„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
per giulio
mercoledì 11 giugno 2014
FEDERICO TAVAN RASSEGNA STAMPA A CURA DI INFO-ACTION.NET
RASSEGNA STAMPA A CURA DI INFO-ACTION.NET
DAL MESSAGGERO VENETO DEL 8 GIUGNO 2014
«Noi con Tavan contro i salotti culturali»
Il collettivo Chialtres e il libro sul poeta: «Era un intellettuale nemico del potere». Colonnello (Menocchio): «Collaboriamo»
di Cristina Savi
PORDENONE. «Con gli eventi di Udine e Pordenone si è reiterato il tentativo di glorificarlo e santificarlo e ne è uscita soltanto molta necrofilia. Noi non siamo “amici” di Federico Tavan, noi siamo suoi compagni, complici, sodali. E questo libro è un atto di rivolta contro tutte le sue celebrazioni!».
Va subito dritta al punto, senza giri di parole, Carla, del Collettivo Chialtres, introducendo la presentazione di Nome ché lenga a chì a ne permet da favelà, edito dal collettivo stesso e presentato ieri a Pordenone nella sede del Circolo libertario Zapata, centro anarchico al quale il poeta di Andreis, scomparso nel novembre del 2013, fu sempre piuttosto vicino.
Il clima si surriscalda nel prefabbricato del quartiere di Villanova che ospita il circolo, un contesto popolare che sarebbe piaciuto molto al poeta, “reduce” dagli omaggi che gli hanno reso il festival vicino/lontano a Udine e dalla due giorni pordenonese del fine settimana scorso. E da ieri, con l’uscita del libro, al centro di una polemica iniziata proprio durante vicino/lontano con un volantinaggio del Collettivo Chialtres.
«Un libro necessario – incalza Carla – per rispondere al divoramento di Tavan da parte dell’industria culturale e che ci ribadisce come soltanto in un contesto fuori da qualsiasi istituzione sia possibile far emergere la vera dimensione poetica e esistenziale di Federico».
Prende la parola Massimo Masolini, al quale si deve in particolare la realizzazione del libro e che apparteneva al coordinamento del gruppo editoriale che dal 1989 al 1995 «stette con Tavan, e lui con noi», nella non tanto breve estate dell’anarchia di Usmis, la rivista che veniva messa insieme al centro sociale autogestito di via Volturno, a Udine.
«Io devo capire, cercare un’altra verità, diversa dalla vostra imbalsamata» dice, dopo aver letto un passo da “L’assoluzione” di Tavan. E si scaglia contro chi ha fino a oggi pubblicato Tavan, tutti colpevoli di aver rimosso periodi ed esperienze che per Federico furono fondamentali (come il rapporto con Marc Tibaldi, sempre di Usmis). «Noi eravamo e siamo nazionalitari, anarchici, friulanisti e Federico cercava questo ambiente, aveva questo mondo come riferimento».
Masolini ne ha per tutti, «perché noi abbiamo riletto Federico e preso sul serio ciò che scriveva», parola per parola di un «intellettuale combattente che si difende». Si difende - dice Masolini – anche dai “salotti” della cultura pordenonese («assurdo che Villalta e Garlini lo accusassero di essere utile alla borghesia, proprio loro contro i quali Tavan si scagliò pesantemente già nel 1999»); e di quella udinese («se Paolo Medeossi ha cento lettere di Federico allora le pubblichi tutte!»).
Non sopporta, Masolini, «che su Tavan si dicano sempre le stesse cose, si mostrino e si pubblichino sempre le solite foto, come una verità già indovinata e ripetuta all’infinito. Con questo libro abbiamo voluto togliere Tavan dall’immagine imbalsamata e ridare una forma reale alla sua figura di poeta che usava la lingua andreana in modo rivoluzionario e che criticava radicalmente ogni forma di potere. Ora chiediamo agli altri di fare lo stesso».
Nel dibattito che seguirà interverranno anche il poeta Antonio De Biasio e Aldo Colonnello, la colonna del Circolo Menocchio di Montereale. «Vi ringrazio perché questo libro copre un buco», dirà, rendendosi disponibile, ora che il Menocchio si appresta a pubblicare l’autobiografia di Tavan, a collaborare con Chialtres.
DAL MESSAGGERO VENETO DEL 7 GIUGNO 2014
di Luciano Santin
Esiste un’eredità di Federico Tavan.
Ed è lecito a qualcuno appropriarsene?
