 2013

La montagna e il topolino - comunicato della Commissione Sindacale della FdCA

Sullo sciopero CGIL-CISL-UIL del 14 novembre Semplice liquidare l'indizione di quattro ore di sciopero, in una situazione come quella attuale, con poche righe di commento comprensivo della dovuta dose di ironia e di roboanti accuse al perpetuarsi del tradimento sindacale e in particolare di marca CGIL. Semplice e corretto da un punto di vista di analisi ma servirebbe a ben poco e non sposterebbe alcunchè. Lo sciopero ben inteso non serve a nulla, è sbagliato nei tempi, nella sua organizzazione ma soprattutto nei suoi contenuti, non è inserito in un qualsivoglia progetto sindacale e quindi non avrà alcuna continuità logica come, data la situazione, qualsiasi azione sindacale a maggior ragione se di carattere generale dovrebbe avere. Per di più, con la scusa di rincorrere, o nascondersi dietro, una parvenza di unità sindacale ormai inesistente non solo pare riguardare solo la legge di stabilità a fronte del dramma che vive un numero sempre maggiore di proletari, ma azzoppa di fatto (basta pensare alla mancata estensione all'intero turno per i dipendenti pubblici) qualunque reale possibilità di partecipazione non solo simbolica di delegati e funzionari. Uno sciopero simbolico, quindi, nella più generosa delle interpretazioni, contro una legge di stabilità che come al solito insiste nel taglieggiare i soliti noti, i lavoratori dipendenti, nella speranza che l'unico interlocutore di riferimento, il parlamento , si impietosisca e ascolti i sindacati. La stessa squallida logica che ha portato alla capitolazione nel capitolo precedente, dove abbiamo perso senza battere ciglio le battaglie e sulle pensioni, sul mercato del lavoro, art.18. Eppure sappiamo che nonostante il disagio dei lavoratori e dei delegati a questo sciopero e alle manifestazioni, parteciperanno decine di migliaia di lavoratori e pensionati, disposti ad accontentarsi almeno di questo, con cui avere a che fare per sostenere e costruire iniziative che partano dai territori e si estendano a livello generale, che abbiano come punti immediati il blocco dei licenziamenti, il finanziamento degli ammortizzatori sociali estendendoli a tutti i lavoratori in difficoltà, la battaglia contro la precarietà, la riduzione del prelievo fiscale a carico dei lavoratori, i diritti fondamentali (casa, salute, trasporti), i punti essenziali per impostare immediatamente una battaglia condivisa e credibile. Commissione Sindacale FdCA - 12/12/2013

lunedì 4 novembre 2013

COMITATO SALUTE PIBBLICA DI PORDENONE : incontro con la cittadinanza . dubbi timori e proposte sull'ospedale di via montereale . COME VORREMMO UNA SANITA' PUBBLICA EQUA ED EFFICACE?

Il 7 novembre, il Comitato Salute PUBBLICA Bene Comune, incontra i cittadini residenti nel quartiere ospedale. L'obiettivo è avviare una pratica partecipativa sulla progettazione della sanità e delle sue strutture, attraverso l'informazione, il confronto e la condivisione. ore 20 e 30 oratorio chiesa sacro cuore refendumospedale@gmail.com

