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giovedì 28 maggio 2015

Il grande passo indietro delle donne dell’Est - Le monde diplomatique 14 maggio 2015

14 maggio 2015 Le monde diplomatique Il grande passo indietro delle donne dell’Est A 25 anni di distanza, la vita quotidiana delle donne tedesche continua a essere caratterizzata dalle diverse concezioni del loro ruolo da una parte e dall’altra del Muro. di Sabine Kergel ( Sociologa, ricercatrice all’Università libera di Berlino). La maggior parte dei sociologi aveva pronosticato che la vita delle donne all’Est e all’Ovest si sarebbe armonizzata nel breve e nel medio termine, grazie al processo di unificazione; troppo ottimisti? Per esempio, nel 2007 solo il 16% delle madri di bambini fra i 3 e i 5 anni lavorava a tempo pieno nell’Ovest del paese, contro il 52% all’Est. E, anche se il tasso di natalità dell’ex Repubblica democratica tedesca (Rdt), è ormai basso come quello dell’Ovest, rimangono forti disparità. Anche quanto a percentuale di bambini nati fuori dal matrimonio: nel 2009, il 61% nella parte orientale, contro il 26% nella parte occidentale. La popolazione femminile dei nuovi Länder è stata particolarmente colpita dagli sconvolgimenti sociali e politici provocati dall’unificazione. Nella Rdt le madri, al contrario di quelle della Repubblica federale di Germania (Rft), conciliavano senza problemi vita familiare e vita professionale. L’assorbimento dell’Est da parte dell’Ovest ha provocato un vertiginoso aumento del loro tasso di disoccupazione e ha stravolto modi di vivere, progetti, fiducia in se stesse. In tutta la Germania, come altrove in Europa, il tasso di attività delle donne era notevolmente cresciuto dopo gli anni 1950, ma l’evoluzione nella Rdt era stata senza paragoni con quella dell’Ovest. Alla fine degli anni 1980, il 92% delle tedesche dell’Est occupava un lavoro, contro il 60% delle loro vicine occidentali. E l’uguaglianza era evidente, un caso quasi unico al mondo. Mentre a Ovest le donne orientavano i loro progetti di vita secondo schemi ancora molto impregnati dell’immaginario familiare e patriarcale tradizionale, all’Est la loro indipendenza economica nei confronti del marito era praticamente naturale. La caduta spettacolare della natalità verificatasi nella Rdt nel corso degli anni 1970 indusse il regime a introdurre diverse misure per incitare le donne attive a procreare, con uno sforzo particolare a favore di madri sole o divorziate. Talvolta messa in ridicolo per la sua giustificazione ideologica (aumentare i membri di una «società socialista»), questa politica permetteva di armonizzare progetti professionali e compiti genitoriali. Invece, dall’altra parte del Muro la condizione di madre portava spesso con sé privazioni, addirittura un pericoloso avvicinamento alla povertà, soprattutto in caso di divorzio o di abbandono da parte del coniuge. Niente di strano, dunque, che le donne della ex Rdt abbiano spesso percepito la riunificazione come una minaccia alle loro condizioni di vita. Attraverso l’inedita esperienza della disoccupazione, è crollato un sistema di valori fino ad allora ritenuto ovvio. «All’agenzia dell’impiego, quando dici “sola con due bambini”, non sanno di cosa stai parlando. L’addetta seduta di fronte a me non mi ha neanche rivolto uno sguardo, niente, racconta Ilona, madre single ed ex commessa a Berlino Est. Riempie il modulo, in fretta, e poi fuori e avanti il prossimo.» Nella Rdt le donne vivevano sotto la protezione di uno Stato onnipotente che manteneva il padre e la famiglia in una funzione sociale subalterna. La socializzazione dei bambini, sotto l’egida delle istituzioni, avveniva in gran parte fuori dalla cellula familiare. Questo attaccamento