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martedì 21 aprile 2020

CORSO GIULIO CESARE




















continua sulla paghina di sezione

Benché i fatti accaduti ieri a Torino siano in gran parte da decifrare, una riflessione su di essi e sulla situazione generale si impone.
Ieri a Torino, in corso Giulio Cesare, la polizia è intervenuta per arrestare due scippatori. Una parte del quartiere ha solidarizzato con le forze dell'ordine mentre un'altra parte è scesa in strada per contestare l'operazione di polizia, in particolare per i modi brutali con i quali si è svolta e che ha portato anche al fermo di quattro persone che con lo scippo non avevano avuto nulla a che fare.
Al di là della motivazione dell'intervento della polizia (non difendiamo noi certo lo scippo né come mezzo per guadagnarsi da vivere né, tanto meno, come strumento rivoluzionario), ci vogliamo concentrare da un punto di vista sociale su quanto è accaduto. Le persone scese in strada - tra le quali anche alcuni occupanti di case del quartiere - hanno certamente contestato l'operato della polizia, sollevando però alcune questioni che vale la pena di approfondire.
Nella "chiamata in strada" da parte dei manifestanti in spregio alle norme di isolamento sociale imposte dai ripetuti e sempre più restrittivi DPCM, si è sentito chiaro il riferimento al problema sociale causato da queste stesse norme.
Un isolamento sociale così prolungato produce non solo problemi di alienazione e di relazioni all'interno di abitazioni spesso piccole e senza "sfoghi" esterni come balconi, terrazzi e giardini, ma mette addirittura in pericolo le persone - parliamo di appartenenti alla classe media proletarizzata ed a settori sempre più ampi di proletariato "lumpizzato" - che non hanno redditi sicuri e che, se non lavorano almeno in forma precaria o in nero, non ne hanno affatto, le quali pur tuttavia devono continuare a pagare affitti, utenze, comprare cibo e quant'altro serva per vivere.
Il governo, per coprire inefficienze sue e di quelli che l'hanno preceduto in 30 anni di progressivo smantellamento della sanità pubblica, dall'inizio dell'emergenza sanitaria sta scaricando sui lavoratori e sui cittadini l'inadeguatezza del sistema sanitario italiano mediante l'isolamento sociale. Il messaggio è chiaro, per chi lo sa decodificare: state a casa perché non siamo in grado di curarvi. O meglio, state a casa e uscite solo per andare a lavorare nelle attività - essenziali o inessenziali - che noi abbiamo individuato.
Nel Paese in cui, all'inizio dell'emergenza, c'erano solo 5060 posti in terapia intensiva per 60 milioni di abitanti, in cui lo Stato, attraverso le Regioni, sovvenziona la sanità privata, alla fine il conto lo presentano sempre ai soliti noti.
Ma c'è chi il conto lo paga più salato e sono quelli che non hanno redditi sicuri, pensioni sicure, che non hanno risparmi, "ammortizzatori familiari", che non possono contare nemmeno su scarsissimi ed insufficienti ammortizzatori sociali. Istat fotografa la situazione attuale del Paese con una platea di 3,7 milioni di lavoratori irregolari, in nero. Crescono i contratti e tempo determinato (oggi sono 3 milioni e 130 mila) e i lavoratori indipendenti, mentre sono in calo gli occupati a tempo indeterminato. Rispetto al 2017 i lavoratori a termine sono cresciuti di 257 mila unità e di quelli autonomi di 34 mila unità, mentre i lavoratori a tempo indeterminato suono scesi - anno dopo anno - di 88 mila unità. L’Istat evidenzia che nei 12 mesi la crescita occupazionale si concentra ancora fortemente tra i lavoratori a termine (+8,9%), mentre calano quelli permanenti (0,6%). Fonte Il Sole 24 Ore, quotidiano confindustriale.
Siamo in presenza di un lavoro sommerso in crescita, di forme di autosfruttamento dei lavoratori a partita iva - definiti eufemisticamente "indipendenti" -, di un impoverimento generalizzato e diffuso e di continui aumenti del costo della vita.
Siamo in presenza di una precarizzazione estrema del lavoro, che si accompagna a bassi salari e scarsissime - quando non inesistenti - tutele normative e sociali. I proletari oggi non possono uscire di casa nemmeno per guadagnare quel poco che li faceva stare, in condizioni normali, appena al di sopra della soglia della povertà.
E' chiaro, allora, che di fronte a questo quadro di lavoro nero e precarietà, alle promesse governative non mantenute di contributi e sostegni al reddito e dopo oltre 40 giorni di quarantena - peraltro di dubbia utilità -, si comincino a manifestare i primi segnali di rabbia proletaria. Già le proteste accompagnate da spese non pagate di alcuni giorni fa in alcuni supermercati discount del sud erano stati indicatori significativi di una situazione ormai insostenibile. Il governo aveva avuto buon gioco a derubricare quegli episodi come ispirati ed organizzati dalle mafie locali ma la spiegazione, ovviamente, non è così semplice.
A fronte dell'imbarbarimento sociale prodotto dalla gestione dell'emergenza, con il "popolo dei balconi" in veste di delatore ed anche, talvolta, di aggressore di quanti escono di casa per i motivi più disparati; a fronte dello spiegamento - con tanto di tecnologie e strumenti innovativi ed invasivi - delle forze repressive contro comportamenti individuali giudicati trasgressivi; a fronte dei diktat di Confindustria, che il governo recepisce lasciando aperte attività produttive non essenziali - tra le quali spiccano quelle del settore armiero e militare - e logistiche, i segnali di insofferenza delle classi subalterne si moltiplicano. Ed è normale che sia così. Ed è normale che le persone intervenute ieri, a Torino, abbiano chiamato gli abitanti di un quartiere proletario in strada. E' tanto normale che infatti lo stesso Viminale, nei giorni scorsi, aveva annunciato azioni di prevenzione e contrasto contro "fenomeni criminosi e di ogni forma di illegalità". Una formula vaga che vale per tutto e tutti, non certamente (solo) per la criminalità organizzata e le mafie.
Dobbiamo considerare episodi come quello di ieri a Torino come risposte emotive, parziali, non organizzate, ancora non politiche, ma inevitabili in una situazione sociale così potenzialmente esplosiva, in cui l'unica risposta da parte dello Stato ai bisogni dei ceti meno abbienti e non abbienti è polizia e militari nelle strade.

ALTERNATIVA LIBERTARIA / FDCA
Sez. "F. Salomone" Savona - Val Bormida - Cebano

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