Fin dalle origini quella sezione è stata
dedicata a mio nonno materno (Otello di Peppe d'Alcide, comunista, ebanista e
martire delle Fosse Ardeatine) - come ricordava anche il Corriere della Sera di
mercoledì in cronaca romana, pur storpiando il nome di Otello in Oreste - e una
grande lapide con il ritratto di nonno in un tondo ha sempre accolto
all'ingresso chi entrava in quella sezione.
Quando da bambino (prima e durante le
elementari) mi capitava di accompagnare mia madre a fare la spesa al mercato di
via Andrea Doria, passavamo apposta davanti alla sezione, ci fermavamo sulla
soglia ed io dicevo il mio "Ciao nonno".
Quanto la vicenda di mio nonno mi abbia
condizionato nelle successive scelte politiche è sotto gli occhi di tutti. Meno
noto è invece quanto io abbia fatto per conservarne e diffonderne la memoria:
facendo appello (inascoltato) alle autorità di Chieti - dove nonno nacque -
perché gli dedichino una strada; percorrendo tutti e tre i gradi del processo
contro Priebke, compreso un quarto grado preliminare (il ricorso alla Corte
costituzionale perché si accettasse per la prima volta la costituzione di parti
civili in un processo militare); donando alcune memorie di nonno al Museo di via
Tasso dove egli fu torturato; pubblicando il bel libro di Pino
Mogavero I
muri ricordano; collaborando con lo stesso Mogavero alla preparazione di
un libro apposito su nonno Otello.
Ebbene, quando ho saputo che lunedì scorso
un incendio (sicuramente doloso) aveva quasi distrutto la sezione (entrambi i
circoli), portando addirittura all'evacuazione del palazzo, mi sono subito
sentito impegnato moralmente a partecipare alla manifestazione che
effettivamente c'è stata giovedì 27 giugno, davanti alla sezione semidistrutta
(la lapide per fortuna è sana, ma è tutta coperta dal nero-fumo), in
un'atmosfera di commozione e voglia di reagire allo stesso tempo. Un pubblico
soprattutto Pd (che nel quartiere Trionfale - il mio quartiere - riesce però ad
allacciarsi a tradizioni tutto sommato comuniste - si pensi che a poche
centinaia di metri dalla sezione viveva Errico Malatesta...), con un po' di Sel
e qualche presenza da fuori. (…) C'erano anche i miei due figli, Liben e Laris,
presentati ufficialmente come pronipoti di Otello.
E come nipote di Otello sono stato accolto
con simpatia dal centinaio circa di persone convenute, e il mio intervento
(gridato a squarciagola perché i megafoni non sono più di moda) è stato
interrotto più volte da applausi di solidarietà.
Altri interventi hanno ricordato che quella
sezione è dedicata a Otello di Peppe. Per me è stato facile ricollegarmi a loro
e dire che nonno mi sembrava ancora vivo e in mezzo a noi, tra quella gente che
di lui probabilmente non sapeva niente, ma che di lui si considera erede. E sono
venuto via in uno stato di lucida commozione, come non mi accade spesso: a
settant'anni dalla morte di nonno alle Ardeatine c'è ancora chi ritiene utile
appiccare il fuoco a sezioni della ex sinistra come se fossimo nel '22, ma c'è
ancora chi rivendica la continuità con l'esempio di Otello e chi, come me,
riesce a sentirlo ancora vivo, anche grazie a quell'attentato e per quel
richiamo ideale a lui.
Con un compagno simpatizzante di UR ho
scambiato alcune considerazioni su quel tipo di pubblico. Ognuno di noi sa bene
che quelle persone, schieratissime col centrosinistra (cioè col partito delle
guerre all'estero, delle tasse impietose e della liquidazione di ogni conquista
sindacale, temporaneamente alleato a Berlusconi pur di poter stare al governo)
rappresentano politicamente il contrario esatto delle idee mie e di mio nonno.
Insomma, Pd e Pdl, facce diverse della stessa medaglia, ipotesi diverse di
difesa dell'imperialismo italiano, come abbiamo sempre detto, e molto prima di
Grillo.