Appello Marlane Marzotto,contro il silenzio mediatico aderite anche qui

Diamo spazio e aderiamo a un appello sul caso Marlane Marzotto, da sempre seguito localmente (solo?) dai nostri media. A breve i promotori dell'appello comunicheranno la pagina Facebook su cui aderire. Chi lo volese fare immediatamente invii a cittadini@vicenzapiu.com una mail con oggetto: "aderisco all'appello Marlane Marzotto pubblicato il 2 novembre su VicenzaPiu.com" e nel testo inserisca i suoi dati. Grazie Il direttore Continua il silenzio mediatico sul processo Marlane-Marzotto di Praia a Mare. Un processo che vede imputati proprietari e dirigenti della Marlane, della Lanerossi e della Marzotto difesi da avvocati molto famosi. Gli imputati eccellenti sono accusati di reati quali omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime, disastro ambientale. Sono più di quindici anni che si chiede il diritto costituzionale ad ottenere giustizia per quanto accaduto nello stabilimento calabrese di proprietà prima della Lanerossi e, infine, della Marzotto. Sono più di quindici anni che si tenta di rompere la coltre di omertà e indifferenza che ha nascosto la vicenda e che ha permesso di trascinare il processo per tutti questi lunghissimi anni. I fatti raccontano che tra i circa mille operai che hanno lavorato nello stabilimento Marlane di Praia a Mare, moltissimi si sono ammalati di tumore e decine sono morti (per alcune stime attendibili, le vittime, sono oltre cento). Una percentuale altissima. I fatti raccontano di un grave inquinamento riscontrato nei pressi dello stabilimento calabrese. Un inquinamento tale da iscrivere il sito tra quelli da bonificare quanto prima. I fatti raccontano di innumerevoli tentativi, da parte degli avvocati che difendono gli imputati eccellenti, di rinviare il processo, di sospenderlo, di non farlo svolgere, di arrivare alla prescrizione. I fatti, oggi, raccontano di proposte di patteggiamento rivolte ai parenti delle vittime che si sono costituiti parte civile ai quali viene richiesto di accettare qualche migliaio di euro in cambio del loro ritiro dal processo. Una pressante richiesta di accordo che evidenzia la volontà di sfruttare la rassegnazione e le necessità materiali delle vittime per ottenere in cambio una sorta di "perdono", i vantaggi processuali che ne deriverebbero e, soprattutto, quelle attenuanti che porterebbero ad una probabile diminuzione dei tempi necessari per la prescrizione. Questi sono i fatti. Fatti volutamente ignorati dai più diffusi mezzi di informazione nazionali che si sono limitati a qualche sporadica notizia spesso di difficile comprensione. Così, grazie alla mancanza di informazione (rotta solo dalla caparbietà e dal coraggio di qualche lavoratore sopravvissuto, di qualche sindacato considerato "minore", di qualche associazione ambientalista, di qualche piccolo partito, di qualche giornale a diffusione locale), si conosce poco o nulla di quello che è successo nella Marlane-Marzotto e del processo che si sta svolgendo presso il tribunale di Paola. Noi riteniamo che oggi sia compito soprattutto di chi non è direttamente e personalmente coinvolto nel processo (e che, quindi, non deve decidere se accettare o meno il patteggiamento proposto) esigere che si sappia la verità su cosa è successo nello stabilimento di Praia a Mare e che venga fatta giustizia per quella che è, nei fatti, una delle più grandi e dimenticate tragedie del lavoro avvenuta nel nostro paese. Chiediamo al quelle forze politiche che sono state fino ad oggi silenziose ed assenti, alle associazioni democratiche, alle maggiori organizzazioni sindacali troppo spesso indifferenti, a tutti i cittadini di uscire dal torpore e far sentire la propria indignazione per quanto successo alla Marlane. Chiediamo a tutti di firmare il presente appello per conoscere la verità e ottenere finalmente quella giustizia finora negata alle vittime della Marlane-Marzotto di Praia a Mare. http://www.schiothienepiu.com/leggi/appello-marlane-marzotto-contro-il-silenzio-mediatico-aderite-qui?fb_action_ids=652435794801040&fb_action_types=og.likes&fb_ref=.UnS5xfo4hvU.like&fb_source=aggregation&fb_aggregation_id=288381481237582

