Condanna preventiva
A 11 anni dal 2001, in perfetta media con i tempi giudiziari di una repubblica che ha dimenticato da tempo lo stato di diritto, sono finalmente arrivate le sentenze sui fatti di Genova. Sentenze esemplari, le sentenze di cui avevano ovviamente bisogno gli apparati di questo Paese.
Una sentenza a posteriori, per dire che, sì, di fronte a reati gravissimi contestati a livello internazionale c’è stato qualcosa che non ha funzionato, ma in fondo si tratta di peccati veniali per i fedeli servitori dello Stato, nel frattempo come sappiamo promossi e allocati altrove, con percorsi perfettamente bipartisan. A cui fa il paio una sentenza che condanna con pene spropositate gli autori identificati di devastazione e saccheggio. Inutile parlare dei fatti: tutti e tutte sappiamo tutto, questo è un paese in cui la verità politica diventa verità storica, a volte ma non sempre, ma quasi mai verità giudiziaria, e possiamo e dobbiamo ripetercelo e ricordarcelo. Perchè noi sappiamo che a Genova, come a Seattle e a Ottawa, avevamo ragione noi, (noi sei miliardi, loro G8) a chiedere, a pretendere un’inversione di rotta che non c’è stata, a spiegare che il liberismo ci stava portando a una rovina di cui ora lor signori ci chiedono, con la faccia tosta e i Manganelli, di pagare il conto.
Più importante, forse, capire e prendere atto che la condanna a Ines, Alberto, Marina, Francesco, Carlo, Antonino, Luca, e ancora a Carlo è in realtà una condanna preventiva a tutti coloro che intendono prossimamente continuare a reagire alla violenza di fatto condotta giorno dopo giorno contro i lavoratori e gli abitanti di questo paese, a cui governi tecnici fin troppo politici espropriano diritti, conquiste e spazi di vita e di libertà.
Dimostra che contare sulle leggi e sull’imparzialità del diritto - ormai quasi nessuno più conta su possibili governi amici, se non altro se è in buona fede- è un’utopia molto più inutile del continuare a lottare, dimostra che occorre trovare e perseguire forme di lotta che uniscano e non dividano, mettere in moto intelligenze politiche in grado di fermare, come granelli di sabbia, i meccanismi del potere che ci stritolano quando cadiamo nelle loro grinfie.
Perché, oggi come allora, non possiamo permetterci di arrenderci, né di giocare al loro gioco a perdere.
FdCA - 15 luglio 2012
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
per giulio
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento