ROMA SOVVERSIVA. Anarchismo e conflittualità sociale dall’età giolittiana al fascismo
(1900-1926).
Contro ogni apparenza, la Roma del Novecento è una delle città meno studiate, dal punto di vista politico e sociale,
dell’intera Penisola. La Capitale è sotto gli occhi del mondo, nota ma non conosciuta. Addirittura misconosciuta se si pensa all’immagine
prevalente di una città priva di contrasti e con una classe lavoratrice, tutto sommato, abbastanza “tranquilla”.
Questo libro riempie una lacuna, ricostruendone la base sociale, l'ambito spurio e mutevole, che concerne la formazione
delle forze sociali e produttive cittadine. Ma soprattutto ribalta l’immagine di comodo, restituendole il carattere
di città violenta, con un conflitto di classe che sfocia facilmente in tumulti repressi con estrema brutalità dalle forze
dell’ordine.
Sopra, la monarchia e la gerarchia cattolica con le loro clientele, la grande e diffusa industria delle costruzioni, legata alla
rendita fondiaria e alle banche, ma sotto i disoccupati, i lavoratori stagionali, i contadini immiseriti e immigrati dalle altre regioni,
gli operai delle manifatture, gli impiegati declassati e gli artigiani poveri. Tra questi, gli «anarchici nichilisti
» per le cronache prefettizie, ebbero modo di affermarsi, muovendosi tra i quartieri popolari come San Lorenzo e Testaccio,
ma anche quartieri centrali come Monti, Borgo e Prati, in maniera indipendente dalla I Internazionale, a far
tempo dagli anni settanta dell’Ottocento, interpretando e rappresentando la chiara predisposizione all’azione diretta e a
forme di lotta violente del proletariato romano.
In questo humus, per lo più intorno ad alcune personalità - come Aristide Ceccarelli, Temistocle Monticelli, Eolo
Varagnoli, Spartaco Stagnetti, Attilio Paolinelli, Ettore Sottovia - l’anarchismo romano si rivelò quale laboratorio
delle differenti tensioni dottrinarie che attraversavano il movimento antiautoritario italiano. Il socialismo-anarchico,
l’anarcosindacalismo, l’individualismo, nonché il primo antifascismo militante, proprio a Roma, diventarono
così gli ambiti, e i termini, di un’innovazione politica e culturale più generale.
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„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
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