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lunedì 17 aprile 2017

TRUMP E LA «MADRE DI TUTTE LE BOMBE» di Pier Francesco Zarcone


Il lancio in Afghanistan di uno dei più devastanti ordigni non nucleari non vale per il suo immediato esito tattico sul campo di battaglia: se è vero che ha causato la morte di circa 36 o 94 miliziani dell'Isis (secondo l'Isis, invece, non ci sarebbero state vittime), allora questo risultato mal si concilia con la spesa di ben 14,6 milioni di dollari, perché tanto costa una bomba GBU-43 Massive Ordnance Air Blast (MOAB), creativamente definita dai militari "Madre di tutte le bombe", anche in base alle lettere del suo acronimo (pare che la Russia disponga di un ordigno similare detto "Padre di tutte le bombe", di potenza quattro volte superiore). A questa spesa bisogna aggiungere quella a suo tempo sostenuta dai contribuenti statunitensi per la costruzione dei tunnel da poco bombardati. Secondo l'ex analista Edward Snowden si tratterebbe infatti delle gallerie sotterranee fatte costruire dalla Cia nel 1980 - all'inizio del conflitto afghano scoppiato in seguito all'invasione sovietica - per proteggere i mujahidin islamisti.
Poiché abbiamo detto e ripetuto che il diritto internazionale oggettivo non esiste più, sostituito dal diritto internazionale soggettivo creato dagli Usa a proprio uso e consumo, non desti meraviglia il fatto che l'uso della MOAB sul territorio di uno Stato formalmente sovrano sia avvenuto su semplice comunicazione al governo afghano, e non già in base al consenso previo di questo.
La MOAB è un ordigno terrificante, pur non generando radiazioni, e il suo utilizzo costituisce il pericoloso e incosciente avvicinarsi al confine dell'abisso. Per ora si tratta di un ulteriore palese messaggio da parte di chi poco tempo fa era stato erroneamente considerato un isolazionista, da contrapporre alla guerrafondaia Hillary Clinton. Un errore di prospettiva notevole, bisogna ammetterlo.
I destinatari minori del messaggio - per il terrore generato da questa super bomba - sono gli afghani che appoggiano Isis e Talebani, o che ne fanno parte. Si dice che le esibizioni muscolari di questo emulo della Sfida all'O.K. Corral manifestino una carenza di strategia. Sarà, ma riflettendo si può dissentire. Non si vogliono certo smentire gli addetti ai lavori, secondo i quali alla Casa Bianca le decisioni sono prese e variano di ora in ora. Semmai sosteniamo che al di là di ciò esiste una strategia definibile come il ritorno in grande e a tutto campo dell'imperialismo statunitense guerrafondaio e del suo autarchico ruolo di gendarme del mondo. Non ci si deve fermare al fatto che nel caso di Trump (soggettivamente assunto) - personaggio psichicamente instabile e, se possibile, meno colto di George W. Bush - risulti in primo piano il "menare le mani" senza apparente coordinazione, ma si deve fare attenzione alle coincidenze non casuali: il lancio della MOAB è avvenuto lo stesso giorno in cui a Mosca si apriva un vertice fra Russia, Cina e Iran per cercare una soluzione politica alla quasi ventennale guerra in Afghanistan. È come se Trump avesse affermato, per fatti conseguenti, il suo "no" a una pace russo-cino-iraniana.
Trump può avere uno stile da cowboy, ma sul piano delle conseguenze esso corrisponde agli interessi e agli scopi del complesso militar-industriale e dell'establishment guerrafondaio e imperialistico degli Usa, di cui molti sostengono che Trump sia finito "prigioniero". Comunque sia, sembra proprio che in atto la politica estera statunitense venga diretta più dai militari che dai politici a essa preposti. Paradossalmente pare che la caduta del reazionario Steve Bannon abbia facilitato questo risultato, poiché Bannon era contrario a interventi militari all'estero, preferendo concentrarsi sulle questioni interne.
