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per giulio

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lunedì 27 aprile 2020

#4 Contro i Virus del Capitalismo, per l'Ecologia Sociale
























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La situazione attuale caratterizzata da questa nuova pandemia mette definitivamente a nudo le responsabilità e l'insostenibilità del sistema dominante di produrre, consumare e governare la società umana e il pianeta: capitalismo consumistico e finanziario da una parte e democrazie e totalitarismi più o meno spinti dall'altra, in una stretta relazione che vede le seconde sempre più a servizio delle prime.
Cambiamenti climatici, distruzione degli ecosistemi per lasciare spazio a coltivazioni ed allevamenti intensivi, inquinamento di aria, acqua e suolo, desertificazione, consumo di risorse e produzione di rifiuti oltre la capacità di carico della terra, fame nei paesi poveri e malnutrizione nei paesi ricchi, sfruttamento, disoccupazione, impoverimento e diseguaglianze sociali che interessano fasce sempre più ampie di popolazione, sono la diretta conseguenze di un sistema economico orientato alla perenne ricerca di profitto, in una logica di crescita infinita dei consumi, e di azioni di governo che curano gli interessi di pochi capitalisti, spesso organizzati in società multinazionali a scapito dei cittadini e dell'ambiente in cui vivono.
Anche in riferimento alla pandemia che stiamo vivendo, è ormai da tempo dimostrata la stretta relazione tra la distruzione degli habitat naturali, dovuti all'indiscriminata espansione antropocentrica, per scopi agricoli, industriali ed urbani, e la diffusione di nuovi virus caratterizzati dal cosiddetto “spillover” o salto di specie, conseguenza di un contatto sempre più stretto con una fauna selvatica a cui sono stati tolti i propri spazi di sopravvivenza. L'epidemia di SARS del 2003 ne era già esempio.
La distruzione delle foreste pluviali, come quella Amazzonica, che da sola ospita il 10% delle specie animali esistenti e molte ancora sconosciute, per lasciare spazio alle monocolture di mais e soia, o la cattura e l'allevamento di animali selvatici da vendere vivi nei mercati in alcune zone della Cina, per soddisfare le credenze e il palato di un ceto benestante in forte espansione, sono solo due degli infiniti casi che recentemente hanno trovato l'attenzione dei media.
Inoltre, come dimostrano i report annuali di Lancet Countdown, un gruppo di ricerca interdisciplinare formato da oltre 120 ricercatori provenienti da tutti i continenti e il cui lavoro è coadiuvato da 35 tra università, enti di ricerca e agenzie delle Nazioni Unite, i cambiamenti climatici in atto, oltre alle note e gravi conseguenze ambientali e sociali condizioneranno pesantemente anche lo stato di salute degli esseri umani.
L'innalzamento della temperatura favorirà la diffusione di malattie infettive e microrganismi e aumenteranno i morti per esposizione a polveri sottili dovute all'inquinamento atmosferico, come riportato anche in uno studio redatto dall'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) che vede l’Italia, con 14.600 decessi, in prima posizione per morti precoci da biossido di azoto e seconda, con 58.000 decessi, per quelli causati dall’eccesso di particolato.
Queste non sono scoperte dell'ultimo minuto, e anche per il COVID-19, la comparsa di una nuova infezione su scala planetaria era già stata prevista da più studi scientifici a livello internazionale; già più di un anno fa alcuni scienziati cinesi lo ipotizzarono mettendo in rapporto le epidemie zoonotiche avvenute negli ultimi decenni e le cause da cui derivarono; nel 2018 un gruppo di ricerca dell'OMS avvisò dello sviluppo di una malattia X con le caratteristiche della pandemia in corso e il CSIS (Center for strategical and international studies) con sede a Washington, l'ottobre scorso, informò il governo statunitense del pericolo imminente, ricostruendone perfino una simulazione.
Ma, nonostante i ripetuti avvertimenti, i governi non hanno preso alcun provvedimento preventivo, men che meno in Italia, dove il sistema sanitario, smantellato dai tagli delle politiche neoliberiste, era già praticamente ridotto all'osso.
Eppure i piani pandemici erano stati redatti da tempo e prevedevano una lunga serie di interventi, tra i quali il monitoraggio delle strutture sanitarie a garanzia dell'accessibilità alle cure. Tuttavia le uniche misure adottate, in sostanza, hanno riguardato l'isolamento sociale (escluse le fabbriche del nord dove i lavoratori sono stati vergognosamente sacrificati al capitale con le conseguenze viste in Lombardia), e il conseguente stato di polizia, che rischia di fare da anticamera a derive autoritarie ed ad una gestione militarizzata della società, in un perpetuo stato di emergenza, vero o presunto che sia.
Comunque, i provvedimenti riguardanti la salute dei cittadini e la tutela dell'ambiente restano disattesi in ogni ambito. Sui luoghi di lavoro dove incidenti mortali, infortuni e malattie professionali continuano ad aumentare nonostante la normativa sulla sicurezza, che dopo decenni si dimostra un completo fallimento; nelle aree urbane ed industriali, abitate da più del 50% della popolazione mondiale, con picchi del 70-80% negli USA ed in Europa, condannata a vivere in un ambiente estremamente inquinato, contro il quale non viene presa alcuna misura che abbia un'efficacia strutturale e, tanto per restare in Italia, i drammatici rapporti annuali dell'ISPRA entrano i conflitto con gli accomodanti controlli effettuati dell'Arpa.
