Decenni di sciagurato neoliberismo stanno presentando il conto alle economie occidentali.
Decenni di tagli ai salari, di privatizzazioni, di tagli ai servizi pubblici, di spostamento della ricchezza dalla produzione alla finanza stanno presentando il conto agli Stati.
Per decenni è stata raccontata la favola che il mercato arricchisse tutti, che tutti si potessero permettere tutto, che la Borsa, novello albero degli zecchini, fosse lo strumento giusto per permetterci una serena vecchiaia dopo una vita lavorativa precaria.
E in questi decenni l'accumulazione capitalistica è stata sempre più rapida e vorace, ha rosicchiato profitti ovunque, ha minato tutele, ha messo le mani sui beni comuni, la ricchezza si è sempre più concentrata, la forbice si è allargata, sempre meno persone hanno sempre di più, sempre più persone hanno sempre di meno. Meno reddito, meno diritti, meno lavoro.
E adesso che sta arrivando il conto, rispuntano gli Stati. Chiamati a rispondere del proprio debito pubblico, chiamati a sostenere le banche, sistemiche o no, chiamati a far ingoiare, a forza se necessario, ai propri cittadini misure draconiane invocate necessarie per la stabilità dei mercati (ma i mercati stabili non guadagnano, i mercati per essere stabili devono crescere). E se i politici locali non sono abbastanza bravi, la finanza presta alla politica direttamente i propri uomini.
Inutile ergersi tutti a esperti finanziari e affannarsi a trovare la cura per salvare il capitalismo da se stesso: il capitalismo si salverà, a spese nostre nelle sue intenzioni, e alla fine della crisi la forbice sarà ancora più larga. Si salverà se la BCE inietterà liquidità per salvare le banche e rassicurare i mercati; si salverà se la Grecia e magari l'Italia andranno in default, controllato o meno, se ridurranno parzialmente i debiti o se usciranno dall'euro e ricominceranno a battere moneta sovrana.
I costi di tutte queste operazioni saranno pagati da tutti noi, da chi lavora, dagli studenti, dai migranti, dall'anello debole di questa catena che non sarà mai forte finché non la spezzerà.
Siamo noi a doverci salvare, a difenderci dall'esproprio capitalistico e da una politica, forte dei propri interessi, sempre disposta a difendere i forti contro i deboli, i ricchi contro i poveri.
Dobbiamo dire che i soldi ci sono, bisogna andarli a prendere a chi ce li ha, e poi bisogna darli non alle banche, ma ai lavoratori e ai disoccupati; che scuola, sanità, ambiente vanno potenziati e non finiti di distruggere; che i tagli sono necessari, si, ma nelle fasce alte delle gerarchie; che sono i dirigenti, i manager, i politici, che sono coloro che hanno coscientemente guidato questa situazione, e non nelle fasce più basse, a colpire quelli che continuano a salvare il salvabile, a far funzionare la baracca, a garantire i servizi minimi.
Ricette troppo semplici? Forse, ma noi anarchici sappiamo che non sarà lo Stato a difenderci dal Capitale, sappiamo che solo l'autorganizzazione e la lotta possono cambiare quello che sembra un destino ineludibile, il baratro della miseria che poi è semplicemente il baratro dell'ingiustizia, e invertire questa nefasta spirale con le armi della solidarietà e dei diritti.
Segreteria NazionaleFederazione dei Comunisti Anarchici
14 novembre 2011
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
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