„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
per giulio
giovedì 7 marzo 2013
Dopo gli anni delle veline, gli anni della vittima, vogliamo che i prossimi siano gli anni delle donne.Comunicato Commisione di genere FDCA 8 marzo 2013
Dopo gli anni delle veline, gli anni della vittima, vogliamo che i
prossimi siano gli anni delle donne.
8 marzo, nulla da festeggiare in questa data che segna al suo attivo,
in italia, già ben 10 donne uccise per mano di ex, compagni, mariti,
fidanzati.
Dopo secoli di silenzio, anche l'Italia scopre finalmente il
femminicidio. E la donna velina (oggetto in vendita) cede il posto
alla donna vittima (oggetto di violenza).
Sacrosanto rendere conto dell'aumento della violenza di genere,
scardinare l'omertà del sistema e denunciare l'assenza di reti di
sostegno. Ma l'attenzione mediatica alla vittimizzazione estrema
rimane nella migliore delle ipotesi denuncia , privilegia le brave
donne, spesso oscurando le irregolari e le donne più fragili
(prostitute, straniere, trans) , nega diritto di parola alle vittima,
di solito morta, per lasciarlo a tutti coloro che sono intorno.
Sempre, ancora, le donne sono rese deboli.
E’ la profonda crisi economica, i tagli al sociale, l’esclusione dal
mondo del lavoro il ridurle nuovamente ad angeli del focolare relegate
al ruolo di badanti o di mamme ‘amorevoli per forza’ a causa dei costi
inaccessibili degli asili nido, delle scuole materne e dalla scomparsa
del tempo pieno nelle scuole, situazioni economiche disastrose,
famiglie, nella migliore delle ipotesi, monoreddito, condite di
malcontento, disagio e rinunce, che porta le donne ad essere sempre
più esposte alla violenza di genere, violenza che si manifesta via via
sotto forme differenti che possono condurre all’atto estremo. La
dipendenza economica dal partner dà spesso adito a violenza
psicologica determinata dal dover chiedere denaro in casa per poter
gestire il bisogno ‘primario’ del nucleo familiare in faticosi slalom
alla ricerca del discount più conveniente.
Ma per renderci forti occorre che ricominciamo a parlare del lavoro,
dei diritti, a rivendicare uno spazio proprio delle donne. Dalle
condizioni materiali di vita delle donne dipende la loro capacità di
liberarsi da vincoli oppressivi, più o meno consapevoli, e di aprire
spazi di libertà e di trasformazione.
Se il capitalismo ci ha sempre considerate un esercito di riserva per
il mercato del lavoro, per secoli le lavoratrici hanno combattuto
contro la subordinazione alle logiche di un’economia femminile utile
solo come sostegno alla famiglia, che si poteva accontentare quindi,
di un valore economico inferiore.
Se negli anni novanta, a fronte di un tasso di occupazione maschile
rimasto stabile, si è assistito ad una crescita della partecipazione
delle donne al mercato del lavoro, questo ha coinciso con un
progressiva “femminilizzazione” del mercato del lavoro che ha
aperto la strada alla “flessibilità”ovvero allo smantellamento
progressivo dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
E se la femminilizzazione del mercato ha anche comportato fenomeni
di de-segregazione a favore delle donne, a spese però di un diffuso
fenomeno di sub-appalto dei lavori di cura ad altre donne, allo
stesso tempo ha significato l’aumento di una domanda di lavoro
“povera” e ha favorito il processo di flessibilizzazione -
precarizzazione. Così l’ideologia del destino naturale delle donne
nel ruolo di cura dei bambini, anziani, malati, il contrattacco
ideologico, il cosidetto backlash patriarcale e capitalista, contro il femminismo
radicale e la libertà delle donne nelle scelte pubbliche e private,
ha lavorato al disconoscimento delle donne nella loro pretesa di
partecipare allo spazio pubblico a 360 gradi come attrici
collettivamente riconosciute nello spazio sociale, nella vita dei
paesi cd democratici.
Il cortocircuito si è verificato nella (scarsa, più vantata che reale)
implementazione delle politiche di “conciliazione” dei tempi di vita e
di lavoro delle donne, portata avanti in modo sciagurato e
contraddittorio insieme allo smantellamento progressivo del welfare
pubblico. Alle donne veniva proposto, e ora imposto dalla crisi
economica, di conciliare i loro molti impegni obbligati nel posto di
lavoro e nel tenere in piedi i destini delle loro famiglie, invece di
puntare a una condivisione e una corresponsabilità nei compiti di
cura. La progressiva privatizzazione del welfare ha fatto il resto:
costi dei servizi molto alti a fronte di salari molto bassi delle
donne, o di progressiva incentivazione del part-time, stanno portando
all’ulteriore precarizzazione e alla successiva uscita in massa dal
mondo del lavoro, proprio in concomitanza con la crisi che è stata a
lungo preparata e si è abbattuta alla fine del decennio scorso. Il
risultato è sotto gli occhi di tutte e tutti noi, le donne che sono
state costrette culturalmente ed economicamente a subire
massicciamente la flessibilità e la precarizzazione fino ad arrivare a
livelli di nuova povertà che arrivano a livelli tragici nella vita
delle donne separate o divorziate con figli. La violenza di genere,
fenomeno che è sempre stato presente e forte nella società patriarcale
contro le donne che hanno espresso volontà di indipendenza e autonomia
di fronte le regole date come naturali e ovvie dentro i legami
familiari, si è così accresciuta perché il valore delle donne nel
capitalismo è diminuito in modo esponenziale e così la capacità di
agire effettivamente istanze di libertà che le donne oggi
vivono come necessarie per la loro sopravvivenza in un mondo che si
sta facendo sempre più oppressivo.
Per questo come femministe comuniste anarchiche proponiamo per questo
8 marzo di rimettere al centro l’attenzione per le condizioni di vita
e di lavoro delle donne, giovani e meno giovani, cittadine della terra
e non di una sola nazione, in una prospettiva internazionale ed
europea, favorendo spazi di consapevolezza culturale ed
economico-sociale che portino ad una nuova conflittualità delle donne
contro il capitalismo che ci ha preso a bersaglio della sua volontà di
distruzione di ogni riconoscimento di dignità del lavoro e del
lavoratore, di sfruttamento senza alcuna regola.
Dobbiamo chiedere con forza che in questa fase storica non vi siano
discriminazioni ulteriori a scapito delle donne, colpite già, da
sempre, nelle loro fasi più delicate della vita, a partire dal diritto all'autodeterminazione.
Desideriamo con forza un ritrovarci e un ritrovare solidarietà,
sorellanza, rabbia, una rabbia costruttiva per il nostro presente e
per un futuro che non vogliamo e non dobbiamo consegnare alle nostre
giovani e ai nostri giovani con lo sfruttamento, la violenza, la
discriminazione dell’oggi.
Vogliamo riprenderci le nostre vite, la consapevolezza del nostro
valore, delle nostre capacità, vogliamo poter vivere una vita degna,
libera e consapevole.
Che siano le donne oggi a dire basta e a proporsi come soggetto
rivoluzionario, in un percorso comune che vada oltre ogni confine,
perché, in fondo è questo l’8 marzo ed è l’unico 8 marzo possibile.
Con l’augurio, e il desiderio, di continuare a costruirlo tutto l’anno.
FdCA - Commissione di etiche di genere 8 marzo 2013
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