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martedì 26 maggio 2020

Federalismo decentramento e noi

Federalismo decentramento e noi È vero, abbiamo criticato il modo con cui molte regioni hanno condotto la stagione del covid19. È vero, abbiamo sempre avversato l’infausto pateracchio della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 e tutta la confusione che da essa è stata generata, ricordiamo che quella revisione costituzionale fu voluta sullo scorcio della legislatura da un centrosinistra in confusione (una vera novità!) e da un improbabile candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rutelli, nella vana speranza di sottrarre voti alla Lega Nord.
Ciò vuol dire che i comunisti anarchici sono diventati centralisti, o, come dicono
le correnti individualistiche ed antiorganizzatrici dell’anarchismo, statolatri? Chiariamo
meglio.
Potremmo dire che ci rifiutiamo di sostituire la statolatria con la “regionilatria”, ma sarebbe un semplice escamotage, anche se non lontano dal vero. È, infatti, un dato che il decentramento inserito in quel frangente nella Costituzione non avvicina, come sostiene la vulgata, le istituzioni ai cittadini. Non solo la devoluzione di parte dei poteri alle regioni non ha reso i promulgatori di leggi più prossimi ai sudditi o da essi meglio controllabili, ma ha moltiplicato per venti volte un ceto politico parassitario, con l’aggravante che spesso esso è anche meno preparato e più esposto alle pressioni dei poteri forti che hanno gioco più facile nel condizionare le forze politiche che gestiscono il territorio. Non vogliamo certo sostenere che l’attuale classe politica nazionale sia di elevata caratura; non lo è neppure, salvo rare eccezioni, quella degli altri Stati, ma solo che al peggio non c’è mai fine, come è facile constatare.
Quindi, quello a cui assistiamo non è decentramento con connesso sviluppo della democrazia e della partecipazione, ma solo una moltiplicazione di centri decisionali, sovente in contrasto tra di loro, che alimenta la babele delle norme. Per usare una formula cara agli anarchici tutti, le decisioni non salgano dal basso verso l’alto per formare una volontà comune e condivisa, ma piovono come grandine sui cittadini che spesso ne ignorano provenienza e ragione.
Non è certo un caso che questa miriade di centri decisionali tendano ad allargare le proprie competenze e diano adito alla continua richiesta di maggiore autonomia (fino all’obbrobrio dell’“autonomia differenziata”) la cui molla non è la ricerca del bene collettivo, ma la più gretta autoreferenzialità; quello che si produce non è un federalismo di comunità autogestite che si sostengono vicendevolmente con spirito solidaristico, ma il trionfo dei più ricchi e del loro egoismo. È un federalismo divergente invece che convergente, che allontana gli uni dagli altri invece che tendere alla cooperazione, che divide invece di unire.
Queste tendenze all’isolamento sono miopi, ma soprattutto fanno leva sugli istinti più deteriori delle persone, attingendo la propria linfa dagli strati più abbienti o da quelli meno critici della propria popolazione, impedendone la crescita della coscienza politica. La pratica del federalismo solidale si basa sulla più ampia diffusione della consapevolezza delle persone di fare parte necessariamente di una comunità senza la quale non ci sarebbero possibilità di sopravvivenza e di sviluppo collettivo. Il federalismo così caro alla destra (stranamente, sembra, contrastante con
l’originaria difesa del più autocratico centralismo) non è che una manovra volta a sviluppare gli egoismi, quegli egoismi che le permetterebbero una gestione forte del potere una volta che lo avessero conquistato. La diffusione degli slogan “Prima gli ….” solleticano proprio il desiderio di godersi dei privilegi presunti ed aprono in realtà le porte alle dittature palesi o camuffate; gli esempi (Brasile, Stati Uniti d’America, Ungheria, ecc.) non mancano. Tornando a noi, quello che è il nostro scopo non “decentrare” il potere a cascata, ma quello di costruire una società di individui coscienti, responsabili, capaci di autogestirsi, solidali, quindi la centralizzazione delle decisioni che convergendo si formano a partire dalle volontà delle comunità che si federano. Decentrare è un movimento discendente, “centralizzare”, cioè la faticosa costruzione di un indirizzo comune, è un movimento ascendente. Le comunità locali, sindacali, agricole, di mestiere, non sono monadi che non comunicano tra di loro, ma sono interconnesse per il semplice motivo che necessitano le une dalle altre e solo cooperando possono svilupparsi, garantendo il massimo benessere possibile ai propri aderenti. Nulla a che vedere con il guazzabuglio che l’Italia con l’autonomia regionale o gli USA con l’indipendenza dei singoli Stati, stanno oggi impietosamente mostrando. In questi casi le singole decisioni rispondono solo a giochi di potere politico ed alle esigenze elettorali dei governanti ai vari livelli e non certo alla salvaguardia degli
interessi collettivi.
Per concludere, non è il luccichio di un’autorità centrale che ci attrae, fosse anche quella dei tecnici e degli scienziati del cui sapere abbisogniamo, ma che vanno controllati per la loro incompetenza relazionale e per l’offuscamento che il loro sapere procura ad essi. Quello che ci interessa è non confondere i piccoli ma tenaci poteri dei
boiardi disseminati nella penisola con le vera chiamata dei cittadini alla consapevolezza dei propri diritti, in modo che venga loro conferita la piena potestà delle scelte e della direzione da imprimere alla propria vita collettiva.
La Redazione







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