Lettera aperta sull'antisessismo

riceviamo e volentieri pubblichiamo . da NEWSLETTER CSA VITTORIA-Milano via Friuli ang. Muratori 43 www.csavittoria.org info@csavittoria.org Come compagne e compagni del C.S.A. Vittoria sentiamo l'esigenza di riprendere un ragionamento che sottolinei la centralità, all'interno del conflitto di classe e della primaria contraddizione tra capitale lavoro, di una presa di coscienza collettiva sul tema del sessimo che, anche negli ambiti del cosiddetto movimento e delle realtà politiche che si pongono quali rivoluzionarie, è troppo spesso marginalizzato. Riteniamo infatti che non rimettere in discussione questo aspetto specifico dello scontro rappresenti un arretramento teorico all’interno di tutti i nostri ambiti di lotta. Siamo consapevoli che questo sarà un documento parziale rispetto a tutto quel mondo di sfruttamento, discriminazione e oppressione che le donne subiscono, come del resto non è nostra intenzione impartire alcuna lezione a nessuno. Ci interessa, invece, riprendere contenuti fondamentali, che sempre ci sono appartenuti e che le donne hanno imposto all’ordine del giorno con tanta fatica e determinazione in quei percorsi dai quali nasciamo e ai quali ci riferiamo ripetutamente, è oggi imprescindibile e improcrastinabile. Pensiamo a un mondo nuovo senza più sfruttati né sfruttatori, senza classi, frontiere, o discriminazioni di genere o fondate su presunte idee di razze differenti. Una nuova società che in tutti i suoi aspetti dovrà per forza di cose essere femminista, scevra da discriminazioni basate sul sesso nella quale l'altra “metà del cielo” sarà a pieno titolo il cielo stesso in una completa parità di aspirazioni, bisogni, dignità nelle differenze. Questi sono i contenuti che dovrebbero caratterizzare ogni nostra lotta che si tratti di picchetti, comunicati, assemblee e chiaccherate: perché è questo essere comunisti/e militanti. Ma ancora una volta siamo purtroppo costretti e costrette nelle assemblee, nelle riunioni, nei picchettaggi e nelle manifestazioni a sentire un linguaggio sessista e omofobo: dai crumiri definiti froci senza che questo infastidisca i/le presenti (che invece si indignano e si scandalizzano solo per epiteti razzisti tra etnie differenti, ma che accettano come normali parole che esprimono discriminazione sessuale); ai cori “figli di puttana” urlati contro le forze del disordine, pessima abitudine che si era riusciti ad estirpare dai cortei ma che purtroppo si ripropone. Non ci possiamo infatti permettere, in nessuna situazione, di abdicare dal nostro ruolo politico di sviluppare la crescita collettiva e di formazione dialettica per superare i troppi retaggi culturali sessisti che permangono tra i lavoratori e lavoratrici, nel mondo della scuola, nel movimento antagonista in genere. Non è sicuramente una questione di moralismo, di buona educazione o di offesa personale, né soprattutto riguarda solo i compagni: troppe volte sentiamo infatti anche le compagne esprimersi con il linguaggio dei padroni, assimilare un linguaggio storicamente costruito per l’uomo e dall’uomo. “Puttana, figli di puttana, mettiamoglielo nel culo, dimostriamo di avere i coglioni” fanno parte, a pari merito, di un linguaggio che racconta una società patriarcale nella quale una parte sta su un gradino più alto dell’altra. Racconta una società dove le donne vivono un doppio sfruttamento come classe e come genere. Il linguaggio, come ben sappiamo, è lo strumento simbolico di rappresentazione del potere, della cultura, dell’educazione, della politica e dell’economia di una società. Identificare il nemico come un “figlio di puttana” è sbagliato perché attraverso il linguaggio si perpetua questa società che fa del patriarcato uno strumento di oppressione delle donne, esattamente come il capitalismo è strumento di oppressione della classe lavoratrice. La tragedia di Lampedusa, il razzismo di stato e gli interessi del capitalismo italiano ed europeo che ne sono stati causa, sono ancora sotto gli occhi di tutti e di tutte. Ma i morti di Lampedusa, questi nostri “fratelli” e tutti gli altri che attraversano il mare, non sono solo degli strumenti per il capitalismo, su quei barconi ci sono anche quelle “sorelle” che poi verranno spesso sfruttate e buttate sulla strada, le tante vituperate “puttane” che vediamo sui nostri marciapiedi, il cui corpo è violentato e umiliato per il piacere maschile. Ma di loro poco si parla se non per fare qualche servizio televisivo che propone l’argomento come il lato oscuro del sesso o ancor peggio qualcosa di “trasgressivo”, ammiccante o pruriginoso. E poco interessa se l'oppressione e lo sfruttamento delle donne fa sempre parte di un'economia capitalistica che sopravvive anche grazie ai profitti accumulati in maniera criminale (parte integrante di questo sistema), e se il patriarcato è ancora un utile