La sentenza relativa al terremoto de L’Aquila del 2009, che ha condannato in primo grado la Commissione Grandi Rischi, ha fatto molto scalpore specialmente nella comunità scientifica nazionale e internazionale.
Non siamo, per indole, dalla parte dei magistrati ma riteniamo tuttavia importante fare chiarezza su come tale vicenda sia vissuta a livello mediatico. Innanzitutto c’è da dire una cosa: non è vero che i tecnici della Commissione sono stati condannati per non aver previsto il terremoto che la notte del 6 aprile 2009, alle ore 3.32 del mattino, colpì la zona de L’Aquila, provocando la morte di più di 300 persone. Opinione questa che è stata fatta propria universalmente da chi non condivide la sentenza, specialmente da quei scienziati e tecnici che hanno addirittura rievocato antiche persecuzioni inquisitorie.
In realtà la condanna è scattata perché i tecnici hanno coscientemente e deliberatamente mentito sulla probabilità o meno che un evento così catastrofico potesse avvenire. D’altra parte se è vero che un terremoto non può essere previsto, paradossalmente sono stati proprio i tecnici della Commissione che, rassicurando la popolazione aquilana, hanno implicitamente prodotto una previsione di non accadimento.
Quindi il comportamento scorretto dei tecnici sussiste semmai nell’aver elaborato una previsione scientificamente impropria (proprio perché i terremoti non si possono ne prevedere e ne non prevedere) e che oltretutto si è dimostrata tragicamente errata.
Ritornando indietro nel tempo, di fronte allo sciame sismico che da ottobre del 2008 veniva registrato nell'area aquilana, la Commissione, pochi giorni prima del terremoto del 6 Aprile 2009, risolve il tutto con un'oretta di riunione dove si affermano tutta una serie di ovvietà, compresa l’imprevedibilità dei terremoti, senza però decidere niente (vedi il verbale della Commissione Grandi Rischi del 31 Marzo 2009 su http://abruzzo.indymedia.org/article/6327).
I tecnici in quella riunione affermarono che l'aumento dell’attività sismica con il susseguirsi di piccole scosse ripetute non per forza doveva far pensare al verificarsi di un evento catastrofico. Questo è vero, ad uno sciame sismico non sempre segue un terremoto di grande energia, ed è anche vero che le grandi scosse non sempre sono precedute da questi e altri fenomeni premonitori. Però, spesso i due fenomeni sono associati; allora perché non è stato applicato il sano principio di precauzione, coordinando almeno un piano operativo che prevedesse una maggiore tempestività dei soccorsi, ad esempio, col dislocamento strategico dei mezzi? (I tempi di intervento in questi casi sono fondamentali) Ma soprattutto perché, se non si era sicuri sull’eventualità che una scossa sismica sarebbe potuta accadere o meno, si è rassicurata la popolazione?
Probabilmente, anzi sicuramente, le intercettazioni dei colloqui telefonici tra, l’allora potente capo della Protezione Civile, Bertolaso ed il sismologo Enzo Boschi, ci forniscono le risposte a queste domande: “…la verità non la si dice" ordina l’indiscusso capo della PC, e i tecnici obbediscono. I cittadini aquilani, autoritaristicamente, non devono essere informati, i cittadini aquilani, paternalisticamente, devono essere rassicurati.
È una pratica consueta nella gestione del potere utilizzata dai burocrati ed i tecno burocrati dello Stato. Una pratica intrisa di autoritarismo e paternalismo, una pratica che ha radici profonde nella consuetudine della delega del potere alle oligarchie dominanti, economiche, politiche e scientifiche. Una pratica che insieme alle altre caratteristiche peculiari di questo sistema di potere, quali la proprietà privata, i privilegi di classe e di casta politica, i connubi mafiosi tra istituzioni pubbliche e affaristi privati, contribuisce al degrado dei nostri territori ed all’insicurezza ambientale di fronte al naturale espletarsi dei fenomeni geologici.
