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martedì 25 giugno 2013

Il Protocollo del 31 maggio blinda le relazioni sindacali - Il sindacato deve tornare in mano ai lavoratori!

Attivo sindacale FdCA
Reggio Emilia, 9 giugno 2013

Siamo completamente immersi in una dimensione politica ormai affermata che sancisce i limiti della democrazia e che mette l'accumulazione al posto di comando in una cornice di potere politico fortemente gerarchizzato ed autoritario. Quanto vi è stato nel passato - il compromesso sociale sgretolatosi negli ultimi vent'anni - non è più ricomponibile e praticabile, vista la mutata condizione della classe e la sua scomposizione sotto gli attacchi della borghesia. La quale ha riaffermato la propria egemonia attraverso l'uso indiscriminato delle risorse pubbliche, convogliando la ricchezza prodotta nelle mani di pochi, a determinare il potere reale. A questo proposito è emblematico ricordare come Draghi si sia espresso con grande disinvoltura, in merito alla crisi politica scaturita dalle ultime elezioni, affermando che comunque la governance era garantita dal "pilota automatico" inserito dalla BCE. Questo dovrebbe bastare a comprendere che il capitale sente di aver ormai chiuso ogni spazio di autonomia politica e che, di fronte al problema del reperimento delle risorse economiche per pensioni, scuola pubblica, ricerca, enti locali, sanità pubblica, assistenza e interventi per chi non ha lavoro o lo ha perduto, possa limitarsi a presentare la contabilità economica dicendo che soldi non ce ne sono.
In ambito sindacale, tale situazione era già divenuta drammaticamente chiara con la firma degli accordi del 28 giugno 2011 e con le catastrofiche conseguenze da essi prodotte. Il Protocollo del 31 maggio si presenta come il passo successivo nella direzione della blindatura delle relazioni sindacali sul tema della rappresentanza. È allo stesso tempo l'ennesimo schiaffo ai lavoratori e ai loro diritti (negati) e un bagno di realismo per tutte quelle organizzazioni sindacali che si erano sviluppate in un contesto legislativo meno vincolante. Questo accordo sancisce infatti la fine dell'anomalia italiana nel panorama sindacale mondiale. La parziale applicazione dell'art. 39 della Costituzione aveva prodotto negli anni un sistema contrattuale aperto, aspetto che ha favorito la nascita di correnti sindacali autonome e critiche che, in Italia più che in altri paesi, ha caratterizzato il panorama sindacale in quanto a vivacità e lotte. Il Protocollo del 31 maggio mette fine a questa tradizione ed avvicina il sindacalismo italiano al rigido schematismo dei sindacati nordeuropei, dove divieti ed esigibilità dei contratti sono normati da leggi dello Stato ormai da molti decenni.
Gli aspetti positivi di questo accordo, reali o potenziali che siano, rispetto a quello del 28 giugno 2011, comunque non bastano a rendere meno fosco il futuro della classe lavoratrice in Italia. Il fatto stesso che venga sancita l'obbligatorietà del sottoporre a consultazione delle ipotesi di CCNL rappresenta l'affermazione - per ora formale - di un fondamentale contenuto democratico. Allo stesso modo, il principio secondo cui la validazione di una piattaforma categoriale debba passare attraverso la sua sottoscrizione da parte del 50% + 1 dei soggetti deputati a trattare può rappresentare un'importante inversione di tendenza, rispetto a quanto stabilito ormai due anni fa, nella direzione della fine degli accordi separati. Da ultimo, la scelta del meccanismo proporzionale per l'elezione delle RSU cala il sipario - si spera definitivamente - sull'attuale riserva di 1/3 a favore dei sottoscrittori dell'accordo.
Sull'altro piatto della bilancia si colloca però un drastico irrigidimento dei meccanismi di funzionamento della democrazia sindacale e la totale delegittimazione di chi resta fuori dall'accordo. A pesare, in questo senso, non è tanto il tetto del 5% di media semplice fra iscritti (dato peraltro falsato dal fatto che la certificazione dell'INPS esclude tutte le organizzazioni sindacali non firmatarie di CCNL applicati in azienda) e voti espressi, che pone tutti i soggetti in causa di fronte ad una inevitabile riflessione sul proprio grado di rappresentatività della classe lavoratrice, ma piuttosto l'argine preventivo che questo accordo pone rispetto a qualsiasi forma di auto-organizzazione dei lavoratori e il ricatto del "firma o scompari" insito nell'aut-aut imposto dal patto fra Confindustria e le Segreterie Nazionali di CGIL, CISL e UIL. La definizione nei vari accordi di categoria delle procedure di raffreddamento e di certificazione dei contratti, la sostituzione d'ufficio della RSU che cambi sigla sindacale aumenta la frammentazione dei lavoratori e potenzia ulteriormente il ruolo delle burocrazie sindacali. Tutto l'impianto dell'accordo affossa definitivamente l'idea stessa di autonomia sindacale sancendo la subordinazione sindacale al consorzio dei produttori.
A danzare sulle note di questa marcia funebre per la classe lavoratrice sono per l'ennesima volta i padroni, oggi sotto la nuova guida Squinzi, che con questa mossa forse potranno riuscire a riguadagnare FIAT al campo confindustriale. I gruppi dirigenti dei sindacati confederali si ritagliano orgogliosamente un posticino nell'orchestra che assicura la continuità delle danze. Nell'allegra combriccola un posto viene lasciato anche alla Segreteria CGIL, che non può rimanere seduta in un angolo quando alla guida del Governo c'è un politico del PD. La "mutazione genetica" che la linea camussiana ha imposto in Corso D'Italia, quella secondo cui la funzione del sindacato coincide con la mediazione fra imprese e forza-lavoro, trova così il suo compimento. Un sindacato del genere, al quale ormai risulta aliena ogni preoccupazione per la tutela degli interessi dei lavoratori, non può cercare legittimazione altra se non quella della controparte, il padronato, e del suo garante, lo Stato. E visto che possono essere molti i soggetti che ambiscono ad esercitare questa funzione - soprattutto perché la torta da spartire, come nel caso degli enti bilaterali, è ghiotta - la priorità è oggi quella di recintare lo spazio di agibilità per altri soggetti, di giocarsela "a numero chiuso", o almeno di rendere difficile la vita ad ogni ipotesi alternativa.
Il pericolo principale, in questa situazione, è che l'ingessatura provocata da accordi come quello del 31 maggio abbia l'effetto di deprimere le forze che fino ad oggi si sono coraggiosamente opposte all'ordine sancito a colpi di diktat padronali. Occorre compattare il fronte del dissenso, ricostruire forme di democrazia e di organizzazione nei posti di lavoro affinché la validazione dei CCNL non diventi pura e semplice ratificazione della volontà padronale entro l'artificioso orizzonte del "patto fra produttori". Ma occorre anche comprendere che non sono le norme a sancire il conflitto, ma i rapporti di forza messi in campo. Solo l'affermarsi di condizioni storiche oggettive, sulle quali si innesti la ripresa di una forte soggettività politica della classe lavoratrice, può permettere ad essa di rivendicare la titolarità del sindacato e creare le condizioni per il conseguente sviluppo del conflitto sociale.
Il sindacato deve tornare in mano ai lavoratori!

Commissione Sindacale
Federazione dei Comunisti Anarchici

9 giugno 2013

 


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