„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
per giulio
martedì 17 settembre 2013
Cattolicesimo e dittatura . sabato 21 settembre 2013 , Venezia , marghera
incontro con
Giovanni Levi
storico e studioso di sistemi ecomici e reti sociali
introduce
Piero Brunello
docente di Storia Sociale
Università di Venezia
sabato 21 settembre 2013
ore 17,30
Ateneo degli Imperfetti
Via Bottenigo 209 / Marghera VE
Non ci si è mai domandati perché la totalità degli stati cattolici (la Francia è esclusa: è un paese pieno di cattolici ma non è un paese cattolico) dall’Europa all’America latina hanno conosciuto lunghi periodi di dittatura negli ultimi cento anni. La dittatura non è una specialità dei paesi cattolici, ma è necessario riflettere sul fatto che esiste un carattere comune a tutti i paesi cattolici. Per rispondere c’è bisogno di una lettura su tempi lunghi, che indaghi le radici storiche del fenomeno. Il fatto che nei paesi cattolici i singoli debbano continuamente confrontarsi con due sistemi normativi – quello dello Stato e quello della Chiesa – fa sì che le norme politiche e civili siano vissute come moralmente inferiori alle regole della religione cattolica. Debolezze e cattivi comportamenti sono considerati come elementi costitutivi della natura dell’uomo, a cui si chiede pentimento e a cui si concede perdono: e questo crea una sostanziale debolezza del sistema politico e delle istituzioni civili e politiche, che appaiono estranee, ostili, ingombranti. Nei secoli si è venuta così formando un’antropologia cattolica che informa i comportamenti quotidiani, il rapporto tra cittadini e istituzioni, l’atteggiamento nei confronti delle regole e delle infrazioni alle regole, i modi con cui affrontare e risolvere i conflitti. La degenerazione della vita democratica deriva proprio dal senso di impotenza dei cittadini, dalla loro diffidenza, dal disinteresse per istituzioni che non sono state prodotte da loro. Il caso dell’Italia – fino ai giorni nostri – è particolarmente illuminante.
Giovanni Levi
Storico e studioso di sistemi ecomici e reti sociali,
ha insegnato nelle università di Torino e di Venezia.
Tra i fondatori, assieme a Carlo Ginzburg, della
“microstoria”, uno dei contributi più innovativi della
storiografia di fine Novecento, ha diretto la rivista
“Quaderni storici”, e con Ginzburg la collana
“Microstorie” per l’editore Einaudi. E’ stato tra i primi
a promuovere la diffusione della storia orale in Italia.
Tra i suoi libri: L’eredità immateriale. Carriera di un
esorcista nel Piemonte del Seicento (Einaudi, 1985),
tradotto in molte lingue. Con Jean-Claude Schmitt ha
curato l’opera Storia dei giovani (Laterza, 1994).
Piero Brunello
Insegna Storia sociale all’università Ca’ Foscari di
Venezia. Tra i suoi libri più recenti: Storie di anarchici
e di spie. Polizia e politica nell’Italia liberale, Donzelli,
Roma 2009; Ribelli, questuanti e banditi. Proteste
contadine in Veneto e in Friuli (1814-1866), Cierre,
Verona 2011 (1 ed. Marsilio 1981). Nei suoi studi si è
occupato del Quarantotto, di migrazioni, di scrittura,
di storia urbana, di figure e vicende dell’anarchismo,
di culture popolari.
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