Ritornando alla sentenza di primo grado, che come spesso succede in Italia quando sono coinvolti personaggi del potere è molto probabile che venga rovesciata negli altri gradi di giudizio, si rischia tuttavia che questa svii l’attenzione sull’altra grande parte di responsabilità oggettive che contribuiscono a rendere insicure le nostre città ed i nostri territori dal punto di vista geologico.
Infatti, se vogliamo contrastare gli effetti dei terremoti, così come quelli di altre catastrofi geologiche, l'unico aspetto su cui si può fare leva è la prevenzione.
E fare prevenzione significa ridurre il più possibile quei fattori che contribuiscono a mantenere alto il Rischio Sismico di una determinata area e che dipendono dalle risposte che mette in campo la società. Se infatti non si può intervenire sulla cosiddetta Pericolosità sismica perché dipende da cause oggettive legate alla sismicità naturale di un’area, se non facendo in modo che venga conosciuta sempre più adeguatamente, ad esempio approfondendo nei territori tutti quegli aspetti legati agli effetti sismici di sito, in grado di amplificare le onde sismiche di un terremoto, molto si potrebbe fare migliorando la Vulnerabilità sismica del costruito, caratteristica che esprime la propensione delle costruzioni a resistere alle azioni sismiche.
E qui sta il grosso del problema Rischio Sismico.
Molti tecnici territoriali degli enti pubblici, infatti, ammettono candidamente di non conoscere affatto la Vulnerabilità sismica della quasi totalità degli edifici presenti sui territori di loro competenza, e non solo di quelli privati, ma anche di quelli pubblici come scuole ed ospedali, a fronte di una notevole vetustà del patrimonio edilizio italiano che per la maggior parte (circa il 55% in media e fino al 76% nelle grandi città) è stato edificato prima che entrasse in vigore qualsiasi normativa antisismica (fonte: http://www.architettibrescia.net/wp-content/uploads/2012/04/weekmailweb_2012_17.pdf).
D'altronde in questo bel paese abbiamo assistito al fatto che anche edifici costruiti in periodi dove le normative antisismiche esistevano (e questo è il caso dei capannoni industriali emiliani o della casa dello studente de L’Aquila, o della scuola di San Giuliano di Puglia, ecc, ecc,ecc), hanno subito danni fino al collasso strutturale, perché gli interessi di un intero blocco sociale pubblico-privato, composto da amministratori, faccendieri, palazzinari, dedito al guadagno a discapito della sicurezza del costruito, si è dimostrato più importante delle vite custodite dagli edifici.
Eppure le risorse per eseguire le verifiche sismiche, almeno degli edifici sensibili, ci sarebbero, basterebbe andare a fare un po' di conti in tasca a tutte le amministrazioni statali, centrali e periferiche, per vedere quanto spendono nel mantenere l'esercito del consenso all'interno delle aziende pubbliche o a capitale misto o quanto spende lo Stato in nuovi armamenti o nelle cosiddette missioni di pace; oppure quanto viene regalato all'imprenditoria delle finte cooperative con le esternalizzazioni dei servizi, o quanto viene elargito ad un imponente esercito di dirigenti assolutamente inutili alla collettività, o infine basterebbe recuperare una quota parte delle imposte evase nel commercio e nelle libere professioni, solo per citare alcuni esempi.
È qui che ritorna prepotente il meccanismo della delega. Non possiamo lasciare nelle mani di questi faccendieri la gestione dei nostri territori, anche dal punto di vista della sicurezza ambientale.
Sta a noi, infatti, attraverso la costituzione di organismi di autogoverno territoriale basati sulla cooperazione tra cittadini e tecnici attenti alla conservazione dei beni comuni, come il patrimonio edilizio sensibile (scuole e ospedali ad esempio), e alla salvaguardia della sicurezza sociale, ribaltare la situazione, mettendo in campo forme di lotta che sappiano direzionare le risorse collettive generate dalla tassazione, ad esempio, altrimenti orientate dagli organi statali centrali e territoriali ad alimentare i privilegi e gli sprechi dei tecno burocrati e degli affaristi, o quelle orientate ad alimentare la spesa militare o a mantenere l’enorme, dispendioso e inutile parco dirigenziale.
Novembre 2012
Gruppo di Lavoro Energia e Ambiente della FdCA
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
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