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giovedì 12 giugno 2014

Comunismo anarchico? Le parole e la sostanza

tratto da Umanità Nova n. 12 anno 92 (1 aprile 2012) Una delle varianti della contrapposizione tra anarchia e comunismo è quella che contrappone ai comunisti anarchici (considerati comunisti travestiti) gli anarchici senza aggettivi, che sarebbero i sostenitori del libero mercato. Circa la questione dei “comunisti travestiti”, io credo che i comunisti-anarchici non abbiano bisogno di alcun travestimento e siano comunisti a pieno titolo; riporto inoltre una sintesi di quello che affermava Luigi Fabbri in risposta a Bucharin nel 1922, che ritengo ancora valida e di cui potrei fornire solo una parafrasi. Riguardo invece alla questione del rapporto del cosiddetto libero mercato con l’anarchia, il discorso è più complesso e merita un approfondimento. Innanzi tutto perché il mercato divenga una realtà economica in grado di condizionare l’intera società è necessario che la maggior parte dei beni e dei servizi prodotti e consumati assumano la forma di merci. Non si può parlare di mercato nel caso di baratti occasionali, non si può parlare di mercato là dove il prodotto del lavoro non viene prodotto per il mercato ma per l’autoconsumo (individuale o collettivo qui non importa). Perché i prodotti del lavoro assumano generalmente la forma di merci, occorre che i produttori reali debbano andare al mercato per comprarsi i mezzi di sussistenza, occorre quindi che i produttori reali siano stati espropriati dei mezzi di produzione da una parte, dei prodotti del lavoro dall’altra. I mezzi di produzione e i prodotti del lavoro, allora, si ergono di fronte al produttore espropriato, ridotto al rango di proletario, nelle mani del capitalista, come strumenti di oppressione e di sfruttamento. Se la proprietà dei mezzi di produzione e dei prodotti del lavoro passa dal capitalista privato allo Stato, la situazione del lavoratore salariato non cambia, ora oppresso dal capitalismo di Stato anziché da quello privato. Solo l’anarchia può risolvere la condizione di sfruttamento e di oppressione della classe operaia, abolendo da una parte lo Stato e dall’altra la proprietà privata dei mezzi di produzione. Una volta ricomposta, attraverso la rivoluzione, l’unità tra produttore, mezzi di produzione e prodotti del lavoro è ovvio che viene meno anche la necessità del mercato, sostituito dalla sperimentazione sociale che gli individui e le libere collettività vorranno mettere in pratica per risolvere le questioni legate alla produzione e alla distribuzione. Da “Anarchia e comunismo “scientifico”” di Luigi Fabbri Una mala abitudine, contro cui occorre reagire, è quella presa da qualche tempo dai comunisti autoritari di opporre il comunismo all’anarchia, come se le due idee fossero necessariamente contraddittorie; l’abitudine di usare questi due termini comunismo ed anarchia come se fossero tra loro antagonistici, e l’uno avesse un significato opposto all’altro. Non è male ricordare che fu proprio un congresso delle Sezioni Italiane della prima Internazionale dei lavoratori, tenuto clandestinamente nei dintorni di Firenze nel 1876, che, su proposta motivata di Errico Malatesta, per il primo affermò essere il comunismo la sistemazione economica che meglio poteva render possibile una società senza governo; e l’anarchia (cioè l’assenza d’ogni governo), come organizzazione libera e volontaria dei rapporti sociali, essere il mezzo di migliore attuazione del comunismo. L’una è la garanzia d’un effettivo realizzarsi dell’altro, e viceversa. Di qui la formulazione concreta, come ideale e come movimento di lotta, del comunismo-anarchico. Gli anarchici allora si chiamavano in Italia più comunemente socialisti; ma quando volevano precisare si chiamavano, come si son chiamati sempre da quel tempo in poi fino ad oggi, comunisti-anarchici. Più tardi Pietro Gori soleva appunto dire che di una società, trasformata dalla rivoluzione secondo le nostre idee, il socialismo (comunismo) costituirebbe la base economica, mentre l’anarchia ne sarebbe il coronamento politico. Tale definizione o formula dell’anarchismo, il Comunismo Anarchico, era accettata nel loro linguaggio anche dagli altri scrittori socialisti, i quali quando volevano specializzare il proprio programma di riorganizzazione sociale dal punto di vista economico, parlavano non di comunismo ma di collettivismo, e si dicevano infatti collettivisti. Ciò fino al 1918; vale a dire finché i bolscevichi russi, per differenziarsi dai social-democratici , decisero di mutare nome, riprendendo quello di “comunisti” che si richiama alla tradizione storica del celebre Manifesto di Marx ed Engels del 1847, e che prima del 1880 era adoperato in senso autoritario e socialdemocratico esclusivamente dai socialisti tedeschi. Poco per volta quasi tutti i socialisti aderenti alla III