all’autonomia non è scomparso con il Muro. Una protezione sociale affidabile, condizione essenziale per l’uguaglianza dei diritti Uno studio condotto presso berlinesi disoccupate agli inizi degli anni 2000 rivelava modalità di rapporto molto diverse con il lavoro e i bambini. Tutte le donne consideravano questi ultimi come un elemento centrale della loro esistenza, ma quelle che venivano dall’Ovest davano loro più importanza che al lavoro. Benché coscienti delle difficoltà in agguato, tendevano a vedere la mancanza di occupazione come un’occasione per giocare appieno il proprio ruolo di madri. Al contrario, le berlinesi dell’Est mettevano in primo piano l’istruzione e la realizzazione dei propri progetti professionali, ritenendo che se avessero ritrovato un lavoro, i bambini sarebbero cresciuti in condizioni migliori. Essendo «più a proprio agio» nella condizione di lavoratrici, avrebbero assolto meglio anche il ruolo materno. Esse consideravano l’autonomia un elemento positivo per sé e per tutta la famiglia. Le madri di Berlino Ovest ritenevano in generale che nessuno più di loro fosse in grado di prendersi cura dei loro figli. Pur riconoscendo l’utilità di nidi e asili d’infanzia, tendevano ad avere problemi con gli orari troppo stringenti. Al contrario, per le madri di Berlino Est, abituate agli orari più flessibili della Rda, l’accesso ai nidi d’infanzia era un fattore cruciale, tanto più che i datori di lavoro ne tenevano conto nella loro politica di assunzioni. Nel 2000, Anna, commessa disoccupata di 28 anni, non nasconde la sua collera davanti ai rifiuti a ripetizione che incassava per la sola ragione di essere una madre sola. «Ti ripetono di continuo: “Che cosa? Ha due bambini? Ah ma allora non è possibile.” Quando gli spiego che ho trovato il modo di sistemarli, fanno comunque orecchio da mercante.» E poi l’eterno sospetto che potrebbe fare altri figli: «Eppure non ci sono molte possibilità che io rimanga di nuovo incinta. L’ho detto a un tipo, di recente: non farò un altro figlio, ne ho già due, stia tranquillo». Ai tempi della Rdt una dichiarazione simile all’ufficio di collocamento sarebbe stata inconcepibile. Tutte le madri dell’Est in cerca di lavoro hanno dovuto dunque abbozzare, convincere che accettavano le nuove regole del gioco, sopportare l’umiliazione di vedersi infliggere questo trattamento. Per le berlinesi dell’Ovest, al contrario, sono soprattutto le crescenti esigenze del mercato del lavoro a essere un problema. Paula, 36enne madre single disoccupata, aveva fatto domanda per un lavoro a due passi da casa. «Era perfetto. Avrei dovuto scrivere al computer, rispondere al telefono, occuparmi dei clienti, ecc. Ma poi la direttrice mi ha detto: “È possibile che talvolta le chiederemo di lavorare quaranta ore o di venire nel week-end.” Ho risposto che per me sarebbe stato molto difficile, che volevo lavorare trenta ore, come nelle mie precedenti occupazioni. Non l’avessi mai detto! Si è messa a urlare, era fuori di sé. Con tutta la disoccupazione che c’è in giro, mi diceva, avrei dovuto ritenermi fortunata. E mi ha chiesto che effetto faceva essere un’assistita, una parassita che viveva a spese della società.» Paula si chiede: «Io non chiedo di meglio che lavorare, ma che cos’è una società nella quale bisogna affidare a qualcun altro i bambini dall’alba al tramonto?». Per le madri di Berlino Ovest la disoccupazione è un’opportunità Secondo le sociologhe Jutta Gysi e Dagmar Meyer, «il risultato più positivo della politica familiare nella Rdt era l’indipendenza economica ottenuta dalle donne. È qualcosa di inimmaginabile oggi. Avevano certo un salario del 30% inferiore a quello degli uomini, perché erano sovente destinate a incarichi meno