Eppure quelle persone erano lì, un giorno
feriale di pomeriggio, pronte a entusiasmarsi e ad applaudire anche i passi
anticapitalistici del mio intervento. Tra loro si chiamavano compagni e la
cosa più curiosa e che tali si consideravano realmente. Insomma, se tra i
dirigenti del Pd e del Pdl (Sel è un'appendice esterna, che però attualmente non
si identifica totalmente col centrosinistra) si può tracciare una linea di
identità (del tipo: fanno schifo entrambi, servi del capitale, nemici dei
lavoratori ecc.), lo stesso non si può fare con i loro iscritti, attivisti o
membri di base. Un pubblico così rispondente non lo avrei trovato in una
manifestazione-assemblea del Pdl, del Cdu, dei montiani. Ed è lì che casca il
somaro da una novantina d'anni: i dirigenti dell'ex movimento operaio - Pci, Psi
e diramazioni varie - fanno schifo politicamente e storicamente quasi dalla
nascita (sono cioè organici ai progetti della borghesia e di alcuni apparati
burocratici di Stato, e non parliamo nemmeno delle loro responsabilità nella
vittoria della controrivoluzione staliniana), mentre le loro basi continuano a
credere di lottare per il progresso, la democrazia e nei casi più tragici anche
per il comunismo. Non sarà per tutti così, ma per una certa fetta e in
determinati contesti, il fatto è indiscutibile.
La differenza tra le basi del Pd-Sel e
quelle del Pdl-Lega rispetto all'eguaglianza sostanziale ma ormai anche formale
dei vertici di entrambi rappresenta il nodo cruciale della lotta di classe in
Italia. Con altre sigle, in altri contesti, con storie nazionali diverse e in
epoche diverse ciò è stato ed è vero su scala mondiale da quasi un secolo se non
prima. Una classe sociale degna del nome (in questo caso i lavoratori) non
potrebbe continuare per decenni ad autoilludersi che i propri dirigenti siano
tutto sommato portatori dei loro ideali di base, delle loro necessità sociali e
di classe. Una classe sociale degna del nome spezzerebbe prima o poi o al
termine di determinati processi il nodo gordiano dell'incongruenza tra
dichiarazioni e azioni e si darebbe nuovi dirigenti al posto di quelli traditori
e/o incapaci. La borghesia lo ha fatto più volte (basti solo pensare alla
Francia) e continua a farlo (anche se sempre con maggiore fatica). Il movimento
operaio non ci è mai riuscito (si pensi alla sopravvivenza delle direzioni
socialdemocratiche anche in piena espansione del bolscevismo e al prestigio
dell'Urss tra i lavoratori di gran parte del mondo nonostante il Patto con
Hitler, le sconfitte su ogni fronte, le invasioni di altri popoli e Paesi, la
fame, il Gulag ecc.) e ormai ha rinunciato storicamente a farlo. Anzi, siamo
giunti al punto di poter dire che il movimento operaio ha preferito
autodissolversi, ha preferito scomparire come movimento antagonista organizzato
di massa piuttosto che buttare al macero le proprie direzioni storiche e darsene
di nuove che lo portassero a conseguire qualche vittoria propria. Il tutto
avendo avuto centinaia se non migliaia di occasioni per verificare
l'incompatibilità di quelle direzioni con i proprio ideali.
Ecco ciò che
volevo comunicarvi: dall'emozione per aver risollevato una pagina della mia
infanzia vedendo mio nonno "vivo" in quella manifestazione davanti a una sezione
arsa dal fuoco di ignoti sono arrivato (lì, in loco) alle considerazioni sulla
natura psicologicamente (antropologicamente?) antagonistica di quella gente
presente, nonostante il carattere scopertamente reazionario dei suoi dirigenti.
(...)
Dimenticavo di
dire che a nonno dedicai
anche una poesia* nel settembre del 1966 (cioè a vent'anni), reduce dal
viaggio in Europa a ad Auschwitz che cambiò la mia
vita.
Roberto
(28-06-2013)
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