Stesso discorso per le aree rurali, con una agricoltura ad alto uso di concimi e pesticidi che, oltre ad inquinare le falde acquifere e desertificare il suolo, opera sempre più a ridosso delle aree abitate, vedi l'esempio del prosecco nel Veneto o delle mele in Trentino; anche nell'ambito agroalimentare, in mano a poche e potenti multinazionali, il cibo è trattato alla stregua di una merce, soggetta a logiche produttivistiche, consumistiche e speculative, a scapito della qualità e salubrità degli alimenti e in assenza di alcun programma di educazione alimentare. Per cui ciò che dovrebbe essere un diritto universale è trasformato in una delle maggiori fonti di profitto per pochi, con la complicità delle istituzioni. Come nel caso dell'EFSA, l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, che per le sue valutazioni utilizza i dati forniti dalle multinazionali stesse.
In merito alle periodiche Conferenze sul clima, le cosiddette COP n°, dal Protocollo di Kyoto del 1997 in poi sono risultate una serie di costosi, ipocriti ed inconcludenti congressi, come dimostra l'ultimo fallimento della COP25 di Madrid, in cui, sotto la pressione delle lobbies economiche, gli Stati non hanno trovato gli accordi sul mercato del carbonio.
Ma le gravi conseguenze ambientali dell'attuale modello di sviluppo, sono ormai innegabili e da tempo viene sostenuta da più parti la necessità di una conversione ecologica dell'economia. Le associazioni ambientaliste “istituzionali” (Legambiente, WWF, ecc.) lo propongono da decenni e il problema è stato riconosciuto ufficialmente a livello internazionale con la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, nel giugno 2012. 
Tuttavia, dagli indirizzi che governi e istituzioni hanno impartito alla cosiddetta “green economy,” risulta chiaro che non si tratta di una soluzione, ma di un intervento di politica neoliberale, interno al capitalismo, come risposta alla crisi finanziaria, con la generazione di nuovi mercati, che andrà a beneficio degli stessi che hanno generato il problema. 
Infatti lo sviluppo di tale economia è assegnato alle istituzioni finanziarie e al capitale privato che, in un ottica di mercificazione del capitale naturale e spartizione delle quote del carbonio, lascia in mano al mercato globalizzato il compito di realizzare la neorivoluzione verde. Questo, con la complicità di governi più o meno democratici e più o meno corrotti, incrementerà la privatizzazione di beni comuni come terra, acqua, cibo, risorse energetiche ed ambientali, seppellendo definitivamente i diritti umani ed ambientali dei popoli. 
La ”green economy” non può essere una soluzione perché non mette in discussione il modello economico dominante basato su un’irrazionale produzione di merci, conseguenza dell'idolatrata crescita economica infinita del capitalismo, assunta a dogma unico da ogni governo sulla terra.
Siamo tornati, dunque al punto di partenza.
Ora come non mai, è evidente che le crisi ambientali, economiche, sociali e politiche che imperversano sull'intero pianeta, sono in strettissima relazione tra loro e hanno un bisogno urgente di essere risolte. Ma non possiamo più fidarci di chi ha generato il problema, sarebbe come chiedere alla volpe di proteggere il pollaio.
Non possiamo chiederlo alle istituzioni ipocritamente democratiche o più o meno totalitarie che fanno gli interessi di un capitalismo sempre più predatorio di risorse ambientali ed umane. 
Non possiamo delegarlo ai sindacati di Stato, che da decenni perseguono istanze concertative del tutto favorevoli agli interessi dei padroni capitalisti, a scapito dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, delle condizioni di vita sui luoghi di lavoro e della tutela dell'ambiente.
Non possiamo nemmeno fidarci dell'ambientalismo istituzionale, incline da tempo a mediare le proprie istanze al fine di ottenere delle corsie preferenziali di finanziamento pubblico e delle poltrone negli apparati politico/istituzionali, non mettendo in discussione il sistema capitalista ma promuovendo una green economy ipocrita ed irrealizzabile.
Ora, in merito all'attuale crisi sanitaria globale dilaga il motto che “andrà tutto bene e tutto tornerà come prima”. Ebbene questa è l'ennesima balla che ci stanno raccontando per predisporci ad accettare le inevitabili conseguenze sociali ed economiche che peseranno ancora una volta su noi tutte e tutti, sulle classi più deboli e sullo sfruttamento dell'ambiente che dovrà essere sacrificato all'altare della ripresa economica.
Come nulla sarà come prima, diverse dovranno essere anche le nostre risposte, con lotte e rivendicazioni ancora più incisive e capillari, in ogni quartiere, su ogni territorio e nei luoghi di lavoro.
Dovranno essere diverse anche nelle modalità, organizzandole dal basso, rifiutando il verticismo gerarchico e la delega, in forme autogestite, con la creazione di reti di mutuo appoggio.
Diverse anche nei principi, riconoscendo una volta per tutte che la difesa dell'ambiente non si può disgiungere dalla lotta per una società equa e solidale e viceversa. 
L'ambientalismo è lotta di classe, degli e delle sfruttat* contro gli sfruttatori e le sfruttatrici. L'Ecologia Sociale dovrà essere il nostro principio ispiratore, contro il capitalismo e la falsa democrazia, per un mondo in cui dovrà sparire ogni forma di dominio: dell'uomo sull'uomo, dell’uomo sulla donna e dell'uomo/donna sulla natura.
Iniziativa Libertaria - Pordenone

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