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venerdì 2 settembre 2016

LA MINI-INVASIONE TURCA NEL NORD DELLA SIRIA,

LA MINI-INVASIONE TURCA NEL NORD DELLA SIRIA,
di Pier Francesco Zarcone


L'iniziativa turca di invadere una piccola parte del nord siriano e occupare Jarablus induce a forti preoccupazioni politiche e militari, poiché in una situazione come quella siriana l'ingresso di nuovi soggetti - in particolare se "di peso" - complica e incancrenisce, rendendo meno probabile o vicina una soluzione e aumentando invece le probabilità di balcanizzazione o somalizzazione dell'area, nonché l'indebolimento della lotta all'Isis. Tra chi se ne rende conto benissimo c'è sicuramente lo stesso Erdoğan, che tuttavia è mosso da suoi obiettivi specifici.
Lo si può arguire dalla ridicola dichiarazione ufficiale turca secondo cui lo scopo dell'iniziativa militare starebbe nella chiusura del confine con la Siria in funzione anti-Isis. Il ridicolo nasce dal fatto che Ankara avrebbe potuto tranquillamente ordinare alle proprie Forze armate di effettuare tale chiusura dal lato turco, giacché in termini di sicurezza acquisire il controllo di alcuni chilometri quadrati di territorio siriano non serve proprio a nulla.
È palese - e non vi è serio osservatore internazionale a negarlo - che obiettivo del governo turco sono i Curdi dell'Ypg, legati al Pkk, e in particolare impedire loro di completare - mediante la conquista di Jarablus - l'occupazione territoriale necessaria per la definizione di un'entità curda confinante con la Turchia. La successione dei fatti è chiarificatrice. Dopo l'occupazione curda di Manbij, sottratta all'Isis, a Jarablus i Curdi proclamavano la creazione di un nuovo consiglio militare; dopo tre ore da quell'annuncio il capo di tale organismo veniva assassinato e il mandante era additato nel governo turco. Poi, l'occupazione turca di Jarablus e la pretesa di Ankara di avere anche Manbij e l'immediato ritiro curdo a est dell'Eufrate. Ritirata peraltro avvenuta con tempestività. Cioè a dire, gli Stati Uniti, che l'Ypg considera suo alleato, "come da copione" hanno tradito gli ingenui e ambiziosi Curdi, preferendo non creare con la Turchia ulteriori frizioni delle quali potrebbe avvantaggiarsi la Russia.
Non si dimentichi che in Oriente i simboli - e le date simboliche - hanno una grande importanza, ormai scomparsa e incomprensibile in Occidente, e quindi mantengono intatta la loro capacita di espressione: ebbene, gli stessi giornali turchi hanno tenuto a sottolineare che l'ingresso in Siria delle truppe avveniva nel 500º anniversario della battaglia di Marj Dabiq (a nord di Aleppo), che durante la guerra fra Ottomani e Mamelucchi sirio-egiziani (1516-1517) aprì ai primi la strada per la conquista del Vicino Oriente e iniziò la fine dell'Impero mamelucco. Alla sottolineatura commemorativa fatta dalla stampa turca si potrebbe aggiungere che dopo la Grande Guerra la perdita della Siria settentrionale (e di Mosul) fu molto "mal digerita" dalla Repubblica di Turchia - forse nient'affatto metabolizzata - e oggi probabilmente Erdoğan pensa di avere la possibilità di recuperare (almeno parzialmente) quanto non riuscì a Kemal Atatürk. A questo punto si pone il problema se le ambizioni di Erdoğan si fermino qui, o al contrario se non riguardino anche Aleppo (il che sarebbe storicamente naturale) e magari - in prospettiva - Mosul.
Nel complicarsi della situazione nel nord siriano non colpisce tanto il basso tono della protesta di Damasco - oggettivamente non in grado di fare di più - quanto l'assenza di forti prese di posizione da parte di Russia e Iran. Questo fa pensare a molti osservatori che esista un accordo (per lo meno tacito) fra Ankara, Mosca, Damasco e Teheran; accordo che non sarebbe privo di ragion d'essere in base ai rispettivi interessi. I Curdi di Siria - sentendosi spalleggiati dagli Usa - hanno dato sfogo alle proprie ambizioni forse con eccessiva fretta e troppo scopertamente, talché su di loro incombe ora il rischio di restare abbandonati a sé stessi se per caso dovesse ridursi l'importanza del ruolo militare contro l'Isis fin qui ricoperto. La cosa si chiarirà meglio se e quando ci sarà l'attacco dell'Ypg contro Raqqa.
Essendo arrivati ai ferri corti Damasco e l'Ypg a Qamushly e Hasakah, ed essendo una delle conseguenze dell'iniziativa turca la distrazione di almeno 5.000 ribelli siriani dal fronte di Aleppo a Jarablus, per il momento la mini-invasione turca può anche essere segnata dai governativi nel saldo positivo della "contabilità bellica". Anche per l'Iran - al cui interno esistono minoranze curde e arabo-sunnite, ancora in stato di quiete - meno successo ottengono i Curdi in Siria e Iraq tanto meglio è.
Nel caso degli Stati Uniti la questione è più articolata - ma per nulla indecifrabile - alla luce della massima di Churchill, valida anche per Washington: niente amicizie nelle alleanze, ma solo l'espressione di interessi particolari. Nel corso del conflitto siriano un costante interesse particolare degli Stati Uniti è consistito nella creazione nel territorio della Siria di zone-cuscinetto, ovvero di "santuari" non attaccabili dalle forze di Damasco e utilizzabili dai ribelli per operazioni belliche non solo frontaliere. Nel nord la cosa è sembrata possibile fino al 24 agosto utilizzando i Curdi, tanto più che gli altri ribelli sono in difficoltà ad Aleppo e le truppe regolari siriane avanzano ad occidente dell'Eufrate.
A conti fatti la mossa turca non va contro gli intendimenti degli Usa, giacché ai Curdi sono sostituibili altri ribelli sostenuti dalla Turchia. Per inciso, nel sud siriano sono le forze speciali britanniche a lavorare (senza autorizzazione alcuna) allo stesso scopo ai confini con Giordania e Iraq. Ma se il mutare dei fattori non incide sul risultato nulla avranno da eccepire Washington e Londra, e difatti la mini-invasione turca è avvenuta con la pubblicizzata copertura aerea statunitense.
Gli sviluppi iniziati col 24 agosto portano a considerare del tutto immotivati gli entusiasmi di quei nemici dell'Occidente che hanno dato per scontato il cambio di alleanze della Turchia dopo il fallito golpe. Tutto sommato - tenuto conto della rete di alleanze locali della Russia e il maggior affidamento che Mosca può dare ai propri alleati (anche perché di altri possibili non ce ne sono in zona) - le ambizioni di Erdoğan fuori dagli attuali confini turchi possono trovare realizzazione solo mantenendo una sia pur conflittuale alleanza con gli Usa. Per i suoi fini, le necessità di Erdoğan consistono nella balcanizzazione dell'area. All'inizio della crisi siriana si poteva puntare, come grimaldello, semplicemente sulla caduta del governo di al-Assad e sugli effetti conseguenti. Ora invece, poiché il rovesciamento del governo di Damasco non è più dietro l'angolo, balcanizzare comunque il balcanizzabile è obiettivo primario, anche per guadagnare tempo ai fini della continuazione della guerra. Ed ecco procedere "a braccetto" Ankara e Washington: ai Curdi provveda pure il buon Dio; non sarà né la prima né l'ultima volta che restano soli con una manciata di sterili illusioni.

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