qualificati, e in questo senso la loro condizione non brillava, cosa che a volte si tende a dimenticare. Ma non conoscevano la paura di perdere l’alloggio o di non trovare posto al nido, perché potevano contare su una protezione sociale solida e affidabile. È una condizione importante per l’eguaglianza dei diritti, forse la condizione essenziale» (3). Con un simile retaggio, Edeltraud, cuoca di 28 anni, sposata e madre di due bambini, vive molto male le leggi sociali attuali e la dipendenza dal marito. «Si diventa dipendenti dal proprio partner, dipendenti dal denaro che decide di darci, dipendenti da come lo Stato valuta tutto ciò. Se decide di cancellare gli assegni, è così, punto e basta. Ci si ritroverà con l’emicrania, perché i soldi, questi maledetti soldi, è un discorso che ritorna sempre e non ci si può fare nulla.» Il modello tedesco-orientale di uguaglianza fra uomini e donne è scomparso con il Muro, ma dopo 25 anni, continua a plasmare la considerazione che le madri della ex Rdt hanno di sé e del proprio ruolo sociale. Sabine Kergel (1) Si legga Michel Verrier, «Una crisi demografica che viene da lontano », Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2005. (2) Joshua Goldstein, Michaela Kreyenfeld, Johannes Huinink, Dierk Konietzka, Heike Trappe, «Familie und Partnerschaft in Ost-und Westdeutschland», Istituto di ricerche demografiche Max-Planck, Rostock, 2010. (3) Jutta Gysi, Dagmar Meyer, «Leitbild: berufstätige Mütter – DDR-Frauen in Familie, Partnerschaft und Ehe», in Gisela Helwig, Hildegard Maria Nickel, Frauen in Deutschland 1945-1992, Akademie Verlag, Berlino, 1993. (Traduzione di Marinella Correggia) Dallo Stato sociale al lavoro forzato Il 14 marzo 2003, poco dopo l’inizio del suo secondo mandato (2002-2005), il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder presenta al Parlamento l’Agenda 2010: un insieme di riforme che riguarda in particolare le pensioni (aumento dei contributi da versare e dell’età pensionabile, che passa da 63 a 65 e poi a 67 anni) e il mercato del lavoro. Quest’ultimo ambito, affidato a Peter Hartz, direttore del personale per Volkswagen, mira a smantellare il sistema di protezione sociale e a sviluppare la precarietà per «attivare» i disoccupati. Hartz I – gennaio 2003 Creazione di agenzie di lavoro interinale private o pubblicoprivate per i servizi; liberalizzazione del lavoro interinale; restrizione del diritto da parte dei disoccupati di rifiutare un’offerta di lavoro. Hartz II – gennaio 2003 Promozione dello sviluppo di lavori complementari a basso reddito, i «mini-jobs» – pagati meno di 400 euro al mese (450 en 2013) – e i «midi-jobs» – pagati da 400 a 850 euro-, che beneficiano di esoneri dai contributi sociali e sono destinati in primo luogo ai disoccupati poco qualificati. Sostegno all’autoimprenditoria. Hartz III – gennaio 2004 Ristrutturazione dell’Ufficio federale del lavoro, che adotta una gestione per obiettivi con la valutazione delle performance di ogni agenzia locale. Hartz IV – gennaio 2005 Riduzione della durata dell’indennità di disoccupazione da 32 a 12 mesi; rafforzamento dei controlli. Dopo un anno, il disoccupato dipende dall’aiuto sociale (che si somma con l’indennità di disoccupazione di lungo periodo). Il suo ammontare, in proporzione alle risorse, parte da un plafond inferiore ai 350 euro mensili. I «beneficiari» hanno l’obbligo di accettare i «mini-jobs» e i «lavori a 1 euro» (Ein-Euro Jobs, pagati da 1 a 1,25 euro all’ora per 15-30 ore settimanali). A dieci anni dalla legge Hartz IV, il 1° gennaio 2015, il governo ha introdotto un salario minimo orario di 8,5 euro lordi. Gli imprenditori aggirano la norma in massa.

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