A proposito dell'attuale bellicismo di Trump, sembra davvero che esso abbia fatto tirare il classico sospiro di sollievo ai suoi "democratici" alleati occidentali, che tante lacrime avevano versato per la sconfitta di quell'altro impresentabile personaggio rispondente al nome di Hillary Clinton. Oggi c'è stata una palese metamorfosi nella considerazione occidentale per Trump: da populista, xenofobo, razzista, maschilista, ignorante ecc. ecc. è diventato il rispettato difensore del "mondo libero", dinanzi al quale i governi occidentali - come da costume - si sono "appecoronati" acriticamente e autolesionisticamente.
Altri e non secondari destinatari del messaggio di Trump sono certamente i Nordcoreani, e qui il discorso si fa di estrema delicatezza. Il neo-presidente Usa si sta comportando come se fosse sicuro che la metaforica corda da lui tirata con vigore su vari fronti non si spezzerà, e che quindi il colosso statunitense rimarrà impunito. Si tratta di un presupposto pericoloso tutto da verificare, poiché nella storia non mancano affatto i casi di ragionamenti del genere che poi hanno dato luogo a guerre non volute, ma catastrofiche per vincitori e vinti. Al riguardo la cosa più preoccupante non è certo la diffusa passività dell'opinione pubblica internazionale di fronte alle gesta di un palese incompetente che potrebbe far piangere lacrime di sangue al mondo. Intendiamoci: non è che la vasta mobilitazione pacifista mondiale concretizzatasi con la Prima guerra del Golfo sia servita a qualcosa; a preoccupare davvero è la sostanziale acquiescenza planetaria da parte di un gran numero di governi, a parte il solito terzetto di Cina, Russia e Iran. Essendo il leader nordcoreano Kim Jong-un un degno contraltare di Trump, è naturale che il governo cinese (e non solo esso) manifesti preoccupazione per l'improvviso scoppio di un conflitto che appare tutt'altro che improbabile.
Animati da un complesso alla dottor Stranamore, gli ambienti militari Usa parlano di usare contro la Corea del Nord una bomba ancor più potente della MOAB: si tratterebbe della GBU-57A/B Massive Ordnance Penetrator (MOP). Se la MOAB ha il peso di 9,5 tonnellate e scoppia a 6 metri di quota, distruggendo tutto nel raggio di 800 metri circa, la MOP pesa 13,6 tonnellate, è stata progettata per penetrare anche in bunker sotterranei protetti da vari metri di cemento e riuscirebbe a sfondare fino a 100 metri di terreno o 20 metri di cemento armato, per poi esplodere. Gli esperti dicono che la MOP abbia il difetto di non possedere un sensore che - una volta penetrati gli strati protettivi di un bunker - individui lo spazio sottostante in cui deflagrare, dimodoché potrebbe anche esplodere sotto il pavimento del bunker colpito, cioè al di sotto dell'obiettivo. Questo comunque è un dettaglio.
Può pure darsi che la costosa spedizione navale statunitense non dia luogo ad alcun attacco a basi nordcoreane, e che qualcuno convinca Trump a presentare al Consiglio di Sicurezza dell'Onu un inasprimento delle sanzioni alla Corea del Nord: in questo caso sarà interessante l'atteggiamento che adotterebbe la Cina (che gode del diritto di veto), poiché già un'astensione significherebbe un distanziarsi di Pechino da Pyongyang. Tuttavia non è detto che ammorbidirebbe Trump o Kim Jong-un. Resta però ignoto di quali strumenti disponga in effetti la Cina per condizionare eventualmente la Corea del Nord. Considerata la grande (e unica) protettrice di Pyongyang, non è detto che tale ruolo escluda l'autonomia decisionale nordcoreana. A complicare il tutto c'è il preoccupante dato geografico dell'essere la Corea del Nord confinante con la Cina. Siamo sicuri che di fronte a un attacco statunitense Pechino potrebbe restare inerte? Del resto alcuni commentatori sostengono che anche la Cina sia destinataria del messaggio implicito nell'uso della MOAB.
Certo è che Trump si sta mettendo a forte rischio di uno scontro militare con la Russia in Siria e con la Cina in Corea. E sempre che non faccia qualche corbelleria anche sul Baltico o in Ucraina.


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