ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA
O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

per giulio

venerdì 28 aprile 2017

Brexit dura o mite? Il caso dell’Irlanda
















Sabato 29 aprile, si riunirà il Consiglio Europeo straordinario a 27 membri (art.50) per discutere gli orientamenti per i negoziati sulla Brexit.
Inizia un travagliato percorso che potrebbe avere serie ripercussioni non solo sul Regno Unito, ma anche su altri paesi ad esso fortemente correlati da interessi economici.
Uno di questi è sicuramente l’Irlanda.
La strategia del burro

Nel 1962, Tony O’Reilly, presidente della Camera del Commercio irlandese ebbe un’idea che avrebbe trasformato l’economia irlandese.
Quella di creare un marchio per il burro irlandese con cui invadere il mercato britannico.
Venne così creato il marchio Kerry-gold ed il burro veniva venduto in piccoli panetti, confezionati in modo tale da poter essere ispezionati dai consumatori per accertarsi della bontà del prodotto.
Altri prodotti irlandesi da esportazione presero esempio dal burro della Kerry-gold, tanto da  mutare la percezione delle possibilità del mondo degli affari irlandese.
Ruggito e raucedine della Tigre Celtica

Mezzo secolo dopo, l’Irlanda si era trasformata in un hub del commercio globale.
Quasi il 90% delle sue esportazioni è nelle mani di mulitinazionali, di cui la maggior parte sono giganti americani come l’Intel (che produce componenti per i computer) e la Pfizer (che produce farmaci). Per non parlare della Apple e della multa di 13 mld di euro che la UE ha comminato all’Irlanda [che ha fatto ricorso per violazione della “sovranità nazionale”]  per aver concesso un trattamento fiscale privilegiato alla multinazionale americana.
Ma ci sono anche industrie locali, come appunto il Kerry Group.
L’economia irlandese è sostanzialmente fondata sul dualismo tra una componente “moderna” a capitale intensivo, nelle mani dei finanziamenti esteri (USA in primis), ed una componente “tradizionale” basata sulla produzione intensiva -ad alta occupazione- di prodotti alimentari, che ancora insistono sul mercato britannico.
La Brexit potrebbe influenzare in modo del tutto opposto queste due componenti.
Per decenni l’Irlanda si è proposta ai capitali delle multinazionali come il punto d’ingresso di lingua inglese per il mercato unico europeo, potendo offrire condizioni fiscali molto favorevoli.
Ora la Brexit potrebbe rafforzare questo ruolo della ex-Tigre Celtica.
Infatti, l’IDA (Agenzia di Stato per lo Sviluppo irlandese) segnala le preoccupazioni di istituti bancari e  compagnie di assicurazioni  sul fatto che le loro filiali a Londra possano perdere il diritto a vendere servizi finanziari negli altri paesi della UE e stanno quindi considerando un ritiro dall’UK ed un  ritorno in Irlanda, all’ombra di vantaggiose condizioni fiscali.
D’altra parte molte imprese del settore tecnologico hanno scelto l’Irlanda come loro sede centrale.
Ad esempio, Linkedin, sito di una rete a carattere professionale, ha ora uffici che occupano 1500 persone, mentre nel 2010 ne occupava solo…3!
E non mancano le imprese cinesi: la Huawei, che opera nelle telecomunicazioni, ha in Irlanda ben 3 centri.
Naturalmente a scapito dell’industria nazionale irlandese.
I timori per un “cliff-edge”
Quando la Kerrygold decollò negli anni ’60, quasi i 3/4 delle esportazioni di merci irlandesi andava nel Regno Unito.
Ora si parla del 13%, che sale al 17% se si considerano i servizi alle imprese.
Secondo alcuni analisti del Trinity College di Dublino, la quota di export irlandese verso l’UK sarebbe intorno ad 1/4 del totale.
Se nella globale catena di distribuzione di prodotti tecnologici, l’Irlanda costituisce solo una piccola frazione del valore aggiunto alle esportazioni che partono dall’isola verde, è invece alto il valore delle esportazioni di prodotti alimentari verso l’UK.
Metà delle industrie agro-alimentari irlandesi esportano verso il Regno Unito e si troverebbero in grave difficoltà se la Brexit portasse a dazi del 60% sulle importazioni in caso di applicazione
del temuto “cliff-edge” (bordo della scogliera),
che riporterebbe le regole di scambio a quelle stabilite dal WTO (World Trade Organization).
Non solo, l’Irlanda conta sul Regno Unito come terra-di-ponte per il trasporto dei suoi prodotti sul continente, abbattendo così i tremendi costi dei trasporti su gomma.
C’è anche sa dire che un quarto delle importazioni irlandesi proviene dall’UK, soprattutto le catene dei supermercati che sono di proprietà britannica.
Dunque la Brexit potrebbe avere effetti devastanti per l’industria agro-alimentare irlandese, che occupa manodopera irlandese; invece potrebbe avere effetti relativi e persino positivi sugli investimenti dall’estero soprattutto nelle grandi città come Dublino.
Dalla crisi del 2009 ad un nuovo ruolo post-Brexit?

Nel 2009 l’Irlanda era un paese devastato dalla crisi finanziaria: una recessione al -7,5%; un tasso di disoccupazione al 13,8% nel 2009 (12,5% nel marzo 2010); deflazione al 6,5% nello stesso 2009; un aumento del deficit pubblico da 33,6 miliardi di euro a 40,46 miliardi di euro,  contenuto da un rapporto debito-PIL del 63,7%, dato il già livello basso pre-crisi.
In cambio dell’aiuto di 70 mld di euro di UE e FMI nel 2014, lo Stato si era impegnato a tagliare la spesa pubblica per una quota da primato, tra il 15% e il 20% entro il 2014, scaraventando milioni di lavoratori e cittadini che si trovavano nelle fasce più disagiate della società, in una politica di austerità da lacrime e sangue.
L’Irlanda di oggi, con una crescita del PIL del 7,8 % nel 2015  ed una ripresa degli investimenti, punta ad una Brexit mitigata.
Mantiene le precedenti politiche opportunistiche mirate al reperimento di ingenti capitali esteri e ad una forte e rapida crescita in poco tempo, usando al solito la leva fiscale e le facilitazioni bancarie come forte elemento di attrazione.
Del resto Dublino è sempre stata più un complemento della City di Londra, piuttosto che una rivale, tanto da beneficiare dello status di quest’ultima.
Una Brexit mitigata, che lasciasse i dazi attuali per un certo periodo di tempo, darebbe anche il tempo alle imprese agro-alimentari irlandesi di ri-orientare il loro export verso altri mercati europei.
Compito non facile: come nel caso del burro Kerrygold, l’Irlanda dovrebbe nel breve futuro inventarsi un marchio per le sue carni, oppure francesizzare il suo formaggio Cheddar!!


Ufficio Studi Alternativa Libertaria/fdca
(cfr. The Economist, IDA, Trinity College of Dublin, Institute of International and European Affairs, Il Sole24Ore et cetera ….)

Nessun commento:

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)