Internazionale di Mosca hanno finito col dirsi comunisti, senza tenere alcun conto del cambiato significato della parola, del mutato uso che se ne fa da quarant’anni nel linguaggio popolare e proletario e delle mutate situazioni nei partiti dal 1870 in poi – commettendo così un vero e proprio anacronismo. I socialisti trasformatisi in comunisti hanno certo assai modificato il loro programma da quello che era stato fissato al Congresso del Partito dei Lavoratori a Genova, per l’Italia, nel 1892, ed a Londra, per l’Internazionale socialista, al Congresso del 1896. Ma la modificazione del programma verte tutta ed esclusivamente sui metodi di lotta (adozione della violenza, svalutazione del parlamentarismo, dittatura invece che democrazia, ecc.); e non riguarda l’ideale di ricostruzione sociale, cui unicamente le parole comunismo e collettivismo possono riferirsi. Per quel che riguarda il programma di riorganizzazione sociale, di assetto economico della società futura, i socialisti-comunisti non l’hanno modificato in nulla; non se ne sono affatto occupati. In realtà, sotto il nome di comunismo è sempre il vecchio programma collettivista autoritario che sussiste – con, in un sfondo lontano, molto lontano, la previsione della scomparsa dello Stato che si addita alle folle nelle occasioni solenni, per stornare la loro attenzione dalla realtà di una nuova dominazione, che i dittatori comunisti vorrebbero loro mettere sul collo in un avvenire più prossimo. Tutto ciò è fonte di equivoci e di confusione tra i lavoratori, ai quali viene detta una cosa con parole che ad essi ne fan credere un’altra. La parola comunismo fin dai più antichi tempi significa non un metodo di lotta, e ancor meno tino speciale modo di ragionare, ma un sistema di completa e radicale riorganizzazione sociale sulla base della comunione dei beni, del godimento in comune dei frutti del comune lavoro da parte dei componenti di una società umana, senza che alcuno possa appropriarsi del capitale sociale per suo esclusivo interesse con esclusione o danno di altri. I neo- comunisti invece per “comunismo” intendono soltanto o prevalentemente l’insieme di alcuni metodi di lotta e dei criteri teorici da essi adottati nella discussione e nella propaganda. Alcuni si riferiscono al metodo della violenza o terrorismo statale, che dovrebbe imporre per forza il regime socialista; altri vogliono significare con la parola “comunismo” il complesso di teorie che vanno sotto il nome di marxismo (lotta di classe, materialismo storico, conquista del potere, dittatura proletaria, ecc.); La formula, dei collettivisti era invece ( a ciascuno il frutto del suo lavoro oppure a ciascuno a seconda del suo lavoro ). Inutile il dire che queste formule vanno intese in un senso approssimativo, come indirizzo generale, e non in modo assoluto e con carattere dogmatico, come pure per un ceno tempo vennero adoperate.altri ancora un puro e semplice metodo di ragionamento filosofico, come il metodo dialettico. Alcuni lo chiamano, perciò, – accoppiando insieme parole che non hanno fra loro alcun nesso logico – comunismo critico, ed altri comunismo scientifico. Secondo noi, tutti costoro sono in errore; poiché le idee ed i metodi di cui sopra potranno essere condivise ed adoperati anche dai comunisti, ed essere più o meno conciliabili col comunismo, ma da soli non sono il comunismo né bastano a caratterizzarlo, mentre potrebbero benissimo conciliarsi con altri sistemi del tutto diversi e magari contrari al comunismo. Se volessimo divertirci con dei bisticci, potremmo affermare che nelle dottrine dei comunisti dittatoriali v’è di tutto un po’, ma quel che più vi manca è precisamente il comunismo. Il collettivismo legalitario e statale da un lato ed il comunismo anarchico e rivoluzionano dall’altro, erano le due scuole in cui si divideva principalmente il socialismo fino allo scoppio della Rivoluzione Russa nel 1917. Il dissenso, il contrasto, non è dunque tra anarchia e comunismo più o meno “ scientifico “, bensì tra il comunismo autoritario statale, spinto fino al dispotismo dittatoriale, ed il comunismo anarchico o antistatale con la sua concezione libertaria della rivoluzione. Ché se d’una contraddizione in termini si dovesse parlare, questa la si dovrebbe cercare non tra il Comunismo e l’Anarchia, che si integrano al punto che l’uno non è possibile senza l’altro, ma piuttosto tra Comunismo e Stato. Finché v’è Stato o governo, non v’è comunismo possibile. Per lo meno la loro conciliazione è così difficile e con subordinata al sacrificio d’ogni libertà e dignità umana, da farla ritenere impossibile oggi che lo spirito di rivolta, d’autonomia e di libera iniziativa e con diffuso tra le masse, affamate non soltanto di pane, ma anche di libertà. ita.anarchopedia.org/Luigi_Fabbri Tiziano Antonelli n. 12 anno 92 Aprile

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