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lunedì 9 novembre 2015

No alla strozzatura, No ai contatori

La Regione Friuli-Venezia Giulia si sta dotando del PRTA (Piano Regionale di Tutela delle

Acque), che nell’ex-Art. 50, nella prima bozza del “Progetto di Piano” prevedeva la strozzatura dei pozzi
artesiani per uso domestico a 0,1 litri al secondo di portata media giornaliera, contro l’attuale di circa 1
litro al secondo. In pratica, ciò significa il rischio d’insabbiamento e dismissione dei pozzi.

Inoltre nel verbale n.30 della IV Commissione Permanente regionale, del 15 gennaio 2014 si
calcava ulteriormente la mano contro le fontane a getto continuo:
“La Commissione condivide pertanto le misure proposte all’articolo 50, tendenti alla limitazione delle
portate prelevate dai pozzi, mediante l’apposizione di dispositivi di regolazione del flusso, atti ad


impedire l’esercizio a getto continuo. La Commissione inoltre valuta […] che il limite di utilizzo medio
giornaliero di cui al comma 4 sia ulteriormente ridotto all’effettivo fabbisogno auspicando, comunque,
il coinvolgimento degli Enti locali nella fase di consultazione pubblica. Si propone anche l’installazione
di contatori per monitorare l’effettivo consumo.”
INCONTRO INFORMATIVO
MERCOLEDI 11 NOVEMBRE
S. VITO AL TAGLIAMENTO

presso la sala Concordia (dietro il Duomo) ore 20 e 30


Nell’estate 2014 è quindi partita una Petizione Popolare in difesa dei pozzi artesiani e il 16
dicembre 2014 sono state presentate oltre 11 mila firme, al Presidente del Consiglio Regionale Franco
Iacop, che si era impegnato all’audizione dei Comitati promotori, prima di ogni decisione delle Regione.
Invece il successivo 30 dicembre, la Giunta Serracchiani ha approvato in maniera quasi occulta, il

Progetto di PRTA. Ora all’Art. 48 (che sostituisce l’Art. 50 della prima versione del PRTA) oltre a
ribadire la necessità della riduzione della portata dei pozzi, si demanda ad un Tavolo Tecnico la
definizione dell’entità della strozzatura stessa. I tempi a disposizione del Tavolo Tecnico sarebbero
quantificabili in circa un anno e mezzo al massimo, ma, come riconosciuto dal CATO ed anche da Gestori
del Servizio Idrico Integrato, come il CAFC, in Provincia di Udine, questo risultato è impossibile perché
i tempi tecnici di una sperimentazione attendibile per verificare gli effetti della strozzatura sui pozzi
artesiani, non possono essere inferiori ai tre/cinque anni.
Inoltre l’Art. 48 è addirittura peggiorativo di quello precedente, perché al comma 2 riappare
l’obbligatorietà di allacciamento all’acquedotto in caso di disponibilità di quest’ultimo sul territorio.

Quindi la politica regionale sembra andare nella direzione di un’acquedottizzazione, più o meno forzata,
con la conseguente chiusura dei pozzi domestici. Provvedimenti del genere non hanno alcuna
giustificazione scientifica, né in termini di ricarica delle falde né in termini di prevenzione
dall’inquinamento. Nella destra Tagliamento urgerebbe piuttosto l’eliminazione delle captazioni a scopo
idroelettrico (Cellina, Meduna), e la drastica riduzione di quelle a scopi industriali, ittici ed agricoli.
Riguardo la qualità delle acque, sono innegabili le responsabilità della mais-coltura intensiva nello
spargere ogni anno tonnellate di fertilizzanti chimici (nitrati) e pesticidi (si ricordi solo il caso atrazina)
nell’alta pianura, destinati a contaminare prima le falde freatiche e poi quelle artesiane.
Attualmente la Regione è in fase di elaborazione delle Osservazioni al Piano trasmesse dagli
interessati entro il 4 agosto 2015, ma è stata rinviata la presentazione pubblica da parte della Regione che era prevista per il 13 ottobre. Sono in corso le riunioni del Tavolo Tecnico (in realtà ferme al mese di
agosto); analizzeremo alcuni verbali nell’incontro qui proposto. Contemporaneamente sul territorio si
cerca di disaffezionare la popolazione dall’utilizzo dell’acqua dei pozzi com’è successo a Sterpo di
Bertiolo, dove il Comune ha posto il cartello di “acqua non potabile” a una fontana pubblica mentre le
analisi dimostrano la perfetta potabilità di quella fonte (vedremo nei dettagli questo caso emblematico).
Chiediamo una moratoria di DIECI anni che consentirebbe di:

1. valutare l’andamento della piovosità a fronte degli indiscutibili cambiamenti climatici in atto;

2. attivare una seria e capillare politica di riduzione e prevenzione dell’inquinamento, a carico
soprattutto del comparto agricolo, del suolo e delle acque superficiali e sotterranee.


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