strumento per obbligare le donne a sopperire a uno stato sociale che non esiste più e a ingrossare le file dell'esercito di riserva. E quelle donne siamo tutte noi, perché da quando nasciamo a quando moriamo la parola che ci contraddistingue come donne è sempre quella…puttana se sei suora, puttana se attraversi la strada senza guardare il semaforo, puttana se ti hanno violentato, puttana se non ti hanno mai violentato (ma è chiaro che ti piacerebbe), puttana se non fai sesso con qualcuno, puttana se lo fai con chi ti pare, puttana comunque perché quello deve essere il ruolo delle donne. E perché vorremo cancellare l’uso così diffuso di questa parola? Perché si usa “puttana” per umiliare, per ricordare sempre qual è il nostro ruolo nella società e perché la violenza sulle donne non è solo stupro, omicidio, abusi è anche un sistema pubblico e privato fatto di parole, di gesti, di significati e di immagini che impediscono la libera autodeterminazione delle donne. Il progressivo deterioramento dei rapporti umani e sociali ci fa oggettivamente affermare che la società italiana sia oggi permeata da una sorta di assimilazione della corruzione berlusconiana e caratterizzata da un introiettamento di elementi comportamtali e dis-valori da cui anche probabilmente molti compagni e compagne, al di là della professione di comunismo, non sono esenti e questo ad oggi ci fa pensare come non sia più possibile dare nulla per scontato. In questa fase particolare dove l'assassinio di donne, per odio e senso di possesso, è cosi diffuso a tal punto da dover coniare il nuovo vocabolo “femminicidio”, l'uso di un linguaggio che separa, differenzia e inchioda a ruoli, assume una gravità ancora maggiore perché non rappresenta un impegno nel trasformare il presente. Non stiamo dicendo nulla di nuovo, ma di necessario, visto che se anche è vero che il movimento lo ha posto troppe volte come tema di serie B e se gran parte dei movimenti femministi annacquano contenuti radicali e rivoluzionari per essere accettati e sopravvivere cercando il consenso degli uomini, oppure si accontentano di rimanere chiusi in accademie o in linguaggi incomprensibili per molte; è anche vero che milioni di donne vivono oggi la stessa oppressione, le stesse sofferenze, le stesse paure di prima dei movimenti degli anni '70, e ogni donna, benché non lo esprima o usi questa parola, sente una ferita profonda tutte le volte che qualcuno gliela rivolge contro. Siamo consapevoli che leggendo questo documento molti penseranno “ecco la solita rottura” e, ancora una volta, relegheranno questo contenuto alla semplice fissazione di compagne isteriche, bacchettone, bigotte e molto probabilmente represse che non hanno altro a cui pensare che riprendere contenuti che dovrebbero essere scontati. Qualcun altro penserà che tanto sono solo parole, che è solo un'abitudine, che non si può certo imporre un modo di parlare, soprattutto quando è considerato un gergo “normale” che si usa dappertutto e in tutte le strade: si tratta pur sempre di libertà di pensiero… Ma crediamo che continuare a non criticare l'uso di un linguaggio sessista esprima la volontà di non discutere, anche dal punto di vista personale, le contraddizioni di un sistema atavico di privilegio maschile o ancora peggio che escluda un reale rapporto con le masse perché troppo critici o esigenti. Noi abbiamo fatto una scelta di campo, convinti che un nostro ruolo collettivo abbia senso compiuto solo se ci si assume anche la responsabilità di dare un indirizzo complessivo e questo comprende a pieno titolo l'antisessismo. Questo ci ha portato, con rigore dialettico, a far rispettare la nostra impostazione e a imporre, in ogni momento, comprese le serate “ludiche” nel nostro centro, comportamenti consoni ad uno spazio che si pone su un terreno anticapitalista a 360° fino a interrompere concerti e a far volare sonori ceffoni a chi su questa scelta non era disposto neanche a mettersi in discussione. E questo ti fa perdere “l'uno in più” ma ti fa privilegiare la qualità dei rapporti. E questo è molto “scomodo” perché, opportunisticamente, si fa prima a girarsi dall'altra parte, a far finta di niente, perché si passa per moralisti e rigidi anziché rigorosi ma la responsabilità di tutti noi che crediamo di essere “avanguardia rivoluzionaria”, e che scegliamo di combattere questo sistema, è anche e soprattutto quella di costruire nella quotidianità uomini e donne nuove per una reale emancipazione senza la quale ogni nuovo processo rivoluzionario nascerebbe monco. Non c'è rivoluzione senza liberazione delle donne – Non c'è liberazione delle donne senza rivoluzione Le compagne e i compagni del Centro Sociale Autogestito Vittoria. Ottobre 2013

IX Congresso Nazionale della FdCA

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1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)