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venerdì 13 marzo 2015

Grecia, Italia, Europa: morire per il debito di stato?

Si è tenuto giovedì 5 marzo, all’università Ca’ Foscari di Venezia, un partecipato dibattito sul tema Grecia, Italia, Europa: morire per il debito di stato?, a cui ha preso parte la redazione de “Il cuneo rosso”. Nel suo intervento introduttivo F. Chesnais ha messo in luce la genesi del processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale a partire dalla creazione a Londra del mercato dei petrodollari, mostrando come questo processo abbia anzitutto preso alla gola i paesi dell’America Latina, il Messico per primo, e del “Terzo mondo”. E come poi, un passo dopo l’altro, il meccanismo della produzione del debito di stato e della produzione del debito privato (delle famiglie) si sia esteso all’intera economia mondiale, senza eccezioni. La creazione di veri e propri trust dei creditori, a cominciare dal Club di Parigi, ha reso palese che a fronte di un debito che si accresce, e ha continuato ad accrescersi ancor più rapidamente dopo lo scoppio della crisi, si è costituito un potere crescente delle istituzioni finanziarie e delle classi sociali che questo debito hanno monopolizzato. F. Chesnais, autore di Debiti illegittimi e diritto all’insolvenza, si è soffermato anche, nel successivo dibattito, sulla “questione greca”, mostrando chi ha beneficiato del debito di quel paese e ricordando le imponenti lotte dei lavoratori e dei giovani greci contro il cappio del debito. Nell’intervento della nostra redazione ci siamo concentrati su tre aspetti: 1) il debito di stato non è una novità degli ultimi quaranta anni, ma è un vecchio strumento di tortura e di espropriazione dei lavoratori nelle mani dei banchieri e dei capitalisti, che è servito in passato a finanziare le spedizioni coloniali, le guerre, lo sviluppo dell’industrialismo, l’ingigantimento degli apparati statali. 2) E’ vero, tuttavia, che negli ultimi decenni vi è stata una progressione esplosiva del debito di stato, che ora coinvolge in pieno anche la Cina e i Brics in generale, che precede il salvataggio delle banche post-2008 ed è il frutto della moltiplicazione degli interventi statali a sostegno delle grandi imprese e delle imprese in generale, della crescente detassazione del capitale e dei ricchi, di una crescente produzione al nero (esentasse), oltre che del crescente onere del peso del debito. La causa di fondo di questa progressiva esplosione è nel tentativo degli stati di sostenere un processo di accumulazione che è nel suo insieme sempre più asfittico e complicato, socializzandone il più possibile i costi – il che è stato possibile, fino ad un certo punto, solo attraverso la parallela crescita dell’indebitamento privato (delle famiglie), sollecitato anch’esso, e “favorito” dalle banche e dagli stati, al fine di non far crollare la domanda di beni e servizi. Con ciò è stato caricato e scaricato sulle spalle delle classi lavoratrici un doppio peso: debito pubblico+debito privato. Ma nonostante questa gigantesca operazione di trasferimento della ricchezza socialmente prodotta dai salari ai profitti, dai salariati ai capitalisti, e nonostante un’immissione di denaro che non ha precedenti nella storia, la crisi esplosa nel 2007-2008 è tutt’ora irrisolta, e le politiche di impoverimento di massa e di guerre “locali” a catena con cui il capitale risponde ad essa sono tutt’altro che abbandonate. 3) Il risvolto politico-istituzionale di tutto ciò è il crescente assoggettamento degli stati al pool dei loro creditori, e quindi al sistema bancario e finanziario globale (l’alienazione del potere statale, di cui parlò Marx), che si sta traducendo in una sempre più accentuata riduzione dei diritti politici, e non soltanto delle prestazioni sociali e dell’occupazione (a favore della precarizzazione strutturale del lavoro e dell’esistenza). Abbiamo fatto l’esempio della “legge di sicurezza cittadina” appena approvata dal governo Rajoy in Spagna che si può considerare, con i suoi brutali divieti alle manifestazioni di piazza, un deciso passo indietro verso il franchismo; ma anche in Italia il trattamento di polizia riservato sistematicamente alle azioni di lotta più militanti (a cominciare dagli scioperi nella logistica organizzati dal Si-Cobas) e l’attacco sistematico a ogni forma di attività sindacale e politica negli stabilimenti della Fiat indicano la direzione di marcia dei prossimi anni – un processo a cui ha dato un sostegno determinante l’approvazione del Jobs Act da parte del governo Renzi e del parlamento, che segna un salto di qualità nell’aggressione alla condizione dei lavoratori. Il nostro intervento si è concluso con l’invito a riportare nel dibattito pubblico la questione del “debito di stato”, del disconoscimento e dell’annullamento del debito di stato in quanto debito di classe, arma di strangolamento delle lotte e, prima ancora, dell’esistenza quotidiana di quanti vivono del proprio lavoro. E con la sollecitazione a uscire dall’attuale passività, e far sentire ai lavoratori greci che stanno resistendo ai padroni del debito, interni ed esteri, la nostra solidarietà, quale che sia la posizione che il governo di Syriza terrà nei confronti di essi. Proprio sulla questione greca si è incentrato il dibattito, che ha dato anche modo a F. Chesnais di ricordare come l’unico caso, nella storia, di disconoscimento integrale del debito di stato è stato quello della Russia rivoluzionaria del dopo-1917. Abbiamo voluto farvi questo rapido rapporto su questa iniziativa non solo e non tanto per segnalarvi la sua riuscita, quanto per sollecitare altre iniziative su questo terreno, contro il Fiscal Compact e il Jobs Act, che ne è una conseguenza. La redazione de Il cuneo rosso

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