Il mito neoliberista di uno sviluppo inarrestabile legato alla
diffusione del mercato si è dissipato, lasciando postumi dolorosi di
contrazione dei mercati, solo apparentemente risolvibili con
l’acutizzarsi della concorrenza e con il dumping sociale
internazionale.
Così il capitalismo, mentre ridisegna la sua geografia, trova una
apparente unità nello scaricare –proprio grazie alla globalizzazione -
la sua crisi finanziaria sulle economie reali di interi continenti e
dei singoli stati.
Perché il capitalismo approfitta da sempre delle crisi per
rigenerarsi, e ristrutturare a suo vantaggio i rapporti di forza
delle classi.
In particolare in tutto l’occidente alla classe lavoratrice viene
imposto di pagare il costo di una crisi che non ha creato, di
accettare un arretramento delle condizioni di vita e di lavoro, un
periodo di transizione di instabilità economica e sociale che
modifica in profondità le condizioni di vita, in nome della
concorrenzalità con aree geografiche a forte crescita e più bassi
costi sociali.
L’attacco è all’intera struttura sociale, ai diritti ed alle certezze
acquisite dai lavoratori con decenni di lotte in periodi di
espansione, un attacco alla presenza stessa di un movimento operaio
organizzato.
Con il doppio obiettivo di abbassare i costi, drenando ingenti risorse
dal salario diretto, indiretto e differito necessarie
all’auto-finanziamento della crisi, e di ricondurre la classe
lavoratrice ad uno stato di ulteriore subordinazione agli interessi
aziendali e quindi del mercato.
I lavoratori e le lavoratrici vengono messi in concorrenza spietata
fra loro per il mantenimento di posti di lavoro sempre più fragili e
meno remunerativi, mentre si cerca di disarticolare ogni risposta
collettiva con l’abbattimento della agibilità sindacale e l’espulsione
dal tavolo della concertazione di ogni sindacato non collaborativo.
A questo si accompagnano processi di riduzione di spazio di
democrazia sostanziali in tutti i paesi europei, favoriti anche
dallo svuotamento del ruolo politico di indirizzo degli Stati , meri
applicatori delle direttive economiche sopranazionali che consistono
in politiche di riduzione della spesa pubblica, essenzialmente dei
servizi, a favore di politiche finanziarie e privatistiche di bilancio
e di gestione del territorio e delle risorse.
Anche qui si cerca di convincere i lavoratori che agire sulla
riduzione dei costi dei servizi pubblici e sulla contrazione della
platea di coloro che ne hanno accesso significhi un risparmio
individuale invece che un impoverimento collettivo, con la riduzione
del salario indiretto e l’aumento del prelievo fiscale. Con il
conseguente ridursi degli spazi di partecipazione politica, ridotta a
culto di personalità o ricerca di posti di potere.
Sul piano sociale l’impoverimento così generato autoalimenta
l’insicurezza, che acuisce i processi di divisione e spinge a
cercare risposte individuali per la sopravvivenza e porta al
degradarsi del territorio e delle relazioni sociali, con l’esclusione
di ogni soggetto che non rientra nella logica della produzione e del
consumo.
Ma l’unità e la solidarietà che scompaiono dai luoghi di lavoro, dai
ranghi del sindacato, dalle lotte nel territorio, dalle manifestazioni
e dagli scioperi, possono essere recuperate, riattivate e re-immesse
in circolo solo con un lavoro capillare in ogni situazione che
richieda la presenza, l’intelligenza politica, la capacità di unire e
non dividere, di sviluppare solidarietà e non competizione, da parte
degli attivisti rivoluzionari.
In questo contesto il ruolo dei Comunisti Anarchici è, ogni giorno,
ovunque siamo presenti,
continuare a diffondere pratiche politiche e relazionali libertarie,
autogestionali e antigerarchiche come metodo,
costruire gradualmente idee ed obiettivi alternativi al capitalismo
ed agli Stati, come nostra piattaforma,
costruire solidarietà e progettualità condivisa anche a livello
internazionale.
Sostenere quelle parti di sindacato e quelle lotte sociali
ancora in grado di sviluppare conflittualità e richiedere
redistribuzione delle ricchezze invece di socializzazione delle
perdite
significa costruire, qui e ora, un’alternativa di classe.
Appoggiare le lotte di difesa dei diritti acquisiti ed il loro
allargamento ai soggetti esclusi,
allargare i diritti di cittadinanza,
combattere le forme di criminalizzazione della povertà che sono alla
base del razzismo sempre più diffuso,
difendere i beni comuni con la rivendicazione di obiettivi unitari
sempre più avanzati
significa costruire qui e ora un’alternativa alla desertificazione e
alla mercificazione del territorio.
Costruire reti e coordinamenti
capaci di federare quelle organizzazioni ed associazioni che si
battono per una medesima prospettiva o che si schierano contro uno
stesso pericolo,
(sia esso tanto il neo-fascismo, il razzismo, il patriarcato,
l’omofobia quanto l’inquinamento, le privatizzazioni, le guerre
dell’imperialismo,…),
soggetti collettivi capaci di sviluppare obiettivi politici,
culturali, economici condivisi
per far crescere le lotte sul territorio che ridisegnino una società
più partecipativa e quindi più giusta,
senza ricadere in meccanismi di delega,
significa costruire l’alternativa libertaria.
Fano 1/11/10
Documento finale approvato dall'VIII Congresso FdCA
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
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