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sabato 20 febbraio 2021

CARCERI: “IO NE HO VISTO COSE CHE VOI UMANI NON POTRESTE IMMAGINARE”

 di Carmelo Musumeci

In questi giorni, forse per ricordarmi da dove vengo, ho
dato un’occhiata ai miei diari che scrivevo dal carcere
e ho pensato di rendere pubblici alcuni brani. Non lo so
perché lo faccio, forse perché m’illudo di poter
seminare qualche dubbio in alcune persone che
pensano che chi fa del male ne deve ricevere
altrettanto. Forse semplicemente perché mi sento un
po' come un reduce di guerra e non riesco a scrollarmi
il carcere di dosso, perché spesso mi tornano alla mente
tutti i ventisette anni di carcere, con i periodi
d’isolamento, i trasferimenti punitivi, i ricoveri
all'ospedale per i prolungati scioperi della fame, le
celle di punizione, ecc. Se vi va leggete, perché spesso
in un prigioniero c’è un pezzo di cuore di ognuno di
noi:
“Oggi un compagno si è tagliato le vene... Tutto quel
sangue mi ha impressionato: la limitatezza e la fragilità
della natura umana in carcere è come uno specchio e ti
senti emotivamente coinvolto... Insomma non è come
vedere la sofferenza in televisione, è tutto molto più
brutto, più vero, più crudele...”
“Verso le 16.00 mi hanno chiamato in matricola ed ho
avuto l’occasione di vedere una donna detenuta con
una bambina bellissima in braccio. Nonostante in
carcere ne abbia viste tante, mi ha fatto molto effetto
vedere un angelo dietro le sbarre... Mentre andavo via
non ho resistito alla voglia di farle una carezza e lei mi
ha sorriso come solo i bambini sanno fare. Aveva sul
visino molte punture di zanzare e anche questo fatto mi
ha fatto molta pena...”
“Oggi c’è stata una battitura alle sbarre, collettiva e
spontanea... un detenuto che si sentiva male, per
protestare che non veniva il medico, si è rifiutato di
entrare in cella e per risposta è stato aggredito da due
guardie... Abbiamo visto il compagno albanese con il
sangue che gli colava dalla testa e poi l’hanno portato
alle celle di punizione...”
“Agli ergastolani malati, per tirare su il morale, dicevo
spesso che il destino, per farci soffrire di più, ci
avrebbe fatto morire per ultimi, ma purtroppo non
sempre è così. Oggi ho ricevuto la notizia che un altro
ergastolano ha finito di scontare la sua pena prima
dell’anno 9.999 perché è morto per un colpo al cuore.”
“Sono partito da Nuoro verso le 11.00, con il solito
blindato che sembra una scatoletta di sardine... Chi ha
progettato questi furgoni blindati per trasportare i
detenuti deve essere una persona che ha dei problemi

mentali perché neppure gli animali sono trasportati in
queste condizioni. Arrivo ad Olbia verso le 12.30.
Dopo ore di attesa, dentro quella scatola di sardine, con
un caldo soffocante, senza poter bere ed andare in
bagno, prendo l’aereo verso le 16.00 e alle 17.00 arrivo
a Firenze e dopo dieci minuti al carcere di Sollicciano.
Come al solito mi assegnano alla sezione transito ma,
peggio del solito, capito in una cella dove sembra che
siano passati i vandali: il tasto del volume della
televisione rotta, senza cuscino, senza luce artificiale,
solo uno stipetto, muri della cella sporchi ed in alcune
parti macchiate di sangue. Pulisco come posso, mangio
un pezzo di pane con un po’ di formaggio, che mi sono
portato da Nuoro, e poi mi addormento, con il
desiderio di non svegliarmi più.”
“Ogni tanto penso a tutto quel tempo che il mio
magistrato di sorveglianza ci ha messo per rispondermi
che devo morire in carcere. Prima di questa esperienza
pensavo che la violenza fosse nelle urla, nelle botte,
nella guerra e nel sangue. Adesso so che la violenza è
anche nel silenzio delle cosiddette persone perbene.
Loro vedono sempre la cattiveria degli altri, mai la
loro.”
“Oggi ho ricevuto una lettera da una detenuta, che mi
ha raccontato di quando si è suicidato il marito (e padre
di suo figlio) in carcere, che mi ha molto commosso.
Le sue parole mi hanno confermato ancora una volta
quanto spesso sono disumani gli umani: (...) Mia
madre e mia zia, che non vedevo da anni, mi vennero a
dire che Giampiero si era impiccato in carcere. Tre
giorni prima nei sottotitoli del TG3 avevo letto una
frase sfuggente, veloce, che mi aveva fatto venire i
brividi: “Un altro suicidio in carcere”. Avevo pensato:
“Non sarà mai il mio Giampy, speriamo che non lo
sia...” (...) Mi diedero il permesso d’uscita per gravi
motivi familiari con la scorta. Non mi tolsero neanche
le manette dai polsi. Non ero mai entrata in un obitorio.
Erano dei mostri. Aprirono uno di quei cazzo di orribili
cassettoni frigoriferi davanti a me. Me lo portarono
davanti agli occhi ancora chiuso nel sacco nero. Non
l’avevano neanche vestito. Aprirono il sacco: era nudo,
con i punti dell’autopsia sul torace fino al ventre, che
deturpavano il suo bellissimo tatuaggio tribale. Non mi
tolsero le manette. Ho dovuto accarezzarlo con i ferri ai
polsi. Non mi hanno neanche concesso la pietà di
salutarlo come avrei voluto. Il suo collo era pieno di
lividi. Odiai Dio. Odiai la vita. Odiai me stessa. Odiai
la morte. 

