Nei mesi estivi abbiamo assistito ad una noiosa e patetica polemica sulla Movida pordenonese in un braccio di ferro tra qualche residente disturbato dai suoni, il comune in difesa della sobrietà (sigh!) e commercianti in crisi che chiedono un po’ più di “tunz tunz” per animare pomeriggi, serate e scontrini.
In questa non esaltante polemica estiva sfugge il fatto che il problema è ben più consistente e riguarda una città che, se non si può definire morta, certamente è accomunabile allo stato di letargo comatoso interrotto da qualche risveglio pilotato, solitamente concordato tra istituzioni e ASCOM.
A noi della Movida poco interessa, se non nell’ottica che ci sembrano normali i bar o ritrovi con musiche anche all’aperto e in tarda serata, figuriamoci il contrario.
Quello che ci interessa è la riappropriazione di luoghi, tempi e spazi di una città che qualcuno vorrebbe gestire con un telecomando mentre altri la vivono con la massima aspirazione di uno spritz e sky-sport nei teleschermi in compagnia di amici e soprattutto fottendosene di tutto il resto. Riprendersi una città significa partire dai quartieri, dalle vie e non solo dalle piazze centrali, significa portare la musica fuori dalle botteghe, creare momenti di aggregazione senza mediazioni commerciali o istituzionali, significa concordare regole comuni di partecipazione e rispetto dei luoghi che si vivono senza bisogno di preti, padrini e gendarmi con o senza divisa. Pordenone s’è scrollata di dosso una decina d’anni fa il deserto democristiano prima e leghista poi per accontentarsi di qualche oasi artificiale di palme e pozzanghere. Non è pensabile che tutta la questione sulla/della cultura a 360° sia improntata a chi innaffia le pianticelle di queste oasi, con quali soldi e per conto di chi. Pordenone deve lasciare germogliare ovunque piante, fiori e alberi, deve essere luogo di partecipazione artistica, musicale, sociale e politica dal basso. Non bastano qualche vetrina calata dall’alto e un po’ di migliaia di euro di finanziamenti per lavarsi la coscienza, così come certamente non basta accondiscendere ai volumi di musica più alta per risolvere il problema della “vita” serale dei giovani e non, figuriamoci mettersi a fare i guardiapesca dentro e fuori i locali come ha fatto il comune: “ma ci faccino il piacere” avrebbe detto Totò!
Ci sono associazioni, realtà, singoli, gruppi formali e informali che fanno e vorrebbero fare attività di ogni tipo e che non possono neppure affiggere una locandina per strada: i negozi sono stracolmi, molti non le vogliono e fuori nelle colonne e nei muri è vietato e scattano multe salatissime, ci rendiamo conto? La gran parte dei luoghi dove vengono appesi i manifesti sono saturi di pubblicità commerciale. I luoghi in città dove fare iniziative sono pochissimi e costano, gli spazi pubblici per realizzare iniziative all’aperto necessitano di iter burocratici assurdi, con tasse e richieste indecenti. L’unico luogo “organizzato” in città per l’aggregazione musicale e poco più è il Giordani, struttura comunque eterodiretta dal comune e che rischia pure di chiudere nel giro di qualche mese. Non c’è nulla, camminando un giorno della settimana dopo le 21.00 di sera per la città non c’è neppure l’alba dei morti viventi, sono proprio tutti morti morti. E secondo voi dovremmo perdere tempo sul contenzioso Movida si Movida no? Anni fa si poteva leggere nei muri di Pordenone: un po’ qua un po’ la occupiamo la città! Non è mai troppo tardi…
Iniziativa Libertaria
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
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