Il punto, di forte
dialettica polemica, è emerso
con il volantinaggio effettuato
collaterlamente alla serata di vicino/
lontano dedicata al poeta
di Andreis scomparso lo scorso
anno.
La contestazione, promossa
da quanti hanno condiviso il
percorso compiuto da Tavan,
anni 90, nella rivista Usmis, ha
un seguito nel libro Nome chê
lenga chì a ne permet da favelâ.
Federico Tavan dai timps di
USMIS e dal C.S.A. al infinît,
pubblicato dal Collettivo Chialtres.
Il volume, che verrà presentato
oggi alle 18 al Circolo Zapata
di Pordenone, raccoglie una
serie di materiali poco noti o di
difficile reperibilità, risalenti appunto
alla prima metà dei 90, e
ha, sottesa, l’idea del “suicidio”
di Tavan operato dalla società
dello spettacolo. Di una normalizzazione
perseguita in vita
(con la conseguente ricerca della
follia quale unica via di fuga),
e oggi celebrata in morte.
In premessa si sottolinea, nelle
diversità, il forte legameemotivo,
etico e prospettico di Tavan
con Pasolini, ponendo l’accento
sugli elementi chiave della
sua poetica e del suo pensiero:
l’uso rivoluzionario della lingua
andreana e la radicale critica
a ogni forma di potere. Di qui
si passa a un j’accuse nei confronti
dei salotti e degli «ipermercati
culturali» messi in piedi
in Friuli, «per liquidare fin da subito
un possibile movimento di
veri poeti e/o intellettuali inmarilenghe
».
L’intellighenzia è indicata come
cupola e meccanismo egemonizzante:
«la combriccola
sempre uguale, il giornalista,
l'attore, il lettore, il musicista, il
fotografo, il professore, l'organizzatore,
l'assessore (quando
non il prete), tutti intercambiabili
», e poi finisce inevitabilmente
con l’assumere nomi e cognomi:
Gian Mario Villalta, Alberto
Garlini, Danilo de Marco, Paolo
Medeossi, Federico Rossi. Attraverso
il loro lavoro – sostiene il
libro – su Tavan, poeta da lasciare
allo stato brado e senza bisogno
di commenti, si opera «l’imbonimento,
l'imborghesimento,
la normalizzazione, la riduzione
a immagine o icona», e la
devitalizzazione della carica destabilizzante.
Al di là dell’interesse per i testi
contenuti, il libro si pone comemanifesto
e punto di partenza
per una riflessione sulla deriva
di spettacolo e consumo subita
dalla cultura. Rifacendosi,
senza citarla, alla massima di
Kraus: «Quando il sole è basso
sull’orizzonte della cultura, anche
i nani proiettano ombre lunghe
».
Da parte dei chiamati in causa
non c’è vivacità di reazione:
«Ho visto il volantino e comperato
il libro. Si parla di un complotto,
di una cupola che avrebbe
manipolato Federico Tavan
trasformandolo in uno zombie.
Francamente non mi sento imputabile,
e comunque l’onere
della prova spetta a chi accusa»,
nota Paolo Medeossi. «Gli sono
stato per più di vent’anni amico
sincero e disinteressato. E anche
ricambiato, perché ho un
amplissimo epistolario che lo attesta.
Il discorso sulmodoin cui
si fa cultura in Friuli, poi, è altro,
rispetto alla vicenda umana e
poetica di Federico».
Ancora più abbottonato e
anodino Alberto Garlini: «Preferirei
non entrare in questa polemica,
per rispettare la memoria
di Federico Tavan, cosa che tutti,
ciascuno a suo modo, credo
intendano fare. Non millanto
un’amicizia, l’ho incontrato un
paio di volte, e conseguentemente
non posso mettergli in
bocca delle parole. In quanto alla
cultura in Friuli, credo che
mai come in questo momento
sia stata ricca e riconoscibile anche
fuori dalla regione».
Da Onde Furlane, Paolo Cantarutti,
che è stato tra i fondatori
di Usmis, e ha fornito parte del
materiale pubblicato nel libro,
esorta a ragionare sui contenuti.
«Guarderei alla sostanza, anche
se espressa in modo un po’
aggressivo e respingente. La tesi
del poeta stritolato dalla macchina
culturale è credibile, perché
Tavan non aveva difese. Ma
la vera questione è quella della
politica: si è scelta la via dei
grandi eventi di serie A, sui cui
investire. Dobbiamo domandarci
a che serve la cultura, che cosa
deve fare?».
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