 


 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                Odiai tutto l’universo. Lo baciai sulle labbra.
E gli dissi: “Perdonami. Ti amo.” Poi me ne andai.”
“Mi ha chiamato Nicola, il compagno che ha tentato
d’impiccarsi lo scorso mese, e l’ho un po’ consolato.
Lo stanno imbottendo di farmaci, io invece credo che
più di psicofarmaci abbia bisogno di speranza e io gli
ho dato proprio quella, promettendogli che gli farò una
istanza di permesso.”
“All’ultimo giorno utile per fare l'esame, mi hanno
portato a Firenze. A parte i soliti disagi del viaggio, ho
dovuto farmi Roma/Firenze con il furgone blindato
senza la possibilità di urinare e di mangiare un
panino... Sono arrivato a Sollicciano alle 17.00 ma mi
hanno fatto salire alla sezione del transito alle 22.00 e
non sono riuscito a trovare nulla da mangiare... Nel
muro della cella, scritto con il sangue, ho letto: “Non
t’impiccare, resisti, non devi avere paura dalla galera, è
lei che deve avere paura di te”. Che cazzate! Mi sono
addormentato subito dalla stanchezza."
“Oggi ho scritto un reclamo ad un compagno per un
fatto che mi ha emotivamente colpito: per aver fatto
una carezza alla moglie in gravidanza, per sentire il
bambino/a muoversi, è stato sottoposto al 14 bis e dalla
Sicilia l’hanno trasferito in Sardegna.”
“Oggi un uomo ombra, che credevo fosse un duro,
commentando il suicidio di un nostro comune amico
ergastolano, mi ha confidato: Io non mi ucciderò mai,
ma sento spesso il desiderio di farlo. Io ho pensato che
sono proprio quelli che dicono che non lo faranno mai
che sono più a rischio, ma non gliel’ho detto.”
“Ho ricevuto questa lettera da una detenuta: Sono stata
condannata ad anni quattro e mesi otto di reclusione.
La cosa che mi preoccupa più di tutto è perdere il
lavoro perché, credimi, l’unico mezzo di sostentamento
per me e per mia figlia era proprio il mio lavoro. Ti
parlo con il cuore in mano, sono molto giù. E ho paura
che psicologicamente stia crollando. Sono una persona
molto semplice, che ha sbagliato, ma erano dieci anni
che non entravo più in carcere. Mi ero sistemata.
Adesso mi sento di aver perso tutto. E non ho più
voglia di vivere. Sono giorni che piango da sola. Penso
al suicidio. Non so Carmelo, può la giustizia far
perdere tutto ad una donna di 45 anni che con fatica e
impegno era riuscita a trovare un posto di lavoro fisso e
una casa popolare? Il mio avvocato continua a chiedere
soldi, ma io non so dove prenderli.”
“Ho letto di un altro suicidio in carcere. Ho perso il
conto, nel giro di una settimana si sono tolti la vita 4
detenuti, a pochi giorni l’uno dall’altro. D’estate i
suicidi in carcere aumentano. Sembra che i funzionari
dell’Amministrazione penitenziaria abbiano diramato

delle Circolari (che come al solito rimarranno carta
straccia) per affrontare il problema. Eppure basterebbe
poco per evitare alcune morti: un trasferimento in un
carcere vicino a casa, una telefonata o un colloquio in
più con i propri cari, una vivibilità migliore, un
semplice ventilatore in cella o anche qualche ora d’aria
in più nei cortili dei passeggi. E, soprattutto, un po’ di
speranza e amore sociale. Spesso molti mi chiedono
perché alcuni prigionieri si tolgono la vita. Non è facile
rispondere a questa domanda, penso che purtroppo per
alcuni detenuti non ci sia poi così tanta differenza tra
trovarsi sepolti sottoterra o murati vivi in una cella."

Per richieste zannablumusumeci@libero.it

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